martedì 30 giugno 2009

Molise: note di archeologia e paleonologia


Coltello di Gambatesa





Oggetti litici


Spesso si è portati a pensare che i ricercatori non universitari, quelli che comunemente vengono chiamati dalle comunità accademiche, e molto spesso in modo dispregiativo, “appassionati” o “dilettanti”, nascondono dietro di sé, nelle loro possibilità, una preparazione e un attaccamento allo studio da far impallidire i più blasonati baroni accademici.
Ultimamente mi è capitato di andare in quel di Santa Maria di Zevio a salutare Alberto Solinas, libero ricercatore, conosciuto nell’ambiente archeologico nazionale soprattutto per essere stato lo scopritore del sito palentologico di “Isernia la Pineta” e poter ficcare il naso nella sua libreria, rimanendone letteralmente impressionato dalla massa di informazioni in essa archiviate. Sulla scrivania vi era la copia di suoi studi ed articoli redatti, alcuni anni or sono, sull’ archeologia e paleontologia del “suo Molise”. Gli ho chiesto se me li potevo leggere con calma, e se potevo inserire qualche estratto nel mio blob. «Sì sì! Fai pure, anzi se hai tempo pubblicalo pure tutto, penso che sia una cosa utile perchè là, in Molise, vi sono molti distratti!»
Distratti? «Si, diciamo distratti.»


Molise: note di archeologia e paleonologia
di Alberto Solinas

INTRODUZIONE

La Preistoria o Paletnologia è una scienza ancora giovane, essendo nata verso la prima metà dello scorso secolo, quando alcuni studiosi cominciarono ad interessarsi concretamente dei resti abbandonati sui luoghi d’abitazione o di lavoro oppure dispersi sul terreno dagli uomini comunemente detti «primitivi». Scienza giovane ma che ha già fatto mola strada: è dunque ormai possibile tracciare classificazioni di aspetti culturali fondate su solide basi

La successione delle tre età, della Pietra, del Bronzo e del Ferro, venne accertata e stabilita per merito precipuo di due paletnologi danesi della prima metà del secolo XIX: Cristian J. Thomsen, direttore del museo di Copenaghen, e il suo successore Hans Worsaae.

La scoperta di un sito archeologico viene spesso fatta da «dilettanti». Ad esempio, il più famoso protagonista della preistoria dei nostri giorni, «padre della preistoria e genio dell'archeologia», Heinrich Schliemann, che scoprì e scavò Troia e Micene, era di origini assai modeste: figlio di un pastore protestante di campagna, fu garzone di bottega, poi commerciante di salnitro, piombo e legna.

Lo scavo archeologico, al tempo dello Schliemann (morì a Napoli nel 1890, all'età di 68 anni), consisteva nel semplice recupero di oggetti, mentre nella paletnologia moderna, intesa come ricostruzione della storia, sono necessarie, per la laboriosa interpretazione dei materiali all'interno di un giacimento, ricerche interdisciplinari tese a ricostruire l'ambiente naturale e la vita dell'uomo in quei tempi remotissimi. Per questo vengono impiegati specialisti nei vari rami delle scienze naturali: geologi, paleontologi, paleobotanici, eccetera.

La ricostruzione degli avvenimenti e degli ambienti, nei vari periodi della preistoria si basa esclusivamente sulla ricerca e sull'interpretazione degli oggetti che si sono potuti conservare nei depositi, frutto delle attività umane.

Generalmente tutto ciò che è opera dell'uomo primitivo si trova sepolto nel terreno: sono questi i depositi antropici, così chiamati perché l'uomo ha contribuito in maniera determinante alla loro formazione. I giacimenti archeologici in grotta, o in ripari sotto la roccia, sono i più interessanti, perché si sono formati e conservati ai riparo dagli agenti atmosferici, mentre i depositi all'aperto hanno subito le intemperie e probabili manomissioni ad opera dell'uomo, pertanto il loro studio diventa difficoltoso e poco attendibile.

Il giacimento archeologico è caratterizzato da una serie di strati terrosi all'interno dei quali si trova tutto ciò che l'uomo ha fatto in un determinato periodo della sua vita; questi strati si sono formati nel tempo per cause naturali, sovrapponendosi l'uno all'altro.
Il deposito antropico può considerarsi, nel suo insieme, come un libro di storia ed ogni strato del deposito può essere paragonato ad un foglio di questo antichissimo volume scientifico, scritto però alla rovescia: la prima pagina stampata corrisponde cioè all'ultima pagina del testo.

Per questo motivo nelle fasi di scavo del giacimento è importantissimo seguire l'andamento di ogni singolo strato e leggerlo nel modo più accurato possibile, perché una volta tolto lo strato, si è praticamente distrutta una pagina del libro.
L’analisi stratigrafica consente di riconoscere la posizione e la distribuzione dei reperti abbandonati dall’uomo, permettendo così di ricostruire la vita che si svolgeva su quello spazio di terreno.

L'indagine legata alla ricostruzione della morfologia territoriale attorno al giacimento viene affidata agli studiosi di geomorfologia, i quali devono stabilire quali fossero le forme, e gli aspetti fisici del luogo, al tempo in cui questo era abitato dall'uomo, tenuto conto che nei secoli l’ambiente può aver subito profonde modifiche quali, ad esempio, la formazione o la scomparsa di un fiume o di un lago.

Lo studio dei terreni occupati dall'uomo primitivo viene eseguito da esperti di sedimentologia e pedologia; questi studiosi stabiliscono la provenienza dei depositi ed il loro processo di formazione. Si può così ricavare una preziosa messe di informazioni relative all'ambiente e al clima in cui è avvenuta la formazione del giacimento, alla sua età e ai mutamenti naturali che si sono sviluppati nel tempo.

Le ricerche condotte dai paleobotanici, negli strati archeologici, sono importantissime per conoscere il rapporto tra ambiente naturale e l'insediamento umano: si possono infatti comprendere le ragioni per le quali un determinato territorio fu scelto dall'uomo quale dimora; le stesse ricerche contribuiscono poi, in misura determinante, alla ricostruzione di tutte le essenze arboree presenti e del clima in cui queste si sono sviluppate.

Lo studio dei reperti ossei faunistici è affidato ad esperti di paleozoologia, cui spetta un compito basilare per la comprensione del comportamento dell'uomo primitivo. Riconoscere i residui faunistici consente infatti di individuare i sistemi di caccia attuati dall'uomo e di capire inoltre se l'attività venatoria potesse essere anche
selettiva. Le ossa dei grandi mammiferi sono generalmente portate nel giacimento dall'uomo e costituiscono gli avanzi del suo pasto.
L'individuazione delle varie parti ossee di una stessa specie animale può condurre ad individuare i luoghi dell'uccisione o della macellazione, talvolta anche distanti dagli abitati umani. Il ritrovamento di singole parti scheletriche di determinati animali può portare gli studiosi alla conclusione che l'uomo ne abbia fatto un uso selettivo e specifico.

Resti ossei di micromammiferi, piccoli roditori ed insettivori, si ritrovano frequentemente nelle grotte. Non essendo di solito avanzi del pasto umano, questi animali si sono introdotti nel giacimento spontaneamente e, essendo molto sensibili alle variazioni climatiche ed ambientali, il loro studio permette di ricavare notizie precise sui mutamenti intervenuti nell'ecosistema del giacimento.
Inoltre, poiché uccelli e pesci possono appartenere a specie migratorie, lo studio dei loro reperti scheletrici può portare ad accertare, con precisione, in quale stagione dell'anno l'uomo fosse presente in quel sito.

Molto frequenti, negli strati archeologici, sono anche i resti di molluschi d'acqua dolce o marina che forniscono indicazioni utili sul clima, sull'ambiente e sull'alimentazione umana, essendo i molluschi generalmente ritenuti avanzi del pasto dell'uomo, o da questo usati come gioielli o monete, «le conchiglie delle Cipreidi, ad esempio, furono usate come monete e lo sono tuttora presso i popoli con abitudini primitive».

L’esame dei resti scheletrici umani si svolge nell’ambito delle scienze antropologiche. Attualmente l'analisi dei resti ossei dell'uomo consente di conoscerne le caratteristiche fisiche e razziali, l'età ed il sesso; altre utili informazioni possono riguardare aspetti fisici particolari legati all'ambiente che frequentava o al suo regime alimentare.
Fin dall'inizio dello studio della paletnologia, le principali suddivisioni cronologiche delle culture preistoriche si sono fondate sui manufatti, ossei, litici o ceramici raccolti nei depositi antropici.

Per tutto il Paleolitico ed il Mesolitico, rivestono importanza fondamentale gli strumenti in pietra. Poi, dal Neolitico fino alla fine della Protostoria, sono ancora basilari gli strumenti in pietra, ma soprattutto quelli ceramici e metallici.
Si tratta comunque di informazioni ed acquisizioni di valore relativo, poiché la Paletnologia essendo una scienza giovanissima, è in continua rapida evoluzione, perciò quello che noi scriviamo oggi, domani potrebbe non essere più valido.

Nell'evoluzione umana vengono riconosciute, a grandi linee, alcune fasi di sviluppo culturale che sono state attribuite a tre specie: Homo habilis, Homo erectus ed Homo sapiens, secondo una nomenclatura scientifica che indica: con il primo termine il genere e con il secondo la specie.

I più antichi strumenti attualmente conosciuti sono quelli dell'Homo habilis, vissuto da circa 2.500.000 a circa un milione di anni fa in Africa.
Questi antichissimi strumenti sono costituiti da ciottoli fluviali lavorati più o meno grossolanamente, togliendone schegge da un solo lato per ricavarne un margine tagliente, probabilmente usati per rompere rami ed ossa o scavare radici; il loro nome scientifico è choppers, ma vengono più semplicemente definiti ciottoli utensili.

Si rinvengono anche altri tipi di manufatti, a volte realizzati utilizzando le stesse schegge asportate per la modellatura dei choppers: raschiatoi, graltatoi, denticolati, incavi, che potevano servire ad un’infinità di usi come tagliare, raschiare o costruire altri utensili in legno. Vi sono infine schegge non ritoccate, utilizzate sicuramente come coltelli per tagliare pelli, scarnificare ossa, recidere tendini, ecc.

L’Homo erectus è apparso in Africa circa 1.700.000 anni fa e si è estinto circa 100.000 anni dal presente. I suoi manufatti, all'inizio, somigliano molto a quelli delle epoche precedenti, con una caratteristica distintiva: i ciottoli utensili sono scheggiati su due lati; nasce così il cosiddetto chopping-tools.

Dall’Africa sud-orientale tra 1.600.000 e 1.000.000 di anni fa l’Homoe erectus appare in Europa
Circa 500.000 anni fa il chopping-tools subì un'evoluzione: il ciottolo veniva scheggiato su tutta la sua superficie per realizzare un utensile definito, con termine tecnico, bifacciale o amigdala, o più semplicemente ascia a mano. Per la realizzazione di questi strumenti vengono sempre più frequentemente utilizzati ciottoli di selce.

Scomparso l’Homo erecrus, ne prende il posto l’Homo sapiens, altrimenti conosciuto come Homo neandenhalensis.
La figura di questa specie umana, ritenuta uno scimmione fino a pochissimi anni or sono, è stata rivalutata attraverso le più recenti scoperte; con la sua nuova cultura, che ha origine circa 100.000 anni fa, termina infatti il Paleolitico inferiore ed inizia il Paleolicico medio o Mousteriano

Da principio l'uomo di Neanderthal continua a costruire strumenti come il suo predecessore. Poi applica esclusivamente la tecnica levalloisiana: dal ciottolo in selce toglie schegge e soltanto da queste ricava poi utensili specifici.
E’ l’uomo di Neanderthal a compiere le prime opere artistiche e a praticare i primi riti religiosi, come denunciano le sepolture umane e quelle dell’orso delle caverne, probabilmente ritenuto un animale sacro.

L’uomo di Neandenhal sembra essersi estinto 35.000 anni fa; al suo posto appare l'Homo sapiens sapiens, cioè l'uomo attuale.

Con l'avvento dell'uomo moderno termina il Paleolitico medio ed inizia il Paleolitico superiore; le sue manifestazioni artistiche sono spettacolari, ne sono un esempio le caverne dipinte, e gli strumenti silicei realizzati per essere destinati ad un utilizzo sempre più specializzato.

Circa 12.000 anni fa terminava il Paleolitico superiore e iniziava il Mesolitico, durante il quale gli strumenti vengono costruiti con caratteristiche microlitiche: sono cioè molto piccoli e presentano forme geometriche, prevalentemente triangolari e trapezoidali.

Al Mesolitico succede il Neolitico, nuova civiltà apparsa in Italia circa 8.000 anni fa. In questo periodo si compie la prima grande rivoluzione della storia dell'umanità: l'uomo, da nomade cacciatore, si trasforma in agricoltore e allevatore con dimore stabili. Appaiono i primi recipienti in terracotta e vengono realizzati strumenti litici specificamente destinati all'agricoltura: zappe, falci ecc..

Il Neolitico ha lasciato il posto all'età del Rame, o Eneolitico, circa 5.000 anni fa; nel corso di questo periodo, che segna l'avvento dei metalli nella costruzione degli utensili, gli strumenti litici tuttavia non scompaiono: ne sono prova i magnifici pugnali in selce, ad imitazione di quelli, costosissimi, in rame.
Soltanto sette secoli più tardi, con la fine dell’Eneolitico e l’inizio dell’età del Bronzo, gli oggetti in selce si riducono abbondantemente e, dove è possibile, si costruiscono in bronzo; la definitiva scomparsa dei manufatti litici avverrà con l'età del Ferro, iniziata circa 3.000 anni fa.

Nello studio della Paletnologia, però, lo sviluppo degli strumenti in pietra non basta, da solo, per datare in modo attendibile i giacimenti preistorici; per questo motivo si è fatto ricorso a metodi più precisi e sofisticati.
Per i periodi più recenti, quali l'età del Ferro e l'età del Bronzo, viene utilizzato anche il sistema della dendrocronologia, ma il metodo di datazione di gran lunga più applicato è quello del radiocarbonio 0.14 C.

Per datare giacimenti ancora più antichi si ricorre al sistema del potassio-argon: questo metodo di calcolo si basa sul decadimento di un isotopo radioattivo del potassio, presente nelle rocce eruttive, il 40K che decade in 40 Ca e 40 Ar, dal momento in cui inizia il raffreddamento delle rocce laviche e dalla conseguente formazione di limpidissimi cristalli di sanidino.
Il rapporto tra potassio e argon nei cristalli consente di determinare l'epoca in cui si è solidificata la roccia: essendo noto il periodo di dimezzamento del potassio radioattivo è infatti possibile, sulla base della quantità di argon presente nel sanidino, risalire all'epoca in cui si sono formati i cristalli. Con questo metodo è stato possibile datare i più antichi resti umani ed i primi manufatti creati dall'uomo.

Un diverso metodo di datazione è quello del paleomagnetismo.
Va tenuto presente che, per cause non ancora individuate, il polo nord, vale a dire il polo positivo della calamita terrestre, non si è sempre trovato nell'emisfero artico: con il susseguirsi delle ere geologiche si sono verificate numerose inversioni di polarità tra il nord e il sud; l'Artide, nel corso dei millenni è così passato più volte da una carica positiva ad una carica negativa e viceversa.
All'interno delle lave vulcaniche, durante il loro lento raffreddamento, si formano cristalli; le particelle magnetiche di quei cristalli si orientano secondo il campo magnetico terrestre di quel momento, e mantengono invariato tale orientamento, anche nel caso di successive inversioni di polarità.
Sulla base di queste conoscenze è stato possibile ricostruire, con riferimento ad un determinato giacimento, le vicende del magnetismo terrestre nel corso delle varie ere geologiche; le conclusioni che questo metodo permette di raggiungere, non presentano tuttavia l’attendibilità assoluta.

Utilizzando il metodo di datazione del potassio-argon, insieme a quello del paleomagnetismo, si sono elaborate tabelle cronologiche delle varie inversioni del campo magnerico negli ultimi milioni di anni; in particolare negli ultimi cinque milioni di anni si sono succeduti:
1) il periodo con magnetismo inverso, detto periodo di Gilbert, fino a 3.400.000 anni fa;
2) la fase con magnetismo normale detta di Gauss, fino a 2.480.000 anni fa;
3) il periodo con magnetismo inverso, detto di Matuyama, fìno a 730.000 anni fa.

Questa lunga premessa sulla metodologia della ricerca, e sulla cronologia preistorica, è necessaria per comprendere appieno l'importanza dell’ argomento; si rende altresì necessario un richiamo ai primordi dello studio della preistoria italiana per comprendere come si sia arrivati alla scoperta del giacimento di Isernia La Pineta.

Il padre della paletnologia italiana è, seondo l'opinione prevalente, Luigi Pigorini, nato a Fontanellato (PR) nel 1842. Nominato direttore del Museo archeologico di Parma a soli 25 anni, Pigorini fandò, nel 1875, il Museo Nazionale Preistorico ed Etnografico a Roma, da poco divenuta capitale d’ltalia (il museo prenderà poi il nome del suo fondatore).

Nello stesso anno, Pigorini creò il Bullettino di Paletnologia Italiana pubblicando, sul secondo numero, l’anno successivo, il primo studio sulla preistoria molisana :« L’età della pietra nella provincia di Molise».

Nel suo saggio lo studioso scriveva: «Una delle province italiane; nella quale parvero fin qui scarseggiare le armi e gli utensili dell'età della pietra, è senza dubbio quella di Molise e Campobasso. Il primo ad indicare che non vi mancavano reliquie di quella remota età fu il Bonucci, il quale ne raccolse pel duca di Luynes nel 1864. Pochi anni appresso il Nicolucci, che avea già posto lungo studio e sommo amore nel riunire materiali e notizie paletnologiche da ogni parte dell'Italia meridionale, nel porgere una sommaria relazione delle sue fatiche così nel 1871, come nell'anno seguente, non ebbe modo di riferire altri particolari sull'età della pietra della provincia di Molise, e dovette stringersi a riprodurre il cenno del Bonucci.
Soltanto il Cocchi ricordò nel 1872 che una punta di freccia di selce, raccolta in quel territorio e non menzionata prima da alcuno, esisteva nel gabinetto paleontologico dell'Istituto Superiore di Firenze. In tanta povertà di notizie sull'età della pietra della provincia di Molise, torna senza dubbio utile di accennare che anche per essa il numero delle armi e degli utensili litici è oggi considerevolmente aumentato, mercè acquisti fatti dal sig. Achille Graziani di Alvito e dal dott. Nicolucci, non che dal Museo Nazionale Preistorico ed Etnografico di Roma.
Gli oggetti posseduti dal sig. Graziani consistono in otto punte di frecce di selce, raccolte rimovendosi profondamente il terreno in un fondo di sua proprietà, nel comune di San Vincenzo al Volturno.
Più importanti pel numero e per la varietà delle forme sono invece quelle esistenti presso il dott. Nicolucci. Ne fanno parte una freccia del ricordato fondo Graziani; quattro frecce, una lancia, tre coltelli ed un raschiatoio a cucchiaio, provenienti da Isernia; otto coltelli raccolti in quel di Larino; un raschiatoio discoide e due coltelli di Casacalenda; una lancia ed un grande e sottile raschiatoio in forma di ventaglio mezzo spiegato di Civita Campomarano, tutti quanti di selce, e finalmente una scure di diorite trovata presso Jelsi.
All'elenco, favoritomi dal Nicolucci, sono lieto di far seguire quello di altra pregevole serie di manufatti litici, pressoché tutti di selce, della provincia di Molise, esistente nel Museo Nazionale Preistorico ed Etnografico di Roma.
Essa comprende, oltre a scarti ed abbozzi dei quali non giova tener conto,
-una freccia di Petrella Tifernina ed un coltello di Montorio nei Frentani, regalati dal sig. Leonardo Girardi di Petrella;
-una freccia di Riccia donata dal prof. G. Mola di Campobasso;
-due coltelli della stessa località;
-sei frecce di Carovilli,
-una punta di lancia, fra le più belle del cosìddetto lavoro archeolitico;
- tre frecce ed alcuni coltelli di Cercemaggiore;
-un coltello di Molise;
-alcuni coltelli e due frecce di Pietracatella;
-un'accetta di diorite e quattro coltelli di San Biase, offerti in dono al detto Museo dal prof. Luigi Gamberale di Campobasso;
-tre frecce di varie località del comune di Sant'Angelo Altissimo;
-un coltello e una freccia del Matese fra Campo Chiaro e Guardiaregia;
-un coltello e una freccia del podere Monte Calvario nel comune di Campobasso, inviati dal sig. Domenico Bellini di Campobasso;
-trentatre frecce (di cui alcune costruite con selce proveniente dal Gargano - n.d.r.). -sette coltelli;
-due punceruoli;
-un'accetta di diorite;
-una punta di giavellotto ed un raschiatoio di lavoro così detto neolitico,
-oltre a due accette;
-tre coltelli; una lancia e un raschiatoio fabbricati a grandi e semplici scheggiature, oggetti tutti quanti raccolti nelle campagne di Venafro e generosamente ceduti al Museo Preistorico di Roma dal sig. don Francesco Lucenteforte, primicerio del capitolo di quella città.
Ai quali poi sono da aggiungere, per essere dello stesso territorio e facenti parte della collezione Lucenteforte, una punta di lancia di selce e un frammento d'altra consimile, i quali giacevano in una tomba nella Corona de' Coppa, località nel comune di Pozzilli (i due manufatti si trovano al Museo Nazionale Pigorini e sono riferibili all'età del Rame - n.d.r.).

Di tutti quanti i manufatti litici della provincia di Molise, i soli che io abbia modo di esaminare, sono quelli del nuovo Museo Preistorico ed Etnografico. Di essi peraltro poco può dirsi che non sia stato già notato, per oggetti consimili rinvenuti altrove. Svelano in generale l'arte migliore dell'età della pietra, e le punte di freccia sono pressoché tutte pregevoli: o per la loro lunghezza, o per la squisitezza del loro lavoro, o per la loro conservazione.
Ricorderò soltanto, come particolarità degne di considerazione, che quella di Petrella Tifernina è dentata ai bordi (fig. V), e che una di quelle del territorio di Venafro è munita di un appicagnolo d'argenlo (fig. VII), e portavasi al collo di un bambino quale amuleto per essere preservato dal fulmine, riproducendo un fatto osservato in parecchi altri punti d'Italia.

Ma, fra gli oggetti litici della provincia di Molise posseduti dal Museo di Roma, meritano particolare attenzione il coltello di Montorio nei Frentani, e l’accetta dei dintorni di Venafro. Il primo (fig.IV) lungo centimetri 21 è senza dubbio uno dei più notevoli coltelli fino a qui osservati in Italia. Riproduce, nella disposizione e nel modo delle scheggiature praticate sui bordi, lo stesso tipo e la stessa arte di quello della Valle della Vibrata nell'Abruzzo Teramano.
L'accetta, come ne diede notizia il sig. don Francesco Lucenteforte alla Direzione Generale dei Musei e degli Scavi, fu scoperta, e a quanto si crede non associata ad altro, “alla profondità di quasi sei metri tra uno strato di argilla e uno di ghiaia, cavandosi le fondamenta di una casa colonica presso il villaggio di Ceppagna, discosto a 5 chilom. circa a sud-ovest dalla città di Venafro.”
Lavorata a semplici e grandi scheggiature, è di notevole larghezza nel capo, e termina nella estremità opposta quasi in punta, leggermente arrotondata e con acuto tagliente. Larga nel capo maggiore cent. 10, e della totale lunghezza di cent. 24 circa.

Nell’oggetto litico del villaggio di Ceppagna, come par chiaro dalle figure che ne presento (fig. I e Ii), abbiamo una delle accette scheggiate, fatte a guisa di lancia, frequenti a scoprirsi in Francia e nell'Inghilterra, e che si incontrano altresì nel Belgio, nella Spagna, in molti punti dell'Asia e nell'Africa occidentale.
È noto ad ognuno che, per essere tale foggia di strumenti comunissima a Saint-Acheul, tanto da costituire ivi 1’80 per 100 delle selci lavorate, ne fu dai Francesi, e particolarmente dal De Mortillet, creato il tipo speciale detto Acheulèen.

Giova peraltro osservare che poche fra le accette consimili delle regioni estere presentano le dimensioni dell’esemplare di Ceppagna, ed è noto che all'Esposizione Universale di Parigi se ne ammirava una dell’eccezionale lunghezza di cent. 29, in generale la misura di quelle di Francia sta fra i 15 e i 20 centimetri.
Il tipo Acheulèen o, come noi dobbiamo chiamarlo, delle grandi accette scheggiate a foggia di lancia, ebbe il suo maggiore sviluppo nel periodo preglaciale, secondo le osservazioni del De Mortillet.
Non potrebbe peraltro alcuno affermare che a tale periodo risalga pure l’esemplare del villaggio di Ceppagna, non avendone assolutamente prove desunte dalla natura dello strato in cui giaceva.
D’altra parte, ove si rifletta che armi ed utensili della stessa arte si raccolsero, quanto all'Italia, in terreni di recente formazione, e così nell'Abruzzo Teramano dal Rosa, nella Capitanata dall'Angelucci, nel Perugino dal Bellucci, e nell’lmolese dallo Scarabelli, si hanno argomenti sempre nuovi per affermare come non si possa assolutamente determinare l’età geologica di un qualsiasi manufatto di selce, giudicandolo soltanto dalla maniera del lavoro.
Dobbiamo quindi non solo ritenere col Gastaldi che la divisione dell’ età della pietra in periodo archeolitico e in periodo neolitico "in Italia non è sempre applicabile", ma concludere altresì col Nicolucci “che gli strumenti litici delle età più remote non furono punto obliati o negletti nelle età posteriori, e se ne continuò l'uso anche in epoche a noi più vicine".
Ciò del resto venne pure ammesso per altri paesi, e nel Congresso Preistorico di Bruxelles, lo stesso De Mortillet ebbe ad osservare come ad Hoxne nell'Inghilterra si abbia esempio del tipo Acheulèen mantenutosi nel periodo posglaciale.

INSERIRE FOTO


Deve insomma essersi verificato lungamente, durante le età preistoriche, quello che oggi ancora si osserva fra i popoli rimasti selvaggi, vale a dire, che mentre taluni fabbricano armi ed utensili, che trovano riscontro nei tipi del periodo della pietra levigata, non mancano quelli che, come gli Australiani, conservano le forme primitive degli strumenti litici appena scheggiati. (Oggi possiamo dire con precisione che lo strumento di Ceppagna è un bellissimo bifacciale di eccezionale grandezza, databile alla civiltà Acheuleana compresa tra circa 500.000 e 150.000 anni fa. Di questa ascia a mano è rimasta una fotografia in Le meraviglie del passato, voI. I, Mondadori, p. 52 n.d.r.). .

A completamento delle mie brevi parole sull'età della pietra della provincia del Molise, chiamo l'attenzione dei lettori sulla punta di lancia di selce e sul frammento d'altra consimile, di cui si ammirano le figure (fig. 11 e IV) della tavola annessa.
Quella intera (figura 1/1) venne ricavata da una delle lunghe schegge a sezione triangolare e, nel lato opposto a quello finito a minuti ritocchi, presenta tuttora la faccia concava, quale ebbe necessariamente a risultare staccando la scheggia dalla madreselce; e sanno i paletnologi come si scoprano di frequente nelle stazioni litiche d’ogni paese punte di lance, di giavellotti e di frecce, non che punteruoli fabbricati nella stessa maniera.
Tale punta di lancia, come ebbe cortesemente a scrivermi il ch. sig. Lucenteforte, proviene da un sepolcro, il quale “giaceva in un podere dei signori Guarini, denominato Corona de' Coppa, esistente nel lembo orientale della pianura di Venafro, ma nel comune di Pozzilli. Lo scheletro era nella nuda terra, ne sasso alcuno vi si vedeva. Quel sepolcro dovette essere stato in epoca remotissima violato, come lo indicano ed il rimescolamento delle ossa, e le selci stesse che vi si trovarono (tre soltanto), delle quali due non sono che parti d'una medesima lancia”.

Mancando ora il mezzo di accertare se nella particolare giacitura dello scheletro, e nel fatto che le armi di selce erano spezzate dovevansi vedere le prove di una violazione subita dal sepolcro, o piuttosto gli indizii di una speciale costumanza funebre, quella cioè di collocare presso la salma le armi rotte in segno di duolo, io mi limito a segnalare che nella tomba della Corona de' Coppa il solo oggetto litico ricomposto si presenta come una delle più belle armi fabbricate durante l’età della pietra.
Anche nei sepolcri contemporanei di Roccasecca, in Terra di Lavoro, e di Cantalupo Mandela nella Campagna Romana, per citar quelli che debbono forse ritenersi i più importanti di tutta Italia, la perfezione e la bellezza degli oggetti litici che contenevano, suscitano sempre l'ammirazione dei paletnologi, mentre non è che in via di eccezione se nelle stazioni e nelle officine litiche si trovano armi ed utensili altrettanto notevoli per volume o per arte. (Attualmente sappiamo che nelle tombe venivano sistemati come corredo gli oggetti più cari al defunto ma spezzati, in modo da renderli inutilizzabili ad un eventuale profanatore - n.d.r.).

In siffatta differenza fra gli oggetti litici delle tombe e quelli delle stazioni di uno stesso periodo, parmi si abbiano prove sicure per affermare, che, nei sepolcri deponevansi in generale soltanto i prodotti migliori dell'industria litica. Io credo quindi che i paletnologi debbano procedere con molta cautela nel determinare diversi periodi dell'età della pietra, quando i fatti che si pongono a confronto non siano identici in ogni loro particolare, cioè non si mettano in comparazione case con case e necropoli con necropoli, cercando poi scrupolosamente i rapporti tra le abitazioni e i cimiteri che sembrano essere di una medesima famiglia. Tombe e stazioni di uno stesso periodo e di uno stesso popolo possono contenere oggetti apparentemente così disparati, che ove si facessero atlanti distinti delle reliquie litiche delle une e delle altre si sarebbe condotti a stabilire fasi diverse di una industria esercitata forse in una identica età e da una sola gente, ma in condizioni differenti con diverso fine.
Se sapremo porre un freno al desiderio troppo forte di fare in ogni momento nelle nostre ricerche, scoperte nuove, e non saremo tanto vaghi nel modificare spesso con divisioni e suddivisioni la più semplice e la più naturale classificazione del materiale raccolto, io credo che ci accosteremo sempre più al punto ove sono rivolte le cure nostre.»

«In aggiunta alla memoria in questo Bollettino pubblicata (ann. II. p. 119-125) sull'età della pietra della provincia di Molise, possiamo annunziare che altre armi ed utensili litici di quel territorio furono regalati al Museo Nazionale Preistorico di Roma, dal sig. Francesco Pallotta sindaco di San Giuliano del Sannio e dal prof. Gamberale di Campobasso. Provengono dai comuni di Boiano, Castellino di Biferno, Jelsi, Matrice, Pietrabbondante, Pietracatella, Riccia, San Biase e San Giuliano del Sannio». COSI’ SCRIVEVA PICORINI.

Sempre nello stesso anno (1876), venne inaugurato il Museo Nazionale Preistorico ed Etnografico di Roma. In quella prima mostra il materiale preistorico esposto era pochissimo; vi erano comunque reperti provenienti: dalla Liguria, dall'Emilia, dal bresciano, dal veronese, dal Friuli Venezia Giulia, dal Lazio, dalle Marche, dall'Abruzzo, dal Molise, dalla Campania e dalla Sicilia. Questo elenco di località dimostra che il Molise è una delle più importanti regioni italiane legate allo studio della nascente scienza della preistoria.
Due anni dopo, Giustiniano Nicolucci, già ricordato dal Pigorini, nel suo saggio dal titolo Oggetti preistorici della provincia di Molise, pubblicato nel Bullettino di Palecnologia Italiana, anno IV, 1878, scriveva:
«…Di questa provincia poche armi ed utensili in pietra, da me ricordati in alcune mie pubblicazioni, erano conosciuti fino al 1876, quando il Pigorini ne descrisse circa un altro centinaio che egli riuniva nel Museo Preistorico di Roma (Bollettino di Paletnologia Italiana, Luglio 1876), fra i quali parecchi d'importanza non ordinaria.
Una serie discreta potei aggiungerne anch'io recentemente alla mia collezione per la gentile cortesia del Sig. Primicerio D. Francesco Lucenteforte di Venafro, il quale mi fe' dono di preziosi avanzi preistorici da lui raccolti con amore nel territorio di quella città, sicche al presente anche il contado di Molise non si mostra più così povero, come pareva per lo innanzi, in fatto di oggetti dell'età della pietra.
Fra i vari esemplari donatimi dal sig. Lucenteforte prendo ora a descriverne uno solo, che è un amuleto ben conservato, consistente in una testa di serpente (fig. 1, a prospetto, b profilo).

Questo amuleto fu trovato cavandosi un fosso di scolo, in un terreno nelle vicinanze di Venafro, alla profondità di circa un metro dalla superficie del suolo. Ivi dappresso, e quasi alla stessa profondità, si erano rinvenuti altra volta e frecce e coltelli ed altri arnesi di pietra, che il sig. Lucenteforte donava generosamente al Museo Preistorico di Roma.
L'amuleto di cui favello è in quarzo bianco compatto, e rappresenta la testa di un serpente di mediocre grandezza. Gli occhi consistono in due fori rotondi, praticati nel sito appunto in cui i serpenti sogliano averli, e sono ripieni di una sostanza minerale nerastra, che è un ferro ossidulato a struttura finamente granulosa. La forma sembra riprodurre quella della biscia d'acqua dolce (Tropidonotus natrix)...

L'altro oggetto che io prendo a descrivere (fig. 2, a e b), proveniente anch'esso dalla provincia di Molise, è un coltellone rinvenuto in Gambatesa, piccolo comune del circondario di Campobasso, ad una certa profondità del terreno, mentre si eseguivano lavori di agricoltura.
È conservato in tutta la sua integrità, ed ha la lunghezza di 22 centimetri, la larghezza, nella base, di 6 e mezzo, e nella punta. che è smussata, di 3. La spessezza dello stesso, che va digradando dalla base alla punta, è di 4 centimetri nella prima e di uno e mezzo presso alla seconda. Il suo peso è di 504 grammi...
Di questo prezioso avanzo dell'alta antichità io sono debitore all'illustre Prof. A. Scacchi, alla preziosa benevolenza del quale è dovuta gran parte de' più rari oggetti che si conservano nella mia collezione».

Di questi due straordinari oggetti sembra si siano perse le tracce.
Nel 1881 il prof. Francesco Sciali aveva pubblicato sulla Rivista Italiana di Palermo II serie n° 15-20, una serie di Articoli intitolati Cenni sull'importanza dell'archeologia preistorica. Nell'articolo n° 18 racconta che in quel di Monteroduni, tra la sponda di un supposto lago ed il Volturno, fu trovato uno scheletro umano con un pugnale ed una punta di selce. Il prof. Scioli ebbe quelle armi litiche ma non le ossa umane perché andarono perdute.

L'anno successivo il prof. Michele Del Lupo scriveva Concribuzioni agli studi di Antropologia in Rivista Scientifico-Industriale e Giornale del Naturalista, Firenze 1882, su vari oggetti litici da lui posseduti o esistenti presso il Gabinetto di Antropologia dell'Università di Napoli, raccolti nei territori di: Riccia, Gambatesa, Jelsi e Venafro. A p. 202 lo studioso si limitava a descrivere i reperti dei comuni di Riccia, Gambatesa e San Bartolomeo in Galdo e indicava con precisione i nomi delle località ove si rinvennero gli strumenti preistorici.

Due anni dopo, nella stessa rivista, il prof. Del Lupo sriveva Contribuzioni agli scudi di Paleoetnologia delle province meridionali d'Italia. Aggiornava lo studio precedente e descriveva ben 220 strumenti litici, aggiungendo alle precedenti località quelle di Castelpagano, Civita Campomarano, Campochiaro e Circello.
Sempre Luigi Pigorini scrisse nel Bulleccino,. anno XIII, 1887 un importantissimo studio sulla preistoria molisana: Tombe neolitiche scoperte nel Comune di Monteroduni in provincia di Campobasso.


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Così l'autore:
«In questo Bullettino" si è più volte trattato delle Jntichità dell'età della pietra che appartengono alla provincia di Molise o Campobasso, con articoli speciali miei e del prof. Giustiniano Nicolucci, e con recensioni da me fatte di lavori paletnologici pubblicati dal prof. Michele Del Lupo. Aggiungo ora alle cose dette questa breve nota sopra due tombe neolitiche (dalla tipologia di costruzione delle due tombe e dagli oggetti del corredo oggi sappiamo che sono riferibili all'età del Rame (quindi più recenti - n.d.r.) rinvenute nella mentovata provincia valendomi di notizie gentil mente favoritemi dal prof. Francesco Sciali di Monteroduni.
Uno dei sepolcri, del quale il prof. Sciali diede un cenno nel 1881, riprodotto poscia nel Bullerrino, esisteva nella contrada le Soccie, comune di Monteroduni, sulla destra del Volturno. Era scavato in forma di parallelepipedo nel tufo calcare del sottosuolo, coperto da larghe lastre parimenti di tufo, accostate l'una all'altra. Nel fondo, insieme con ossa umane frantumate ea quanto si afferma, disordinate, giacevano due armi di selce piromaca. pregevoli per la grandezza e la forma, e per la finezza dell'esecuzione. Tali armi, che si conservano nel Museo Sannitico di Campobasso cui lo Sciali ne fece dono, consistono in una lama di pugnale e in una cuspide di lancia, quando non debba considerarsi un pugnale pur questa. La prima, a giudicarne dal disegno avutone dovrebbe essere lunga circa cent. 18: è stata ricavata da una delle note lamine di selce a

sezione triangolare, comunemente chiamate coltelli, e non ha ritocchi nella faccia piana. La cuspide invece, bellissima, è di forma ovoidale, con minuti ritocchi in ambo i lati, di circa 14 o 15 cento di lunghezza, e di 6 o 7 nella sua massima larghezza.
Come il sepolcro precedente, così il secondo del quale devo fare menzione, si rinvenne nella contrada le Soccie, e di questo non è stato dato ancora cenno alcuno. Lo trovò casualmente un contadino, dal quale il prof. Scioli ebbe parte di ciò che conteneva, e le notizie che aggiungo. Consisteva pur esso in un cavo praticato nel tufo, chiuso come l'altra tomba da lastre della stessa roccia. Sul fondo eravi uno strato di materia nera che il contadino giudicò cenere, e annerite erano le pareti del cavo, non che le ossa umane andate in frantumi col cranio. Degli avanzi dello scheletro il prof. Scioli vide soltanto un osso, che suppose avesse subita l'azione del fuoco. Non si hanno però buone ragioni per ritenere che fosse una tomba di cadavere combusto, non potendo dare molto peso alla opinione dello scavatore , il quale non è in grado di riferire con esattezza ciò che ha veduto.
S'ignora quanti e quali fossero gli oggetti esistenti nel sepolcro. Lo scopritore parla di armi di selce piromaca disperse, e di un vaso fittile ridotto in pezzi, lasciati sul campo; inoltre una punta di freccia di selce con peduncolo e corte alette, lunga cent. 3, è stata smarrita dal prof. Scioli. Del corredo della tomba rimangono soltanto tre oggetti, dei quali il prof. Scioli mi fece cortese dono pel Museo Preistorico di Roma, cioè una cuspide di freccia e una lama di pugnale di selce, oltre ad un vasetto fitti le (attualmente sono al museo Pigorini - n.d.r.).
La cuspide, al pari di quella smarrita, è ad alette e peduncolo, lunga mm. 65. La lama del pugnale si rinvenne in tre pezzi, e la patina e le incrostazioni che si osservano nei punti di rottura, mostrano che si collocò nel sepolcro spezzata; dei tre pezzi non si raccolse il più piccolo, per la mancanza del quale resta interrotto circa a metà uno dei tagli dell'arma. Si congiungono invece perfettamente i due pezzi maggiori per formare l'altro taglio che è della lunghezza di cent. 18: presso la base, che è tondeggiante, si ha una larghezza di cento 3. Anche questa lama di pugnale, come quella dell'altra tomba, fu ricavata da una lamina a sezione triangolare, scheggiata minutamente da un'estremità all'altra, fuorché nella faccia piana.
Il vasetto fittile è rozzamente fabbricato a mano, senza fregio alcuno, di pasta grossolana, nerastra nell'interno, e alla superficie di colore rosso cupo per essere stata cotta a fuoco libero. Non è intero: ne rimane anzi poco più della metà, cioè il fondo, piatto, del diamo di cent. 6, e un pezzo di parete. Questo si congiunge perfettamente col fondo, ha al disopra un residuo del labbro, sottile, e porta nel mezzo una piccola ansa tubolare, lunga circa mill. 40, disposta verticalmente. Un'ansa simile esisteva senza dubbio nella parte opposta della parete, ora mancante, e per esse si aveva modo di appendere o portare il vaso mediante un cordoncino. L'altezza del vasetto è di circa cent. 8. .
Amendue le tombe della contrada le Soccie, evidentemente coeve, si riferiscono al periodo e al popolo cui appartiene quella, neolitica, già da me descritta nel Bullettino, scoperta anni sono nel podere Corona de' Coppa, comune di Pozzilli, sul lembo orientale della pianura di Venafro, nella stessa provincia di Campobasso.

I primi strumenti silicei raccolti nello scavo per i lavori di costruzione della superstrada nei pressi di Isernia

INSERIRE FOTO utensili di isernia

Anche in questa, come nelle due del territorio di Monteroduni, si osservò un tal quale rimescolamento di ossa umane, che fece pensare a un'antica violazione dei sepolcri. Dopo gli studi compiuti in Italia e fuori sopra fatti analoghi, non è inverosimile che qualcuna almeno delle ricordate tombe neolitiche della provincia di Campobasso fosse di quelle nelle quali deponevansi le ossa umane scarnite, e per ciò disordinate, non già il cadavere intatto. Di tale rito funebre seguito nell'età neolitica fu ripetuta mente parlato nel Bullettino.
A complemento della mia breve scrittura noto per ultimo che tanto nel secondo sepolcro della contrada le Soccie, quanto in quello del podere Corona de' Coppa la lama del pugnale si rinvenne in frammenti, per essere stata rotta in antico. Simile circostanza sembra avvalorare l'opinione altre volte espressa, che talora cioè, nell'età neolitica, le armi per rito si collocassero spezzate nelle tombe.
Non è improbabile che nella contrada le Soccie o nei terreni attigui esistano altre tombe le quali facciano seguito alle due brevemente descritte. Ricerche un po' estese che ivi si eseguissero colle norme scientifiche le più rigorose potrebbero condurre a risultati importanti. Auguro di cuore che vi si ponga mano, raccomandando che colle maggiori cure si osservi la profondità e la forma dei sepolcri che per caso si rinvenissero, si notino le relazioni tra di essi, si tenga conto scrupoloso di ciò che ognuno contenesse, notando con diligenza la distribuzione degli oggetti in ciascuna tomba. PIGORINI.»


Conoscenze paletnografiche di fine '800.

Per quanto possa apparire strano, quello pubblicato nel 1887 da Luigi Pigorini è l'ultimo studio sulla paletnologia molisana; seguirono, poi, solo piccole note: nel 1908 apparvero solo due brevissime note scritte da A. Di
Blasiosio in Bricio di paletnologia meridionale, e nella Rivista Italiana di Scienze Naturali, e nel Bulettino del Naturalista Collettore, Siena.
In esse l’autore tratta del coltello di selce con manico di calcare, vale a dire il bifacciale di Ceppagna, e della capanna-sepolcro dell'epoca neolitica scoperta nel bosco di Sepino, territorio di Campobasso.
Verso la fine del secolo scorso alcuni studiosi locali raccolsero manufatti oggi custoditi nel museo Pigorini di Roma, nel museo di Agnone, in quello di Baranello (la raccolta dell'archeologo G. Barone fu donata al Comune nel 1896) e nel Museo Sannitico di Campobasso.

Una sola scoperta paletnologica venne segnalata negli anni '30 nel territorio del comune di Jelsi, dove furono rinvenute due tombe tipiche dell'età del Rame. La prima, dalla struttura "a forno", misurava circa tre metri di diametro e altrettanti d'altezza; la seconda, posta al di sotto della precedente, presentava invece una struttura "a pozzo". Le due camere erano messe in comunicazione tra di loro mediante un'apertura in pietra di forma quadrata; in uno dei due sepolcri furono rinvenuti resti umani e frammenti di vasi in terracotta. Sempre a Jelsi, prima dell'ultima guerra mondiale, si registrava in Casa D'Amico una notevole collezione di strumenti litici raccolti nella zona.
Il vecchio materiale siliceo molisano custodito nei musei sopra citati (il Pigorini di Roma, quelli di Agnone e Baranello ed il museo Sannitico di Campobasso) può essere elencato, secondo le zone di rinvenimento, come segue.



Provincia di Isernia:
Venafro: 36 punte e 6 lame;
Pozzilli: un pugnale ed un frammento di lama (raccolti nella tomba di Corona de' Coppa);
Monteroduni: un pugnale, una punta e il vasetto raccolti nella tomba di contrada le Soccie e una lama;
Santa Maria Oliveto: una punta;
Macchia d'Isernia: 3 punte, 2 lame e un pugnaletto;
Isernia: una punta;
Castelpetroso: una punta ed una lama;
Sessano del Molise: una punta ed una lama;
Pizzone: una punta e una lama;
Carovilli: 5 punte;
Pietrabbondante: 2 punte, 2 lame e una bellissima quanto rara ascia in pietra levigata di ben 14 cm (come vedremo più avanti, l'ascia ha, secondo le credenze popolari, il medesimo significato delle punte di freccia);
Poggio Sannita: 3 punte;
Agnone: 18 punte e 18 lame;
Capracotta: 2 lame.

Provincia di Campobasso:
Sepino: 2 punte e 3 lame;
Guardiaregia: una punta ed una lama;
San Giuliano: due lame;
Cercepiccola: una punta e 2 lame;
Cercemaggiore: 13 punte, 2 lame (molto probabilmente provengono dall'abitato posto sul costone, chiamato Santa Maria del Monte, risalente all’ età del rame);
Boiano: una punta e 4 lame;
Riccia: una punta;
Baranello: 17 punte e 5 lame;
Campobasso: una punta e 2 lame (nel 1996 raccolsi presso Castel Monforte alcune selci lavorate e consegnate al sottostante Museo);
Pietracatella: 2 punte e una lama;
Macchia Valfortore: una punta;
Matrice: una punta;
Campolieto: 2 punte e una lama;
Petrella Tifernina: una punta;
Sant'Angelo Limosano: 3 punte;
San Biase: una punta e 4 lame;
Salcito: 4 punte;
Lupara: una lama;
Guardialfiera: una lama;
Montorio nei Frentani: 8 lame ed un nucleo da lame;
Larino: 3 lame in selce e, dalla località Ripalda, 3 lame in ossidiana;
Portocannone: una punta.

Altre 3 punte furono rinvenute in altrettante località, indicate però in modo meno preciso: Molise, Altissimo (probabilmente da intendersi corrispondente all'attuale Sant'Angelo Limosano), Montecalvario (nel territorio del comune di Campobasso).
A questo elenco vanno aggiunte le località (alcune in territorio campano) citate negli studi del Pigorini, del Nicolucci e di Del Lupo, vale a dire: Ceppagna, San Vincenzo al Volturno, Rocchetta a Volturno, Gambatesa, Casacalenda, Castelpagano, Campochiaro, Civitacampomarano, Circello, San Bartolomeo in Galdo e Capriati a Volturno (Pigorini, Bullettino di Paletnologia Italiana, anno XXI, 1895). Non ho avuto purtroppo la possibilità di esaminare i manufatti molisani giacenti nel gabinetto di antropologia dell'Università di Napoli, che avrebbero forse permesso di aggiungere alla lista altre località molisane di interesse paletnologico.

L'elenco delle località molisane di interesse paletnologico suggerisce due considerazioni: la prima è che già alla fine dell'Ottocento era disponibile un'ottima mappatura delle numerose località paletnologiche; la seconda è che il Molise si dimostrava, tra le regioni d'Italia, una delle più ricche di testimonianze preistoriche; non si comprende quindi il motivo per cui a questa regione gli studiosi della materia non abbiano dedicato l'attenzione che meritava.

Va infine considerato che la mappatura delle località preistoriche fu realizzata, forse inconsapevolmente, dal "popolino" molisano: le vecchie raccolte museali comprendono infatti esclusivamente punte di freccia, lame di selce ed un'ascia in pietra levigata e, come scriveva il prof. Giuseppe Bellucci, abruzzese, in Il feticismo in Italia, Perugia, 1907, «...È da tutti conosciuto che le cuspidi di freccia e le accette levigate adoperate dall'uomo dell'età della pietra, furono e sono ritenute dalle genti delle nostre campagne e città, come la parte materiale, che il fulmine o la saetta conducono al suolo ... Si ritiene fermamente che le punte del fulmine rappresentate da armi o utensili litici dell'epoca preistorica, preservino da ulteriori scariche fulminee il possessore, la sua casa, le persone e gli animali che vi sono raccolti ed abbia perfino un raggio d'azione, che può estendersi a sette case ... Quattro cartoni della mia collezione di amuleti contengono una serie di 92 supposti fulmini caduti, ciascuno de' quali meriterebbe un'illustrazione speciale sia per la forma, sia per le
particolarità della legatura in metallo con cui fu circondato...».

Una di queste punte fu esposta alla mostra mondiale di manufatti preistorici tenutasi a Parigi nel 1881 ; esposta nella plancia XLIII, questa punta di freccia usata come pendaglio fu trovata nel modenese ed è attualmente conservata nel museo parigino di Saint-Germain, catalogata con il numero 17240. L'appicagnolo e la punta di freccia sono simili a quella raccolta a Venafro e descritta dal Pigorini nel suo primo studio sulla preistoria molisana. Per questo argomento è interessante ciò che scriveva il Cav. Uff. Giuseppe Cimorelli in L'età della Pietra nel territorio Venafrano, Pescara 1910, in cui tratta appunto anche le saette o tuoni del fulmine nei dintorni di Venafro.

Pur potendo contare su notizie tanto numerose ed interessanti, la ricerca paletnologica in terra molisana si fermò alla pubblicazione di Luigi Pigorini del 1887. Nessuno si interessò più a quel periodo, anteriore al IV secolo a.c., tanto che, nella monumentale Guida della preistoria italiana (Sansoni, 1975), redatta dai più famosi studiosi italiani di Paletnologia, il Molise era l'unica regione non contemplata.
Solo settantasette anni più tardi, nel 1964, consapevole di questo vuoto temporale nella ricerca paletnologica molisana, iniziai ricerche in superficie nell'alta valle del Volturno, prendendo come punto di partenza Montaquila, paese natale di mia moglie.

Fonte: srs di Alberto Solinas






lunedì 29 giugno 2009

L'HOMO ERECTUS NON NASCE DAL SUSHI MA DAL FUOCO SOTTO LA BISTECCA




L'HOMO ERECTUS NON NASCE DAL SUSHI MA DAL FUOCO SOTTO LA BISTECCA - LE SCOPERTE DI UNO DEI MAGGIORI ANTROPOLOGI USA: "SIAMO CIÒ CHE SIAMO, PERCHÉ ABBIAMO IMPARATO A CUOCERE IL CIBO - IN CERTI CASI IL CRUDO FA BENE. MA LE TOSSINE"...

GABRIELE BECCARIA PER LA STAMPA

Richard Wrangham, antropologo a Harvard, è un esploratore dei labili confini tra scimpanzè e umani e, studiando il balzo che ci ha resi Sapiens, si è imbattuto nelle leggi biochimiche di un piatto freddo e di uno caldo, con una prospettiva che sorprenderebbe il celebre Claude Lévi-Strauss, padre delle teorie su crudo e cotto. Risultato: ci sediamo a tavola con idee sbagliate.
Professore, lei spiega tutto in «Catching Fire», il saggio sulle nostre origini che sta facendo discutere: guai alle «crudité»?
«Il mio studio va contro l'idea che il cibo crudo sia un dieta naturale. O, almeno, non è stata così naturale negli ultimi 2 milioni di anni, come si crede».
Perché è un falso stereotipo?
«Spiego che ci sono conseguenze diverse per la salute. Certo, in certi casi il crudo fa bene. Per esempio se si vuole perdere peso. Riduce anche molti tipi di infiammazioni. D'altra parte, gli aspetti negativi sono molti di più, come l'esposizione a differenti tossine... Il punto della mia tesi sta nelle prove biologiche».
Le spiega?
«Abbiamo imparato a controllare il fuoco centinaia di migliaia di anni fa e quindi abbiamo introdotto il cibo cotto: da allora ne abbiamo bisogno, perché altrimenti soffriamo di una cronica scarsità energetica, che condiziona l'efficienza della nostra riproduzione. L'Homo Erectus lo dimostra».
Che prove ha raccolto?
«L'Erectus mostra nel corpo le conseguenze di un'alimentazione altamente "processata" a differenza degli altri ominidi. Sono segni legati solo all'uso di cibi cotti: denti piccoli e intestino ridotto».
La formula che lei usa è «Grande cervello e piccola pancia».
«Quando si è cominciato a sfruttare il cibo cotto, è probabile che siano diminuiti i costi per mantenere un grande intestino e, quindi, è stato possibile indirizzare le energie risparmiate verso altri organi: prima di tutto al cervello».

HOMO ERECTUS
Come immagina il passaggio dalla scoperta del fuoco alla scoperta della «cucina»? Quanto tempo e sforzi ha richiesto?
«Per me, la risposta è legata alla scoperta di quanto sia facile per gli animali amare il cibo cotto: l'abbiamo osservato testando le grandi scimmie. Gli scimpanzè lo preferiscono, se riescono a procurarselo durante un incendio nella savana».
E quali sono le conseguenze per i destini dei nostri antenati?
«L'ipotesi è che impararono a controllare il fuoco per ragioni diverse, come difendersi dai predatori. Solo più tardi, casualmente, lo avvicinarono a fuoco, ma da quel momento, e con rapidità, direi perfino in poche settimane, capirono che migliorava il sapore dei cibi. E il miglioramento è legato a processi biologici decisivi, perché la cottura "esagera" il naturale processamento degli alimenti crudi, liberando con grande efficienza le proteine».

Dal cotto siamo passati alla cucina: per molti è un innegabile segno di creatività umana.
«In realtà, per me, è un'interpretazione moderna. I popoli raccoglitori-cacciatori, tranne poche eccezioni, cucinano sempre lo stesso cibo e sempre allo stesso modo».
Ciò si cuoce è più digeribile e più ricco. Ma lei aggiunge che, quando parliamo di calorie, facciamo confusione: perché?
«Calcoliamo le calorie dei cibi indipendentemente dal fatto che siano cotti o no ed è chiaramente un errore».

HOMO NEANDERTHAL
Un esempio?
«La farina: se non è cotta, passa nell'organismo senza essere digerita. E' la dimostrazione che, contrariamente a quanto dicono le etichette, le calorie cambiano: i dati di un calorimetro non possono essere equivalenti a quelli che si manifestano con il metabolismo».
E' un motivo dell'iper-nutrizione contemporanea?
«Penso che pochi calcolino davvero le calorie, ma è un fatto che i cibi siano sempre più digeribili e questo significa che assorbiamo più calorie di quanto è necessario».
Dalla biologia lei passa all'antropologia: è sicuro che le società nascano da una pentola?
«Il fatto di dover preparare il cibo ci ha reso vulnerabili, perché qualcuno può rubarlo. La nascita della proprietà, quindi, diventa possibile solo attraverso forti legami sociali».
E il ruolo della donna diventa decisivo, ma anche una sorta di maledizione: giusto?
«L'aspetto affascinante del cucinare è che non è legato alla quantità di cibo procacciato: è la donna che deve preparare il pasto. Se non lo fa, sarà punita. E non può aspettarsi solidarietà, perché non ha adempiuto al proprio compito».
Il cibo diventa così il «colpevole» di un'arcaica divisione sessuale del lavoro che spesso continua anche oggi?
«Sì. Le donne ottengono un "protettore" e gli uomini una garanzia nutritiva».
Non è un quadro consolante: ora, dopo il cibo, dove sta spostando l'attenzione?
«Studio che cosa ci ha resi Sapiens, dall'arte all'agricoltura: sono convinto che tutto ha avuto inizio dalle nuove logiche con cui gestire la violenza».

Fonte: srs di GABRIELE BECCARI da la Stampa; Dagospia del 26,06,2009

venerdì 26 giugno 2009

Internet Italia: Vietato ricordare, la Rete ha la memoria troppo lunga

Roma - La Rete ha la memoria troppo lunga! È questo il presupposto dal quale muove il disegno di legge n. 2455 recante "Nuove disposizioni per la tutela del diritto all'oblio su internet in favore delle persone già sottoposte a indagini o imputate in un processo penale" presentato lo scorso 20 maggio dall'On. Lussana alla Camera dei Deputati.

Il tema del diritto all'oblio in Internet - e, benché l'estensore del disegno di legge sembri dimenticarsene, fuori da Internet - costituisce un tema delicato e complesso sul quale si sono già succedute numerose decisioni - non sempre condivisibili - dei Giudici e del Garante per il trattamento dei dati personali e la riservatezza. Si sbaglierebbe, perciò - benché la tentazione sia forte - a liquidare l'iniziativa dell'On. Lussana in poche battute, semplicemente, come l'ennesimo tentativo di limitare la libertà di informazione in Rete e, in ogni caso, come un'iniziativa anacronistica ed inattuabile. Conviene, invece, andare con ordine e cominciare dal contenuto del disegno di legge.

Il primo comma dell'art. 1 mira - le parole sono tratte dalla relazione di accompagnamento al disegno di legge - a far sì "che, decorso un lasso temporale, variabile a seconda della gravità del reato, e salvo che risulti il consenso scritto dell'interessato, non possano più essere diffusi o mantenuti immagini o dati, anche giudiziari, che consentano, direttamente o indirettamente, l'identificazione della persona già indagata o imputata, sulle pagine Internet liberamente accessibili dagli utenti oppure attraverso i motori di ricerca esterni al sito web sorgente".

Il secondo ed il terzo comma della medesima previsione, rincarano, poi, la dose fissando il principio secondo il quale le immagini ed i dati di cui al comma 1, devono essere definitivamente rimossi da tutte "le pagine Internet" quando, "sia trascorso un anno dal momento in cui è stata pronunciata sentenza di non luogo a procedere, decreto di archiviazione o sia intervenuta sentenza definitiva di proscioglimento, anche a seguito di revisione" o "due anni se è intervenuta o se è stata dichiarata una causa di estinzione del reato o della pena".
L'art. 2, dal canto suo, riconosce all'interessato il diritto di richiedere la rimozione delle immagini e dei dati di cui all'art. 1 dapprima direttamente "ai siti Internet ed ai motori di ricerca" e, quindi, al Garante per il trattamento dei dati personali e la riservatezza, prevedendo, altresì, che l'eventuale inadempimento da parte del destinatario della richiesta al provvedimento del Garante può costare a quest'ultimo una sanzione da 5.000 a 100.000 euro.

La portata di tali prime due previsioni del DDL Lussana è mitigata dal contenuto dell'art. 3 che prevede una serie di ipotesi in presenza delle quali gli artt. 1 e 2 non trovano applicazione: (a) il trattamento dei dati per ragioni di giustizia da parte degli uffici giudiziari, del CSM e del Ministero della Giustizia; (b) la conservazione sui siti Internet dei dati e delle immagini per finalità di ricerca storica o di approfondimento giornalistico, anche in assenza di consenso dell'interessato, purché risulti un oggettivo e rilevante interesse pubblico, sempreché il trattamento avvenga nel rispetto della dignità personale, della pertinenza e veridicità delle notizie, nonché del diritto all'identità; (c) limitatamente - chissà perché - alle previsioni di cui agli artt. 1 e 2, il trattamento di dati relativi a chi i) è stato condannato con sentenza definitiva alla pena dell'ergastolo; ii) è stato condannato per genocidio, terrorismo internazionale o strage, indipendentemente dalla pena in concreto inflitta; ii) esercita o ha esercitato alte cariche pubbliche, anche elettive, in caso di condanna per reati commessi nell'esercizio delle proprie funzioni, allorché sussista un meritevole interesse pubblico alla conoscenza dei fatti.

L'art. 4, stabilisce poi che "L'esercizio della tutela prevista ai sensi della presente legge non pregiudica il diritto dell'interessato e dei suoi eredi o del convivente a ottenere il risarcimento del danno, anche morale, derivante dalla violazione delle disposizioni di cui agli articoli 1 e 2". L'art.5, infine, contiene tutta una serie di interventi - invero di dubbia utilità e scarso pregio sotto il profilo della tecnica della normazione - al codice privacy, evidentemente necessari secondo l'estensore del disegno di legge per coordinare la nuova legge con il codice privacy stesso.
Sin qui i fatti. Veniamo ora alle perplessità e ai dubbi.

Mi riesce, innanzitutto, difficile condividere l'idea secondo la quale le potenzialità di uno strumento tecnologico come Internet idoneo ad ampliare le concrete possibilità di accesso all'informazione e al patrimonio storico dell'umanità possano essere limitate ex lege. È innegabile che Internet agevoli l'accesso alle informazioni e ne perpetui il ciclo di vita ma viene tuttavia da chiedersi se ciò giustifichi una nuova "norma anti-memoria" o dovrebbe piuttosto imporre una più profonda riflessione sul significato e sul senso della nozione di identità personale e di diritto all'oblio nel secolo della Rete.

E se attraverso naturali dinamiche di evoluzione darwiniana della specie, domani sviluppassimo capacità mnemoniche maggiori di quelle di cui disponevano i nostri antenati? Sarebbe opportuno ed auspicabile un intervento normativo volto ad imporci di dimenticare in fretta o, almeno, tanto in fretta quanto i nostri nonni?

È sulla base di queste considerazioni che trovo preoccupante la volontà del legislatore di ordinare alla Rete di ricordare di meno e meno a lungo esigendo dai motori di ricerca e da tutti i siti Internet - o per dirla meglio di quanto non si faccia nel disegno di legge - dai gestori dei motori di ricerca e dai titolari dei siti Internet, rispettivamente, di sospendere l'indicizzazione di taluni contenuti e di rimuoverli dal web.

I dubbi sollevati dall'iniziativa legislativa dell'On. Lussana, tuttavia, non finiscono qui e sono, anzi, destinati ad amplificarsi se si passa ad esaminare il modo in cui si è ritenuto di garantire il diritto all'oblio in Rete.
Cominciamo dal principio.

Non credo abbia senso scrivere una nuova legge "ad personam" contro l'informazione in Rete senza preoccuparsi di affrontare e risolvere prima - a livello generale - il problema del diritto all'oblio che, allo stato, non può ritenersi aver raggiunto nell'elaborazione giurisprudenziale alcun approdo sicuro. La Rete è solo l'ultima delle presunte minacce al diritto all'oblio ma dello stesso tema, prima di Internet, si è già discusso - e si continuerà a discutere - anche in relazione alla televisione, al cinema, al teatro, ai giornali e persino ai romanzi.
Perché, dunque, una legge solo per la Rete?
Ma c'è di più.

Nell'accezione tradizionale, infatti, la lesione del diritto all'oblio viene in rilievo laddove si ripropongano, a distanza di anni, fatti di cronaca ormai superati e lontani nel tempo nell'ambito di film, romanzi, pièce teatrali o trasmissioni televisive. Il problema affrontato dalla nuova iniziativa legislativa dell'On. Lussana è, tuttavia, un altro e concerne non già la riproposizione di fatti del passato ma, piuttosto, l'accessibilità via Internet di immagini e dati pubblicati in un preciso momento storico perché relativi alla cronaca o all'attualità di quel tempo. Esportata fuori dalla Rete, quindi, la ratio del DDL sarebbe quella non già di impedire, ad esempio, la realizzazione di un film sui delitti del mostro di Firenze ma, piuttosto, di vietare alle biblioteche e agli archivi storici pubblici e privati di consentire al pubblico l'accesso ad ogni giornale, rivista o romanzo relativo ai quei fatti. Senza con ciò voler attribuire un giudizio positivo o piuttosto negativo alla nuova iniziativa legislativa occorre, tuttavia, prendere atto che si tratta di una limitazione e compressione forte della c.d. libertà ad essere informati le cui radici affondano nello stesso art. 21 della Costituzione.
Allo stesso modo è innegabile che il contenuto del DDL minaccia di far sì che la storia che le generazioni che verranno potranno leggere sarà solo quella che i suoi protagonisti vorranno sia tramandata ai posteri.

Ma torniamo alla Rete.
Il disegno di legge - secondo una pessima abitudine che va, sfortunatamente, consolidandosi di giorno in giorno - impone a chi fa informazione in Rete in maniera professionale e a chiunque gestisca un semplice blog o altro sito Internet "amatoriale" eguali obblighi ed analoghe responsabilità a garanzia dell'altrui diritto all'oblio. Ai sensi dei commi 2 e 3 dell'art. 1 del DDL, pertanto, il gestore di un blog, ad esempio, dovrà preoccuparsi di procedere alla rimozione di immagini e dati relativi ad una persona quando "sia trascorso un anno dal momento in cui è stata pronunciata sentenza di non luogo a procedere, decreto di archiviazione o sia intervenuta sentenza definitiva di proscioglimento, anche a seguito di revisione" o "due anni se è intervenuta o se è stata dichiarata una causa di estinzione del reato o della pena". Il mancato adempimento a tale obbligo può dar luogo, ai sensi di quanto disposto all'art. 4, a pesanti responsabilità risarcitorie, al coinvolgimento in procedimenti dinanzi al Garante per la privacy e a sanzioni fino a 100 mila euro.

Tra obblighi di rettifica, condanne per stampa clandestina, sequestri e la nuova iniziativa a tutela dell'altrui diritto all'oblio la voglia di dire la propria in Rete diventa ogni giorno di più un lusso che in pochi possono o potranno permettersi con un'evidente e preoccupante compressione della libertà di manifestazione del pensiero.

Si sarebbe, tuttavia, poco obiettivi se non si ricordasse che le esclusioni dall'ambito di applicabilità delle nuove norme individuate all'art. 3 valgono, in astratto, a mitigare in maniera importante il principio di prevalenza del diritto all'oblio sulla libertà all'informazione ma, ad un tempo, occorre riconoscere che la vaghezza, l'indeterminatezza e l'ambiguità delle deroghe ai divieti ed agli obblighi che la legge mira ad introdurre sono tali da far sì che - specie i gestori di siti Internet non professionali - si vedranno spesso costretti a rimuovere cautelativamente immagini e dati al solo fine di non rischiare richieste risarcitorie o sanzioni a molti zeri anche laddove l'art. 3 consentirebbe loro di non intervenire.

Ci sarebbe molto di più da dire su un'iniziativa che non può e non deve passare in sordina, non perché il diritto all'oblio non meriti tutela ma, piuttosto, perché non si può correre il rischio che per tutelare il diritto all'oblio si privino i nostri figli della storia e si limiti - una volta di più - la libertà di informazione nello spazio telematico, ultimo baluardo di libertà in un Paese nel quale l'indipendenza dei media tradizionali fa registrare giudizi peggiori ogni anno che passa, a prescindere dal colore politico degli abitanti del Palazzo.

Si potrebbe, ad esempio, discutere del senso di dettare una disciplina nazionale in relazione ad un fenomeno globale come la "memoria della Rete", della possibilità per una legge italiana di obbligare il gestore di un motore di ricerca straniero all'adempimento di un obbligo tanto stringente quale quello ipotizzato nel DDL e, ancora, di chi debba occuparsi di individuare le decine di migliaia di pagine web attraverso le quali una medesima informazione è diffusa al pubblico o, comunque, resa accessibile.
Per ora mi fermo qui, nella consapevolezza di non aver detto tutto ma, ad un tempo, con la speranza di aver almeno aperto un dibattito che, forse, sarebbe stato utile ed opportuno sviluppare prima di assumere un'iniziativa legislativa tanto dirompente per gli equilibri dell'ecosistema telematico.

Fonte: srs di Guido Scorza
Link: Il blog di G.S.
www.politicheinnovazione.eu
Punto informatico: del 25 giugno 2009

giovedì 25 giugno 2009

APPELLO DAL CANILE DI LATINA



Ragazzi in una settimana ci sono arrivati 40 cuccioli, alcuni con la mamma, altri da soli, tutti intorno ai 35 gg di vita.
Ne abbiamo almeno altri 20 intorno ai 2-3 mesi tutti con gastroenterite e cimurro passati o in corso nonostante 3 o 4 vaccinazioni già fatte! Ne abbiamo altri 10 di taglie medie in stallo nelle nostre case in attesa di fargli almeno i vaccini e non sappiamo più dove metterli....e l'estate ancora non è arrivata! I piccoli li abbiamo messi lontano da quelli malati, ma sapete meglio di me che è solo questione di tempo prima che contraggano i virus anche loro e così piccoli non ce la farebbero
mai!! Dobbiamo farli adottare al più presto, sono tutti bellissimi, tutti di tg media o piccola e 5 maremmani che sono in stallo nelle casa. Betty è la mammina dei cuccioli di tg. piccola e pesa non più di 5 kg, è proprio minuscola, è dolce, paurosa e piccolissima.
Diffondete più che potete, alcuni cuccioli sanno appena leccare! Baci e grazie

Per l’adozione: telefono: 339/2176914 (Roberta)

mercoledì 24 giugno 2009

Un ricordo della Kodacrome



Un ricordo della Kodacrome in una immagine di Steve McCurry

martedì 23 giugno 2009

Il mio amato Kodachrome è ufficialmente morto,




Il mio amato Kodachrome è ufficialmente morto, oggi Kodak ne ha cessato la produzione
Possa tu riposare in pace 25, 64 e 200.

lunedì 22 giugno 2009

VERONA: ELENCO DEI CADUTI NELLA CITTÀ, PROVINCIA E DIOCESI DI VERONA DURANTE LE PASQUE VERONESI E L’OCCUPAZIONE FRANCESE (29 MAGGIO 1796 - 21 GENNAIO






ELENCO DEI CADUTI NELLA CITTÀ, PROVINCIA E DIOCESI DI VERONA DURANTE L’OCCUPAZIONE FRANCESE (29 MAGGIO 1796 - 21 GENNAIO 1798)

MAGGIO 1796

1. CERNINI Pietro di anni 65 il 29 maggio a Incanal. US1, 307, c. 209.
2. FRANCESCHINI Bortolo di a. 40 il 29 luglio a Incanal. US, 307, c. 209.

GIUGNO 1796

1. MANCINI Angelo di a. 67 il 1° giugno a Calmasino. US, 307, c. 91; AP2, “est interfectus a Gallis” [venne ucciso dai francesi].
2. BODIN Francesco di anni 70 il 2 giugno a Valeggio. US, 307, c. 461.
3. AMICABILE Giovanni di anni 32 il 3 giugno a Valeggio. US, 307, c. 461.
4. BASSON Sebastiano di anni 36 il 3 giugno a Valeggio.US, 307, c. 461.
5. BODIN Giacoma di anni 32 il 6 giugno a Valeggio.US, 307, c. 461.
6. TORTELLA Paolo di anni 40 il 6 giugno a Bussolengo. AP. US, 307, c. 78 “per punta”.
7. BENDA Luigi di a. 30 il 7 giugno a Villafranca “morì ferito per una archibuggiata”. US, 307, c. 480.
8. ZAMBONI Giuseppe di anni 35 il 13 giugno a Bussolengo. US, 307, c.78; AP.

1 Legenda: US, ovvero Ufficio Sanità del Comune di Verona, Registro dei morti del Territorio, n. 307, a. 1796; Ufficio Sanità del Comune di Verona, Registro dei morti del Territorio, n. 308, a. 1797; Ufficio Sanità del Comune di Verona, Registro dei morti della Città, n. 87, a. 1796; Ufficio Sanità del Comune di Verona,
Registro dei morti della Città, n. 88, a. 1797, in Archivio di Stato di Verona; SHAT, Service Historique de l’Armée de Terre, Castello di Vincennes, Paris. 2 AP, ovvero Archivio Parrocchiale.

9. PELANDA Giulio di a. 60 ca. il 16 giugno a Brentino “ucciso da schioppo”, US, 307, c. 69; US, 307 sotto località Rivalta: “morì ferito da un soldato austriaco”, c. 379.
10.LORENZI Benvenuta di a. 20 il 20 giugno a Ferrara di Monte Baldo, “precipitata da uno scoglio in occasion d’armata”, US, 307, c. 187.
11.PASETTO Maria di anni 24 il 20 giugno a Roncà. US, 307, c. 386.
12.ZIVELONGHI Antonio di a. 40 il 22 giugno a Breonio. Reg. il 24.6.1796, US, 307, c. 73: “per essere stato ucciso da soldati”. AP, “occisus in agro” [ucciso in un campo].
13.GARAVIN Andrea di anni 57 il 23 giugno a Nogarole Rocca, “in campo occisus”. AP; US, 307: “fu ucciso l’altro giorno in un campo”, c. 305.
14.GREGORI Domenico di anni 26 (giugno?) a Villafontana.

LUGLIO 1796

1. BOLGARINO Giambattista di a. 32 il 5 luglio a Lonato. AP, “heri occisus periit” [perì ieri ammazzato].
2. N. Stefano Soldato schiavone di a. 20 il 10 luglio 1796 a Piovezzano. US, 307, c. 353. “Stephanus N. Miles dalmatinus annorum 20 cr. occisus fuit die decima ... domi D.ni Joannis Pizzolari Puli de hac Paroecia” [Stefano N. soldato schiavone di anni 20 circa fu ucciso il giorno 10 … in casa del Signor Giovanni Pizzolari Puli di questa parrocchia], Piovezzano. A.P. R.M. 1756-1834, sub Littera S, c. 88 v.
3. ANDRIOLI Caterina di a. 52 il 29 luglio a Pesina.US, 307, c. 341.
4. CARGNONI Antonio di Rezzato (Brescia) di anni 60 morì il 30 luglio a Manerba sul Garda “ab grassatore milite [...] globi plumbei ictu transfixus” [trapassato dalla pallottola di un soldato intento a saccheggiare], AP, Manerba sul Garda 1763-1870 sub littera ‘A’, Die 31 Julii 1796.
5. GAMBIN Carlo di a. 23 il 30 luglio a Colà di Lazise. US, 307, c. 159
6. BIANCHIN Giovanni di a. 44 il 31 luglio a Colà di Lazise. US, 307, c. 159; AP. “interfectus fuit” [fu ammazzato].
7. BONZANINI Giobatta di anni 52 il 31 luglio a Pescantina. US, 307, c. 336; AP.
8. PERANTONI Giovambattista di a. 18 il 31 luglio a Colà di Lazise. US, 307, c. 159; AP. “interfectus fuit” [fu ammazzato]

AGOSTO 1796

1. PANIZZA Carlo di a. 86 il 2 agosto a Lonato. AP.
2. MARCHIORI Maddalena di Cavriano di a. 65 il 5 agosto a Castellar Lagusello: “morì fucilata dalle truppe francesi”. US, 307, c.
123.
3. AMICABILE Valentino di anni 48 il 6 agosto a Cavalcaselle. US, 307, c.136.
4. BERNARDI Nob. Carlo di a. 58 il 6 agosto a Peschiera “ammazzato dalle truppe francesi”. US, 307, c. 340.
5. AZZOLINI Domenico di a. 25 il 7 agosto a Pastrengo. US, 307, c. 325.
6. ZANETTI Angelo di anni 21 l’8 agosto a Castelnuovo. US, 307, c. 126.
7. ZANETTI Giovanni di a. 27 l’8 agosto a Castelnuovo. US, 307, c. 126.
8. SALA Carlo di a. 66 il 9 agosto a Pazzon. US, 307, c. 328.
9. DAL PRETO Domenica moglie di Girolamo di anni 60 il 10 agosto a Colà di Lazise. US, 307, c. 160.
10.N. N. Uomo incognito d’a. 50 circa fu oggi [12 agosto a Verona, parrocchia di S. Nazzaro] alle ore 12 interfetto”. US, 87, c. 67.
11.BISANEL Francesco di anni 56 il 16 agosto a Volargne. US, 307, c. 489.
12.PASETTI Lodovico di a. 40 il 24 agosto a Novaglie “morì all’ore 5 questa notte per due ferite di scioppo [sic] causalmente [sic] in battaglia “; US, 307, c. 307.
13.FANZO Francesco di a. 28 il 27 agosto a Montorio “per una archibusata”. Us, 307, C. 287.
14.BELTRAME Teresa di anni 9 morì il 29 agosto a Manerba sul Garda “pavore ex militum invasione Germanorum” [per timore cagionato dai soldati austriaci occupanti]; AP Manerba sul Garda Morti 1763-1870, sub littera ‘T’, die 29 augusti 1796.

SETTEMBRE 1796

1. LEALI Giandomenico di anni 25 circa morì il 4 settembre a Manerba sul Garda “in agro balista percussus” [colpito in un campo da un proiettile], AP Maberba sul Garda, 1763-1870, sub littera ‘J’ die 4 septembris 1796.
2. STANCANAR Giacomo d’anni 18 il 12 settembre a Verona, S. Giorgio Extra “interfetto di coltello”. US, 87, c. 88. Cfr. AP.
3. GIRELLI Sante di a. 35 il 15 settembre a Bussolengo “ammazzato sul colpo”, US, 307, c. 79.
4. ZANINI Antonio di anni 18 circa il 15 settembre a Verona parrocchia di S. Zeno in Oratorio “interfetto di coltello sul punto”. US, 87, c. 90. Cfr. AP.
5. FORNASERI Giuseppe di anni 26 il 16 settembre a Pescantina. AP: “ignito globulo in capite percussus” [colpito al capo da un colpo d’arma da fuoco], c. 369.

OTTOBRE 1796

1. PIAZZOLA Giuseppe di anni 30 il 15 ottobre a Verona. US, 87, c. 104: “morì interfecto d’arma bianca”. AP. S. Procolo.
2. RAIMONDI Marina di anni 16 il 15 ottobre a Verona, parrocchia di S. Maria alla Fratta, morì “per forte paura”. US, 87, c. 104. Cfr. AP.
3. LONARDI Francesco di anni 22 il 19 ottobre a San Bonifacio. US, 307, c. 60; AP. “fu ucciso da uno dei soldati dell’armata francese sulla strada regia con uno sparo di fucile nella testa”.

NOVEMBRE 1796

1. LORENZINI Bartolo di a. 25 il 2 novembre a Monzambano. US, 307, c. 292.
2. COZZA Luigi di anni 39 il 5 novembre a Verona. S. Salvar Corte Regia. US, 87, c.114: “per archibujata in ore sei”.
3. TOSSI Pietro di anni 26 il 7 nov. a Ponti. US, 307, c. 360.
4. DE TOGNI Giovanni di anni 24 l’8 novembre al Chievo. AP. “Interfectus fuit” [fu ammazzato]. US, 307, c. 153.
5. MAGAGNOTTO Andrea di a. 30 il 12 novembre a Caldiero “per una palla di canone nella guerra tra tedeschi e francesi”, US, 307, c. 89.
6. MARAN Giacomo di anni 24 il 14 novembre a Belfiore. US, 307, c. 153; AP: “interfectus fuit a militibus Gallis” [fu ammazzato dai soldati francesi].
7. BONDARDO Antonio di anni 24 il 20 novembre a S. Bonifacio. US, 307, c. 60; AP: “ritrovato in una fontana ammazzato dai soldati francesi”.
8. CAVIN Marco detto Pancotto di Monteforte di anni 60 il 20 novembre a S. Bonifacio, Us, 307, c. 60 “fu ucciso dalle mani d’un soldato francese”; AP, “morì ucciso dai francesi sulla via pubblica”, registrato il 12.12.1796.
9. BOSCHETTI Giorgio di a. 45 il 22 novembre a Ferrara di Montebaldo “fu ucciso dalle truppe tedesche”, US, 307, c. 187.
10.GASPARI Giambattista di a. 48 ca. il 23 novembre a Dolcé. US, 307, c. 175; AP, “occisus fuit a milite gallico” [fu ammazzato da un soldato francese].
11.DONATELLI Vittorio di anni 44 il 25 novembre a S. Bonifacio. US, 307, c. 60; AP., “dopo nove giorni di mal contratto da una ferita ricevuta da un soldato francese”.
12.VANZIN Bortolo di a. 72 il 26 novembre a Pazzon “per paura delle truppe estere in giorni 6”. US, 307, c. 328.
13.GABRIELI Antonio di anni 25 il 26 novembre a Verona. US, 87, c. 120 Ospedale S. Croce della Misericordia: “per una archibujata nel capo”.
14.AVOGARO Paolo di a. 40 il 27 nov. a Verona. US, 87, c. 121, Ospedale S. Croce della Misericordia: “per una archibujata
15.MONAR Filippo di a. 50 il 29 nov. a Verona. US, 87, c. 121 Ospedale S. Croce della Misericordia: “per archibujata”.

DICEMBRE 1796

1. MONTRESOR Gaetano di a. 18 il 2 dic. a Verona “per ferita”. US, 87, c. 122, Ospedale S. Croce della Misericordia.
2. PIPA Lucrezia di anni 38 il 4 dicembre a Ferrara di Montebaldo “per paura dei francesi”, US, 307, c. 278.
3. LOISON Francesco di anni 60 il 9 dicembre a S. Bonifacio. US, 307, c. 60; AP, “dopo giorni 12 [di male] causato dai soldati francesi, dai quali fu spaventato”.
4. CHINCARINI Bartolo di anni 30 c.a il 19 dicembre a Malcesine. US, 307, c. 248. AP, RM 1781-1803, c. 169, n. 88: “tormento bellico” [per un proiettile di guerra].

GENNAIO 1797

1. DOMANIN Bartolomeo di anni 29 morì il 10 gennaio a Villabona “ucciso da un soldato francese”, US, 308, c. 517. Registrato l’11 gennaio.
2. COLTRO Girolamo di anni 27 il 12 gennaio a Monteforte morì “ferito di più pugnalate in giorni 3”, US, 308, c. 301.
3. PRANDIN Antonio di anni 60 il 13 gennaio a Ferrara di Montebaldo “morì da paura causata dall’armata”, US, 308, c. 197.
4. ANDREONI Giovanni di anni 35 il 16 gennaio 1797 a Caprino. AP, “prope domum suam percussus fuit a milite gallo cum sclopi globulo” [fu colpito presso la sua casa da un colpo di schioppo sparato da un soldato francese]. US, 308, c. 103: “per archibugiata d’un francese”.
5. DA MORI Bernardo soldato d’anni 28 il 21 gennaio morì a Bussolengo “ferito da Francesi in giorni 3”. US, 308, c. 81.

FEBBRAIO 1797

1. BERTON Giovanni di anni 33 il 3 febbraio a S. Bonifacio. US, 308, c. 59; AP., “fu ucciso da un soldato francese con uno sparo di fucile sulla testa”.
2. POMARI Pietro di a. 66 il 4 febbraio a Castelnuovo morì “per ferita di schioppo”. US, 308, c. 129.
3. MATTINZOLI Giovanni di anni 20 morì il 6 febbraio a Monzambano “per ferita in giorni 5”; US, 308, c. 309.
4. PIGHI Luigi di Parona di anni 21 morì il 10 febbraio a Peri. US, 308, c. 357.
5. MICHELE soldato schiavone di anni 45 il 19 febbraio a Gambellara “morì ucciso”, US, 308, c. 205.
6. SCANDOLA Simone di a. 21 il 21 febbraio a Boscochiesanuova “morì interfetto”, US, 308, c. 159.

MARZO 1797

1. SABAINI Margherita morì il 9 marzo a Pacengo. US, 308, c. 339.
2. CORÀ Francesco di anni 18 il 25 marzo a Mizzole “morì amazzato”, US, 308, c. 291.
3. PASQUALIN Francesco q. Antonio di a. 14 il 26 marzo a Terrazzo. AP: “morì di una accidentale archibugiata”. RM, 1736-1807, sub Littera ‘F’. US, 308, c. 475: “per una archibugiata”.
4. RIGONI Rocco soldato veneto di a. 33 il 29 marzo a Legnago. AP.

APRILE 1797

1. GARZENATO Nadale di anni 50 circa morì l’8 aprile a Monteforte “per una pugnalata in pochi momenti”, registrato il giorno 10 aprile; US, 308, c. 301.
2. PELI Francesco di a. 36 circa il 9 aprile a Lonato. AP, “vulneratus fuit seditione” [fu ferito durante la sollevazione].
3. GIRARDI Giambattista di a. 50 il 10 aprile a Lonato. AP: “occisus periit” [morì ammazzato].
4. DESANI Salvo di a. 40 circa il 12 aprile a Lonato. AP: “in bello occisus periit” [morì ucciso in guerra].
5. BACCOLO Antonio di a. 85 a Rivoltella (provincia di Brescia, ma diocesi di Verona) il 14 aprile, AP, “balista ignea lethaliter vulneratus prope Desentianum die 14 aprilis currentis qui conducebat suo curro milites Veneti et sua vestimenta provenientes ex Puteolongo [Pozzolengo]...” [mortalmente ferito da un colpo d’arma da fuoco presso Desenzano il 14 aprile corrente, mentre conduceva sul suo carro dei soldati veneti provenienti da Pozzolengo …].
6. N. N. Soldato tedesco il 15 aprile ad Isola Rizza: “Die 15 aprilis NN. Miles Germanus belli in territorio veronensi contra gallos in pectore vulneratus obiit hora 5 noctis praeterita post dies octo vulneris et morbis in hac Insula, et hoc in Cemeterio fuit sepultus” [Il 15 aprile NN. soldato austriaco, combattendo in territorio veronese contro i francesi, fu ferito al petto; spirò alle ore 5 della notte scorsa, dopo 8 giorni di malattia qui in Isola e fu sepolto in questo cimitero]; AP, Isola Rizza (1779-1828) sub littera ‘M’. US, 308, c. 233: “NN. Soldato tedesco ferito nel petto morì”.
7. BIONDAN Giacomo di anni 25 il 17 aprile a Verona (S. Maria della Strada). US, 88, c. 33. Registrato il 18 aprile.
8. COVADO Martina, moglie di Pietro Cestani di Oneglia, soldato dell’esercito francese, di anni 24 fu “trovata morta” il 17 aprile a Verona (S. Maria in Chiavica). US, 88, c. 33. AP.
9. PIERINI Giobatta Alfiere del Regg.o Galli di anni 50 il 17 aprile a Verona (S. Croce di Cittadella) fu “ucciso sul punto”. US, 88, c. 33 AP. Forse è l’Alfiere ucciso negli scontri presso il Ponte Navi che ricorda Maffei nelle sue memorie.
10.BURATO Giuseppe di anni 24 il 18 aprile a Verona (S. Maria in Chiavica). US, 88, c. 36. Registrato il 27 aprile. AP.
11.PANTREDO Michele Candido di anni 28 il 18 aprile a Verona (S. Procolo). US, 88, c. 33. AP.
12.DALLA BONA Dr. Paolo di a. ? il 18 aprile a Verona in casa Perez. Elenco dei morti Francesi il giorno della Rivoluzione che fu li 17 aprile 1797, in “Archivio Storico Veronese”, a cura di O. Perini, vol. VI, fasc. XVIII, settembre 1880, pag. 307.
13.PACHERA Anna nata Terzi moglie di Angelo di anni 25 il 18 aprile a Caprino. US, 308, c. 103.
14.RUBBI capitano dei Dragoni veneti ucciso a Castelvecchio il 18 aprile3.
15.GAIARDON Giuseppe di anni 28 il 19 aprile a San Massimo. AP, “in bello in hac Paroecia a Gallis contra Veronenses occisus” [ucciso dai francesi in combattimento contro i veronesi in questa parrocchia]. US, 308, c. 273.
16.LONARDI Lonardo di anni 63 il 19 aprile a San Massimo. AP, “a Gallis contra Veronenses bellantibus occisus” [ucciso dai francesi che combattevano contro i veronesi]. US, 308, c. 273.
17.RECCHIA Pietro di anni 62 il 19 aprile a San Massimo. AP, “a Gallis bellantibus contra Veronenses occisus” [idem]. US, 308, c. 273.
18.ANTONINI Bernardo di anni 29 “fu ucciso” il 20 aprile a S. Lucia Extra, US, 308, c. 243.
19.BACCI Caterina di anni 20 moglie di Francesco il 20 aprile a Pescantina. US, 308, c. 361. AP.
20.BENVENUTI Bernardo di anni 60 il 20 aprile a Pescantina. US, 308, c. 362. AP.
21.BERTOLDI Giuseppe di anni 60 il 20 aprile a Pescantina. US, 308, c. 362. AP.
22.BIGHEL Andrea di Sommacampagna morì il 20 aprile “nella battaglia di S. Massimo extra”, US, 308, c. 461.
23.BONZANINI Antonio di anni 18 il 20 aprile a Pescantina. US, 308, c. 262.AP.
24.BONZANINI Filippo di anni 32 il 20 aprile a Pescantina. US, 308, c. 361. AP.
25.BONZANINI Paolo di anni 23 il 20 aprile a Pescantina. US, 308, c. 361. AP.
26.BURATO Francesco di anni 50 il 20 aprile a Verona (S. Tommaso Cantauriense). US, 88, c.34. AP.
27.CAPPELLARO N. bresciano di anni 70 il 20 aprile a Pescantina. US, 308, c. 362.
28.GANASSINI Luigi di anni 20 il 20 aprile a Pescantina. US, 308, c. 362. AP.
29.GIRELLI Maddalena di anni 42 il 20 aprile a Pescantina. US, 308, c. 361. AP.
30.GIULIARI Speraindio di anni 30 il 20 aprile a Pescantina. US, 308, c. 362. AP.
31.GREGOLIN Giambattista d’anni 24 il 20 aprile a Vigasio. US, 308, c. 513.
32.LUGOBON Bartolomeo di anni 45 morì il 20 aprile a Verona (S. Giovanni in Valle) “interfetto nella propria casa”, US, 88, c. 34.
33.MALENZA Don Giuseppe di anni 28 il 20 (?) aprile alla Ca’ de Capri4.
34.MENEGHINI Giovanni di anni 37 il 20 aprile a Pescantina. US, 308, c. 362. AP.
35.MACCACCARO Girolamo di anni 14 “fu ucciso” il 20 aprile a S. Lucia Extra, US, 308, c. 243.

3 A. MAFFEI, 1797, ISTORIA DI VERONA AL TEMPO DELLA RIVOLUZIONE, manoscritto n. 2584 presso la Biblioteca Civica di Verona, c 141a-141b.
4 A. MAFFEI, Memorie concernenti l’insurrezione di Verona provocata dai Francesi l’anno 1797, 3 voll., ms. inedito 3038 della Biblioteca Civica di Verona, I,c. 874.

36.MASOTTO Don Giuseppe sacerdote figlio del fu Francesco di anni 60 circa morì a S. Lucia Extra il 20 aprile “ucciso dalle truppe belligeranti”, US, 308, c. 243.
37.MEJORANZI Francesco di anni 26 “fu ucciso” il 20 aprile a S. Lucia Extra, US, 308, c. 243.
38.MONTRESORI Zenone di anni 35 il 20 aprile a Bussolengo. US, 308, c. 82; AP.
39.MOSSOTO Domenica moglie di Giambattista “fu uccisa” il 20 aprile a S. Lucia Extra, US, 308, c. 243.
40.ORLANDI Giacomo di anni 75 il 20 aprile a Pescantina. US, 308, c. 361.AP.
41.PAVONCELLI Domenica di anni 53 il 20 aprile a Pescantina. US, 308, c. 362. AP.
42.PAVONCELLI Lorenzo di anni 34 il 20 aprile a Pescantina. US, 308, c. 362. AP.
43.PREDOMO Giovanni di anni 37 circa “fu ucciso” il 20 aprile a S. Lucia Extra, US, 308, c. 243.
44.SCARSINI Bartolo di anni 16 circa il 20 aprile “morì abbruciato” a S. Lucia Extra, US, 308, c. 243.
45.SOLEGAVI Luigia di anni 14 il 20 aprile a Verona (S. Maria Rocca Maggiore). US, 88, c. 34. (AP, S. Tommaso Cant.)
46.TOFFALORI Dionigio di anni 64 il 20 aprile a Pescantina. US, 308, c. 362. AP.
47.TOMELAR Giovanni oste di anni 75 il 20 aprile a Pescantina. US, 308, c. 362. AP.
48.TOMEZZOLI Tommaso di anni 66 il 20 aprile a Pescantina. US, 308, c. 361. AP.
49.VALESELLA Francesco di anni 65 morì il 20 aprile a Verona (S. Giorgio in Braida) “interfetto nella sua casa in Campagnola”, US, 88, c. 34. AP.
50.ZAMPIERI Girolamo di anni 37 il 20 aprile a Pescantina. US, 308, c. 362. AP.
51.ZAMPINI Caterina di anni 57 il 20 aprile a Pescantina. US, 308, c. 361. AP.
52.ZENATI Bernardo di Sommacampagna il 20 aprile “morì nella battaglia di S. Massimo extra”, US, 308, c. 461.
53.BOMBARDA Giuseppe di anni 8 il 21 aprile a Verona (S. Procolo). US, 88, c. 34. AP.
54.FUSIN Giacomo di anni 30 il 21 aprile a Verona (Ospedale di S. Croce di Misericordia); ricoverato il 19 aprile, US, 88, c. 34.
55.LITTEROTTO Angelo di anni 38 il 21 aprile a Verona (S. Procolo). US, 88, c. 34 ( Registrato il 22 aprile). AP.
56.MARCHIONDI Luigi di anni 40 il 21 aprile a Verona (S. Paolo C.M.), US, 88, c. 34. AP.
57.MASCHI Benedetto di anni 19 il 21 aprile a Verona (S. Silvestro). US, 88, c. 34 AP.
58.POLLINARI Domenico di anni 26 il 21 aprile a S. Michele Extra. US, 308, c. 283.
59.N. N. SOLDATO tedesco di anni 40 morì il 21 aprile a Verona (S. Nazaro) “per contusione alle coste”. US, 88, c. 34. AP.
60.VERONESI Pietro di a. 34 ca. a Lonato il 21 aprile. AP: ”in bello vulneratus obiit” [ferito in combattimento, morì].
61.ZANELLA Bartolo di anni 56 il 21 aprile presso Castel S. Felice a Poiano, AP, Grezzana e Pojano: “prope Castellum S. Felicis ferro perculsus [rectius: percussus]” [colpito di spada nei pressi del Castello di San Felice]. US, 308, (Grezzana) c. 217: morì “per una ferita”; c. 383 (Poiano).
62.ZENDRINI Antonio di anni 50 il 21 aprile a Verona (S. Giorgio Extra). AP,.
63.ZENTI Giovanni di anni 57 il 21 aprile a Verona (S. Giorgio Extra), AP.
64.N. N. CANNONIERE tedesco di anni 24 circa morì il 22 aprile a Verona (Ospedale di S. Croce di Misericordia) “ferito da pistola”. Ricoverato il 20 aprile. US, 88, c. 35.
65.PELLI Francesco di anni 30 il 22 aprile a Verona (Ospedale di S. Croce di Misericordia). Ricoverato il giorno stesso. US, 88, c.35.
66.PINALÈ Luigi di anni 29 il 22 aprile a Verona (Ospedale di S. Croce di Misericordia); ricoverato il 20 aprile. US, 88, c. 35.
67.ZANGIACOMI Domenico di anni 54 il 22 aprile a Verona (S. Giorgio Extra), AP.
68.ZAVATERI Giovanni di a. 60 il 22 aprile presso Castel S. Felice. AP Poiano “ferro percussus prope Castellum S. Felicis” [colpito di spada nei pressi del Castello di San Felice].
69.BARON Domenico d’anni 40 morì il 23 aprile a Verona (S. Giovanni in Valle) “interfetto”. US, 88, c. 35.
70.BERTAZOLA Leonardo di anni 70 il 23 aprile a Valeggio. AP, “a Gallis interfectus” [ammazzato dai francesi]. US, 308, c. 503.
71.CACCIATORI Maddalena moglie di Giuseppe di anni 42 morì il 23 aprile a Verona (S. Zeno in Oratorio). US, 88, c. 35. AP,.
72.GIOVIO Antonio di anni 19 il 23 aprile a Verona (S. Fermo di Corte Alta). US, 88, c. 35.
73.N. Girolamo “di cui non si conosce il cognome, da Zevio, d’anni 40 circa “ il 23 aprile a Verona (S. Giovanni in Valle) morì “interfetto”. US, 88, c. 35.
74.SINDICE Franco d’anni 30 il 23 aprile a Colognola ai Colli soldato cernida morì “perché precipitato da una finestra”, US, 308, c. 170.
75.GALVANI Giacomo di anni 28 il 24 aprile a Verona (Ospedale di S. Croce di Misericordia), ricoverato il 20 aprile. US, 88, c. 35.
76.MAINER Giovanni di anni 70 il 24 aprile a Verona (S. Procolo). US, 88, c. 35. AP.
77.CALABRIA Vincenzo di 19 anni di S. Maria Arcis Majoris [Rocca Maggiore] il 25 aprile a Poiano, “ferro percussus” [colpito di spada], reg. Il 17.5.1797. US, 308, c. 383, registrato l’8 maggio: “ferito gravemente nel giorno 25 [aprile] morì”.
78.CECCHIN Giacomo di anni 45 il 25 aprile a Romagnano. US, 308, c. 411.
79.FERRARI Luigi di anni 38 il 25 aprile a Poiano. AP, “ferro percussus” [colpito di spada]. US, 308, c. 383, registrato il 26 aprile fu “trovato ieri ucciso”.
80.FRANCHI Sante di Avesa il 25 aprile a Poiano “ferro percussus prope Altariolum” [colpito di spada presso Altarol], AP.
81.LONARDON Ignazio di anni 50 il 25 aprile a Romagnano. US, 308, c. 411.
82.MASONI Andrea di anni 26 il 25 aprile a Montorio (A.P.). “interfectus a Gallis” [ammazzato dai francesi]. US, 308, c. 305, “per una archibugiata”.
83.MONTE Giambattista di anni 60 il 25 aprile a Romagnano. US, 308, c. 411.
84.SIGNORINI Gaetano di anni 34 il 25 aprile a S. Michele Extra. US, 308, c. 283.
85.ZAMBONI Fortunato di anni 25 il 25 aprile a Bussolengo. US, 308, c. 82.
86.ZARAMELLA Nadal di anni 60 il 25 aprile a Romagnano. US, 308, c. 411.
87.SCARIOLI Francesco di anni 58 il 25 aprile a Poiano. AP, “ferro percussus prope Altariolum” [colpito di spada presso Altarol]. US, 308, c. 383.
88.BONER Giuseppe di anni 60 il 26 aprile a Verona (SS. Apostoli). US, 88, c. 36. AP.
89.BARBIERI Maddalena di anni 60 circa il 27 aprile a Verona (Ognissanti). AP.
90.CASTEGINI Pietro Domenico di anni 88 il 27 aprile a Marcellise. US, 308, c. 261: “per una ferita”.
91.FRANCHIN Antonio di anni 20 il 27 aprile a Verona (S. Maria Rocca Maggiore). US, 88, c. 36.
92.DONATELLI Gaetano di anni 33 il 28 aprile a Villafranca. AP, “truncato brachio in fractione sclopei” [amputato un braccio nello scoppio del fucile]. US, 308, c. 528: morì “per aversi da scossa di schioppo strapata una mano”.
93.PERNIGO Gasparo di anni 40 morì a Grezzana il 28 aprile “per ferita”, Us, 308, c. 217.
94.PIGOZZO Anna Maria moglie di Lorenzo di anni 47 morì il 28 aprile a Verona (S. Bartolomeo in Monte). US, 88, c. 36.

MAGGIO 1797

1. BENINI Vincenzo di anni 36 morì a Verona (S. Silvestro) il 1° maggio “per ferita riportata dallo scoppio di uno schioppo in giorni 12”. US, 88, c. 37.
2. PUER Stefano soldato di anni 23 della Compagnia Cap.o Andrea Grancich morì il 3 maggio a Verona (Ospedale militare di S. Croce di Cittadella) “per ferita”. Ricoverato il 24 aprile. US, 88, c. 38.
3. TURRI Bartolomeo di anni 32 morì il 3 maggio a Verona (Ospedale di S. Croce di Misericordia) “per sfacello procedente da ferita”; ricoverato il 20 aprile. US, 88, c. 38.
4. GIOVA Lorenzo di anni 20 morì il 4 maggio a Soave “per una archibugiata [...] in giorni 12 avutala alla testa”, US, 308, c. 457. Registrato il 5 maggio.
5. PEROTTI Giovanni di anni 47 il 4 maggio in Montagna di Montebaldo. US, 308, c. 293.
6. GASPAROTTO Allegro di anni 33 il 5 maggio a Bussolengo. US, 308, c. 82. AP RM 1776-1805, c.8v: “obiit Veronae in Parrocia S. Zen. In Orat.io Sacr. munitus. Xenodochio inserviebat, ibique aegrotavit; irruentibus in eo militibus nostris, ne dilaniarentur quocumque invenissent Gallos, more gravi percussus in sinu mortis se abiecit” [morì a Verona nella parrocchia di San Zeno in Oratorio, assistito dai Sacramenti. Inserviente all’ospedale, qui restò infermo. Fattavi irruzione i nostri soldati, affinché non facessero a pezzi tutti i francesi che vi trovavano, colpito in maniera grave, cessò di vivere].
7. VALÀ Filippo di anni 58 morì il 5 maggio a Verona (Ospedale di S. Croce di Misericordia) “per ferita”; ricoverato il 25 aprile. US, 88, c. 39.
8. MAZZA Antonio di anni 30 il 6 maggio a Verona (S. Paolo Campo Marzio). US, 88, c. 39. AP.
9. RAMPA Paolo del fu Sante di Montagnana di a. 36 il 6 maggio ad Oppeano “propter gravem percussionem in caput” [per una grave ferita al capo]. AP, RM Oppeano 1760-1803, c. 98 v.
10.MORELLI Anna di anni 40 moglie di Benedetto morì il 7 maggio a Verona (S. Donato) “interfetta sul punto”. US, 88, c. 39. AP.
11.REGINATO Bartolomeo di anni 24 soldato della Compagnia Ten. Coll. Ferro, morì il 7 maggio a Verona (Ospedale militare di S. Croce di Cittadella) “per ferita”; ricoverato il 22 aprile. US, 88, c. 39.
12.BRUNELLI Andrea di anni 36 morì l’8 maggio a Verona (S. Giorgio Extra) “per ferita in giorni 30”. US, 88, c. 40.
13.MONTAGNANA Giuseppe di anni 32 l’8 maggio a Verona (Ospedale di S. Croce di Misericordia). Ricoverato il 28 aprile; US, 88, c. 40.
14.MORESSI Giovanni di anni 18 morì il 9 maggio a Verona (S. Marco Concortine) “per ferita in giorni 14”. US, 88, c. 40.
15.BARTOLAMI Antonio di anni 35 morì l’11 maggio a Verona (S. Egidio) “per ferita in giorni 10”. US, 88, c. 41.
16.RIVA Giambattista di anni 40 morì il 13 maggio a Verona (Ospedale di S. Croce di Misericordia) “per ferita”; ricoverato il 18 aprile. Us. 88, c. 41.
17.SCARPETTA Antonio di anni 60 morì il 13 maggio a Verona (Ospedale S. Croce di Misericordia) “per ferita”. Ricoverato l’11 maggio. US, 88, c. 41.
18.LORENZETTI Simone di anni 15 morì il 14 maggio a Verona (Ospedale di S. Croce di Misericordia) “per archibujata”. Ricoverato il 19 aprile. US, 88, c. 42.
19.MARCOLINI Santa moglie di Bortolo di ani 40 il 14 maggio a S. Michele. US, 308, c. 284.
20.MAGAGNOTTO Giacomo di anni 24 morì il 15 maggio a Verona (Ospedale di S. Croce di Misericordia) “per ferita”; ricoverato il 15 aprile. US, 88, c. 42.
21.EMILEI Conte Francesco di anni 45, Provveditore di Comun a Verona, il 16 maggio a Verona (S. Trinità). US, 88, c. 42; AP.5

5 Tra i processati e fucilati alla destra di Porta Nuova.

22.MALENZA Giambattista di anni 30, del controspionaggio veneto, il 16 maggio a Verona (S. Trinità). US, 88, c. 42. AP.6
23.RIZZOTTO Giambattista di anni 47 morì il 16 maggio a Monteforte “per fiera convulsione causata da una ferita in giorni 25”; US, 308, c. 301.
24.VERITÀ CONTE Augusto di anni 45, il 16 maggio a Verona (S. Trinità). US, 88, c. 42. AP.7
25.BRASI Giambattista di anni 31 morì il 22 maggio a Verona (Ospedale S. Croce di Misericordia) “per ferita”; ricoverato il 30 aprile. US, 88, c. 44.

GIUGNO 1797

1. BIANCHI Agostino di anni 43, oste, l’8 giugno a Verona (S. Trinità). US, 88, c. 49.8
2. FRANGINI Padre Luigi Maria di anni 72 l’8 giugno a Verona (S. Trinità). US, 88, c. 49.9
3. PROCOSKI Giacomo soldato della Compagnia Cap.o M. Antiveri di anni 25 l’8 giugno a Verona (Ospedale militare S. Croce di Cittadella). US, 88, c. 49.
4. BREONI Francesco di anni 50 morì l’11 giugno a Verona (S. Giorgio Extra) “per ferita in un ginocchio in giorni 52”. US, 88, c. 50.
5. GUGOLE Valentino di anni 40 morì l’11 giugno a Verona (Ospedale di S. Croce di Misericordia) “ferito di sciabla il 5 maggio”. US, 88, c. 50.
6. AVANZI Francesco di anni 40 morì il 15 giugno a Verona (S. Giorgio Extra) “per ferita in giorni 54”. US, 88, c. 51.
7. LANZETTA Stefano di anni 39, parrucchiere, il 18 giugno a Verona (SS. Trinità). US, 88, c. 52.10
8. POMARO Andrea di anni 42, cavapietre in Avesa, il 18 giugno a Verona (SS. Trinità). US, 88, c. 52.11
9. SAURO Pietro di anni 45, calzettaio, il 18 giugno a Verona (SS. Trinità). US, 88, c. 52.12

6 Tra i processati e fucilati alla destra di Porta Nuova.
7 Tra i processati e fucilati alla destra di Porta Nuova.
8 Tra i processati e fucilati alla destra di Porta Nuova.
9 Tra i processati e fucilati alla destra di Porta Nuova.
10 Tra i processati e fucilati alla destra di Porta Nuova.
11 Tra i processati e fucilati alla destra di Porta Nuova.
12 Tra i processati e fucilati alla destra di Porta Nuova.

LUGLIO 1797

1. DEL POLO Giovanni Maria di anni 24 morì il 1° luglio a Verona (Ospedale di S. Croce di Misericordia) “per ferita nel piede sinistro”. Ricoverato il 13 giugno. US, 88, c. 55.
2. CANELLA Francesco di anni 23 morì il 6 luglio a Verona (Ospedale di S. Croce di Misericordia) “per ferita in un ginocchio”. Ricoverato il 3 giugno. US, 88, c. 56.
3. PUSCHIAVO Giovanni Maria di anni 18 morì il 15 luglio a Verona (S. Maria in Organo) “per ferita a mitraglia in mesi due”. US, 88, c. 59.
4. MAGGI Luigi di a. 32 il 22 luglio morì a S. Ambrogio “da una archibujata”, US, 308, c. 18.

AGOSTO 1797

1. BOCCA Domenico di anni 34 morì l’8 agosto a Monteforte “per varie ferite”; US, 308, c. 302.
2. ANSELMI Giuseppe di anni 26 il 9 agosto a Monteforte morì “per varie ferite d’un pugnale”; US, 308, c. 302.
3. ZORNERI Giovanni morì il 29 agosto “per archibuggiata” abitante in Sabbio a Puegnago; AP, RM 1787-1822, c. 123

NOVEMBRE 1797

1. FERRARESE Carlo di anni 18, nativo di Cerea, condannato a morte per aver assassinato un ufficiale francese e sua moglie il 15 novembre 1797. SHAT, n. 4747.
2. MOSCADEI Pietro di anni 23, nativo di Preseglie (Bs), condannato a morte per aver assassinato un ufficiale francese e sua moglie il 15 novembre 1797. SHAT, n. 4747.

DICEMBRE 1797

1. DIOSISI Donato di anni 58 morì il 9 dicembre a Verona (S. Felicita) “per contusione riportata nel capo da colpo di bomba in mesi 8”, cioè era stato ferito in aprile. US, reg. 88, c. 107.
2. SAVELLI Sante di anni 24 di Pescantina il 18 dicembre morì a S. Floriano “ferito d’archibujata”, US, 308, c. 200.
3. TOMMASINI Luca di anni 25 “morì ucciso da varie archibugiate” il 25 dicembre a Ponton. US, 308, c. 389.

ANNO 1798

1. MARCHI Giacomo, detto Caparetto o Cajaretto, soldato veneziano originario di Colognola ai Colli, morto durante la prigionia in Francia13.
2. MARINI Lorenzo il 31 maggio 1798 a Innsbruck: “Laurentius filius Baptistae Marini miles Reip. Venetae in Veronensi revolutione a Gallis captus in Galliam mittitur, pace cum Imperatore Francisco II composita, a Gallia reduse (sic) Ceriponsis (?) (Inpruck) in morbum cecidit, ac Sacramentis munitus ibi obiit ac sepultus fuit, ut constat ex authentica fide ad me Franciscum Zovetti Archip. transmissa” [Lorenzo, figlio di Battista Marini, soldato della Veneta Repubblica, catturato dai francesi durante la sollevazione di Verona, è deportato in Francia. Intervenuta la pace con l’Imperatore Francesco II e ridottosi dalla Francia a Innsbruck, cadde malato e, assistito dai Sacramenti, ivi morì e fu sepolto, come consta da sicura attestazione trasmessa a me, Francesco Zovetti Arciprete]. Registro dei morti 1769-1815 Archivio della Chiesa parrocchiale di Caldiero, sub littera ‘L’.

A queste vittime dell’occupazione francese, delle quali è in gran parte possibile offrire nome, cognome, età, luogo, data e causa di morte (perché espressamente indicati nelle fonti) sono da aggiungere i circa 30 soldati veneziani caduti il giorno 13 aprile 1797 nello scontro di Desenzano e i più di cento il 20 aprile alla Croce Bianca, di cui però non è nota l’esatta identità, nonché i militari morti durante la prigionia in Francia, che i cronisti contemporanei calcolano all’incirca in 1500-1700.

13 F. Vecchiato, La voce dei contemporanei. Gli sconvolgimenti rivoluzionari e napoleonici nelle cronache veronesi. Cronologia 1789-1799, in corso di stampa, p. 39.



LA SORTE DEI SOLDATI VENEZIANI DI STANZA A VERONA DOPO LA CAPITOLAZIONE DEL 25 APRILE 1797

Poco nota è la vicenda dei circa 2500-2700 soldati veneziani di stanza a Verona, alcuni dei quali parteciparono con il popolo agli eventi delle Pasque del 1797, dopo la capitolazione della città il 25 aprile 1797.
Il De Medici, ad esempio, in data 26 aprile 1797 scrive:
Tutta la truppa veneta co’ suoi ufficiali, che si trovò rinchiusa tra le mura [di Verona], e circondata dalle truppe francesi nel territorio, fu obbligata a rendersi prigioniera, ed in n° di 2500 fu condotta a piedi nell’interno della Francia.
Gli strapazzi che soffersero massime a Brescia da que’ sedicenti Patriotti furono incredibili”14.
L’anonimo filogiacobino della Storia giornaliera al riguardo aggiunge in data 20 maggio 1797:
Vennero 27 Ufficiali ex Veneti rilasciati dal Castello di Milano. La truppa fu mandata nell’interno della Francia, per qual oggetto non si sa. Nel viaggio che dovettero fare a piedi, tanto la truppa, non prima avvezza, quanto gli Ufficiali, furono trattati assai male. Un pezzo di lardo, con un tozzo di negro pane, erano i cibi, e l’acqua la bevanda. Allor ch’entrarono in Brescia furono a peggior passo. Que’ Cittadini li trattarono da traditori ed assassini, e se non ci fosse stato il distaccamento francese che li scortava, avrebbero ammazzati gli Uffiziali. Il fanatismo in quella città è al suo colmo. Qual delitto aveano mai quelli d’essere maltrattati colle parole e minacciati della vita? Perché aveano impedita la rivolta, che il suo Principe le aveva comandata?”15.
Al 27 luglio un altro anonimo, l’autore degli Avvenimenti successi in Verona negli anni 1797 e 1798, scrive:
Per ordine del Gen. Bonaparte la Nazion [veronese] deve por in piedi 500 uomini di truppa Nazionale e moltiplicar quella volontaria denominata sedentaria”. Benedetto del Bene, che ha lasciato delle postille a commento di quel manoscritto, ricorda che il comandante francese di Verona, Gen. Verdier, aveva promesso dei sufficienti aiuti per attuare quel provvedimento, e cioè, come scrive Del Bene, testimone auricolare, oltre ad un’assegnazione di terre sottratte all’Ordine di Malta,

14 De Medici G., Vicende sofferte dalla provincia veronese sul finire del secolo XVIII e nel cominciamento del XIX, 2 voll., ms. 1360, B.C.Vr., c. 287.
15 Storia giornaliera di quanto successe in Verona dal 17 aprile 1797 seconda festa di Pasqua fino al 20 settenbre dell’anno stesso, ms. 849, B.C.Vr, cc. 37- 38.

“... il ritorno, che si effettuò nove mesi dopo, [cioè nell’aprile 1798, con l’attuazione degli articoli di Pace di Campoformio] dei soldati della guarnigion di Verona, che in numero di circa 2700 condotti via prigionieri dai Francesi, tornarono in men di mille, essendo morti gli altri tutti per disagio, dalle fatiche, e non pochi barbaramente uccisi a fucile quando per la stanchezza non potevano più camminare, come fu raccontato senza diversità da quei che tornarono”16.
Tra i soldati della Serenissima deportati in Francia un certo numero dovette essere di veronesi. Sappiamo infatti che, presso la Parrocchia di Colognola ai Colli nell’Est veronese, il 1° ottobre 1798 fu celebrato un Officio solenne per l’anima di Giacomo Caparetto o forse Cajaretto “sive Marchi in Legionibus Venetis in Rebellione Veronensi sub potestate Gallorum captivo, de quo mortis praesumptio, de ordinatione nob. Domini Comitis Barth.ei de Caballis Commissarii” [o Marchi nell’esercito veneto durante la sollevazione di Verona, prigioniero dei francesi, della cui morte si presume, per ordine del nobile Signor Conte Bartolomeo dei Cavalli, commissario]. Dunque un anno e mezzo dopo le Pasque Veronesi la nobile famiglia Cavalli, che possiede una villa a Colognola, fa celebrare un solenne officio funebre per tale Giacomo, il cui cognome sembra Caparetto, o Cajaretto, cui segue l’espressione “sive Marchi”, forse il suo vero cognome, mentre il primo sarebbe un soprannome. Questo Giacomo Marchi allora, soprannominato Caparetto, o Cajaretto, faceva parte delle truppe veneziane catturate dai francesi dopo le Pasque, e sarebbe morto di stenti durante la lunga deportazione17.
Un’altra testimonianza di una simile sorte anche dall’Archivio Parrocchiale di Caldiero, Registro dei Morti 1769-1815, sotto la lettera ‘L’ infatti, alla data 31 maggio 1798, si legge:
Laurentius filius Baptista Marini miles Reip. Venetae in Veronensi Revolutione a gallis captus in Galliam mittitur, pace cum Imperatore Francisco II composita, e Gallia reduse Ceriponsis [sic] (Inpruck) in morbum incidit, ac Sacramentis munitus ibi obiit ac sepultus fuit, ut constat ex authentica fide ad me Franciscum Zovetti Archip. transmissa” [Lorenzo, figlio di Battista Marini, soldato della Veneta Repubblica, catturato dai francesi durante la sollevazione di Verona, è deportato in Francia. Intervenuta la pace con l’Imperatore Francesco II e ridottosi dalla Francia a Innsbruck, cadde malato e, assistito dai Sacramenti, ivi morì e fu sepolto, come consta da sicura attestazione trasmessa a me, Francesco Zovetti Arciprete].

16 Avvenimenti successi in Verona negli anni 1797 e 1798, con postille di Benedetto Del Bene, a cura di G. Biadego, Verona, 1888, p. 38
17 Colognola ai Colli, Archivio Parrocchiale. Registri Sacrestia, busta n. 1, registro 3°. Cfr. anche F. Vecchiato, La voce dei contemporanei. Gli sconvolgimenti rivoluzionari e napoleonici nelle cronache veronesi. Cronologia 1789-1799, in corso di stampa, p. 39, cui si deve il ritrovamento del prezioso documento.


Totale Caduti 2.050