mercoledì 27 aprile 2016

SASSUOLO, UNA STRAGE INEDITA. UNA DELLE TANTE STRAGI EFFETTUATE DAI PARTIGIANI CENSURATA DALLE ISTITUZIONI




Sassuolo – Una delle tante stragi effettuate dai partigiani nel dopoguerra, totalmente censurata dalle Istituzioni e dagli organi d’informazione “democratici”, di Modena e Reggio.


SASSUOLO UNA STRAGE INEDITA

A Sassuolo, nel tardo pomeriggio del 23 aprile 1945 cessavano gli ultimi combattimenti tra tedeschi, che s’andavano addossando sulla sponda del Secchia nel tentativo di attraversarlo, e Alleati che premevano da Sud. I partigiani, moltiplicatisi negli ultimi mesi, si cimentavano alla caccia di tedeschi in fuga e lo testimonierà Ermanno Gorrieri, il partigiano Claudio: “Parte di coloro che impugnavano le armi contro i tedeschi in fuga, erano persone che non avevano praticamente mai fatto niente o quasi niente nel movimento di Resistenza. Non a caso la gente, più tardi li chiamerà ‘i partigiani della domenica’ o ‘del lunedì’ – a seconda della zona – cioè i partigiani entrati in azione solo il giorno della liberazione”. Ma il comandante Claudio dirà anche che “sarebbero esplosi odii e vendette, insanguinando ancora una volta la terra emiliana”.

Accadde che quello che restava di un Reparto della Divisione San Marco, arresosi in quel 23 aprile, fu eliminato in modo atroce a Sassuolo, nel cortile del Palazzo Ducale. Una cinquantina di questi prigionieri, fra i quali v’era qualche tedesco, subì una fine raccapricciante, venuta alla luce attraverso la testimonianza d’un ufficiale dell’esercito brasiliano, tra i primi contingenti entrati a Sassuolo e non dal parroco che pure vi assistette, don Zelindo Pellati. Da parte degli esecutori non trapelò, ovviamente, mai nulla e ufficialmente quelle estreme sevizie, non sarebbero mai avvenute. Quei prigionieri furono torturati anche con enucleazione degli occhi e poi uccisi per strangolamento.

L’ufficiale in questione era Agostino Josè Rodrigues e la testimonianza è nel suo libro Terzo battaglione (Terceiro batalhao), edito nel 1985, quattordici anni prima che le salme di quegl’infelici fossero scoperte nello stesso luogo da lui indicato:  La piazza dove c’è la chiesa”.
Ecco il brano: “Sassuolo segna il nostro primo incontro con la guerriglia partigiana del Nord Italia, uomini coraggiosi ma spietati. Hanno aiutato la causa degli Alleati durante gli anni dell’occupazione tedesca nella regione. Ed ora sono ancor più decisi nell’attaccare senza pietà il nemico.
Come Castelvetro, Sassuolo è una pulita piccola città, un piacere per i nostri occhi. La piazza principale, dove è situata la chiesa, segna anche la nostra prima visione di esecuzioni sommarie. Ne avevamo già sentito parlare. Uomini uccisi con delle corde strette intorno al collo. E’ la vendetta imposta ai fasciste dai partigiani. Ci sono molti comunisti tra i partigiani. Ho visto un gruppo di questi con delle bandiere rosse. Dovunque essi vadano compiono esecuzioni sommarie. I partigiani si giustificano dicendo che si tratta di ‘traditori del popolo’. Ecco perché le camicie nere e i soldati tedeschi iniziano ad arrendersi a noi brasiliani. Sono terrorizzati dalla furia omicida di questi implacabili cacciatori”.

Non solo le prime truppe brasiliane entrate a Sassuolo, ma anche il parroco della chiesa di San Giorgio, don Pellati, assistettero alla strage; il sacerdote aveva raccolto i documenti e gli effetti personali di quei disgraziati. Unico testimone di parte neutra egli preferì tuttavia, e fu pusillanime, non divulgare lo scempio cui assistette, né trascriverlo, come avrebbe dovuto, sul libro delle anime, cosicché esso rimase sconosciuto e inedito fino al 1998, allorquando, durante gli scavi nel cortile del Palazzo Ducale, emersero quei resti.

Il giorno del massacro può essere indicato nella settimana compresa tra il 24 aprile ed il primo maggio ’45. I partigiani che entrarono a Sassuolo discendevano dalle località di Casalgrande, Fiorano, Castellarano e Magrete e facevano parte tutti di formazioni comuniste. Il 25 aprile entrò a Sassuolo anche la formazione comandata da Achille, al secolo Giuseppe Ferrari (1919–2013) che con l’incarico di ‘occuparsi’ dei prigionieri, vi rimase almeno una settimana. Lo stesso Palazzo Ducale era divenuto sede di distaccamenti partigiani tra i quali risulta anche la Brigata Stoppa.
Nel ’49 la Questura di Modena arrestò l’ex partigiano comunista Domenico Cavalli di Sassuolo: si voleva che rivelasse qualcosa, ma non parlò e fu rimesso in libertà.

Nel ’98, all’indomani della scoperta della fossa comune, l’Associazione dei reduci della Divisione Fanteria San Marco presentò denuncia contro ignoti per il reato di strage. La strage di Sassuolo andrà a far parte dell’aneddotica resistenziale di revisione, la quale chiarendo fatti marginali darà rilievo alla storiografia, passo obbligato per raggiungere la Storia.

Scriveva Renzo de Felice, l’autorevole storico di sinistra: “tutto quanto detto e scritto sul fascismo è falso, perché la sinistra politica ha nascosto tante verità, tanti delitti, tante vergogne partigiane”.
In alcune pagine del citato libro di Bocca, Il Provinciale, si coglie il clima che regnava a Sassuolo nei primi mesi della liberazione.
In un imprecisato giorno di maggio egli giunse a Sassuolo e andò alla Camera del lavoro ove trovò riuniti diversi partigiani. Gli dicono – “Di ben so giurnalesta, ma il tuo giornale è un po’ fazista. Quando la finite di menarla con il triangolo della morte”? Qualcuno mi guarda duro, ma mi lasciano andare. Esco da Sassuolo diretto a Formigine e sento dietro il rombo d’una motocicletta. E’ uno di quelli che mi sfottevano, ma adesso mi guarda da amico: – “Scolta me – dice – non passare per Formigine, ti aspettano all’uscita del paese”.

(Tratto dal saggio storico sulle atrocità partigiane: “I GRANDI KILLER DELLA LIBERAZIONE” del Prof. Gianfranco Stella).
Cav. Ivaldo Casali (Reggio Emilia)


Fonte: da ImolaOggi del 24 aprile 2016



martedì 26 aprile 2016

LA PREMONIZIONE DI OSHO – OMOSESSUALITÀ… LA CRUDA VERITÀ

Osho  


L’omosessualità è un prodotto di un mondo maschile. E probabilmente l’omosessualità andrà crescendo sempre più - perfino stati, governi e religioni inizieranno a raccomandarla. Nei prossimi cinquant’anni lo vedrete accadere. Allo stesso modo in cui i governi ora raccomandano il controllo delle nascite e l’aborto, in futuro lo faranno con l’omosessualità – perché la popolazione raggiungerà livelli tali che l’omosessualità rappresenterà un metodo per impedire la nascita di nuovi esseri umani. Prima o poi, ogni governo autorizzerà i matrimoni tra omosessuali – matrimoni tra due uomini o tra due donne. Accadrà. Già ora ci sono molte più persone che diventano omosessuali.

Solo una società rilassata, in cui le cose funzionano bene, c’è cibo in abbondanza e non ci sono guerre, diventa eterosessuale. In caso contrario, quando c’è la guerra, uno stato conflittuale permanente, la società diventa patriarcale.

Ora anche nel mondo delle donne sta accadendo la stessa cosa, perché il movimento di liberazione delle donne è il primo movimento in cui le donne si trovano tra loro e creano gruppi di sole donne. Ora si sta diffondendo il lesbianismo. Se le donne si mettono insieme e contro gli uomini, dove metteranno il loro amore? L’uomo è il nemico: devono perciò amare le donne. Attualmente sia l’omosessualità che il lesbianismo sono in aumento: è una semplice constatazione.

Ma non sto dicendo nulla contro l’omosessualità – so che qui ci sono molti omosessuali. Se non sei interessato a dimensioni più alte, l’omosessualità va bene, tanto quanto l’eterosessualità. Non c’è alcun problema. A livello di sfogo sessuale, l’omosessualità vale quanto  l’eterosessualità. Ma se è la tua crescita che ti interessa, allora avrai dei problemi.

Una storia d’amore omosessuale può essere molto più comoda, è vero, perché non c’è conflitto. È un’unione di simili: si capiscono, conoscono le tendenze e le menti reciproche. Non c’è conflitto, ma non c’è neppure crescita. Con la polarità, si scatena il conflitto, la sfida – di penetrare e conoscere l’altro, capire il mondo dell’altro. E per la crescita spirituale è necessario che l’uomo arrivi a conoscere la donna e che la donna arrivi a conoscere l’uomo.

Perché dico che è parte della crescita spirituale? Proprio l’altro giorno stavo dicendo che all’ultimo momento, al sesto chakra – l’ajna chakra – deve avvenire un incontro profondissimo tra uomo e donna. Anche interiormente sei diviso in due: uomo e donna. Se non riesci a unirti con una donna esteriore, ti sarà molto difficile fare spazio alla donna interiore. Se non riesci ad amare l’altro fuori di te, ti sarà impossibile creare uno spazio d’amore per l’altro che sta dentro di te.

Un uomo non è solo uomo, è uomo-donna. È nato da un uomo e da una donna – è mezzo e mezzo, e così anche la donna. E l’unione interiore suprema, l’alchimia interiore è possibile solo se hai imparato la via  nel mondo esteriore.

Quando un uomo si innamora di una donna, impara qualcosa. Quando un uomo si innamora di un uomo non impara nulla. Quando una donna si innamora di un uomo, impara qualcosa – qualcosa di ignoto, qualcosa di opposto, qualcosa dell’altro.


L’amore tra un uomo e una don­na indica che l’emisfero destro è in amore con l’emisfero sinistro. Perciò se sei interessato alla crescita spirituale, devi procedere dall’omosessualità all’eterosessualità. Se non ti interessa la crescita spirituale, allora non c’è nulla di sbagliato. Puoi rimanere ciò che sei – eterosessuale o omosessuale – è la stessa cosa. Penso di averlo chiarito a sufficienza. Se non ti interessa la crescita spirituale, non c’è alcun problema. Io non sonocontro l’omosessualità, non sono contro nulla. È la tua vita – devi decidere tu; chi sono io? Io sto semplicemente affermando che alla  fine, all’interno del tuo essere, deve avvenire un incontro: preparati per questo incontro. Ed è l’amore con l’altro all’esterno che ti prepara.

Più giungi a comprendere la donna e l’uomo esterni, maggiore sarà la comprensione della polarità interiore. E un giorno, al sesto centro del tuo essere – in quello che lo yoga chiama ajna chakra, e che io ho definito ‘supercoscienza’ – sentirai che la tua comprensione dell’uomo e della donna ti è di straordinario aiuto. Lì, intuizione e logica si uniscono, immaginazione e volontà si uniscono, iniziativa e ricettività si uniscono. Ti sarà facile. Hai imparato la strada nel mondo esterno – ora la puoi usare per la tua alchimia interiore.

Se ti interessa la crescita spirituale, procedi verso l’eterosessualità. Se non ne sei interessato, non c’è problema. Se vuoi crescere, se vuoi davvero scoprire il tuo essere più intimo, il tuo spazio interiore, allora l’eterosessualità ti potrà aiutare. Come ti ho già detto: il primo stadio è la masturbazione, il secondo stadio è l’omosessualità, il terzo stadio e l’eterosessualità, il quarto stadio è asessuale – è lo stadio del brahmacharya.

E solo quando avrai raggiunto il quarto stadio sarai in grado di accedere al nucleo più intimo del tuo essere – non altrimenti.  Un masturbatore rimane infantile, un omosessuale rimane adolescenziale,  un eterosessuale rimane animale. Questi stadi devono essereoltrepassati. Non rimanere bloccato. E la mia non è una condanna, ricordalo sempre: io non condanno nulla.

Il sesso non è una cosa ordinaria. È una delle parti più essenziali del tuo essere. Non bisognerebbe trattarlo inconsapevolmente. Costituisce le fondamenta del tuo essere: tu sei nato dal sesso, vivi attraverso il sesso,  la tua nascita è attraverso il sesso, la tua gioventù è attraverso il sesso, l’amore è attraverso il sesso, e attraverso il sesso incontrerai la morte. La tua intera esistenza è una storia sessuale. Devi essere davvero molto attento, e consapevole di tutto ciò che riguarda la tua energia sessuale.


Osho  – The Divine Melody




lunedì 25 aprile 2016

VERONA 25 APRILE 1886: PER IL RITORNO DEL LEONE DI S. MARCO IN PIAZZA ERBE.



25 aprile 1886:  il  ritorno del Leone  di San Marco in Piazza Erbe


Per non dimenticare...


Per antichissima usanza - forse d'origine romana - sui luoghi di mercato, si solevano elevare colonne e capitelli,  cosi anche Venezia, volle nelle piazze delle città e paesi a lei sottomessi la fiera insegna del Leone di San Marco.
E questa colonna fu voluta dalla città nel 1523: sul capitello sono gli stemmi del doge Gritti, del podestà Marcello, del capitano Tron e della città di Verona.
Nel 1797 il leone venne abbattuto dai giacobini veronesi, nell’euforia rivoluzionaria dei tempi nuovi; l'attuale venne rimesso il 25 aprile, festa di San Marco, del 1886.

Ma ecco come tale ristabilimento venne ricordato dai giornalisti del tempo su « L'Illustrazione popolare» del 30 maggio 1886.

«A Verona, al tempo della caduta della Repubblica Veneta, i giacobini francesi si fecero una gloria d'atterrare con schiammazzi plebei il leone alato della dominante Venezia, leone che sorgeva nella Piazza delle Erbe. In questi giorni Verona pensò bene di riparare allo stupido vandalismo di quei spregevoli padroni di ventiquattro ore, e collocò di nuovo, al suo posto il fiero, il simbolico, il glorioso Leone di San Marco.

La festa si celebrò il 25 aprile e fu bellissima.

Noi riproduciamo una fotografia dell'intiera Piazza delle Erbe nel momento della inaugurazione.
Da ogni finestra, da ogni terrazzo, da ogni balcone, pendevano arazzi bianchi, rossi, verdi, gialli, azzurri e palloncini variopinti e dietro agli arazzi s'affollavano elegantissime signore.
E non solo· si vedevano persone sui poggiuoli, sui terrazzi e alle finestre, ma persino sui granai, sui tetti. »

« A mezzodì, - scrive l'Arena, - in lontananza echeggiano le trombe. È la banda cittadina che si avanza, preceduta dai pompieri e seguita dalla rappresentanza municipale e da molte società.

« I pompieri passano, la rappresentanza municipale passa, poi succede un parapiglia indescrivibile.

« Guardie, carabinieri e vigili, vengono respinti dalla folla, e un'onda di popolo irrompe nella piazza mandando urla di trionfo.

« Sono le dodici e un quarto. Da una finestra si tira il cordone che dovrà far cadere la coperta del Leone. È un momento solenne. Tutti gli occhi guardano la cima della colonna: un silenzio assoluto regna su quel mare di teste che si perde in lontananza.

« La coperta si agita, poi cade, e mostra il glorioso Leone di San Marco, bianco come se fosse di neve, colla zampa fieramente posata sul Vangelo.
«Un uragano d'applausi scoppia attorno alla colonna e si propaga fino in fondo alla piazza e giù giù nelle vie adiacenti:

«- VIVA IL LEONE DI SAN MARCO! VIVA! ...

« Tutti i vicini stringono la mano al giovane scultore Poli, l'autore del Leone.

« Mille, duemila, diecimila braccia s'agitano burrascosamente e sui poggiuoli, sui terrazzi, sulle finestre, e persino sulla torre s'agitano bianchi fazzoletti. Un fragoroso squillo di trombe copre tutte quelle grida e quelle esclamazioni. Le due bande militari del 67° e 68° intuonano la marcia del maestro Ascolese che viene salutata da un vivo applauso. Fra gli squilli di trombe s'ode di quando in quando il tam-tam vigorosamente percosso ».

Fonte: da “Piazza delle Erbe n°2 ”, a cura della commissione turistica dell’Automobile Club. Veronese.  (Hanno collaborato:  Vittorio Castioni – Dino Monicelli – Sara Rolandi – Giovanni Solinas – disegni di Alberto Solinas)   (fine millennio)



domenica 24 aprile 2016

NAPOLEONE E IL PROCLAMA DI NIZZA DEL 31 MARZO DEL 1796

Napoleone Bonaparte


Ecco un proclama che si legge   poche volte  sui  libri di scuola italiani


"Siete nudi e mal nutriti. Il governo ha con voi molti obblighi e nulla può fare per voi. La pazienza, il valore mostrato fra queste montagne sono mirabili, ma non vi procacciano gloria, né illustrano il vostro nome. 
Io vi condurrò nelle più fertili pianure del mondo; città grandi, doviziose province, verranno colà, in vostra mano; colà troverete onore, gloria, ricchezze ....”,  

Rompe gli indugi e  invade l’Italia… 



E non credete  che fosse a capo di una armata di uomini “brancaleone”, erano sì di meschine condizioni esteriori, scarse le dotazione di materiali e di denaro, ma soldati valentissimi che  Bonaparte potè arruolare  da tutti gli eserciti della Francia, compresi quelli provenienti dal  battaglione elvetico, ma  soprattutto comandati da  valenti ufficiali.


Ma soprattutto non credete che Napoleone venne in Italia per portare i principi della rivoluzione francese.
Niente di più falso!
La sua Parigi è al tracollo economico, dissanguata dalla Rivoluzione, devastata dalla crisi economico-finanziaria, non c’è più ordine e pace sociale, l’economia è bloccata e servono soldi, soldi, soldi... e il generale corso, che discende da una famiglia di rivoluzionari che avevano lottato affinché la loro isola fosse liberata dalla dominazione di Genova,   ha ben chiaro in quale modo recuperarli.




sabato 23 aprile 2016



di GILBERTO ONETO


– I Verdi vivevano nelle loro case, lavoravano sodo, stavano bene ma avrebbero potuto stare meglio se non avessero dovuto pagare i dazi e le gabelle che imponevano loro i vicini Bruni, che si erano organizzati in strutture più efficienti. I Verdi non vedevano l’ora di liberarsi da queste tutele per godersi in libertà il frutto del loro lavoro. 

I Bianchi stavano poco più in là nei loro villaggi, erano rilassati, si godevano la vita con calma e facevano il minimo indispensabile per vivere bene. Si davano meno da fare dei Verdi ma si contentavano di poco e mettevano da parte tutti i loro guadagni: nel tempo sotto le mattonelle dei pavimenti avevano accumulato dei discreti gruzzoli.

I Rossi erano dei furbacchioni che non avevano voglia di lavorare, però avevano girato il mondo e imparato tutte le più abili tecniche per fregare il prossimo. Inoltre erano abilissimi nel raccontare balle e nel convincere la gente che il bianco è nero e viceversa. Arrivati in zona, si erano subito accorti che i Verdi sgomitavano per diventare più ricchi e liberi dei loro vicini Bruni, e che i Bianchi avevano dei bei mucchietti di monete nascosti da qualche parte. Hanno subito capito che avrebbero potuto trarre grassi vantaggi dalla situazione e si sono inventati una bella storiella secondo la quale tutti e tre i gruppi familiari, i Bianchi, i Rossi e i Verdi, discendevano da antenati comuni, che costituivano una grande famiglia che – unita – sarebbe stata più grande, forte e ricca non solo dei Bruni, ma anche di tutti i Grigi, Viola, Celeste, eccetera della terra.

I Verdi, che sono più ingordi ma anche molto più ingenui (nel loro slang famigliare, si definiscono dei pirla) ci hanno creduto e, accecati dalla voglia di rivalsa sui Bruni, hanno subito bevuto la panzana e si sono messi al servizio dei Rossi per costruire una nuova casa comune per la ritrovata famiglia. I Bianchi però se ne stavano benone come erano e non ne volevano sapere e così i Rossi hanno convinto gli energetici e creduloni Verdi ad andare a casa dei Bianchi e convincerli – con le buone o con le cattive – a traslocare nella nuova dimora. 
Per tenere tutti assieme si è infatti dovuto costruire un palazzone, orribile, squadrato e scomodo: i Verdi ci hanno messo la manodopera, i Bianchi i quattrini che avevano accantonato e che i Rossi hanno sequestrato per la causa comune.
Tutti hanno dovuto lasciare le loro casette per trasferirsi in appartamenti: nessuno è stato contento di farlo ma tutti si sono convinti (o sono stati costretti a credere) che da allora sarebbero vissuti meglio e che il futuro avrebbe riservato loro chissà quali meraviglie.
Ad amministrare il condominio ci hanno ovviamente pensato i Rossi, che sapevano leggere e scrivere, che avevano redatto il progetto del falansterio, che ne hanno scritto (a loro vantaggio) il regolamento e che conoscevano tutti i trucchi per tenere buoni i condomini e – all’occorrenza – farli litigare fra di loro per poi presentarsi come i solutori di tutti i problemi. I Rossi si erano accomodati in alcuni superattici ai piani alti, con piscina e vista.

Per i primi tempi tutti hanno vissuto dissipando i risparmi dei Bianchi e investendone una piccola parte per comperare macchinari e utensili per i Verdi, che si sono messi a lavorare a testa bassa per far vedere ai Bruni (che li prendevano in giro per la loro nuova collocazione) che sarebbero riusciti a diventare più ricchi di loro.

Finiti i risparmi, anche i Bianchi avrebbero dovuto mettersi a lavorare: molti di loro – non sopportando la sgradita coabitazione – erano però scappati e si erano trasferiti in villaggi lontani, mentre alcuni si sono adattati alle tristi condizioni di lavoro dei Verdi e li hanno seguiti nelle loro fatiche. Ma tutti gli altri – giustamente risentiti per essere stati costretti a rinunciare al loro modo di vita tranquillo e per essere stati rapinati – hanno deciso di farsi mantenere dai Verdi (e dai loro famigliari che si sono adattati alla vita dei Verdi) e hanno stipulato con i Rossi un patto di alleanza: li avrebbero sostenuti e appoggiati nell’opera di sfruttamento dei Verdi in cambio del ritorno alla vita tranquilla di prima, a spese dei Verdi, considerati (a torto e per convenienza) causa del loro trasferimento nel condominio.

Per un po’ la cosa è andata avanti: i Verdi lavoravano sodo per far vedere ai Bruni e a tutti gli altri di essere più bravi di loro e perché qualcosa restava comunque nelle loro tasche. Col tempo però i Bianchi sono diventati sempre più numerosi ed esigenti, i Rossi sempre più costosi e prepotenti e le condizioni generali di mercato hanno cominciato a immiserire i Verdi, che hanno preso a rimpiangere sia i tempi dei Bruni che la mancata occasione di restarsene liberi nel loro villaggio. Per un po’ si sono limitati a mugugnare, poi hanno  pestato i piedi e hanno cominciato a spintonare. All’inizio sono bastati i Bianchi a trattenerli ma quando qualcuno di loro è arrivato fino al superattico a lanciare liquame, i Rossi hanno dovuto prendere provvedimenti più radicali per difendere le proprie posizioni di privilegio.

Si sono rivolti ai Neri, una famiglia poverissima e senza casa, che è stata invitata a condividere gli appartamenti dei Verdi, nella speranza che la preoccupazione per questa nuova presenza avrebbe indotto i Verdi (e anche taluni dei Bianchi) a più miti consigli e a convincersi dell’impraticabilità di ogni alternativa alla vita di condominio e alla tutela dei Rossi.
La cosa però non ha funzionato: i Neri hanno esagerato in prepotenze, rumore e maleducazione, hanno rotto gli infissi, imbrattato i muri, urinato sulle scale, rubato la biancheria e a un certo punto si sono messi a taglieggiare e malmenare i coinquilini. 
I Verdi hanno reagito male: invece di “stringersi a coorte” attorno a Bianchi e Rossi, hanno smesso di lavorare e di fare figli, alcuni di loro sono emigrati, altri se ne sono tornati al loro villaggio e rifiutano ogni contatto con l’esterno. L’intero condominio è precipitato nel caos e nella più profonda miseria. Vista la mala parata, i Rossi si sono trasferiti alle Bahamas a godersi le ricchezze che hanno accumulato.

Tutti gli altri sono alla fame e sopravvivono discretamente solo i Neri che ci erano abituati da sempre.
Aveva scritto Carlo Cattaneo, uno dei uno dei Verdi che fin da subito si era rifiutato di trasferirsi nel condominio, che «quando ogni fratello ha casa sua, le cognate non fanno liti».
Ma i Verdi leggono poco.

(da “Il Federalismo”, direttore responsabile Stefania Piazzo)


Fonte: da L’Indipendenza del 21 marzo 2016