domenica 29 settembre 2019

IN CALABRIA DIPENDENTI PUBBLICI PIÙ PERICOLOSI DELLE COPPOLE




La denuncia del procuratore Gratteri. Il governatore Oliverio: è vero

I colletti bianchi sono diventati più pericolosi delle coppole. Per il procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri, «prima ancora della politica e della ’ndrangheta, il problema della Calabria sono i quadri della pubblica amministrazione». Dopo aver seguito gli ’ndranghetisti nelle boscaglie dell’Aspromonte durante la stagione dei sequestri di persona, ricostruito le rotte del narcotraffico fino al Sudamerica, ora il magistrato, che da quasi trent’anni vive sotto scorta, punta su chi siede sulle comode poltrone degli uffici appena inaugurati della Cittadella regionale. 

«Ci sono direttori generali - ha spiegato intervenendo a una manifestazione a Reggio Calabria - che da vent’anni sono nello stesso posto, e da incensurati gestiscono la cosa pubblica con metodo mafioso». Un centro di potere cresciuto sulle spalle di «una politica debole che non ha la forza e la preparazione tecnico-giuridica per affrontare il problema della gestione dei quadri. Per amministrare la cosa pubblica basterebbe un po’ di buon senso - ha detto ancora Gratteri - ma la parte procedurale dei meccanismi di appalto è governata da un centro di potere che è lì da sempre. Anche per questo quando mi hanno proposto di candidarmi ho detto di no».

A sedersi sulla scomoda poltrona di governatore della Calabria è invece Mario Oliverio. Dopo due anni da presidente non ha dubbi: «Sottoscrivo convintamente la valutazione del procuratore Gratteri». Quello della burocrazia è un problema «più che politico direi di democrazia». «Si avverte una pressione, una presenza che definirei un macigno, uno schema sempre uguale di burocrazia dominante. Sono dell’idea che questa struttura abbia avuto un peso tutt’altro che secondario nel ritardato processo di sviluppo della Calabria».

Negli uffici pare capitare di tutto, succede che le riunioni di giunta vengano registrate abusivamente e addirittura che dipartimenti regionali promuovano atti in senso opposto rispetto alle richieste del presidente e della sua giunta. «Segnali diversificati - spiega il governatore - ma che rendono l’idea di una burocrazia arrogante e autosufficiente sul piano del potere». Per rompere l’assedio si dovrebbe riorganizzare e ruotare i dirigenti da un settore all’altro, più facile a dirsi che a farsi: «È stato il mio impegno fin dall’inizio, ora siamo a un passo dal mettere in pratica una riforma epocale, ma abbiamo incontrato forti resistenze». Un aiuto potrebbe arrivare anche dai calabresi: «Cittadini e imprese devono denunciare comportamenti scorretti e soprusi, noi e la magistratura saremo al loro fianco».
Ma nei corridoi della Cittadella non si respira ottimismo. L’elefantiaca struttura regionale, con oltre mille dipendenti, pare aver anticorpi assai forti al rinnovamento. Qui i colletti bianchi resistono allo “spoil system” e ai cambiamenti politici. Una casta di intoccabili a cui nessuno vuol pestare i piedi. Proprio in questi giorni è stata pubblicata la manifestazione di interesse per il nuovo responsabile dell’anticorruzione che dovrebbe vigilare proprio sui dirigenti: domande pervenute nessuna.

Fonte: srs di Gaetano Mazzucca, da La Stampa del 10 luglio 2016



sabato 28 settembre 2019

ECCO COME LA MAFIA NIGERIANA STA CONQUISTANDO L’ITALIA.




Di Niva Mirakyan

Dopo ‘ndrangheta e camorra, ora a preoccupare le forze dell’ordine e la magistratura italiana è anche la mafia nigeriana, particolarmente attiva sul traffico di droga e sullo sfruttamento della prostituzione.

Si tratta della più potente organizzazione criminale africana presente in ottanta Paesi del mondo, anche a seguito dei flussi delle migrazioni. Essa è considerata una mafia, spesso più violente e più imprevedibile di quella palermitana. In Italia la mafia nigeriana, a volte nominata la “cosa nera”, controlla fette di territorio da Torino a Palermo e recluta i nuovi affiliati tra i migranti ribelli nei centri di accoglienza.

L’arrivo della criminalità straniera in un Paese ancora traumatizzato dalle sue guerre di mafia sta diventato per l’Italia un problema molto serio ma spesso e volentieri sottovalutato.

Italia è davvero in mano della mafia nigeriana? Com’è diversa dalle organizzazioni criminali tradizionali? Esiste un collegamento tra l’immigrazione irregolare e la “piovra nera”? Per parlare di questo nuovo fenomeno Sputnik Italia si è rivolto all’ Avvocato Marco Valerio Verni, zio di Pamela Mastropietro, giovane 18enne romana uccisa e fatta a pezzi a Macerata nel 2018. Lo scorso 29 marzo il suo assassino nigeriano Innocent Oseghale è stato condannato all’ergastolo con isolamento diurno per 18 mesi.

– Avvocato Verni, quali sono le vere origini di questo fenomeno? Esiste un parere abbastanza diffuso che la sua nascita è dovuta all'accoglienza “sfrenata” degli ultimi anni. Mafia nigeriana è arrivata in Italia con i barconi?
– Beh, che le organizzazioni criminali nigeriane si siano sviluppate e rafforzate in Italia, come nel resto d’Europa, anche attraverso lo sfruttamento dei flussi migratori è più che un parere: è una certezza. L’ultima relazione della Direzione Investigativa Antimafia relativa all’attività svolta nel semestre luglio-dicembre 2018, ad esempio, è molto chiara nel ribadire, in più passaggi del corposo focus dedicato proprio a questo fenomeno, lo stretto connubio tra immigrazione irregolare ed organizzazioni criminali di matrice straniera presenti in Italia, mafia nigeriana, appunto, in primis. Poi certo, i barconi non sono l’unico strumento, ben potendo essere utilizzati, ad esempio, anche gli aerei.

– Perché se ne parla così poco? A Suo avviso, è un tema sottovalutato?
– Al di là delle ovvie necessità investigative, che impongono anche una certa cautela mediatica, non si può negare che, di mafia nigeriana, si sia iniziato a parlare in maniera più importante solo dopo i tragici fatti di Macerata dello scorso 30 gennaio 2018, quando - lo vorrei ricordare - una ragazzina di 18 anni è stata violentata, uccisa con due coltellate e depezzata chirurgicamente, disarticolata, scuoiata, scarnificata, esanguata, asportata di tutti i suoi organi interni, lavata con la candeggina, messa in due trolley ed abbandonata sul ciglio della strada.
Prima, solo qualche articolo, di quando in quando. Ma il problema, oltre che di comunicazione, è anche giudiziario: se, sul campo, le nostre forze di Polizia sono state sempre attive nel combattere, per come potevano, il fenomeno, è la mentalità di alcuni magistrati che, per lungo tempo, ha contribuito - certamente in maniera involontaria - a che questo fenomeno trovasse scarso riconoscimento anche nelle aule di giustizia con imputazioni ad hoc e relative condanne. Un po’ quello che accadde con le mafie nostrane: si ricorderà, infatti, come già Falcone, Borsellino, Chinnici, Caponnetto e gli altri magistrati del pool che, nel 1986, portarono al primo grande maxi - processo contro Cosa Nostra, ebbero a rimproverare ai colleghi che li avevano preceduti proprio il fatto di non aver saputo (o voluto) leggere i vari episodi criminosi che avevano insanguinato la Sicilia nel loro quadro d’insieme, lasciando che, così facendo, la mafia potesse continuare a crescere indisturbata ed a ramificarsi nella società, a tutti i livelli.
Anche qui, solo da qualche tempo, si è iniziato a leggere il fenomeno in questione nel suo insieme, analizzando la delittuosità nigeriana non più per casi singoli ma in un quadro più complesso e complessivo, tenendo pure conto della conoscenza delle sue origini e delle sue proiezioni internazionali. E, finalmente, sono arrivati i primi importantissimi risultati.

– È ben noto che le organizzazioni criminali tradizionali hanno capacità di pervadere nei vari settori della società italiana. Come fanno i soldi gli esponenti della “piovra nera”?
– Principalmente, essi traggono importanti fonti di finanziamento dalla tratta di esseri umani e dalle attività ad essa conseguenti e collegate: ossia, dal traffico internazionale di sostanze stupefacenti (che poi, in Italia, si traduce anche nello spaccio al minuto) e dallo sfruttamento della prostituzione, pure minorile.
Si consideri, tra l’altro, che molte donne nigeriane - che, a ben vedere, sono le prime vittime di questi crimini - sono costrette, anche tramite le loro famiglie di origine, a contrarre dei debiti (parliamo di circa 30-50 mila euro) solo per poter venire in Italia, con la promessa di un lavoro che, presto, si rivela per quello che effettivamente è: ossia, l’attività di meretricio, appunto, attraverso la quale esse devono poi restituire le somme di cui sopra, cui, però, si aggiungono, durante la loro permanenza nel nostro Paese, le spese correnti (luce, acqua, gas, casa dove dormire, etc.) e, addirittura, una sorta di tassa da pagare alle loro protettrici (ognuna di esse viene chiamata madame o maman) per lo stesso spazio (che teoricamente dovrebbe essere pubblico) che esse occupano per svolgere l’attività di prostituzione. Un meccanismo che, sostanzialmente, non permette più loro di tornare libere: una sorta, insomma, di “schiavitù da debito” (debt bondage), condannata, peraltro, dalle stesse Nazioni Unite.
Ed a cui, spesse volte, sono costrette a sottostare, per il pericolo di morte o, comunque, di gravi danni che, diversamente, incomberebbe su di loro o sui loro familiari in Nigeria.
Senza considerare i riti ju-ju cui esse sono sottoposte e che le tengono assoggettate psicologicamente in una maniera molto profonda, sfruttando tanto, queste organizzazioni, anche gli aspetti magici e fideistici.
Ma poi vi sono anche altre attività illecite, tra cui il gioco d’azzardo, la clonazione di carte di credito, l’accattonaggio.

– Che strada prende dopo il denaro sporco?
– Generalmente, il denaro sporco derivante da queste attività viene poi reinvestito per assicurarsi altra manovalanza (tra cui, le stesse donne da avviare alla prostituzione di cui sopra), per aprire attività economiche di copertura (negozi etnici in particolare), per acquistare altro stupefacente o per inviare delle quote (fees) alla casa madre, in Nigeria (tramite i comuni money-transfer o il sistema “hawala”), destinate anche per favorire il sostentamento dei familiari degli affiliati colà residenti.

– Quanto è potente la mafia nigeriana in Italia? Copre tutto il territorio e ci sono le zone più colpite?
– La mafia nigeriana è, ormai, una delle più potenti e pericolose in Italia. È diffusa su tutto il territorio, isole comprese, e vede il suo epicentro a Castel Volturno, in provincia di Caserta, che è un importante snodo di smistamento di persone e sostanze stupefacenti.
Non è un caso – ribadisco - che nella relazione della Direzione Investigativa Antimafia sopra ricordato, si sia deciso di dedicare ad essa o, meglio, per essere tecnicamente corretti, alle organizzazioni criminali nigeriane, un ampio focus.

– Quali sono i gruppi più attivi? È come è organizzata la loro struttura gerarchica?
– I gruppi decisamente più attivi, in Italia, sono la “Supreme Eye Confraternity”, i “Black Axe”, i “Maphite” ed i “Vikings”.
Di base, questi cults operano secondo vere e proprie strutture militari, con dei capi e, via a scendere, come in una vera e propria struttura gerarchica piramidale, gli affiliati, suddivisi per ranghi cui corrispondono precise responsabilità di comando e di operatività.
I gruppi nazionali (ossia, quelli presenti in Italia, in Spagna, in Francia, in Germania e via dicendo) hanno naturalmente un filo diretto con quelli presenti in Nigeria, cui devolvono periodicamente importanti somme di denaro, tramite diversi sistemi di pagamento, ma ne mantengono una sostanziale indipendenza operativa.
Si entra a far parte di essi o per scelta o, spesso, anche perché costretti, dopo aver, naturalmente, superato un durissimo rituale di affiliazione che ricomprende, con qualche differente sfumatura a seconda del cult a cui si aderisce, calci, pugni, sevizie e torture fisiche e psicologiche di vario genere.
Ognuno di essi ha delle regole molto rigide, fondate sul vincolo associativo, sull’omertà da essa derivante, sul timore infuso nelle vittime. Chi tradisce o, magari, non ottempera ad un pagamento, subisce gravi conseguenze, fino alla morte.
Il recente sequestro della “Green Bible” (Bibbia Verde) - un vero e proprio manuale operativo dei Maphite - ad esempio, avvenuto a Roma, ha permesso di svelare importanti informazioni sul modus operandi et cogendi che, per grandi parti, possono essere estese anche agli altri cults, sebbene ciascuno - è bene ribadirlo - abbia poi delle sue peculiarità.

SECONDA  PARTE DELL'INTERVISTA.

Dopo ‘ndrangheta e camorra, ora a preoccupare le forze dell’ordine e la magistratura italiana è anche la mafia nigeriana, particolarmente attiva sul traffico di droga e sullo sfruttamento della prostituzione. 
Per parlare di questo nuovo fenomeno Sputnik Italia si è rivolto all’ Avvocato Marco Valerio Verni, zio di Pamela Mastropietro, giovane 18enne romana uccisa e fatta a pezzi a Macerata nel 2018.

– Secondo i giornali, la mafia nigeriana ha preso piede nel sud dell’Italia a fianco della mafia siciliana. Ci sono prove di “alleanza” tra queste organizzazioni criminali?
– Si, e le cito due esempi tra tutti: la già ricordata area di Castel Volturno, che può essere sicuramente considerata, da almeno trent’anni, proprio l’espressione della coesistenza tra gruppi camorristici (clan dei Casalesi) e criminalità nigeriana, e Palermo, che pure ha rivelato una coesistenza tra matrici mafiose autoctone e nigeriane, ammantata da un velo di “tolleranza”.
Non è da escludere, peraltro, che vi possano essere, in taluni casi, dei veri e propri subappalti di attività illecite da parte delle organizzazioni nostrane nei confronti di quelle nigeriane, legate soprattutto a quelle più prettamente “da strada”, quali spaccio di sostanze stupefacenti e sfruttamento della prostituzione, appunto.
Così come, non è da dimenticare che la criminalità nigeriana, non di rado, si sia avvalsa di quella comune italiana, impiegata come manovalanza con il compito di tagliare e spacciare al minuto la droga importata dall’estero, oppure come corrieri nell’ambito dei territori cittadini.

– Esiste un collegamento diretto tra immigrazione irregolare e mafia nigeriana? Potrebbe citare qualche esempio concreto?
– Come ricordavo prima, proprio la Direzione Investigativa Antimafia, nel report summenzionato, ha sottolineato, in più passaggi, ed in maniera chiara, netta, ed inequivocabile, lo stretto connubio tra immigrazione irregolare e presenza, sul nostro territorio, di organizzazioni criminali straniere, mafia nigeriana in primis.
Ora, ribadisco ancora una volta: non tutti i nigeriani sono malavitosi, ma vi sono dei dati che devono far riflettere. In primis - come pure richiamato nella più volte citata relazione- quello secondo cui, tra le principali nazionalità non comunitarie, proprio quella nigeriana riporta il più basso tasso di occupazione (il 45,1% a fronte del 59,1% dei non comunitari) ed il più alto tasso di disoccupazione, (il 34,2%, a fronte di una media del 14,9% dei non comunitari); in secundis, quello riguardante le rimesse di denaro dall’Italia verso la Nigeria avvenute nel 2018, nelle quali oltre alla quota, certamente preponderante, di natura lecita, che attesta l’operosità della comunità nigeriana, si celano sicuramente anche i proventi di attività illegali (lo scorso anno, per venire ai dati concreti, le rimesse, pari a 74,79 milioni di euro, sono risultate il doppio di quelle del 2016).
Inoltre, è altresì acclarato che la criminalità nigeriana si sia sviluppata, al di fuori della madrepatria, sfruttando i flussi migratori, attraverso i quali abbia dato vita ad una intensa attività di traffico di esseri umani (che, vorrei ricordarlo, è un crimine), di sfruttamento della prostituzione e di spaccio di sostanze stupefacenti (ma non solo), secondo precise e capillari reti criminali transnazionali.

– Vorrei parlare con Lei del tristemente noto caso di Pamela Mastropietro che è direttamente legato all’attività criminale della mafia nigeriana in Italia e nel quale Lei è “coinvolto” non solo come l’Avvocato della famiglia ma anche come zio della vittima. Quali sono gli ultimi sviluppi?
– Guardi, anche qui, come già detto in diverse altre circostanze, ci sono tanti indizi, nel fascicolo riguardante le indagini sull’omicidio di Pamela, ma non solo, che lasciano pensare che chi la abbia uccisa ne possa far parte. E non solo lui.
Vi sono, in particolare, delle dichiarazioni, confermate in dibattimento, di un collaboratore di giustizia, ritenuto attendibile da parte della Procura di Macerata (e da diverse altre), secondo cui lo stesso Oseghale (colui che, lo scorso 29 maggio, è stato condannato all’ergastolo con isolamento diurno per 18 mesi, per l’omicidio aggravato di Pamela Mastropietro) avrebbe riferito di far parte di questa organizzazione, presente anche a Macerata e nelle Marche, considerate, queste ultime, un importante crocevia tra il Veneto (Padova, in particolare) e la più volte ricordata Castel Volturno.
Inoltre, il nigeriano in questione, sembra avere dei segni, sul corpo, che dimostrerebbero la sua affiliazione a tale sodalizio criminale. Anche Lucky Desmond, un altro nigeriano inizialmente co-indagato con Oseghale, per il quale pende il giudizio sull’eventuale archiviazione, afferma di essere stato un “rogged”: ebbene, traendo spunto da altri atti di indagine, riguardante i processi celebrati a Palermo, proprio contro la mafia nigeriana, emerge che questo termine viene usato proprio nei rituali di affiliazione alla stessa, e che si viene dichiarati tali (“rogged”, appunto), dopo aver superato tutti gli step delle dolorose pratiche (calci, pugni, sevizie di ogni tipo, misture di sangue e di sudore che si è costretti a bere, e via dicendo).
O, ancora, delle intercettazioni ambientali in carcere, captate proprio tra Lucky Desmond ed un altro ancora iniziale co-indagato, Lucky Awelima, in cui i due hanno detto le cose peggiori: ossia che Oseghale (che già aveva ridotto in quel modo altre donne e che era uno dei “capi”) avrebbe potuto tagliare a pezzi Pamela e metterla nel congelatore, mangiarla poco per volta, farci il brodo. O, magari, gettarla nel mare, ad Ancona, dove il suo corpo, così, non si sarebbe mai potuto ritrovare. O altro ancora.
Affermazioni, quelle di cui sopra, che, con atteggiamento altrettanto omertoso, sono state, nonostante la loro oggettività, negate in dibattimento dai diretti interessati: altro elemento che, forse, dovrebbe, o avrebbe dovuto far riflettere meglio chi di dovere.
Proprio sul cellulare di Awelima, inoltre, sono state trovate delle fotografie raffiguranti persone torturate, la maggior parte delle quali, con molta probabilità, scattate direttamente da quell’apparecchio.
Ancora, vorrei altresì ricordare che, già all’indomani dei tragici fatti, lo stesso Procuratore di Macerata, Giovanni Giorgio, ebbe a denunciare pubblicamente il fatto che l’interprete nigeriana inizialmente incaricata di tradurre gli atti, spaventata, aveva abbandonato l’incarico, rendendosi addirittura irreperibile.
A quanto pare, il magistrato in questione ebbe anche difficoltà, successivamente, a trovarne altri, disposti a prestare la loro collaborazione, perché tutti impauriti dalle minacce che avrebbero potuto subire personalmente o, addirittura, con riferimento ai loro familiari in Nigeria. Circostanza, questa, che, a quanto sembra, sarebbe accaduta anche a Palermo, nei processi colà svoltisi di recente.
Ritengo che certi atti si sarebbero dovuti inviare, già da tempo, alla Direzione Distrettuale Antimafia competente. Comprendere se i tre soggetti a vario titolo coinvolti (Innocent Oseghale, Lucky Desmond e Lucky Awelima) facciano parte, come probabile, di una organizzazione di tipo mafioso, potrebbe fornire tante delucidazioni anche sull’omicidio di Pamela.
Peraltro, la stessa magistratura nigeriana, con cui vi è una stretta collaborazione da parte della nostra, potrebbe aver interesse nel comprendere ed approfondire certi dati, dal momento che, nello Stato africano in questione, la creazione o la partecipazione ai secret cults costituisce, dal 2001, un vero e proprio “reato costituzionale”, a seguito dell’emanazione, in quell’anno, del “Secret cult and Security Society Prohibition Bill”. E se Desmond, allora, come dice lui stesso, fosse davvero diventato un “rogged” in Nigeria?
Ci sarebbe tanto altro da dire, ma non so quanto spazio e quanto tempo ci vorrebbero.

– Secondo la Dia, la “mafia nera” sta diventando sempre più pericolosa e sempre più potente in Italia. Potrebbe proporre qualche rimedio per contrastare questo nuovo microcosmo criminale?
– Parto da un punto: la grande esperienza che i nostri investigatori hanno maturato e consolidato nel tempo per comprendere ed affrontare la ‘ndrangheta e le altre mafie storiche autoctone, che costituisce ormai un know-how investigativo di eccellenza e particolarmente competitivo a livello internazionale, che ben può essere traslato ed utilizzato - come pure si sta facendo - per affrontare quest’altra realtà che, per tantissimi versi, è simile alle prime. Poi certo: è innegabile che ci siano delle difficoltà specifiche, tra cui quella legata, spesse volte, alla traduzione di dialetti incomprensibili, con un inevitabile rallentamento delle indagini, o quella di inserire agenti sotto copertura, per ovvie differenze di colore della pelle.
Ma, per altri versi, ci sono anche importanti strumenti legislativi che, al di là di quelli da affinare e da ritagliare su misura, laddove necessario, per questa specifica realtà, già hanno dimostrato la loro efficacia: mi riferisco, in particolare, a quello dei collaboratori. In alcuni processi, come ad esempio quello di Palermo, grande importanza hanno avuto proprio le rivelazioni di alcune donne, vittime di tratta e di prostituzione che, con coraggio, hanno deciso di denunciare i loro aguzzini, permettendo che la nostra magistratura potesse, tramite anche le attività tecniche di Polizia, disvelare e condannare pericolosi sodalizi criminali di tipo mafioso.
Anzi, mi sia consentito approfittare di questa opportunità, per lanciare un messaggio a tutte le vittime di questa organizzazione (e non solo): fidatevi delle nostre Forze di Polizia e denunciate. Esiste, in particolare, lo strumento di cui all’art. 18 del Decreto Legislativo n. 286/1998 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) che consente alle donne vittime di tratta di poter ottenere un permesso di soggiorno per motivi umanitari.
Perché, come già ho detto, le prime vittime, spesso, sono le donne nigeriane. Oltre, poi, ai ragazzi - i nostri figli, nipoti, etc.- che finiscono prede degli spacciatori.
Insieme, è una battaglia che si può e si deve vincere, per quanto ciò possa sembrare complicato. Ma occorre scansare le ipocrisie. Perché, diversamente, si rischierebbe di diventare complici degli stessi mafiosi nigeriani!

Fonte: srs di Niva Miraky, da Sputinik del 25-26 settembre 2019



venerdì 20 settembre 2019

ROTHBARD LO DISSE CHIARO: IL REDDITO GARANTITO AFFONDA LA LIBERTÀ





Nel 1999 lessi per la prima volta “Per una nuova libertà” di Murray Rothbard.Una lettura che ancora oggi ritengo fondamentale, non solo per il libro in sé, quanto per la scoperta del suo autore, vero e proprio punto di riferimento per qualunque libertario.

Vent’anni dopo lo sto rileggendo,trovandolo sempre attuale nonostante sia stato scritto negli anni Settanta.

Per esempio, con l’inizio di settembre, oltre 704mila beneficiari del reddito di cittadinanzafirmatari del “Patto per il lavoro” cominceranno a essere convocati dai Centri per l’impiego per trovare un lavoro e per i “navigator” partirà, secondo Anpal Servizi, il training on the job “proprio per fornire assistenza tecnica ai Centri per l’impiego nell’ambito del Patto per il lavoro”. 

Ecco come commenta Rothbard un provvedimento abbastanza simileal reddito di cittadinanza introdotto ai tempi di Nixon.

      Una struttura per la sicurezza sociale in continua espansione fu semplicemente sovrapposta ai programmi già esistenti. Nella pratica, alla fine, la promessa fatta dal presidente Nixon ai conservatori che i beneficiari dei nuovi sussidi giudicati fisicamente abili sarebbero stati costretti a lavorare si rivelò un autentico inganno. Avrebbero dovuto, per prima cosa, trovare un lavoro “adatto”, e gli uffici di collocamento che assistono i disoccupati sanno, per esperienza, che una tale occupazione “adatta” non viene quasi mai trovata. I diversi programmi per un reddito annuo garantito non sono affatto una vera alternativa ai mali universalmente riconosciuti del sistema di assistenza sociale; ci farebbero solamente affondare ancor di più nel mare di questi mali: l’unica soluzione possibile è quella libertaria: l’abolizione del sussidio assistenziale a favore della libertà e dell’azione volontaria di tutti gli individui, siano essi ricchi o poveri”.

Se non ci fosse il riferimento a Nixonsembrerebbe scritto per il reddito di cittadinanza…

Fonte: srs di  Matteo Corsini, da miglioverde del settembre 2019

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mercoledì 18 settembre 2019

LA POLITICA NON È UN’AZIENDA, È UN’ATTIVITÀ CRIMINALE




 Il fatto che gli attuali politici non abbiano mai combinato nulla di concreto in vita loro non è, a mio parere, un segno di inadeguatezza. 
Se essi, per assurdo, si ritrovassero a dirigere un’azienda, per quanto microscopica, il fatto che non hanno mai combinato nulla di concreto in vita loro potrebbe essere un segno di inadeguatezza (dico “potrebbe” perché c’è una prima volta per ogni imprenditore).

La politica tuttavia non è un’azienda. È l’opposto di un’azienda,per ovvi motivi (un’azienda può creare valore; la politica può solo distruggerlo; un’azienda per esistere deve convincere; la politica per esistere deve imporre e aggredire; ecc.).

Nel momento in cui si vede l’inadeguatezza del politico nel suo non aver mai combinato nulla di concreto in vita sua si scivola nella stessa mentalità dei collettivisti.Questi infatti, essendo incapaci di concepire l’ordine spontaneo, vedono la società come un ordine positivo e quindi giudicano l’adeguatezza di chi la ‘governa’ in base agli stessi parametri usati per giudicare l’adeguatezza di chi dirige un’azienda. 


No. È un fatto oggettivo che la politica in sé è un’attività criminale, mafiosa per l’esattezza.
E se i politici sono dei criminali, ne consegue che non ha alcun senso giudicare la loro adeguatezza in base agli stessi standard usati per chi deve gestire un’azienda che per esistere deve farlo nel libero mercato. Chi, perché ha avuto un grande successo come imprenditore, passa alla politica, lo fa spesso in buona fede, cioè perché non conosce le basi della scienza economica e di quella della libertà.

Una persona che avesse un minimo di familiarità con queste scienze potrebbe entrare in politica per un solo scopo: quello di fare quanto in suo potere per distruggerla. 
Bitcoin tuttavia è il riscontro empiricodel fatto che la strategia migliore per distruggere la politica non è farlo dall’interno, ma creare alternative resistenti alla censura all’esterno.

Fonte: srs di Giovanni Brindelli, da Miglio Verde del settembre 2019


martedì 17 settembre 2019

LA SINISTRA È UNA CUPOLA



Di Marcello Veneziani


La sinistra è un’associazione di stampo mafioso che detiene stabilmente il potere e lo esercita forzando la sovranità popolare, la realtà della vita e gli interessi della gente. Usa metodi mafiosi per eliminare con la rituale accusa di nazifascismo (o in subordine di corruzione) chiunque si opponga al suo potere. Si costituisce in cupola per decidere la spartizione del potere ed eliminare gli avversari, tutti regolarmente ricondotti a Male Assoluto da sradicare e da affidare alle patrie galere o alla gogna del pubblico disprezzo.

Si serve delle camorre mediatico-giudiziarie e intellettuali per imporre i suoi codici ideologici per far saltare i verdetti elettorali, per forzare il sentire comune e il senso della realtà, per cancellare e togliere di mezzo chi la pensa in modo differente. E si accorda con altri poteri tecnocratici e finanziari, per garantirsi sostegni e accessi in cambio di servitù e cedimenti: Mafia & Capitale. Metodi incruenti, ma di stampo mafioso, e tramite forme paradossali: perché calpesta la democrazia e si definisce democratica, viola le leggi, perfino la Costituzione – sulla tutela della famiglia, sulla difesa dei confini, sul rispetto del popolo sovrano – ma nel nome della legalità e della Costituzione.

Su Panorama di questa settimana ho ricordato che giusto mezzo secolo fa un grande polemista e scrittore come Panfilo Gentile pubblicava un libro che ha descritto la parabola della democrazia italiana dalla partitocrazia alla mafia politica. S’intitolava Democrazie mafiose. Il notabilato del nostro tempo, di stampo mafioso, ha un chiaro imprinting radical-progressista, più una spruzzatina liberal, tecno-europea. Prima di lui Antonio Gramsci notava che quando una classe politica perde il consenso non è più dirigente ma dominante. E aggiungeva che era in atto “una rottura così grave tra masse popolari e ideologie dominanti”. Parlava del suo tempo, ma descriveva il nostro; gli attori di oggi sono mutati perché le ideologie dominanti oggi sono quelle eurosinistresi che hanno ripreso il potere in Italia pur essendo sconfitti dal voto, servendosi del camaleontismo dei grillini, che come alcune specie animali mutano pelle per salvarla. 
Spettacolare è stata la circonvenzione d’incapace intentata dai grillini per dare l’impressione di un’investitura della base al governo con la sinistra, una legittimazione di democrazia diretta, col surreale referendum della piattaforma Rousseau. A me ha ricordato un settembre di 220 anni fa, quando i giacobini nel 1799 intimarono all’arcivescovo di Napoli di fingere che San Gennaro avesse fatto il miracolo, il sangue si era sciolto, e dunque era favorevole alla Repubblica Napoletana, nata all’ombra dello Straniero, l’esercito francese repubblicano. Loro, i giacobini franco-napolitani, i nemici atei e “illuminati” della devozione superstiziosa, la usarono nel modo più cinico, più becero e blasfemo per ingannare la gente. Era la piattaforma San Gennaro…

Voi direte, dai, ma associazione di stampo mafioso è un po’ eccessivo. Ma si tratta di fronteggiare in modo adeguato la violenza ideologica e propagandistica della sinistra e rispondere sul loro stesso terreno, col loro stesso lessico. Da una parte sapete che abuso disinvolto di etichette mafiose è stato fatto verso chiunque si opponga alla sinistra e ai loro compagni; ogni associazione anche semplicemente di truffatori o di arrivisti è diventata poi associazione di stampo mafioso; per chi non era proprio dentro alla cosca, s’inventò la formula curiosa di “concorso esterno” all’associazione mafiosa.

Dall’altra parte pensiamo a cosa viene detto e scritto in modo martellante contro chi difende la sovranità nazionale e i suoi confini, la civiltà cristiana, la famiglia naturale: è trattato alla stregua di nipotino di Hitler, di nazista, di razzista. Accuse criminali, ma da parte di chi le rivolge, a vanvera, stabilendo un nesso infame e automatico tra amor patrio e xenofobia, difesa della civiltà e razzismo, amore della famiglia e omofobia. Ma perché chi ritiene prioritari quei principi, chi ha una visione diversa del mondo, per giunta in sintonia con la tradizione, col sentire comune e con la grande cultura che è alle nostre radici, e magari preferisce sul piano politico chi, seppure in modo grossolano, li difende o dice di farlo, dev’essere trattato in quel modo infame, silenziato e oltraggiato e non deve potersi difendere? Se dovessi compilare la lista delle infamie dovrei raccontare tanti episodi di intolleranza, di aggressione verbale, di disprezzo, di censura; ma non amo il vittimismo.

C’è un uso mascalzone dell’antifascismo che serve per isolare e interdire il nemico e poi nel nome della democrazia in pericolo per l’incombente minaccia della Bestia Nera, sono consentite le alleanze più ibride, senza limiti, da Grillo a Berlusconi, i patti più loschi e persino i golpe bianchi più indecenti.

Per questo è giusto alzare il tiro e accusare la sinistra tornata ancora una volta al governo senza passare dalle urne, di essere un’associazione di stampo mafioso, di pensare e agire come una cupola, di calpestare la gente e gli avversari con l’arroganza e la presunzione di essere dalla parte del Giusto da ricordare i più fanatici regimi comunisti. 

A proposito. Il comunismo promise libertà e uguaglianza ma una volta al potere fu il sistema totalitario più sanguinario e repressivo che la storia abbia conosciuto; ora, mutati i tempi, si vende come garante della libertà, della legge e della democrazia ma si ripresenta come associazione di potere di stampo mafioso. Dal Soviet alla Cupola.
MV, La Verità 6 settembre 2019

Fonte: da Marcello Veneziani del 6 settembre 2019 




domenica 15 settembre 2019

MITILLA LA COZZA DI PELLESTRINA DAL "SAPORE DI MARE"



Il segreto è la produzione diradata, il mitile si nutre meglio e diventa più buono

Si chiama Mitilla e brilla tra la laguna e il mare. E’ la cozza di Pellestrina, pittoresca isola della laguna di Venezia che Pierpaolo Pasolini definì “selvaggia e arsa”... Una cozza – Mitilla - che nasce diversa perché è frutto di una selezione attenta, di sperimentazione e di passione.

E’ frutto della scommessa fatta da Lorenzo Busetto, erede di ben due generazioni di allevatori di mitili pellestrinotti. Busetto per ottenere questa qualità seleziona il seme, ‘dirada’ la produzione negli allevamenti a mare... in sostanza viene ridotto il numero di cozze appese ad ogni ‘grappolo’, così che ogni mitile possa godere al meglio il proprio habitat marino ed esprimere il massimo in termini di consistenza e sapore. Meno cozze ‘respirano’ meglio il mare… si ossigenano in modo più naturale ed equilibrato, assorbono dal movimento delle onde quell’energia che si traduce in una migliore consistenza e in un sapore più spiccato. Il palato lo coglie subito. La trattoria Laguna di Cristian Scarpa – uno dei locali più caratteristici di Pellestrina - declina il prodotto in più modi, dal cassopipa al sugo per gli spaghetti, al fritto (una piacevolissima novità), rispettando la tradizione schietta dell’isola.




La produzione è in aumento, tanto che la cozza Mitilla è già arrivata in Sicilia e in Spagna. La ristorazione locale - e non solo quella pellestrinotta – ci crede.  Busetto ha già in mente soluzioni anche per il periodo invernale, quando la cozza Mitilla non sarà coltivabile per alcune mesi. Reintrodurrà in mare cozze spagnole. “in 25 giorni – svela – lo scorso anno il prodotto d’origine cambiò totalmente, assorbendo gli umori del nostro mare. Il mercato ci premiò. Ripeteremo l’esperienza”. Mitilla, insomma, metterà anche il “cappotto” e sfiderà l’inverno, anche se avrà qualche connotato spagnolo. In attesa del ritorno di quella nostrana a primavera.


Fonte: srs di Renato Malaman, da la Repubblica del 29 agosto 2019

sabato 14 settembre 2019

INDICE ALFABETICO DELLE FAMIGLIE NOBILI ESISTENTI A VENEZIA ALLA CADUTA DELLA REPUBBLICA NEL 1797

Antonio Dal Zotto. Monumento al Doge Sebastiano Venier (1907). Chiesa dei Santi Giovanni e Paolo


Indice alfabetico delle famiglie nobili esistenti alla caduta della Repubblica nel 1797

  • Acquisti. Origine Bergamasca. Aggregata nel 1688. Estinta. 
  • Albrizzi. Origine Lombarda. Aggregata nel 1667. Due procuratori. Esiste. 
  • Angaran. Da Vicenza. Aggregata nel 1655: ebbe ultimamente senatori e quaranta. Esiste. 
  • Antelmi. Da Cremona. Fatta del maggior consiglio nel 1646. Estinta. 
  • Arnaldi. Da Vicenza. Ascritta al patriziato veneto nel 1685. Esiste. 
  • Avogadro. Da Brescia. Aggregata nel 1438 per le benemerenze di Pietro. Esiste. 
  •  
  • Badoer già Partecipazio. Coeva alla repubblica. Conta sette dogi come Partecipazio. Otto procuratori come Badoer, un cardinale e molti illustri soggetti. Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Esiste. 
  • Baglioni. Ascritta al Maggior Consiglio nel 1716. Esiste. 
  • Balbi. Credesi proveniente da colonia romana. Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Conta molti senatori, vescovi, ec. Esiste. 
  • Barbaran. Da Vicenza. Aggregata nel 1665. Estinta. 
  • Barbarigo. Dall’Istria. Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Ebbe due dogi, dieci procuratori di San Marco, quattro cardinali, un beato, e molti uomini celebri. Estinta.
  • Barbaro. Dicesi da Trieste. Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Diede uomini illustri in ogni ramo civile, militare, ecclesiastico. Ebbe cinque procuratori. Esiste. 
  • Barozzi. Da Padova. Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Uno fu procuratore di San Marco, e vari illustri si nella carriera ecclesiastica che nella civile. Esiste. 
  • Barzizza. Origine Bergamasca. Ascritta al Maggior Cnsiglio nel 1694. Esiste. 
  • Basadonna. Da Muggia. Tribunizia. Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Ebbe senatori ed elettori di dogi ed un cardinale. Estinta. 
  • Baseggio. Anticamente Mastelizia. Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Ebbe un procuratore di San Marco. Estinta. 
  • Battagia. Dal Milanese. Pierantonio, uomo segnalato, fu assunto al grado di nobile veneto nel 1500. Estinta.
  • Bembo. Bolognese di origine. Tribunizia. Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Ebbe un doge, tre procuratori di San Marco, oltre gran quantità di militari, senatori, quaranta, ec. Esiste. 
  • Bentivolgio. Principesca, e fra le illustri italiane. Giovanni fu ascritto alla nobiltà veneta nel 1488. Esiste.
  • Benzon. Eran due. Una di queste che esiste, venne da Crema, e fu ascritta fino dal 1407 al veneto patriziato. L’altra fu ascritta nel 1685, ed è estinta. 
  • Beregan. Da Vicenza. Aggregata nel 1649. Un Nicola fu letterato. Ebbe senatori ed altri distinti personaggi. Esiste.
  • Bernardo. Dalla Trevigiana. Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Conta quattro procuratori di San Marco, ed altri chiari senatori, ec. Esiste.
  • Boldù. Da Conegliano fino dal secolo nono. Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. E’ nota per cittadini benemeriti della patria. Esiste.
  • Bollani. Una delle più antiche. Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Ebbe un procuratore di San Marco, molti senatori, ambasciatori, ec. Esiste.
  • Bon. Altri da Roma, altri da Bologna. Certo è antichissima veneta. Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Due procuratori, molti senatori. Esiste. 
  • Bonfadini. Dal Tirolo. Aggregata nel 1648. Estinta.
  • Bonlini. Da Brescia. Aggregata nel 1667 e nel 1685. Annovera vari onorevoli magistrati e governatori di provincie. Esiste.
  • Borini. Nobile antica patavina. Aggregata alla veneta aristocrazia nel 1788. Esiste.
  • Bragadin. Da Veglia nei più antichi tempi. Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Ebbe otto procuratori, un cardinale ed altri distinti personaggi. Esiste.
  • Brandolin. Discende dalla casa di Brandeburgo. Aggregati nel 1686. Esiste.
  • Bressa. Da Treviso. Aggregata nel 1652. Ebbe un vescovo di Vicenza ed uno di Concordia. Estinta.
  • Buzzacarini. Nobile antica di Padova, aggregati nel 1782 al Maggior Consiglio. Esiste.
  •  
  • Caiselli. Nobile udinese. Aggregata nel 1779 al Maggior Consiglio. Esiste.
  • Calbo. Si dicesi originaria di Roma. Tribuni antichi. Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Ebbe un procuratore di San Marco. Esiste.
  • Canal. Alcuni da Ravenna, altri da Altino. Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Quattro procuratori di San Marco, Nicolò e Cristoforo, chiari capitani generali, e altri assai illustri. Esiste.
  • Cappello. Si dice originaria di Roma. Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Dieci procuratori di San Marco, molti cospicui militari e in altre classi, e la Bianca granduchessa che fu di Toscana. Esiste.
  • Carminati. Da Bergamo. Aggregata nel 1687. Esiste.
  • Cassetti. Da Bergamo. Aggregata nel 1662. Esiste.
  • Catti. Dalla Germania. Nel 1646 nobile veneta. Esercitassi nei reggimenti e nelle magistrature. Esiste.
  • Cavallli. Da Verona. Fatta del gran consiglio nel 1381 per le benemerenze di Jacopo. Marino e Sigismondo furono ambasciatori reputatissimi. Estinta. 
  • Celsi
  • Cicogna. Ascritta nel 1381 per la guerra di Chioggia. Due procuratori, uno dei quali, cioè Pasquale, fu doge. Esiste.
  • Civran. Antichissima e tribunizia. Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Ebbe militari illustri, senatori, ec. Esiste.
  • Cocco. Da Durazzo. Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Ebbe uomini distinti nell’ecclesiastico e nel civile. Estinta.
  • Codognola. Dal Milanese. Aggregata nel 1717. Estinta.
  • Collalto. Antichissima. Ascritta nel 1306. Chiarissima poi per illustri personaggi e per la Beata Giuliana. Esiste.
  • Condulmer. Antica tribunizia. Ascritta nel 1381 per la guerra di Chioggia. Due cardinali, uno dei quali, Gabriele, che fu poi papa, col nome di Eugenio IV. Estinta.
  • ContariniCoetanea alla repubblica. Annovera otto dogi, quarantaquattro procuratori di San Marco, letterati e lunghissima serie di altri illustri. Esiste.
  • Contenti. Aggregata nel 1686. Estinta.
  • Cornaro . Si dice originaria romana. Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Ebbe ventidue procuratori, un doge, nove cardinali e altri chiari uomini. Esiste.
  • Correr. Da Roma a Torcello. Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Sette procuratori, un papa col nome di Gregorio XII, due cardinali, fra i quali il papa. Esiste.
  • Cottoni. Aggregata nel 1699. Estinta.
  • Crotta. Da Milano. Aggregata nel 1649. Sebastiano fu dei letterati dello scorso secolo XVIII. Estinta.
  • Curti. Dal Milanese. Ascritta nel 1688. Leopoldo fu chiaro avvocato criminale alla metà circa dello scorso secolo. Estinta.
  •  
  • Da Ponte
  • Dandolo. Da Altino. Tribunizia. Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Diede quattro dogi, dodici procuratori. Esiste.
  • Dario
  • Diedo. Da Aquileja e da Altino. Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Ebbe tre procuratori, e molti uomini illustri nelle cariche civili e militari. Esiste.
  • Dolce. Dalla condizione cittadinesca passò alla patrizia nel 1657. Pietro, defunto dopo il 1838, fu uomo coltissimo. Estinta.
  • Delfino. Coeva alla repubblica. Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Diede alla patria un doge, quattordici procuratori di San Marco, sei cardinali, e molti vescovi, senatori, generali di mare, ec. Esiste.
  • Donato o Donà. Da Altino. Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Tre dogi, otto procuratori, un cardinale, uomini distinti. Esista
  • Dondirologio. Antica di Padova, ascritta alla veneta nobiltà nel 1653. Esiste.
  • Duodo. Chi la dice proveniente dalla Schiavonia, chi dalla Germania. Ascritta nel 1297. Ebbe quattro procuratori, e molti militari che si dedicarono a favore della patria. Estinta.
  •  
  • Emo. Dalla Dalmazia. Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Quattro procuratori. Parecchi, uomini illustri nella milizia, fra i quali fioriva dopo la metà dello scorso secolo, Angelo, eroe contro i Tunisini. Esiste. 
  • Erizzo. L’Istria diede i principi a questa casa, che contò tribuni. Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Ebbe un doge e quattro procuratori. Estinta. 
  •  
  • Falier. Delle antichissime venete. Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Ebbe tre dogi. In altri carichi ebbe personaggi illustri, fra i quali cinque procuratori. Esiste.
  • Farsetti. Di Toscana. Ebbe il veneto patriziato nel 1664. Estinta.
  • Ferro. Una casa venne da Ferrara, e si estinse sino dal 1681 o poco dopo. Un’altra dalla Fiandra, e nel 1662 fu fatta del Maggior Consiglio. Estinta.
  • Fini. Cipriotta di origine. Assunta del Maggior Consiglio nel 1649. Annovera due procuratori. Esiste.
  • Flangini. Cipriotta anch’essa. Aggregata nel 1664. Prode guerriero contro i Turchi fu Lodovico, che vi morì combattendo. Estinta.
  • Fontana
  •  Foscari. Dalla Trivigiana. Ebbe tribuni antichi. Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Ebbe un doge, quattro procuratori, un patriarca di Venezia, molti senatori e magistrati. Esiste.
  • Foscarini. Da Altino. Antichi tribuni. Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Quattordici procuratori, lunga serie di senatori, Marco, fu letterato e politico chiarissimo, indi doge. Esiste.
  • Foscolo. Antichissima veneta. Tribunizia. Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Chiara specialmente nell’armi e nella toga. Annovera un procuratore. Esiste.
  • Fracassetti. Di Bergamo. Ascritti nel 1704. Estinta.
  •  
  • Gabriel. Antichissima. Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Tre procuratori, vari letterati, ecclesiastici, senatori, magistrati. Estinta.
  • Gambara. Bresciana. Aggregata alla veneta nobiltà nel 1653. Veronica poetessa e Carlo Antonio, defunto in questi ultimi anni, fu letterato di fama. Esiste.
  • Garzoni. Da Bologna. Ascritta nel 1381 per la guerra di Chioggia. Un procuratore. Pietro illustre storico. Estinta.
  • Gheltof. Da Anversa. Nobile nel 1697. Estinta.
  • Gherardini. Veronese o Fiorentina. Ascritta nel 1652. Esiste.
  • Giovanelli. Da Bergamo. Ascritta nel 1668. Ebbe tre procuratori e Federico, patriarca di Venezia di santissima vita. Esiste.
  • Giustinian. Dicono da Roma. Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Chiarissima famiglia per un doge, per ventisette procuratori, per lungo elenco di ambasciatori, generali, senatori, governatori di città e provincie, militari, letterati, ec. Esiste. 
  • Gonzaga. Principesca famiglia. Ebbe tre aggregazioni in tempi differenti per i meriti suoi verso la repubblica. Estinta.
  • Gradenigo . Delle prime venute a Venezia. Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Diede tre dogi alla patria, e quattordici procuratori, molti uomini chiari sì nella toga che nelle lettere, e nella via della chiesa. Esiste.
  • Grassi. Da Chioggia. Aggregati nel 1718. Estinta.
  • Grimani. Antichissima. Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Tre dogi, ventuno procuratori, tre cardinali, e più e più senatori, rettori di provincie, ec. Esiste.
  • Gritti. Di origine assai vetusta, e tribunizia. Un doge, tre procuratori, molti senatori e generali d’armi. Esiste.
  • Guerra. Dalla Dalmazia. Ascritta nel 1689. Esiste.
  •  
  • Labia. Avignonese, indi Toscana. Ascritta nel 1646. Carlo Maria fu arcivescovo di Corfù, poi vescovo di Adria, e letterato. Esiste.
  • Lambertini. Da Bologna, chiarissima, fatta nobile veneta per l’assunzione di Benedetto XIV al pontificato. Estinta ?
  • Lezze. Da Ravenna. Sette procuratori, e altri distinti personaggi. Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Estinta.
  • Lin. Da Bergamo. Assunta nel 1685. Esiste.
  • Lio-Cavazza. Da Padova. Ascritta nel 1652. Girolamo fu procuratore cospicuo. Estinta.
  • Lippomano. Da Negroponte. Ascritta nel 1381 per la guerra di Chioggia. Ebbe vescovi e letterati. Esiste.
  • Logo. Antica assai è la sua origine. Ascritta nel 1381 per la guerra di Chioggia. Conta lunga serie di senatori, governatori di provincie, scrittori, ec. Esiste.
  • Loredano. Ebbe tribuni, Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Due dogi, dodici procuratori, molti capitani generali, senatori e magistrati onoratissimi. Esiste.
  •  
  • Maffetti. Nobile di Brescia e di Bergamo, fatta patrizia nel 1654. Estinta.
  • Magno. Da Oderzo; tribunizia; Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Vari senatori e magistrati diede in servigio della patria. Esiste.
  • Malipiero. Da Altino. Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Due dogi, tre procuratori di San Marco, molti senatori, elettori di dogi e letterati. Esiste.
  • Manin. Da Firenze passò nel Friuli. Aggregata nel 1651. L’ultimo doge usciva da questa casa. Ebbe due procuratori. Oggi è decorata dal conte Leonardo, cultissimo nelle cose patrie. Esiste.
  • Manolesso. Originaria di Torcello, Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Esiste.
  • Manzoni. Patavina. Aggregata nel 1687. Esiste.
  • Marcello. Tribuni antichi. Origine romana. Un doge, sei procuratori. Esiste.
  • Marin. Da Jesolo. Tribunizia. Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Ebbe militari, senatori, quaranta, ed altri uomini distinti. Carlo Antonio è chiaro per la storia del veneto commercio. Esiste .
  • Martinengo. Antichissima di Brescia. Un ramo di essa nel 1448 fu aggregato al Veneto Consiglio. Nel 1689 ne fu aggregato un altro ramo. Lunga serie annovera di cospicui personaggi. Esiste.
  • Melli. Da Cremona. Assunta alla veneta nobiltà nel 1499 o 1500, avutone il privilegio nel 1502. Estinta.
  • Memmo. Da Altino. Tribuni antichi. Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Ebbe tre dogi e la storia ne annovera un altro, sebbene non entri nelle serie comuni. Cinque procuratori e molti senatori, militari, ambasciatori, letterati, ec. Esiste.
  • Mezzo. Da Jesolo. Ascritta nel 1381 per la guerra di Chioggia. Ebbe alquanti illustri militati. Estinta.
  • Miani. Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Ebbe un procuratore di San Marco, vari capitani generali, ambasciatori, senatori e un gran santo, Girolamo. Estinta.
  • Michiel. Antichissima veneta. Tre dogi, dodici procuratori, un cardinale, molti eroi nell’armi, molti illustri nella toga. Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Esiste.
  • Minelli. Da Bergamo. Ascritta nel 1650. Estinta.
  • Mimo. Da Altino. Diede tribuni. Rimase del Maggior Consiglio nel 1297; conta parecchi senatori, ambasciatori, governatori di città. Esiste.
  • Minotto. Alcuni la vogliono di origine romana, altri albanese. Tribunizia antica. Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Militari vari e senatori. Esiste.
  • Mocenigo. Delle prime venute a Venezia. Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Vanta sette dogi, venticinque procuratori di San Marco. Esiste.
  • Molin. Antichissime due famiglie. Rimasero del Maggior Consiglio nel 1297. Un doge, nove procuratori, e ne uscirono uomini celebri nell’armi, nelle lettere, nelle magistrature. Estinta.
  • Mora. Dall’Elvezia. Fu fatta del maggior consiglio nel 1653. Altra casa venne di Spagna, e fu aggregata nel 1694. Esistono ambedue.
  • Morelli. Da Murano. Ascritta nel 1686. Estinta.
  • Moro. Da Eraclea. Tribuni antichi. Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Cristoforo fu doge. Ebbe sei procuratori, e diversi militari e senatori. Esiste.
  • Morosini. Antichissima, tribunizia. Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Quattro dogi, ventisette procuratori, due cardinali, illustri in ogni secolo e in ogni ramo. Per tutte le storie è celeberrimo il Peloponnesiaco, uno dei dogi. Esiste.
  • Mosto (Da). Da Oderzo. Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Un procuratore, parecchi si distinsero, fra i quali il viaggiatore Alvise. Esiste.
  • Muazzo. Origine torcellana. Tribunizia. Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Un procuratore. Ne uscì Giannantonio, chiaro senatore e storico, ed altri. Estinta.
  • Mula (Da). Dei Veneti primi. Tribuni. Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Un cardinale, due procuratori, vari senatori, rettori di città, ec. Esiste.
  • Mussati. Di Padova. Aggregata nel 1775 a tenore della parte presa nel 1776. Estinta.
  •  
  • Nadal. Tribunizia. Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Pietro fu vescovo di Jesolo e scrittore. Esiste.
  • Nani. Da Altino a Torcello, quindi a Venezia. Antica tribunizia. Ascritta nel 1381 per la guerra di Chioggia. Sei procuratori. Esiste. 
  • Nosadini. Da Bassano, ascritta al patriziato nel 1694. Estinta ?
  •  
  • Orio. Da Altino. Tribunizia. Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Ebbe distinti, fra glialtri, Filippo e Lorenzo ambasciatori, e Domenico rettore in Candia. Esiste.
  • Ottolini. Nobile veronese, aggregata alla veneta nobiltà nel 1775, giusta la parte presa nel 1780. Estinta.
  •  
  • Pallavicino. Chiarissima fra le italiane. Aggregata nel 1427. Da essa il cardinale Sforza, scrittore della storia del Concilio di Trento. Esiste.
  • Panciera. Dal Friuli; ascritta alla nobiltà veneta nel 1777. Esiste.
  • Papafava. Antica di Padova. Aggregata al maggior consiglio nel 1652. Roberto fu fra i letterati. Esiste.
  • Paruta. Da Lucca. Ascritta nel 1381 per la guerra di Chioggia. Paolo Paruta fu procuratore e storico. Esiste.
  • Pasqualigo. Da Candia. Una parte rimasta del Maggior Consiglio nel 1297. Un’altra ascritta nel 1381 per la guerra di Chioggia. Tre ne uscirono procuratori, altri molti furono generali, ambasciatori, senatori, ec. Esiste.
  • Pasta. Da Bergamo, assunta del 1669. Estinta.
  • Pepoli. Antica bolognese. Esiste.
  • Persico. Bergamasca. L’anno 1685 fu accettata nel maggior consiglio. Esiste.
  • Pesaro. Da Pesaro, tribunizia. Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Un doge, sette procuratori, molti generali, senatori, ed altri uomini celebri. Estinta.
  • Pindemonte. Da Verona. Nobile veneta nel 1782. Di essa famiglia furono Giovanni ed Ippolito letterati. Esiste.
  • Piovene. Da Vicenza. Ascritta al maggior consiglio nel 1654. Estinta.
  • Pisani. Antica veneta. Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Un doge, sedici procuratori, due cardinali. Altri molti illustri fra gli ambasciatori, generali d’armata, senatori, ec. Esiste.
  • Pizzamano. Dalla Boemia; tribunizia. Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Antonio fu vescovo di Feltre; vari militari e senatori. Esiste.
  • Polani
  • Poli. Dal Friuli. Ascritta nel 1663. Esiste.
  • Polo
  • Ponte (Da). Varia l’origine, chi da Ferrara, chi da Negroponte. Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Nicolò doge, tre procuratori, e vari ecclesiastici e altri distinti. Esiste.
  • Priuli. Dall’Ungheria. Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Tre dogi, quattordici procuratori, cinque cardinali, molti ambasciatori, generali, governatori di città e provincie, ec. Esiste.
  •  
  • Querini . Antichi tribuni, quindici procuratori e chiari soggetti in ogni ordine. Esiste.
  • Raspi. Da Bergamo. Ascritta nel 1662. Esiste.
  • Ravagnin. Da Treviso. Ascritta nel 1657. Estinta.
  • Redetti. Da Rovigo, assunti nel 1698. Antonio fu vescovo di Bergamo. Esiste.
  • Renier. Dalmati di origine. Assunti nel 1381, sebbene fino dal 1092 fossero degli annuali consigli. Ebbe un doge e tre procuratori. Esiste.
  • Rezzonico. Di nobiltà antica germanica. Ascritta nel 1687. Ebbe due procuratori e tre cardinali, fra i quali un papa. Estinta.
  • Riva (Da). Da Jesolo. Tribunizia. Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Esiste.
  • Rizzi. Antica veneta. Nobile nel 1687. Esiste.
  • Romieri. Veneto antica. Aggregata nel 1689. Esiste.
  • Rossi. Da Parma. Nobile veneta, nel 1482. Gli antichi ebbero celebri capitani. Estinta.
  • Rota. Da Bergamo. Ascritta nel 1685. Estinta.
  • Ruzzini. Da Costantinopoli. Tribuni antichi. Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Ebbe un doge, due procuratori, e valorosi cittadini. Estinta.
  •  
  • Sagredo. Da Sebenico. Un doge, sette procuratori, un santo già vescovo nell’Ungheria e martire, e lunga serie di ambasciatori, senatori, rettori di città, ec. Esiste.
  • Sandi. Da Feltre; patrizia veneta nel 1685. Esiste.
  • Sangiantofetti. Da Crema. Nel 1649 ottenne ingresso nel Maggior Consiglio. Esiste.
  • Sanudo. Antichissima veneta. Era detta Candiana. Come Candiana conta cinque dogi. Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Ha due procuratori, e molti senatori, e celebri uomini. Esiste.
  • Savorgnan. Antichissima dal Friuli. Nel 1385 ascritta alla veneta nobiltà. Un procuratore, e molti valorosissimi militari. Esiste.
  • Scroffa. Vicentina nobile. Aggregata nel 1698 al veneto consiglio. Esiste.
  • Semenzi. Dalla cittadinanza veneta originaria passò alla classe patrizia nel 1685. Esiste.
  • Semitecolo. Istriana. Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Ha vari onorevoli individui specialmente nei reggimenti di terra e di mare.
  • Soserini. Da Firenze. Aggregata nel 1656. Estinta.
  • Soranzo. Coetanea alla repubblica. Tribunizia; Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Un doge, sedici procuratori, e numerosi senatori, ambasciatori, generali, governatori, magistrati, ec. Esiste.
  • Spatafora. Antica Messinese. Aggregata fino dal 1409, sebbene alcuni la facciano di più antica aggregazione, cioè del 1399. 
  • Spineda. Da Trevigi. Ascritta nel 1776 per la parte del 1775. Esiste.
  • Spinelli. Patavina antica. Dalla cancellaria ducale passò alla nobiltà veneta nel 1718, giusta la parte del 1716. Estinta. 
  • Steno.
  •  
  • Tiepolo. Riminese. Delle più antiche veneziane. Una parte rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Due dogi, e sette procuratori. Esiste.
  • Toderini. Antica veneta. Ascritta solo nel 1694. Estinta.
  • Trento. Da Vicenza. Aggregata nel 1777 in forza della parte del Maggior Consiglio 1785. Estinta.
  • Trevisano. Aquilejese. Alcuni rimasti del Maggior Consiglio nel 1297, altri nel 1381 per la guerra di Chioggia, altri nel 1689. Chiarissima per illustri personaggi, fra i quali un doge e dieci procuratori. Esiste.
  • Trono. Antichissima. Tribunizia. Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Conta un doge e sette procuratori, oltre a diversi senatori, ambasciatori, ec. Esiste. 
  •  
  • Valaresso. Da Salona. Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Ne uscirono due procuratori, e vari illustri nella toga e nelle lettere. Zaccaria seniore e Zaccaria juniore, savio di terraferma, si distinsero. Esiste.
  • Valiero. Patavina antica. Tribunizia. Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Diede alla patria due dogi, due cardinali, fra i quali letteratissimo Agostino. Esiste.
  • Valmarana. Da Vicenza, aggregata nel 1658. Ebbe governatori di città reputatissimi. Esiste.
  • Vanaxel. Dalla Fiandra. Ascritta al veneto patriziato nel 1665. Esiste.
  • Vendramino. Da Aquileja e dal Friuli. Ascritta nel 1381 per la guerra di Chioggia. Un doge e tre procuratori, un patriarca di Venezia, e molti distinti uomini. Esiste.
  • Veniero. Delle più antiche nostre. Tribunizia. Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Tre dogi, ventuno procuratori, e molti e molti ambasciatori, senatori, ec. Esiste. 
  • Veronese. Da Chioggia. Nel 1704 assunta al maggior consiglio. Sante fu vescovo di Padova e cardinale scrittore. Esiste.
  • Vitturi. Da Altino. Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Ebbe due procuratori e parecchi illustri nella milizia e nelle cariche senatorie, ec. Esiste.
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  • Widmann. Dalla Carintia. Fatta del veneto consiglio nel 1646. Cristoforo fu cardinale. Esiste.
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  • Zacco. Di Padova. Ascritta nel 1653. Esiste. 
  • Zaguri. Albanese. Cittadina veneta, indi patrizia creata nel 1646. Pietro letterato, e Marco vescovo, sono dei recenti della casa. Estinta. 
  • Zambelli. Patavina, fatta del veneto consiglio nel 1648. Estinta.
  • Zane. Antichissima veneta. Dicono che fosse un ramo degli Ziani. Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Ebbe cinque procuratori, e vari distinti, fra i quali Jacopo poeta del secolo XVI. Estinta. 
  • Zeno. Delle antichissime tribunizie. Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Un doge, tredici procuratori, un cardinale, e molti altri in ogni classe distinti. Esiste.
  • Zenobio. Veronese. Aggregata nel 1646. Estinta.
  • Ziani
  • Zino. Da Bergamo. Ascritta nel 1718. Estinta.
  • Zolio. Da Bergamo. Assunta nel 1656. Esiste.
  • Zorzi. Dei veneti più remoti. Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Un doge, undici procuratori, un cardinale, molti chiari personaggi per ambascerie, per arte militare, ec. Esiste.
  • Zusto. Da Padova. Tribunizia. Rimase del Maggior Consiglio nel 1297. Estinta.
Altre Famiglie estinte prima del 1797


Fonti principali: AUTORI VARI. Venezia e le sue lagune, Volume I. Stabilimento Antonelli Venezia 1847.;

Fonte: da conoscere Venezia 
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