di Sergio Di Cori Modigliani
Domani, a Roma, c'è la manifestazione nazionale dei No-tav.
Tutti sanno che cosa sia la No-tav.
E' uno dei trend di moda.
Pochi, in realtà, conoscono -nel dettaglio- le autentiche
posizioni.
Così come pochi sono al corrente del fatto che il governo
francese, presieduto da Hollande, ha rubricato il progetto nella sezione
"non priorità del governo" e lo accetta passivamente soltanto per
questioni di carattere diplomatico che gli impongono di non scontrarsi con il
governo italiano, il quale -in cambio- asfalta l'autostrada privilegiata per
l'industria francese per venire ad accaparrarsi a prezzi di saldo le aziende
italiane che interessano strategicamente ai nostri cugini d'oltralpe. E'
comunque un grandioso affare per la Repubblica francese.
Fino a due anni fa, se ne parlava molto meno.
Fino a quattro anni fa, ancora di meno.
Fino a sei anni fa, non se ne parlava affatto.
Irruppe sullo scenario mediatico nazionale, in gran cassa,
in seguito alla manifestazione del vaffaday indetta da Beppe Grillo nel 2007.
Nel 2006 se ne occupavano soltanto i soggetti politici
attivi, e (si intende) i valligiani e la cittadinanza valdostana coinvolta
nella vicenda.
Ho ritenuto quindi utile, per la comprensione di tutti,
leggere un documento pubblicato nel 2006, in un'epoca, quindi, in cui la
No-tav non era al centro dell'interesse mediatico.
L'aspetto interessante di questo importante documento
consiste nel fatto che è stato redatto da un'impeccabile associazione
accademica italiana. Tale studio venne consegnato ufficialmente all'allora
governo italiano (era in carica Berlusconi) subito dopo al nuovo governo Prodi
e in seguito riproposto al nuovo governo Berlusconi.
Il documento è il prodotto del lavoro di uno dei più antichi
centri di produzione culturale della nostra Bella Italia, il CISP (Centro
Interdisciplinare di Scienza & Pace) dell'Università di Pisa, attivo da
centinaia di anni come laboratorio di intelligenze al servizio della
cittadinanza, frequentato nel '600 da Galileo Galilei, anche se allora aveva un
nome diverso.
Il documento reca la firma del prof. Loris Tappa.
Vale la pena di leggerlo e diffonderlo.
Mi è parso completamente privo di ideologia, complottismo,
chiacchiere.
E' uno strumento culturale per riflettere, meditare,
dibattere.
Buona lettura a tutti.
Democrazia
diretta o indiretta? O meglio e in modo più preciso: quale spazio di azione
possono conquistare i movimenti richiedenti una maggiore rappresentanza dal
basso? Molti gruppi sono nati negli ultimi anni per chiedere un maggior
coinvolgimento delle comunità locali nelle decisioni di carattere economico e
ambientale (si pensi ad esempio alle proteste contro la costruzione del ponte
sullo stretto di Messina o alla rivolta della cittadina di Scanzano Ionico
contro un centro nazionale per i rifiuti nucleari). Per molti osservatori
questi ultimi sono casi fortemente criticabili e sono classici esempi della
sindrome Nimby (not in my back yard – non nel mio cortile). In maniera molto
semplice la sindrome Nimby si può spiegare così: tutti vogliono mantenere il
proprio benessere e i propri privilegi, ma nessuno vuole accettare vicino alla
propria città o regione una parte delle cause del loro benessere e dei loro
privilegi. Con la parola “cause” si deve intendere: inceneritori, autostrade,
scorie nucleari, ecc. Il problema della sindrome Nimby potrebbe quindi essere
interpretato come frutto dell 'egoismo di una comunità locale nei confronti dello
sviluppo economico di una intera Nazione (e quindi di tutti i suoi cittadini).
In quest 'ottica potrebbe apparire che il concetto stesso di rappresentanza dal
basso sia figlio di quello che potremmo chiamare, con una sorta di ossimoro, “l
'individualismo comunitario”.
Le cose, forse,
non stanno sempre così. Un caso molto interessante da analizzare da questo
punto di vista è da alcuni mesi al centro dell 'attenzione di tutti i
notiziari.
Solo dall
'autunno 2005 si parla diffusamente nei mass–media del Corridoio V e della TAV
(treni ad alta velocità) Torino–Lione, ma sia questo progetto infrastrutturale,
sia le proteste dei cittadini hanno una storia ben più lunga.
All 'inizio degli
anni '90 il trattato di Maastricht diede alla Comunità europea l'impegno di
sostenere e realizzare delle reti transeuropee di trasporto (TEN-T
TransEuropean Network-Transport). L 'obiettivo di questo progetto di
infrastrutture fu un tentativo di rendere più efficiente il sistema dei
trasporti europeo e di collegare le zone più periferiche dell 'Unione europea
con le regioni centrali della Comunità.
Nel dicembre del
1993 venne presentato al Consiglio europeo il Libro bianco sulla crescita, la
competitività e l 'occupazione, nel quale vi erano le idee di base e le linee
guida del TEN-T; sempre nel dicembre 1993 questo Libro Bianco venne approvato
e, contemporaneamente, vennero istituiti gruppi di lavoro per studiare la
fattibilità dei differenti progetti. I gruppi presentarono suggerimenti e
raccomandazioni, i cui punti principali vennero accolti dai Consigli europei di
Corfù nel giugno del 1994 ed Essen del dicembre 1994, compresi 14 progetti
prioritari nel settore dei trasporti. Il lungo iter burocratico, però, non era
ancora concluso. La Commissione europea, infatti, pubblicò, nell 'aprile del
1994, la proposta ufficiale per la rete transeuropea dei trasporti che fu poi
discussa durante gli anni 1994, 1995 e 1996 in seno al Consiglio europeo e al
Parlamento: il 23 luglio 1996 conclusero il processo di conciliazione e arrivarono
finalmente ad un accordo sulle linee guida comunitarie per lo sviluppo delle
reti transeuropee di trasporti.
Nei 14 progetti
suddetti era già presente la Torino–Lione, che fa parte del Corridoio V, cioè
una linea ferroviaria che dovrebbe collegare Kiev con Lisbona passando
attraverso altre importanti città europee.
Concentriamoci,
ora, su alcuni utili dati tecnici riguardanti il tratto ferroviario contestato.
Le polemiche riguardano la cosiddetta tratta di valico o parte comune
italo–francese lunga 79,5 Km, la maggior parte dei quali (circa 64 Km) sono in
galleria: questo percorso collegherebbe Bussoleno in Piemonte con Jean de
Maurienne in Francia. I tempi della realizzazione sono molto lunghi: i dati
ufficiali prevedono che la tratta di valico sarà conclusa tra il 2018 e il
2020. Anche i dati economici, come quelli temporali, tendono a lievitare: “Il
costo della sola tratta di valico stimato dalla società LTF - Lyon–Turin
Ferroviarie, aggiornato al 2003, è di 6,7 miliardi di euro, con una crescita
dal 2000 del 17 per cento (stime del Gli [Gruppo di lavoro intergovernativo
italo-francese]). Applicando lo stesso tasso di crescita medio annuo, oggi le
previsioni dovrebbero arrivare a 7,46 miliardi di euro. In base al Memorandum
di intesa del 5 maggio 2004, l 'Italia si farà carico del 63 per cento dei
costi non coperti dall 'Unione europea e la Francia del 37 per cento. Per la
tratta esclusivamente italiana (Bussoleno–Torino), dovrebbe aggirarsi sui 4,6
miliardi di euro, cui vanno aggiunte le spese per adeguare il nodo di Torino e
quelle per il potenziamento della linea storica, necessaria a far fronte ai
previsti incrementi di domanda da adesso al 2020.
Le previsioni più
accreditate ritengono che il costo per il bilancio pubblico italiano dovrebbe
aggirarsi attorno ai 13 miliardi di euro. Ma l 'esperienza internazionale insegna
che, in media, i costi delle opere ferroviarie sono più alti di un buon 30 per
cento rispetto alle previsioni. In questo caso, il costo per il bilancio
italiano salirebbe a circa 17 miliardi di euro.” Naturalmente i costi vanno
analizzati insieme ai benefici; quale è, quindi, e quali sono le prospettive
future circa la domanda di traffico? La domanda di traffico sulla tratta
ferroviaria Torino–Lione nel 1997, secondo gli studi del Gruppo di lavoro
intergovernativo italo–francese era la seguente: 10,1 milioni di tonnellate di
merci e 1,3 milioni di passeggeri per anno. Dopo 7 anni, nel 2004, il traffico
delle merci era sceso a 8,5 milioni di tonnellate in un anno e il numero dei
passeggeri era rimasto estremamente basso.
Se si potenziasse
l 'attuale tratto ferroviario e si tassasse ogni camion in transito sulle rete
autostradale di 100 euro la domanda potrebbe giungere a 16,9 Mtonn/anno nel
2015; con la realizzazione dell 'AV la domanda, sempre secondo gli studi del
Gruppo di lavoro intergovernativo italo-francese e sempre mantenendo la tassa
sui camion, salirebbe fino a 21,1 Mtonn/anno. La capacità della nuova linea
sarebbe però di ben 40 Mtonn/anno: per il 50% delle sue potenzialità non
verrebbe quindi sfruttata.
Questi sono, in
estrema sintesi, i dati fondamentali dell 'opera.
Vediamo ora quali
siano le motivazioni principali dei contrari e dei fautori della Tav. Le
ragioni contrarie sono riducibili a due categorie: una riguardante i problemi
tecnici della realizzazione della linea ferroviaria (le cosiddette sette
criticità), l 'altra esprimente problemi concernenti il nostro modello di
sviluppo economico.
Ecco il primo
gruppo di critiche:
1. Mancanza di coerenza globale: il nuovo
modello ferroviario è errato, bisogna tener conto della possibilità di
potenziare la vecchia linea ferroviaria;
2. Rischi di inondazione: i lavori producono
pericoli di inondazione per la valle;
3. Linee ad alta tensione: impatti sul paesaggio
e rischi per la salute dei cittadini;
4. Inquinamento sonoro: inadeguatamente studiato
sia per il periodo del lavoro sia durante il funzionamento della linea;
5. Problema cantieri: esistono problemi circa il
trattamento e il trasporto dei materiali di sterro, circa il rischio di un
raddoppiamento dei tempi del lavoro, circa la presenza di amianto nelle
formazioni geologiche coinvolte negli scavi del tunnel;
6. Risorse idriche: rischio perforazione degli
acquiferi ed esaurimento delle fonti dell 'acqua potabili;
7. Zone di protezione: il progetto deve seguire
due quadri giuridici nazionali differenti. Tutto questo comporta una differente
valutazione delle zone di incidenza da considerare e delle misure di
compensazione associate.
Recentemente, per
cercare di rispondere a queste critiche, la Signora Loyola de Palacio (attuale
coordinatrice europeo responsabile del progetto n° 6 Lione–Torino–Budapest) ha
deciso, insieme alla Commissione europea, di utilizzare una consulenza
indipendente per valutare la fondatezza degli studi condotti da LTF. Ne è nato
un documento di 158 pagine dal titolo Analisi degli studi condotti da LTF in
merito al progetto Lione – Torino (sezione internazionale). Rapporto finale.
In questo studio
si afferma che le analisi condotte dalla LTF circa i rischi posti in evidenza
dai No Tav sono sufficienti e assolutamente adeguate: secondo tale rapporto
ognuna delle “sette criticità” perde ogni reale consistenza. Naturalmente i
contrari al progetto Torino-Lione contestano questi risultati: a loro dire la
commissione di studi ha mostrato chiari segni di non-imparzialità.
Lasciamo da parte
le discussioni sui dati più propriamente tecnici dell 'opera e occupiamoci di
un aspetto che ci pare più interessante utilizzare come spunto per poter
riflettere sulla Nimby e sulla rappresentanza dal basso, e cioè le critiche dei
No Tav al modello di sviluppo economico dominante:
1. “L 'attuale sistema globalizzato di
produzione distribuita comporta un 'esasperata e continua movimentazione di
materie prime, semilavorati e prodotti finiti; il maggior sfruttamento di
lavoratori e materie prime, l 'alta velocità di spostamento di denaro, merci e
forza lavoro sono considerati i cardini della competizione. Sono fattori che
rendono questo sistema non sostenibile per il futuro del pianeta. Un obiettivo
da porre è perciò la diminuzione della quantità di merci circolanti;
2. non si può accettare che per un misero 1% di
riequilibrio si trasformino vallate in corridoi di transito industriale
devastando l 'ambiente, minando la salute, svalutando l 'abilità del
territorio, negando prospettive alle produzioni locali in direzione di una
marginalizzazione sociale delle popolazioni. Sì a passare quote significative
di trasporto merci da gomma a rotaia, ma utilizzando al meglio le numerose
ferrovie esistenti: è l 'obiettivo giusto, già rivendicato da molti anni (la
capacità merci è utilizzata al 50% circa);
3.
la città [Torino] non deve essere
ridotta a nodo di flussi di merci e persone, a mero luogo di scambio
mercantile: qualità della vita, cultura dell 'accoglienza, sostenibilità
ambientale e sociale sono i presupposti di aggregazione di una comunità di
abitanti.”
Le ragioni
favorevoli al progetto Tav, invece, sono sintetizzabili in questi quattro
punti:
1. benefici ambientali dovuti ad un minor
traffico merci e passeggeri su gomma;
2. diminuzione dei tempi di percorrenza;
3. aumento della competitività per le aziende
italiane;
4. volano per lo sviluppo economico del paese.
Dopo aver
analizzato tutti questi dati possiamo ora porci il quesito centrale: la
“questione Tav” si può definire un caso di Nimby? Secondo Alberto Ronchey
certamente sì: “Gli ostacoli contro l 'avvio a soluzione di problemi
fondamentali per l 'economia italiana, oramai, risultano sempre più clamorosi e
visibili. Al di là delle mancate privatizzazioni competitive, due questioni
primeggiano fra le altre. Si tratta di vincoli gravosi, come l 'arretratezza
delle infrastrutture civili e la precarietà delle forniture d 'energia
elettrica oltre tutto dipendenti dalle costose importazioni petrolifere.”? Chi
o che cosa sono gli ostacoli? Ronchey continua così: ?”Fra le cause di numerose
conflittualità prevalgono interessi particolari, pregiudizi municipali,
estremismi ecologici, diffuse permissività verso proteste che bloccano strade o
ferrovie, indulgenze clientelari e così avanti.[...] Certo, anche se nessuno
tollera niente nel cortile di casa è sempre necessario ascoltare tutti. Ma su
innumerevoli problemi, dopo aver tentato la persuasione o cercato la
comprensione, si dovrà decidere. Finora, ha vinto quasi sempre l 'opportunismo
e il lassismo. Così stanno le cose. Ma senza prenderne atto, e senza pervenire
alle razionali conseguenze sia nella mentalità collettiva sia nella condotta
governativa, questa sarà presto una società in via di sottosviluppo.”
E ' interessante,
però, notare come il dialogo tra i favorevoli e i contrari avvenga su due piani
differenti. I cosiddetti “No Tav” insistono sulla necessità di cambiare il
modello di sviluppo: nella prima obiezione fra quelle che ho denominato
“critiche al modello di sviluppo” (“l 'attuale globalizzazione comporta una
esasperata movimentazione di prodotti”) si pone apertamente il problema della
globalizzazione e della sua gestione. Arrivano a sostenere che l 'obiettivo
economico debba essere quello di diminuire il flusso delle merci e cioè si
propongono l 'esatto contrario dei fautori della Tav.
Se, come
sosteneva Aby Warburg, il buon Dio è nel dettaglio, è estremamente educativo
osservare la bibliografia proposta dal sito internet dei No Tav di Torino. Gli
unici tre libri di economia in senso stretto sono tutti dedicati al concetto di
decrescita: ancora una volta, ciò che si contesta è il modello di sviluppo
economico attuale e, con esso, si criticano le forme di organizzazione politica
che ne derivano. Le richieste di fondo sembrano essere dunque due: no ad un
modello di sviluppo considerato insostenibile e sì ad una maggior
partecipazione delle comunità locali nei processi decisionali. E ' facile notare
come le quattro ragioni a favore della Tav non tocchino realmente i problemi
posti dai contestatori: in questa disputa le parti in causa sembrano parlare
due lingue differenti.
Su questo doppio
livello diventa molto difficile il dialogo e diventa quasi impossibile trovare
una soluzione che metta d 'accordo tutte le parti coinvolte.
Come si può
notare il problema della linea Torino-Lione (e si potrebbero fare anche molti
altri esempi) non pare allora essere un caso di Nimby perchè, in realtà, le comunità della Val di
Susa richiedono un cambio di prospettiva circa il concetto di sviluppo
economico e circa il processo decisionale. Su questo piano ha probabilmente
ragione padre Alex Zanotelli quando scrive: ”Noi, io per primo, vediamo i
cittadini della Val di Susa dal di fuori, li percepiamo come coloro che hanno
resistito. Ma qui c 'è molto di più. Qui c 'è una valle dove si stanno
sperimentando nuovi processi di democrazia partecipata.
Il concetto di
Nimby, quindi, venendo adoperato con estrema disinvoltura dalla maggior parte
dei mass-media, può rischiare di essere utilizzato come elemento di copertura
rispetto alle richieste innovatrici di moltissimi movimenti. Questi ultimi, in
realtà, chiedono un differente approccio rispetto ai problemi che dovrà affrontare
la politica (sia a livello locale, sia nazionale, sia internazionale) nei
prossimi decenni: questi movimenti non sono dunque espressione di quello che
precedentemente ho definito “individualismo comunitario”, ma manifestano la
necessità di ripensare globalmente i nostri rapporti con gli uomini e con le
cose. E ' significativo, a questo riguardo, il Documento Finale della IV
Assemblea Nazionale della Rete Lilliput: “Perseguiamo il cambiamento delle
regole che governano le istituzioni finanziarie e il commercio internazionale.
Proponiamo il cambiamento dei comportamenti e degli stili di vita, un modello
diverso di gestione integrata del territorio, delle risorse naturali (acqua,
energia e materia) e dei beni comuni basato sulla partecipazione, sulla consapevolezza
dei limiti delle risorse e sulla riduzione dell 'impronta ecologica.
Riconfermiamo la nostra prospettiva e il nostro impegno per una economia di
giustizia e solidarietà, in netta opposizione al modello economico e di
sviluppo dominante.”
In conclusione si
può affermare che il caso Tav, comunque andrà a finire, dovrebbe lasciare nell
'opinione pubblica alcuni importanti spunti su cui riflettere. Innanzitutto
sarebbe necessario aprire su tutti i mass-media una pacata discussione, priva
di ideologismi, sui possibili modelli alternativi di sviluppo economico.
Inoltre bisognerebbe tutti insieme ricominciare a riflettere, sulla scia di
Karl Popper e, soprattutto, di Paul Feyerabend, sulla strada da percorrere per
giungere ad una società maggiormente aperta alle istanze dei cittadini.
Fonte: Visto su LIBERO PENSIERO del 18 ottobre 2013
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