mercoledì 31 agosto 2011

GIOVANNI VIRNICCHI


Giovanni Virnicchi  nato a Napoli nel 1936, giornalista iscritto all'Ordine dal 1965.
Ha cominciato a collaborare con "Il Mattino" nella rubrica sportiva nel 1952 e nel corso degli anni, (una gavetta durata oltre un decennio), ha collaborato anche con il "Corriere di Napoli", "Lo Sport", "Sport Sud".  Alla fine degli anni '60 ha cominciato a collaborare come informatore alla Redazione Cronaca de "Il Mattino" e dal 1970 al 1985 è stato cronista di nera presso il quotidiano napoletano che ha lasciato nel 1985, da caposervizio, per dimissioni. Ha continuato a lavorare come cronista di nera dal 1985 ad oggi per le testate: "Il Giornale di Napoli", il "Roma", "La Verità" e "Cronache di Napoli" e collabora con la RAI e L'Agenzia Italia. Molti suoi articoli ed inchieste su quotidiani napoletani sono apparsi con la firma Franco Virno,  pseudonimo usato fin dal 1985.
(Altre pubblicazioni: "II Napoli dalle origini ad oggi" 1960, "Da Sallustro a Savoldi" 1959, in "Vent'anni di  orrore" 2002).

Fonte: da Così Parlò la Camorra, Codice, Lessico e Poesie; Riemma Editore

martedì 30 agosto 2011

IL CODICE DI COMPORTAMENTO DELLA CAMORRA

L'entrata di Garibaldi in Napoli sotto il "patrocinio"  della camorra (disegno tratto da: Così parlò la Camorra)

Fin dall'inizio della sua esistenza, circa quattro secoli or sono, l'Onorata Società si dette un codice di comportamento; per molti anni non c'è stato un codice scritto ma picciotti, contaiuoli e capintesta sapevano benissimo quali erano le leggi da rispettare e da far rispettare; erano leggi non scritte ma severe e punitive fino alla morte.
Il primo "codice della camorra, detto il “frieno”,  fu approvato da tutti i capintesta dell'epoca nel corso di una riunione dei rappresentanti di tutti i quartieri della città; la riunione si tenne il 12 settembre del 1842 nella chiesa di Santa Caterina a Formiello costruita nel Quattrocento o forse prima nella zona di Porta Capuana.
Quel "codice" della camorra fu scritto da un abile “contaiuolo”,  Francesco Scorticelli che era una specie di “controllore” o “ragioniere” della Onorata Società; Scorticelli per la sua abilità di "amministratore" era consultato e benvoluto da tutti i "capintesta" dell'epoca; non gli fu difficile far approvare integralmente quei 26 "articoli" da lui pensati e scritti.
Prima della camorra, (camorra associazione malavitosa campana) la “Confraternita della Grandugna”, (grandugna significa rapina) che si dette le sue leggi ed il suo codice d'onore; la "Confraternita della grandugna" nacque in Spagna durante l'occupazione napoleonica.
Questa società per delinquere era perfettamente organizzata; oltre alle rapine si poneva a disposizione di chiunque dovesse compiere una vendetta, far bastonare ed anche uccidere qualcuno; per questi "servizi" i sicari si ricevevano lauti compensi. Centinaia di sicari della "grandugna" entravano in azione, bastonavano, ferivano, sfregiavano, uccidevano su "commissione". Questo "codice della camorra" che pubblichiamo nulla ha in comune con quello scritto in Spagna.


ART. 1  La Società dell'Umirtà o Bella Società Rìfurrnata ha per scopo di riunire tutti quei compagni che hanno cuore (che tenen'o core) allo scopo di potersi, in circostanze speciali, aiutare, sia moralmente che materialmente.

ART. 2  La Società si divide in maggiore e minore: alla prima appartengono i compagni cammurrìstì ed alla seconda i compagni picciuotti ed i giovinotti onorati.

ART. 3  La Società ha la sua sede principale in Napoli; ma può avere "rappresentanze" anche in altre zone della provincia e della regione.

ART. 4  Tanto i compagni di Napoli che di fuori Napoli, tanto quelli che stanno alle isole (relegati a domicilio coatto)o sotto chiave (in istato di detenzione) o all'aria libera, debbono riconoscere un solo capo, che è il superiore di tutti e si chiama capintesta, che sarà scelto tra i cammurristi più ardimentosi.

ART. 5
 La riunione di più compagni commurristi costituisce la paranza ed ha per superiore un caposocietà.

ART. 6  La riunione di più compagni picciuotti o di giovinotti onorati si chiama chiorma (ciurma) e dipende dal caposocietà dei cammurristi.

ART. 7  Ciascun quartiere deve avere un caposocietà o capintrito, che sarà, per votazione, scelto tra i cammurristi del quartiere e resta in carica per un anno.

ART. 8  Se tra le chiorme (paranze) vi fosse qualcuno di penna (cioè in grado di leggere e scrivere), allora, dietro parere del capintesta e dopo un sacro giuramento, sarà nominato contaiuolo.

ART. 9  Se tra le chiorme vi fosse qualcuno di penna, allora dal picciuotto anziano del quartiere sarà presentato al capintrito dal quale dipende e, dietro sacro giuramento, sarà nominato contaiuolo dei compagni picciuotti; ma se non si trovasse, allora il contaiuolo delle paranze farà da segretario anche nelle chiorme.

ART. 10  I componenti delle paranze e delle chiorme, oltre Dio, i Santi e i loro Capi, non conoscono altre autorità.

ART. 11  Chiunque sbelisce (cioè svela) cose della Società; sarà severamente punito dalle mamme (cioè dai tribunali della Camorra).

ART. 12  Tanto i compagni vecchi che quelli che si trovano alle isole o sotto chiave, debbono essere soccorsi.

ART. 13  Le madri le mogli i figli, le 'nammurate dei cammurristi, dei pieciuotti e dei giovinotti onorati, debbono essere rispettate sia dai soci che dagli estranei.

ART. 14  Se per disgrazia qualche superiore trovasi alle isole, deve essere servito dagli altri detenuti.

ART. 15  Quattro cammurristi sotto chiave possono fra loro scegliersi un capo, che cesserà di essere tale non appena tocca l'aria libera.

ART. 16  Un membro della Società Maggiore, per essere punito, dovrà essere sottoposto al giudizio della Gran Mamma. Un membro della Società Minore sarà condannato dalla Piccola Mamma. Alla Gran Mamma presiede il capintesta e alla Piccola Mamma il capintrito o caposocietà del quartiere .al quale appartiene colui che deve essere condannato.

ART. 17  Se uno delle chiorme offendesse qualche componente delle paranze, il paranzuolo si potrà togliere la surrisfazione (soddisfazione) da sè. Awerandosi l'opposto, ne dovrà essere informato prima il capintesta.

ART. 18  Il dichiaramento si farà sempre dietro parere del capintrito, se trattasi di picciuotto o di giuvinotto annurato, e dietro parere del capintesta, se trattasi di cammurrista. Ai vecchi e agli scurnacchiati (cioè ai cornuti) sarà vietato di zumpà:cioè di battersi in duello rituale.

ART. 19  Per essere cammurrista o ci si arriva per novizio (cioè noviziato) o per colpo.

ART. 20   Chi fu compricato (implicato) in qualche furto o viene riconosciuto come ricchione; non può essere mai capo.

ART. 21  Il capintesta si dovrà scegliere sempre fra le paranze di Porta Capuana.

ART. 22  Tutte le punizioni delle Mamme si debbono eseguire nel termine che. stabilisce il superiore e dietro il tocco. Cioè, l'esecutore deve essere tirato a sorte.

ART. 23  Tutti i cammurristi e picciuotti diventano, per turno, cammurristi e picciuotti di jurnata.

ART. 24  Quelli che sono comandati per esigere le tangenti le debbono consegnare per intero ai superiori. Delle tangenti spetta un quarto al capintesta ed il resto sarà versato nella cassa sociale allo scopo di dividerlo scrupolosamente tra i compagni attivi, tra gli infermi e quelli che stanno in punizione per sfizio del Governo.

ART. 25  I pali nella divisione del baratto, debbono essere trattati ugualmente come gli altri membri della Società.

ART. 26· Al presente frieno, secondo le circostanze, possono essere aggiunti altri articoli.

(Il contaiolo  Francesco Scorticelli)


Fonte:  srs di Giovanni Virnicchi, da  Così parlò la Camorra Codice, Lessico e Poesie;  Riemma Editore (2006)

sabato 27 agosto 2011

EUFENIO BENETAZZO: BELLA HAWAIANA BANANA ITALIANA



Nella storia del cinema italiano agli inizi degli anni settanta una straordinaria commedia, Polvere di Stelle, interpretata dal grande Alberto Sordi narrava le peripezie fortunate e sfortunate di una compagnia teatrale di avanspettacolo che tentava di sbarcare il lunario durante la seconda guerra mondiale, in concomitanza dell'occupazione italiana da parte  dell'esercito americano. Il sogno di raggiungere la notorietà ed il successo a cui aspirano i protagonisti attraverso una tournee stravagante si trasforma purtroppo in una effimera e amara illusione. La stessa che avranno milioni di risparmiatori italiani nel tentativo di riassestare maldestramente all'ultimo minuto parte del loro portafoglio a fronte di quello che sta emergendo in termini di rischio finanziario per il nostro paese.

Sono centinaia e centinaia le e-mail che mi arrivano in questi giorni chiedendomi dove e come si può comprare oro fisico, con il prezzo che ormai ha abbondantemente superato la soglia dei $ 1800 per oncia: nessuno di loro è disposto a riflettere su quello che sta richiedendo ovvero acquistare metallo giallo dopo che da anni non ho fatto altro che consigliarlo. Dal punto di vista giornalistico sono interessanti anche le richieste di come aprire un conto in Svizzera e depositarvi franchi svizzeri nell'intento di proteggersi da sempre più probabili manovre di prelievo coatto sulle giacenze bancarie da parte del Governo in Italia. Anche qui mi viene da sorridere pensando ai poveri illusi che vogliono cambiare l'euro contro il franco svizzero quando il rapporto di cambio ormai è prossimo alla parità, quindi assolutamente non conveniente.

Inoltre permane ancora l'illusione che la Svizzera possa essere un paese in grado di dare una qualche sorta di protezione è, sine ulla dubitatione, ormai fuori luogo. Le banche svizzere possono proteggervi solamente se avete depositi che non rispettano la legislazione sul monitoraggio fiscale italiana, in buona sostanza ha senso aprire un conto in Svizzera solo se il deposito non è dichiarato in Italia e quindi lontano dagli occhi dell'Agenzia delle Entrate, il che espone il piccolo risparmiatore ha ingentissimi rischi e sanzioni, oltre a svariati reati. Personalmente sconsiglio nella maniera più assoluta di effettuare queste tipologie di deposito. Sul piano fiduciario le banche svizzere non sono più tanto credibili, il caso UBS ha fatto storia, inoltre molte di loro hanno una situazione patrimoniale ben peggiore di quella di grandi banche italiane.

Continuo a dirvelo e scriverlo: se volete un pezzo di carta sicuro compratevi un titolo di Stato norvegese, ma anche per questo è ormai troppo tardi. Non dimentichiamo comunque che il mercato azionario, attuale termometro dello stato di crisi, sconta probabilmente al momento lo scenario peggiore: in questi termini pensare ad una selettiva attività di stock picking nei confronti di alcuni titoli azionari, con i prezzi ai minimi storici, che hanno rendimenti (yield) attraverso il flusso di dividendi attesi di oltre il 6/7% possa essere preferita alla detenzione di titoli di stato, che rappresentano quote di debito di dubbio rimborso nel medio/lungo termine. Non sono casuali a riguardo i limiti imposti dalla Consob alle vendite allo scoperto e i repentini congelamenti delle quotazioni nei confronti dei titoli bancari: segno evidente che non si vuol far scendere ulteriormente i livelli di prezzo di determinate grandi aziende italiane.

Non parlo poi delle sconsiderate composizioni di portafoglio che hanno la maggior parte dei risparmiatori italiani ancora ad oggi, nonostante quello che è accaduto dalla scorsa estate nessuno ha provveduto a ristrutturare il proprio dossier titoli, la maggior parte dei quali sono ancora sono composti solo da governativi italiani. C'è chi dorme sonni tranquilli avendo in pancia solo un BTP o un CCT di centomila euro e sogna la fortuna come Mimmo in Polvere di Stelle, quando sono mesi e mesi che consiglio di prendere posizione attraverso fondi flessibili oppure obbligazionari dinamici. Oggi è inutile comunque nascondersi, l'illusione ormai è svanita, ci aspetta il conto per come abbiamo vissuto e per come abbiamo amministrato la cosa pubblica, tanto in Italia quanto in Europa: prima familiarizzeremo con questo concetto e le sue possibili conseguenze e prima saremo mentalmente e finanziariamente preparati a quello che ci accadrà.

Fonte: da srs di Eugenio Benetazzo;  25 agosto 2011

lunedì 22 agosto 2011

EUGENIO BENETAZZO: SPETTANDO IL PROSSIMO HOTEL RAPHAEL

C'è stata solo una volta da quando l'Italia è diventata una Repubblica che abbiamo dimostrato al mondo di avere carattere, senso di appartenenza allo Stato, coraggio e buon senso: era il 30 aprile del 1993 quando davanti all'Hotel Raphael di Roma migliaia e migliaia di persone proclamarono la dipartita di Bettino Craxi sotto una pioggia di monetine ed al tempo stesso la fine, non solo di un governo, ma anche di un sistema di governo.
Con molta presunzione Silvio Berlusconi farà la la stessa fine. In queste ultime due settimane il nostro paese è stato preso di mira da un'elite finanziaria e bancaria che non ci vuol molto a identificare. La nostra nazione nonostante le continue rassicurazioni di personalità istituzionali e del mondo accademico è sempre più diretta verso un binario morto che si chiama scenario argentino. L'incompetenza di chi sta al governo e di chi sta all'opposizione, unita ai recenti scandali politici trasmettono un clima di disagio, sofferenza e di inquietudine come mai visto prima.

Per la prima volta sento anche sostenitori del centrodestra denigrare contro il ridicolo gioco di forza cui i vari leader politici ci obbligano a vedere quotidianamente.
Lo stallo del paese non ha precedenti storici, proprio adesso allora si pone l'esigenza di un altro Hotel Raphael, con la consapevolezza che non può essere una classe politica di settantenni, che ha portato al baratro l'intero paese, quella ad avere la soluzione per un exit strategy realmente efficace.
Purtroppo è arrivato il momento della medicina amara, molto amara, il malato è moribondo, pertanto solo con un'azione fuori dal coro e fuori dagli schemi sarà possibile la guarigione.
Quest'ultima dovrà passare necessariamente attraverso una politica di austerity sociale che la maggior parte di noi neanche riesce ad immaginare: ingenti tagli indiscriminati alla spesa pubblica, aumento dell'età pensionabile, patrimoniale sulla prima casa, aumento dell'imposizione indiretta, fine a ricoveri ed esigenze ospedaliere di cortesia (basta con la TAC al dito mignolo) ed infine inasprimento del controllo ed accertamento tributario.

Il mio pensiero personale augurio è che possa emergere in qualche modo nei prossimi semestri un Cameron italiano, un primo ministro quarantenne, trasversale ed eclettico, che attui quanto prima il ridimensionamento ed il costo del protezionismo sociale sfrenato che ha portato questo paese in cancrena finanziaria.
Da un altro punto di vista temo l'insediarsi di un governo tecnico, auspicio invece delle mani forti che stanno attaccando con i loro capitali il nostro mercato obbligazionario.
Per loro il piano da attuare è abbastanza intuibile, visto che con i recenti referendum sono venute meno grandi opportunità imprenditoriali di investimento in Italia su svariati settori: allora per ripicca o come diversivo dovranno mettere in atto una nuova fase di saccheggio di Stato per rifarsi dei mancati introiti sfumati.

La medicina, ammesso che possa essere chiamata così, del nuovo ed ipotetico primo ministro italiano, imposto con pressione dall'establishment bancaria ed industriale d'Europa, sarà quindi la privatizzazione di numerose risorse del nostro paese.  
La strada è dinanzi a noi è piuttosto ben delineata, gli esiti piuttosto certe, le conseguenze assolutamente lampanti: non è pensabile che da questo punto di vista la stampa nazionale prenda posizione o provveda a dare significativa visibilità a questo tipo di rischio, le rispettive redazioni non fanno altro che rispettare quanto dai loro padroni viene definito a tavolino.
In Argentina, il popolo, quando venne proposto il piano di salvataggio da parte del Fondo Monetario Internazionale si riversò letteralmente nelle strade e nelle piazze alla voce di "el pueblo no se va". Così è accaduto recentemente anche in Grecia, che si è vista proporre la stessa cura: vedremo anche da noi gli italiani che prenderanno randello e rastrello e si riverseranno nelle piazze rivendicando un nuovo paese ?


Fonte:  da srs di Eugenio Benetazzo – 09 agosto 2011-08-20

sabato 20 agosto 2011

EUGENIO BENETAZZO: DELTORIANI UBER ALLES



In questo momento di turbolenza finanziaria causata dalla crisi del debito sovrano in Europa che vede l'Italia ed i suoi titoli di stato sotto attacco speculativo, mi sento orgoglioso pe quanto abbiamo creato assieme ad altri centinaia di piccoli investitori da tutta Italia.
Tre anni fa ho dato vita a Deltoro Holding, un incubatore finanziario indipendente con il fine primario di conseguire profitti in conto capitale dall'attività di trading immobiliare e mobiliare esercitata in nome e per conto proprio senza ricorrere alla sollecitazione e raccolta di pubblico risparmio.
La holding è stata concepita per essere un'arca di noè finanziaria con cui proteggersi dal peggioramento del quadro macroeconomico in Europa che sarebbe arrivato negli anni successivi, considerate che stiamo parlando di Maggio 2008.


Al di là infatti degli obiettivi raggiunti e delle perfomance ottenute, il risultato più gratificante è stato riuscire a creare attorno alla compagine azionaria un autentico club finanziario di piccoli risparmiatori che sono cresciuti e stanno crescendo in cultura, formazione e consapevolezza finanziaria, forti dell'interscambio osmotico messo in essere dalla holding con tutte le sue attività operative e mediatiche (giornate di formazione, seminari e workshop). 
Grazie a questa interazione tra tutti gli azionisti infatti si genera un continuo interscambio di informazioni e di feedback operativi sui propri investimenti personali.  Di certo i deltoriani (come vengono chiamati scherzosamente nei forum finanziari gli azionisti della holding) non si fanno o si sono fatti sodomizzare finanziariamente da banche o promotori, anzi, spesso si fanno portavoce assieme a me di battaglie contro la disinformazione finanziaria.  


L'idea di unire le nostre, i nostri capitali e le nostre conoscenze ci è nata infatti qualche mese prima che fallisse la Lehman Brothers, con la consapevolezza che non è più possibile fare affidamento al panorama bancario o parabancario per la gestione dei propri risparmi.
Purtroppo questa sembra sia l'unica soluzione che rimane al pubblico risparmiatore italiano ovvero quello di organizzarsi per non soccombere finanziariamente affidandosi a soggetti che ormai hanno dimostrato di avere palesi conflitti di interesse con gli stessi risparmiatori.  
All'inizio quando presentai il progetto di costituzione societaria, molti colleghi e referenti di banca mi diedero del pazzoide visionario: gli stessi oggi mi chiedono di poter diventare azionisti o di far diventare azionisti la loro clientela. 


La sensibilità e lungimiranza nei confronti dei grandi driver di investimento di questi ultimi anni ci hanno portato ad investire anche direttamente nella realizzazione di due parchi solari in Puglia, riuscendo ad ottenere una elevata redditività attraverso un investimento con sottostante fisico e tangibile e non con i soliti investimenti cartacei ormai a rischio di polverizzazione. Il mio augurio è che simili iniziative vengano riproposte anche altrove magari con dinamiche similari, in quanto cosi facendo il piccolo investitore ha dimostrato che se si organizza e si coordina riesce a raggiungere soluzioni di efficienza e efficacia finanziaria. Questa purtroppo sembra l'unica strada che abbiamo per contrastare il sempre più crescente e diabolico potere del cartello dei forti poteri bancari in Italia.
Deltoriani uber alles.


Fonte: da srs di Eugenio Benetazzo  – 2  agosto 2011

venerdì 19 agosto 2011

VERONA. CASERMA PASSALACQUA: I DEVASTATORI ALL’OPERA


Verona 8-9 agosto 2011 Passalacqua: i devastatori all'opera
Ieri mattina, è iniziato il taglio degli alberi alla Passalacqua. Sono state abbattute più di quaranta grandi piante che avevano dai trenta ai cento anni di età. . Oggi, il taglio prosegue a ritmo serrato. Come avevamo previsto, i devastatori si sono messi all'opera, vigliaccamente, in agosto quando la gente è in vacanza, a riprova del rapporto che questa amministrazione ha con i cittadini che non devono sapere, non devono interferire. Nessuno doveva sapere niente neppure dell'amianto, che invece se ne sta bel bello fra le montagne di macerie esposte per un mese nel cantiere.  Se la cava, l'assessore Giacino, dicendo che “si può anche sbagliare”:  peccato che questo tipo di sbagli, per ora, non li paghi lui ma chi ha lavorato lì dentro, chi abita e lavora lì intorno. E adesso gli alberi.
Il luminoso progetto di riqualificazione dell'area dell'ex caserma Passalacqua è iniziato nel modo più oscuro: polveri tossiche sparse nel quartiere e bellissimi alberi tagliati. In un quartiere soffocato dal traffico e privo di spazi verdi, tagliano il poco verde che c'è.

AI posto degli alberi sorgeranno 300 inutili appartamenti, nella città delle 10.000 case sfitte. Verona, sempre ai primi posti tra le città più inquinate d'Italia, distrugge un patrimonio naturale insostituibile.
L'amministrazione Tosi passerà tristemente alla storia di questa città per aver tagliato centinaia e centinaia di alberi. E sono gli alberi con grandi fronde, quelli di trenta, cinquanta, settant'anni, che aiutano a ripulire l'aria, a mitigare il clima, a regalare a tutti pause di bellezza, non certo i fuscelli stentati che vengono piantati per sostituirli, e non certo le centinaia di pianticelle di rose che hanno invaso Verona con uno spreco continuo di denaro pubblico.
Se da questa gestione dissennata del verde pubblico non traggono nessun vantaggio né i cittadini né le casse del Comune, dovremmo farci tutti una semplice domanda: chi ci guadagna?

Richiamiamo tutti alle loro responsabilità. Il Corpo Forestale dello Stato e la Soprintendenza ai Beni architettonici e ambientali sembrano assistere in uno stato di colpevole inerzia a questa devastazione. La Passalacqua è un sito storico e naturale di grande bellezza, ma l'amministrazione comunale ha deciso che può essere sacrificata per una speculazione edilizia senza scrupoli che non si preoccupa certo né della tutela dell'ambiente né della salute degli abitanti né della memoria storica di quel luogo.

La Soprintendenza vuole davvero lasciare che tutto questo succeda senza muovere un dito?
Il patrimonio naturale e storico di una città appartiene a tutti e non può essere distrutto così. Noi cittadine e cittadini siamo consapevoli che gli alberi e le aree storiche di pregio sono un bene comune insostituibile, invalicabile: fuori i devastatori dalla Passalacqua, basta con le seghe e con le ruspe!

Cittadine/i  in-alberateli

Non gettare a terra questo foglio ma usa gli appositi contenitori per la raccolta della carta
S.I.P. 2011


Fonte: manifesto di protesta distribuito in Veronetta

giovedì 18 agosto 2011

VERONA, MUSEO DI STORIA NATURALE, LA CONSERVATRICE DI PREISTORIA LAURA LONGO

Laura Longo

Leggendo su internet un post del museo di Verona, si viene a sapere che Verona è un luogo accogliente e ideale per viverci sin  da tempi immemorabili, come testimonia il grande patrimonio di reperti fossili disseminato sul suo territorio.
Pochi sanno che il Museo di Storia Naturale di Verona è il più antico del mondo e che la dott.ssa  Laura Longo, paleoantropologa e Conservatore di Preistoria, è attivamente impegnata nella valorizzazione delle testimonianze provenienti dal patrimonio preistorico locale e che  si dedica con passione sia a campagne di scavo nei siti di tutto il mondo che alla valorizzazione delle testimonianze del nostro territorio. A lei si devono la riscoperta e la rivalutazione di reperti custoditi nell’istituzione cittadina, con risultati di grande valore scientifico.

MA OGGI, DOV’È LA DOTT. SSA LAURA  LONGO?
Di lei a Verona non si hanno  più notizie. Dopo aver contribuito, nel 2010 a portare a  conoscenza del grande pubblico il “mistero delle selci blu del Museo di Verona”,  dall’inizio del 2011 se ne  sono perse tutte le tracce: scomparsa, sublimata.
Che  sia stata letale  alla nuova e misteriosa molecola che gli studiosi hanno battezzato «Juliet», Giulietta, che potrebbe essere la responsabile del cambio di colore delle pietre?  Oppure, dopo  che la giunta comunale del sindaco Flavio Tosi  ha messo in vendita, per  far schei, il palazzo del Museo di Verona, non ne siano  in vendita anche i dipendenti?

Per avere una memoria  della dott. essa  LAURA  LONGO recupero  un post, tratto da excellencebook.it


PRIMA DELLA STORIA


Pochi sanno che il Museo di Storia Naturale di Verona è il più antico del mondo. Laura Longo, paleoantropologa e Conservatore di Preistoria, è attivamente impegnata nella valorizzazione delle testimonianze provenienti dal patrimonio preistorico locale

Verona è un luogo accogliente e ideale per vivere da tempi immemorabili, come testimonia il grande patrimonio di reperti fossili disseminato sul suo territorio.
La paleoantropologa Laura Longo, Conservatore di Preistoria del  Museo di Storia Naturale di Verona, si dedica  con passione sia a campagne di scavo nei siti  di tutto il mondo che alla valorizzazione delle  testimonianze del nostro territorio. A lei si devono la riscoperta e la rivalutazione di reperti custoditi nell’istituzione cittadina, con risultati di grande valore scientifico.

Ci parli di lei...

Sono nata a Verona, ma ho trascorso la mia infanzia a Pedemonte, in Valpolicella, dove è scaturita la mia passione per i “sassi”. Mia mamma conserva ancora il primo fossile che ho raccolto, un’ammonite. Sono sempre stata affascinata dalle cose precise e concrete. Non a caso ho studiato Scienze Naturali, scelta favorita anche dalla vicinanza all’esperienza di mia nonna, che era una naturalista e frequentava il Museo di Verona. Già al liceo avevo maturato l’idea di proseguire gli studi in un ambito legato all’archeologia o alla geologia, ma la vera fascinazione è avvenuta con la lettura del libro di Donald C. Johanson, lo scopritore di Lucy.

Qual è stato, quindi, il suo percorso di studi?

Mi sono laureata a Ferrara, università che lavora nel territorio veronese nel settore della preistoria antica. A Verona si trovano infatti siti importantissimi, come i Ripari Mezzena, Zampieri, Tagliente e la Grotta di Fumane. Ho proseguito quindi all’estero con il dottorato: un anno in Inghilterra, quasi un altro tra Francia e Russia, e infine il post dottorato negli Stati Uniti, a S.M.U. Dallas, Texas.  Sono state esperienze fondamentali per introdurmi in un circuito internazionale, ma anche per farmi comprendere l’importanza e la peculiarità del nostro territorio, in modo da poterlo valorizzare. Essere aggiornati sulle metodologie più attuali permette di tirar fuori molto di più dai giacimenti. Il mio slogan è: pensare globale, agire locale.

Anche perché il ritrovamento di un reperto si incasella in una scena globale...

Assolutamente sì. Pensiamo ai reperti di Riparo Mezzena, quasi dimenticati per 50 anni. Quando sono tornata a Verona come Conservatore, nel ’98, sono rimasta molto meravigliata dal fatto che avessimo dei fossili umani di tale importanza e che non fossero oggetto di ricerche aggiornate e moderne.
Attraverso metodologie estremamente innovative abbiamo estratto da uno dei reperti il Dna nucleare, importantissimo perché presenta sia i geni materni che quelli paterni. Siamo riusciti così a risalire, tra l’altro, ad informazioni relative all’aspetto esteriore, scoprendo il fenomeno dello schiarimento della pelle nell’uomo di Neanderthal, processo intervenuto poi altre volte nel corso dell’evoluzione umana. Se si vive a nord, dove non c’è lo stesso irraggiamento solare che in Africa, non si ha ragione di avere pelle e capelli scuri, perché non si ha più bisogno di proteggersi dal sole, ma si necessita anzi di una pelle chiara che permetta il corretto funzionamento della vitamina D. Si tratta di una convergenza adattativa estremamente significativa. Di questa scoperta hanno parlato le più importanti riviste scientifiche, prima tra tutte Science.
Senza un continuo aggiornamento non è possibile arrivare a certi risultati. Ora stiamo lavorando sulla sequenza di geni che codifica il linguaggio e abbiamo effettuato la campionatura dell’altro reperto di Mezzena, la mandibola femminile. La preistoria interessa molto anche i non addetti al settore, perché ci parla delle nostre radici. Capire la storia del l’uomo dà chiavi di lettura per decifrare molti nostri comportamenti che, seppure spinti da necessità diverse, hanno forti analogie con il passato remoto.

Una scoperta con un grande valore scientifico...

Sì, indubbiamente! Ma è anche significativo sottolineare come questi risultati provenganoda reperti che erano già conservati da tempo in un museo. Questo significa che i musei, soprattutto il nostro, con 500 anni di storia alle spalle, hanno tanto da dire oggi e in futuro. Basta saperli far parlare! E la pubblicazione di una ricerca sulla più prestigiosa rivista scientifica del mondo lo dimostra...
Ciò che conserviamo può raccontare molto sul nostro territorio e rappresenta un forte legame con le nostre radici. Credo che pochissimi veronesi sappiano di avere un museo così antico e di così grande valore. Abbiamo tanto da fare, da dire; bisogna trovare il modo e le risorse sia economiche che umane per farlo. Fondamentale è credere in quello che si fa.

Come si riesce a trasmettere conoscenze anche complesse a chi non è del settore?

Nel 2002/03 abbiamo allestito in museo la mostra “Fossili antichi e modelli virtuali”, utilizzando linguaggi adatti alla comunicazione moderna. La mostra ha avuto un successo tale da spingere il Museo dell’uomo del Similaun di Bolzano ad acquistare il nostro format; non era mai successo!
Abbiamo inoltre organizzato una serie di eventi ad hoc, creando un vero e proprio pacchetto culturale che ha accompagnato tutta la durata della mostra, con attività dedicate anche ai più piccoli, e persino un cineforum, realizzato in collaborazione con il Centro Mazziano, dal nome “2002, Odissea nella specie”, con film e cartoni animati dedicati all’argomento.

Il Museo di Storia Naturale è molto amato e frequentato da varie generazioni di ve- ronesi; da anni si parla di un suo spostamento, in modo da dargli più spazio...

Il museo è molto legato all’architettura in cui è collocato, ma gli spazi sono davvero troppo ridotti. A mio avviso il progetto Chipperfield, che prevedeva l’Arsenale come nuovo spazio museale, era perfetto nella sua veste iniziale. A tutt’oggi non si sa quale sarà la nuova sede. Purtroppo si sta dando insufficiente importanza a questa realtà, tanto che le nostre stesse ricerche vengono spesso sottovalutate.
Quando Science ha pubblicato la nostra ricerca, nel 2007, le istituzioni cittadine non hanno ritenuto che la cosa rivestisse un’importanza tale da dedicarle una conferenza stampa. E ad ottobre 2008 la ricerca sul Neanderthal dai capelli rossi ha addirittura ottenuto la copertina del National Geographic International, venduto in decine di milioni di copie in tutto il mondo!  Non solo è stata pubblicata su Science e NG, ma il Museo di Verona può vantare una ricerca selezionata tra le cinque più importanti dell’anno per la paleoantropologia.
Questa disattenzione è sintomatica della sottovalutazione del patrimonio preistorico nel nostro territorio, che rappresenta invece un’autentica ricchezza. Tutta la provincia veronese è un museo vivente; siamo arrivati qui 500 mila anni fa e non ce ne siamo più andati, vi sono testimonianze ovunque, siti importantissimi e strutture archeologiche. E non dimentichiamoci dei fossili di Bolca, che dovrebbero essere maggiormente valorizzati. Quanto lavoro c’è ancora da fare!



mercoledì 17 agosto 2011

Omicidio Yara Gambirasio. Lettera anonima all’Eco di Bergamo: “L'ho uccisa io, ecco come ho fatto”


Lettera anonima a «L'Eco di Bergamo» sulla tragedia di Yara Gambirasio. E ' stata recapitata lunedì 8 agosto 2011 alla redazione del quotidiano. Un foglio A3 scritto in caratteri a stampatello  con un normografo su entrambe le facciate.  Dice con frasi sgrammaticate  di essere l'assassino della ragazza di Brembate Sopra,  attribuendosi l’intera responsabilità del delitto. Fornisce una sua versione dei fatti accaduti la sera del 26 novembre. L’uomo ha raccontato di aver conosciuto Yara circa due mesi prima

Cordiale Redazione  dell’Eco; date voi  questa lettera a chi di dovere, lo so che ne arrivano  molte quando si credeva  fosse rapita Yara da Brembate    Sopra, questa è una confessione particolare.

Non sono un metomane, non voglio sfidare nessuno e non ho indirizzo di caserma Ponte San Pietro e sarebbe per me troppo rischioso per la voce telefonare a loro poiché già segnalato il mio nome per altri fatti accaduti anni prima. Anche se non c’è più nulla da fare, voglio chiarire che cosa è successo la sera del 26 novembre 2010.

Da un po’ di mesi indietro lavoravo lì, a volte dopo il lavoro passavo vicino centro sportivo. Verso fine settembre passavo vicino a palestra con la mia macchina e con delle scuse avevo conosciuto una con quel nome. Finimmo con il simpatizzare eppure mi sembrava di piacere a lei perché me sorrideva quando le chiedevo se aveva il ragazzo fisso. gli offrivo un passaggio a casa verso le 18,50. Con una scusa le dissi che dovevo passare un attimo al posto di lavoro a Mapello. Verso le 19 arrivammo a Mapello, in macchina le squillò il cell.  La convinsi a spegnerlo, lei aveva già capito le mie intenzioni. Una volta fermata la macchina si spaventò e tentò di scappare, prima mi colpì ai testicoli e il suo cell. mi cadde addosso. Lo presi e lo disattivai. Lei intanto era appena scappata fuori de macchina. Avevo perso la testa per il fatto che poteva rovinare il mio corpo. La insegui nel campo dietro cantiere avevo un coltello poi presi una pietra e senza rendermi conto la colpii alla testa. Pensavo che era meglio chiamare il 118 e poi scappare ma preso dal panico la caricai in macchina e (..) portai il corpo in un campo più sicuro di Mapello (in realtà Chignolo,)

La dinamica del delitto coincide con quella ricostruita dagli inquirenti, ormai pubblicata sui quotidiani. Rimane pertanto il sospetto che possa davvero trattarsi di un mitomane. La lettera, ora al vaglio dei carabinieri del Ris di Parma, sembra non aggiunge particolare sconosciuti agli inquirenti

Fonte: Liberamente tratto da “L’Eco di Bergamo”


GIALLO YARA, INDIVIDUATO L'AUTORE DELLA LETTERA, E' UN MITOMANE DI 33ENNE, DISOCCUPATO:  SARÀ DENUNCIATO

I carabinieri hanno individuato l'autore della lettera anonima scritta con un normografo dal sedicente assassino di Yara Gambirasio. L'uomo è un 33enne che vive in un paesino in provincia di Alessandria; disoccupato, da circa 15 anni è sottoposto a cure psichiatriche. Il mitomane, ha fatto sapere il pm Letizia Ruggeri che si occupa delle indagini, sarà denunciato per autocalunnia.
Secondo gli investigatori, il 33enne aveva spedito la lettera da Spotorno (Savona) dove era in villeggiatura all'inizio di agosto. Non è mai stato a Bergamo e passa praticamente più di 11 mesi all'anno nel Paesino in provincia di Alessandria dove è residente. Ai carabinieri ha confessato di aver scritto la lettera anonima all'Eco di Bergamo.

"Non ci sono dubbi, è lui - dichiara il sostituto procuratore Letizia Ruggeri -. Vorrei ribadire a tutti che certe situazioni non sono indolore. Fanno perdere del tempo, si tratta di delitti contro l'attività giudiziaria. E non si pensi di farla franca. La lettera anonima poteva sembrare credibile e per questo ci ha fatto perdere del tempo. Sono convinta che certe situazioni nascono dalle troppe fughe di notizie su questa indagine". Non c'è più, quindi, un'indagine legata alla lettera anonima.

Fonte: da TGCOM del 18 agosto 2011

martedì 16 agosto 2011

Conflitti: WikiLeaks e i morti in Iraq

(AP Photo / Alaa al Marrjani)

 I documenti rivelati da WikiLeaks non hanno fatto solo la gioia di giornalisti e commentatori politici, o  la costernazione di governanti e diplomatici.
Hanno anche suscitato l'interesse degli scienziati, in particolare di quei ricercatori che si occupano di stabilire le conseguenze sulla popolazione civile della guerra in Iraq. La scorsa estate, prima di rilasciare le comunicazioni delle ambasciate

Usa di cui si sono occupate di recente le cronache, WikiLeaks ha infatti inviato un gruppo di documenti chiamati SigActs (da Significant Activities), che  riportano le vittime registrate dai soldati americani in Iraq, a Iraq Body Count (Ibc) , un'organizzazione con sede a Londra che registra i morti civili in Iraq facendo uso dei resoconti della stampa.
Questi ultimi non riportano tutte le morti violente, e così fino a ieri i conteggi di Ibc risultavano approssimati per difetto, senza possibilità di sapere quanto fosse ampia. r approssimazione.

Analizzando i dati SigActs, Ibc ha concluso che,  tra il gennaio 2004 e il dicembre 2009 l'esercito americano ha registrato 109.000 morti, di cui 79.000  erano civili;  nello stesso periodo Ibc aveva invece riportato 91.000 morti.
Con un'estrapolazione compiuta a partire da un campione, Ibc calcola che i soldati Usa hanno mancato di registrare 27.000 morti, e ne hanno invece riportato 15.000 ignote alla stampa.
Come si poteva immaginare, i media hanno ignorato soprattutto gli incidenti con poche vittime (fra una e tre); l'ampia sovrapposizione esistente fra i due insiemi di dati fa comunque pensare che sia   improbabile che ci siano stati molti decessi non riportati da nessuna delle due fonti.
Ibc calcola adesso che la guerra abbia fatto 150.000 morti violente, di cui 1'80% (cioè 120.000) civili. Questa stima ricade nel margine di variazione di quella proposta dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, e sembra invece confutare quella molto più ampia di 600.000 morti proposta nel 2006 da uno studio pubblicato sulla rivista Lancet.

Fonte: Pubblicato da DARWIN, N° 41, gennaio-febbraio 2011

lunedì 15 agosto 2011

UNA FARINA DI 30.000 ANNI FA

Piante di tifa, una monocotiledone della famiglia delle Typhaceae. 

I nostri progenitori del Paleolitico erano già in grado di trasformare e consumare prodotti derivati dalla raccolta dei vegetali selvatici

Cosa mangiavano i nostri pro genitori del Paleolitico? Di questo tema tanto attuale, per tutte le implicazioni sulla moderna alimentazione e anche sulle sue più comuni disfunzioni, si è  occupata di recente la rivista Pnas (Atti dell' Accademia delle Scienze degli Stati Uniti d’America) dove è uscito un nostro articolo – “Thirty thousand-year-old evidence of plant food processing” - dedicato alla paleonutrizione degli uomini anatomicamente moderni.
La scoperta evidenzia per la prima volta che nella dieta di Homo sapiens i carboidrati complessi, sotto forma di farina, giocavano un ruolo importante. I pestelli e la macina ritrovati nei siti preistorici di Bilancino (Mugello, Toscana), Pavlov VI (Moravia, Repubblica Ceca) e Kostenki 16 (Valle del Don, Russia) dimostrano che i nostri progenitori del Paleolitico superiore erano già in grado di trasformare, elaborare e consumare prodotti derivati dalla raccolta dei vegetali selvatici. Cambia cosi lo scenario delle conoscenze sull'economia e la vita di 30.000 anni fa. Molte sono le implicazioni di questa scoperta. Dalla possibilità di conservare e trasportare un alimento altamente energetico, alla elaborazione di ricette, necessarie per rendere digeribili i carboidrati attraverso vari tipi di cottura, fino alla ricostruzione di una complessa gestione delle risorse del territorio.

Tutto è iniziato con lo scavo dell'insediamento preistorico di Bilancino, oggi sommerso da un invaso artificiale che fornisce l'acqua alla città di Firenze.  Un gruppo di archeologi ha condotto un intervento di emergenza che ha messo in luce un abitato del Paleolitico superiore perfettamente conservato, relativo a un singolo episodio di frequentazione umana.  Sotto i finissimi limi delle alluvioni del vicino fiume Sieve lo scavo ha riportato alla luce l'antica superficie su cui aveva vissuto un gruppo di cacciatori-raccoglitori, permettendo di descrivere una pagina di cronaca quotidiana di 30.000 anni fa.  La datazione di questo accampamento, ottenuta con il carbonio radioattivo mediante spettrometria di massa (un metodo che consente di contare direttamente gli isotopi del carbonio) costituisce un elemento di notevole importanza, dato che pochi sono i ritrovamenti di questo periodo (denominato Gravettiano) in Italia.

In questo accampamento stagionale sono stati riportati alla luce oltre 40.000 manufatti scheggiati, due focolari e una serie di pietre, così come erano stati lasciati al momento dell'abbandono dell'accampamento, probabilmente alla fine della stagione estiva. I manufatti litici  sono estremamente caratteristici e ripetitivi per forma e dimensioni, mentre i sedimenti e i pollini ricostruiscono un ambiente ai margini di una palude, dove la tifa, un'erba palustre tuttora diffusa, era dominante.  Il primo interrogativo che il gruppo di ricercatori si è posto è stato quello di trovare una spiegazione alla quantità e alla ripetitività di un particolare tipo di manufatti chiamati in gergo «bulini di Noailles»,  Si tratta di strumenti in selce particolarmente sottili e di piccole dimensioni (2-3 cm) difficilmente collegabili alla caccia, la più tradizionale attività economica che comunemente si attribuisce alle popolazioni del Paleolitico (compresa la macellazione, il trattamento delle pelli, fino alla lavorazione dell'osso o delle coma).


In alto (A) macina e macinello trovati nel sito di Bilancino con tracce di usura (nelle foto piccole). Macina e macinello (B) con segni di usura trovati nel sito di Kostenki 16-Uglyanka, sulla riva destra del fiume Don nei pressi di Voronezh, nella Russia meridionale. In basso ricostruzione del sito paleolitico di Bilancino oggi sommerso dalle acque dell'invaso (disegno di Massimo Tosi). 

La ricerca di una spiegazione convincente ci ha portato nelle Valli di Comacchio, dove in una situazione ambientale analoga a quella ricostruita per il lago del Bilancino, la vita fino a poco tempo fa si svolgeva attorno allo sfruttamento delle erbe palustri.
Il confronto etnografico è stato determinante: nel Museo Etnografico di Villanova di Bagnacavallo sono conservati degli strumenti in metallo, di forma e dimensioni analoghe a quelle dei bulini di Bilancino, utilizzati per sfrangiare le foglie di tifa per ricavare delle fibre. Le fibre di tifa servivano per produrre corde, contenitori, stuoie ecc. e, assieme ad altre erbe palustri, costituivano un elemento essenziale per l'economia di queste aree fino all'avvento della plastica.

L'ipotesi che anche a Bilancino la vita dell' accampamento ruotasse intorno ad attività di trasformazione delle erbe palustri ha trovato conferma nei residui di origine vegetale individuati sui bulini grazie alle indagini microscopiche delle tracce d'uso e dei residui e all'archeologia sperimentale, una disciplina che studia la riproduzione di tecniche antiche.  
Lo scavo, condotto per la Soprintendenza della Toscana da Biancamaria Aranguren, ha anche restituito due strani blocchi di arenaria, che sono stati subito individuati come elementi estranei al sedimento costituito da limi sottilissimi. Di fatto questi ciottoli di arenaria dovevano essere stati introdotti intenzionalmente dall'uomo nell'accampamento preistorico.

Già in fase di scavo le due pietre avevano attirato l'attenzione per la loro forma particolare, tanto che non sono state lavate, conservando intatto il sedimento attorno ai reperti.
Gli studi successivi, grazie alle analisi condotte da Laura Longo sulle tracce d'uso, hanno dimostrato che si tratta di una macina e di un pestello-macinello.  I reperti sono stati portati in laboratorio e si è cominciato il lungo lavoro di analisi: la strana forma, l'ipotesi che in quell' accampamento lavorassero la tifa e la scoperta che questa pianta è ben nota in altri continenti (Americhe e Australia) per le sue proprietà alimentari ha spinto le archeologhe ad accettare la sfida di un' ipotesi mai percorsa prima per un' epoca così antica: cercare i residui vegetali che potessero provare un' attività di macinazione. Le analisi archeobotaniche, condotte da Marta Mariotti dell'Università di Firenze, hanno dimostrato la presenza di abbondanti granuli di amido sulla macina e  sul macinello, proprio in corrispondenza delle zone consumate dall'uso. La maggior parte di granuli è attribuibile alla tifa.
L'etnografia ci dice che di questa generosa pianta palustre si sfrutta qualsiasi porzione: dal rizoma, ricco di amidi, alle foglie, alla lanugine della tipica infiorescenza marrone. In particolare, il rizoma - raccolto a fine estate - una volta essiccato, si può facilmente macinare, come ha dimostrato la sperimentazione condotta per questo studio.

Le evidenze di questa antica tecnologia, scoperta nel sito del Bilancino, hanno portato a sviluppare un progetto di ricerca che Anna Revedin coordina per l'Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria (Iipp) , con la collaborazione di molti studiosi italiani e stranieri.
Il progetto ha analizzato altri reperti analoghi, provenienti dai siti coevi di Pavlov VI, nella Repubblica Ceca, studiato da Jiri Svoboda, e Kostenki 16-Uglianka nella pianura del Don in Russia, area famosa per aver restituito le veneri preistoriche, capolavori d'arte intagliati nell'avorio delle zanne dei mammuth lanosi.  Anche su alcune di queste pietre si notavano tracce di utilizzo, dove veniva esercitata la pressione e operato lo sfregamento dei rizomi e delle radici questa volta di Botrychium, una felce che si trova nei dintorni del fiume Don, come hanno confermato gli studi paleobotanici del gruppo di ricerca coordinato dal russo Andrey Sinitsyn.  Al gruppo interdisciplinare si è aggiunto anche un nutrizionista, Emanuele Marconi  dell’Università del Molise, le cui analisi confermano l'importante l'apporto dei carboidrati fornito dalla farina di tifa nella dieta prevalentemente carnea di questi nostri antenati.

I tre siti analizzati ricoprono una vasta area geografica dall'Italia centrale, alla Cecoslovacchia e fino alla Russia. Questa tecnologia sembra quindi indipendente dai climi e dagli ambienti diversi nei quali vivevano i primi sapiens europei. Questi sfruttavano una grande varietà di vegetali per la produzione della farina utilizzando differenti porzioni delle varie specie (radici, rizomi, grani e semi).
La farina ottenuta probabilmente era un po' diversa da quelle che si ricavano oggigiorno dai cereali: era ricca di fibre e carboidrati complessi, ma priva di glutine; difficilmente i nostri antenati soffrivano di allergie alimentari.

I rinvenimenti sui reperti di Bilancino, Pavlov e Kostenki di tracce d'uso per la macinazione e di granuli di amido datano a 30.000 anni fa, e quindi rappresentano la più antica testimonianza diretta non solo dell’ uso alimentare delle piante ma soprattutto di una vera e propria ricetta per la preparazione di un cibo di origine vegetale.

L'altro aspetto è che la digestione dei carboidrati complessi - oggi come nel Gravettiano - richiedeva la cottura delle farine ricavate dai vegetali selvatici.  E per fare questo le farine dovevano essere mescolate all' acqua ottenendo una specie di galletta: il pane non era molto lontano; forse non proprio un cibo per gourmand ma adatto per appetiti robusti.  Gli archeologi hanno voluto sperimentare direttamente la preparazione di un cibo fatto con farina di tifa, raccogliendo i rizomi, seccando li, macinandoli e infine  preparando e cuocendo delle gallette di tifa su di un focolare ricostruito come quello scoperto negli scavi di Bilancino, con un risultato di gusto gradevole.

Un dato è certo: questo studio dimostra l'importanza dei carboidrati per una dieta equilibrata anche tra i popoli cacciatori-raccoglitori, si tratta quindi della prova di quanto finora solo ipotizzato. L'uomo del Paleolitico superiore non limitava la sua alimentazione ai soli prodotti della caccia, ma necessariamente introduceva nutrienti di alto valore calorico derivanti dalla trasformazione di vegetali selvatici.  A differenza dei Neandertaliani per i quali l'analisi chimica delle ossa ha dimostrato un'alimentazione prevalentemente carnea. Potrebbe essere proprio la   dieta più variata una delle ragioni del successo dei sapiens sui neandertaliani?

Le implicazioni di questa scoperta sono sotto molti aspetti rivoluzionarie: per la prima volta l'uomo aveva a disposizione un prodotto elaborato, facilmente conservabile e trasportabile, ad alto contenuto energetico perché ricco di carboidrati complessi, che permetteva di avere maggiore autonomia soprattutto in momenti critici dal punto di vista climatico e ambientale. Inoltre l'abilità tecnica necessaria per la produzione di farina e quindi per preparare un cibo, tipo gallette o una farinata, non risulta più legata allo sfruttamento intensivo dei cereali, iniziato in Medio Oriente con la conseguente nascita dell'agricoltura nel Neolitico, ma era una conoscenza e una pratica già acquisita in Europa da lungo tempo.

Questa ricerca, che coniuga e integra metodologie e approcci molto diversi tra loro, focalizza l'attenzione sul significato che una tale antichità del metabolismo dei carboidrati complessi nell' Uomo anatomicamente moderno può avere.  
Infatti è ora chiaro che il processo di adattamento fisiologico, che ha poi permesso di utilizzare in modo sistematico a partire dal Neolitico una dieta mano a mano sempre più glucidica, è iniziato molto tempo prima di quanto ci dicessero le fonti archeologiche finora conosciute. E chissà che il proseguo di questi studi non possa dire una parola anche sui disturbi del metabolismo alimentare oggi riscontrabili in una percentuale significativa della popolazione dei paesi industrializzati. Un altro esempio di come la ricerca di base sia importante perché prodromo a futuri sviluppi e implicazioni anche di applicazione pratica e di miglioramento delle condizioni di vita di oggi.

BIBLIOGRAFIA
Revedin A. Aranguren B. La prima farina. Archeo, Gennaio 2007. Aranguren B, Becattini R, Mariotti Lippi M, Revedin A. Grinding ftour in Upper Palaeolithic Europe (25,000 years bp). Antiquity, 2007.
Aranguren B, Revedin A (a cura di) Un accampamento di 30.000 anni fa a Bilancino (Mugello, Firenze) Origines, "PP, Firenze, 2008.
RevedinA., ArangurenB., Becattini R., Longo L., Mariotti Lippi M., Sinitsyn A.A., Spiridonova E.A., 2009, Alimenti vegetali a Bilancino e o Kostienki J 6: il progetto del/' IlPP "Le risorse vegetali nel Paleolitico", RSP, LIX, pp. 63-78,2009.
Revedin A., Aranguren B., Becattini R., Longo L., Marconi E., Mariotti Lippi M., Skakun N., SinitsynA., Spiridonova E., Svoboda J., Thirty thousand-year-old evidence ofplant food processing,Pnas, voI. 107, no. 44;18815-18819 (2010).
45. DARWIN. GENNAIO/FEBBRAIO


Fonte: srs di
ANNA REVEDIN, Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria
BIANCARNARIA ARANGUREN, Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana
LAURA LONGO, Università di Siena
Pubblicato da DARWIN, N° 41, gennaio-febbraio 2011