domenica 31 dicembre 2017

SABINO ACQUAVIVA … L’EUROPA UNITA PUÒ NASCERE DALLA LIGA VENETA

Sabino Acquaviva



l 29 dicembre del 2015  fa moriva a Padova Sabino Acquaviva, sociologo, docente universitario, già preside di Scienze politiche al Bò; ero uno dei pochi presenti ai Suoi funerali e fin d’allora ho avuto l’impressione, e continuo ad averla, che sia la città che l’università siano restìe a tributargli quei riconoscimenti che meriterebbe, probabilmente è ancora penalizzato da quel modo di fare schivo e mite che ne caratterizzava il tratto.

E allora vorrei riproporre una articolo che uscì sul Mattino il 6/8/1983, pochi mesi dopo il sorprendente successo della Liga Veneta alle elezioni politiche del maggio ’83, quando i commenti dei commentatori e intellettuali vari erano improntati a una superficialità e a una cialtroneria impressionanti: il prof. Acquaviva, invece, cercava di capire cosa c’era sotto quel voto, sotto quel messaggio che ancor oggi continua, dalla Catalunya alla Corsica, ad essere importante in tante parti d’Europa e che ci dimostra quanto avanti, profetico direi, fosse il prof. Sabino Acquaviva.

Ettore Beggiato 


L’EUROPA UNITA PUÒ NASCERE DALLA LIGA VENETA 

In questi giorni ho ricevuto una lettera tassata, credo perché affrancata con alcuni francobolli sovrastampati, con scritte diverse: “nathion veneta”, “poste venete”, “territori autonomi dei veneti”.
Io, europeista convinto fautore degli “Stati Uniti d’Europa”, dovrei sentirmi lontano da chi parla di “nazione veneta”: dovrei pensare a tutto questo come a un’espressione di un passato senza ritorno. 

Che può aver da spartire una cultura europeista, moderna, che guarda alla Comunità europea come il nocciolo dell’Europa unita, con dei regionalisti ?

Eppure qualcosa di comune esiste: la diffidenza verso gli stati nazionali che da decenni cianciano di Europa ma si perdono in cavilli sterili per non “farla”, per non unificare politicamente almeno i popoli della Comunità europea. A Strasburgo c’è un parlamento eletto dal popolo europeo, ma i governi nazionali se ne occupano? L’ascoltano? Naturalmente no, perché per i governi, non per i popoli, prima vengono i loro stati e poi l’Europa.  

E a vedere le sterili diatribe sul burro o sul vino in cui la Comunità è impantanata, trascurando i più gravi problemi della unificazione vera, provo un senso di rabbia, di impotenza, il desiderio di “fiaccare” degli stati che sbarrano la strada verso l’unità.

Un tempo molto lontano, prima che la rivoluzione francese scoprisse gli stati nazionali, l’Europa aveva, entro certi limiti, una sua unità, ed era un’ unità che passava per le regioni, per gli stati regionali: la Borgogna e la Repubblica di Venezia, la Baviera e la Catalogna. C’erano papi e imperatori da un lato, e stati piccoli, a volte in via di coagulazione, dall’altro. Poi sono nate le nazioni che, con il pugno di ferro, hanno frantumato le autonomie locali, hanno creato in Francia i dipartimenti e in Italia le province, per cancellare persino il ricordo delle singole nazioni regionali. E così il francese del nord, sulla scia del predominio di Parigi, è diventato la “lingua” di tutta la Francia. Il “dialetto” toscano, per una serie di circostanze, non ultima la posizione centrale della Toscana e il suo prestigio economico e artistico, si è imposto alle altre lingue regionali italiane. In tal modo in tutta l’Europa gli stati regionali sono scomparsi, le loro lingue e culture sono state soffocate più o meno bene, l’idea di Europa si è perduta. Dunque, quando l’Europa languiva le culture regionali morivano a favore degli stati nazionali, ma ora che l’Europa rinasce, che l’idea di Europa ritorna, riemergono le culture regionali e si indeboliscono gli ideali nazionali.

Le nazioni e le culture locali rifioriscono, paradossalmente ma non troppo, come segno e simbolo di un orizzonte politico e culturale più vasto: quello di una grande nazione europea, “madre” delle culture regionali.

Dunque i movimenti regionali, dentro e fuori dei partiti, espressi da gruppi autonomisti duri o moderati, sono oggi i portatori volontari o involontari dell’idea di Europa, proprio perché contribuiscono a indebolire gli stati nazionali che, quarant’anni di lotte europeiste lo dimostrano, sono i veri nemici dell’unificazione politica, militare, economica, finanziaria, culturale del continente.

Dall’Irlanda alla Bretagna, dalla Corsica alla Catalogna, dai paesi Baschi alla Valle d’Aosta, dalla Sardegna alla Galizia, dal Galles al Sudtirolo-Alto Adige, dalla Scozia al Veneto e via dicendo, si va formando il tessuto di una nuova cultura regionale ed europea insieme. Un tempo si diceva: uno, dieci, cento, mille Vietnam; oggi, guardando ai problemi di casa nostra, l’Europa, diciamo –in maniera più pacifica ma non meno decisa-, uno cento mille movimenti autonomisti ed europeisti: un tessuto fitto di movimenti autonomisti, di ogni tipo e colore, che diventi la linfa dell’unificazione europea, di una unificazione che, a quanto sembra e fino a prova contraria, non può contare sugli stati nazionali. Dunque, lotta per l’unità d’Europa, dal basso verso l’alto, visto che dall’alto verso il basso –in quarant’anni- si è ottenuto poco. 

Per questo, leggendo la scritta “Nation veneta” su quei francobolli non ho sorriso come ero tentato di fare c’era aria d’Europa in quelle due parole. Insomma un po’ di speranza per quell’unificazione tradita da governi e partiti che –per quarant’anni- poco hanno fatto e molto hanno finto di fare per l’unità: hanno diluito i nostri ideali in un mare di parole … di vino e di burro..

Sabino Acquaviva


Fonte: da Facebook di Ettore Beggiato



sabato 30 dicembre 2017

CREDEVO FOSSE URANIO … INVECE ERA UN VACCINO




Cento sedute e tre anni di lavoro: tanto ha impiegato la Commissione parlamentare d’inchiesta sui danni provocati ai nostri soldati dall’uranio impoverito, per giungere poi alla conclusione che l’isotopo utilizzato per rendere più pesanti e penetranti i proiettili e i missili, non aveva alcuna colpa nell’aumento dell’incidenza di patologie tumorali ai danni di militari italiani impegnati in missioni internazionali. Ma andiamo con ordine.

Nel 1999, con la fine della guerra nel Kosovo – e poi negli anni successivi con l’aumento del dispiegamento di soldati italiani in teatri di guerra all’estero – si è registrato un preoccupante aumento dell’insorgenza di tumori (specialmente leucemie e linfomi) ai danni di militari del nostro Paese, nei mesi successivi al loro rientro in patria. Secondo dati recentemente resi pubblici dall’Associazione dei familiari delle vittime, si sarebbe registrato un totale di 200 decessi e di 2.500 casi di malattia. Non conosciamo la fondatezza di questi dati. Quello che conosciamo è il colpevole, il mostro sbattuto in prima pagina dalla stampa fin dall’inizio di questa storia: l’uranio impoverito.

In sostanza, secondo queste ricostruzioni, i nostri soldati schierati su terreni nei quali erano stati disseminati proiettili all’uranio impoverito, sarebbero stati esposti a radiazioni fatali. Lo stesso sarebbe accaduto in Sardegna, agli abitanti nei dintorni del Salto di Quirra, dove nel poligono militare si sarebbe fatto ampio uso del munizionamento incriminato.

Il responsabile, “un elemento nucleare”, è dunque stato additato all’opinione pubblica come mortalmente pericoloso per un incalcolabile numero di anni: la sola permanenza sui campi di battaglia dopo la fine delle operazioni esponeva i nostri soldati a rischi gravissimi, mentre in Sardegna anche i pastori e le loro greggi pagavano un duro pedaggio all’uso dell’uranio impoverito.

Scriveva un sito web molto seguito nel 2011, all’inizio dell’intervento delle forze NATO a sostegno dei ribelli libici: “In Libia l’uranio impoverito farà più danni dei raid aerei…nei prossimi settant’anni i casi di tumore cresceranno di 6.000 unità”. Di fronte a scenari così apocalittici, anche il Parlamento italiano si è mobilitato e ha istituito una Commissione d’inchiesta che ha concluso i suoi lavori il 9 gennaio scorso. 

Le conclusioni della Commissione

Prima di esaminare le conclusioni cui è giunta la Commissione, può essere utile richiamare alcuni dati scientifici che, se fossero stati considerati con rigore e attenzione all’inizio del problema, avrebbero forse bloccato sul nascere la “caccia all’isotopo killer” e avrebbero potuto indirizzare da anni le indagini sul vero colpevole.
Il primo dato risale alla natura dell’uranio impoverito e alla sua “forza” radioattiva. Questo isotopo emette radiazioni “alfa”, radiazioni innocue che non riescono ad attraversare neanche un foglio di carta velina (figuriamoci la cute e le mucose umane), che sono permeabili, in parte alle radiazioni “beta” e in toto alle radiazioni “gamma”. Queste sono nozioni che uno studente di medicina apprende al primo anno di corso.

Le radiazioni emesse dai proiettili all’uranio impoverito non potevano e non dovevano essere considerate patogene. D’altronde, come dimostrano le gravi conseguenze legate al trattamento dell’amianto, se l’uranio impoverito avesse capacità patogene, le prime vittime avrebbero dovuto essere i lavoratori delle fabbriche di munizioni che giorno dopo giorno costruiscono e assemblano le munizioni incriminate.

Si è registrato un incremento delle patologie tumorali tra le maestranze delle fabbriche di proiettili e di missili?

Non c’è alcun dato scientifico in proposito ed è facile immaginare che quando in Italia è esplosa la psicosi dell’uranio impoverito, qualche ricerca nei Paesi di produzione sia stata condotta. Inoltre, nei teatri operativi insieme ai nostri soldati operavano anche soldati di altri Paesi. Ci sono stati casi simili a quelli registrati da noi, anche ai danni di militari americani, francesi, inglesi o tedeschi?

No. L’uranio impoverito ha colpito solo gli italiani. La Commissione parlamentare ha disposto lunghi e costosi sondaggi al Salto di Quirra.
Il risultato? Nessuna traccia di uranio impoverito sotto terra, come del resto sostenevano le nostre autorità militari, che da anni giuravano di non aver usato munizioni “arricchite” nel sito sardo.


Il “vero” colpevole





La Commissione parlamentare, nell’assolvere l’uranio impoverito, sembra aver individuato il presunto-probabile colpevole: una poco prudente politica vaccinale che ha visto sottoporre i nostri soldati in partenza per l’estero a batterie di vaccinazioni multiple, concentrate in pochi giorni, per esigenze operative magari improvvise.
I vaccini, si sa, alterano temporaneamente l’equilibrio del sistema immunitario e, se non diluiti nel tempo, possono generare falle momentanee nelle difese immunitarie. Sottoposto a una forte scarica di antigeni, il sistema può andare temporaneamente in default e aprire la strada all’insorgenza di tumori.

Questa conclusione scientifica apre il varco ad alcune imbarazzanti considerazioni: prima di farsi travolgere e terrorizzare da una campagna stampa allarmistica e priva di basi razionali, le nostre autorità sanitarie non avrebbero potuto e dovuto cercare una verità basata non sulla suggestione ma sull’evidenza scientifica?

Per inseguire il fantasma dell’uranio si sono persi anni, durante i quali i nostri inconsapevoli soldati hanno continuato ad essere sottoposti a batterie di vaccinazioni, queste sì, palesemente pericolose.

Quanti problemi e quante morti si sarebbero potute evitare se invece di inseguire le paure di un’opinione pubblica frastornata e impaurita, si fosse ragionato con calma e, individuate le probabili cause, si fossero pianificate, in nome del principio di precauzione, campagne vaccinali più prudenti e meno pesanti?

Questo è il punto: c’è un problema?
Si trova il colpevole che va più di moda (abbasso il nucleare!) e, intanto, il vero assassino, in silenzio, continua a lavorare.


Fonte: da Lookout News
Link. http://www.lookoutnews.it/credevo-fosse-uranio-invece-era-un-vaccino/



IN PRINCIPIO ERA L’URANIO IMPOVERITO….






Nello scorso mese di luglio è stata resa pubblica la relazione finale della IV Commissione d’Inchiesta sull’uranio impoverito, uno studio autorevole che ha fatto ulteriormente chiarezza sulle cause di un fenomeno che ha colpito migliaia di soldati italiani negli ultimi vent’anni.
All’inizio del nuovo millennio, infatti, tra i nostri militari che avevano prestato servizio nelle missioni balcaniche, in Bosnia e nel Kosovo, si era verificato un improvviso aumento di casi di linfoma di Hodgkin, tale da far prevedere un collegamento tra l’insorgere della malattia e l’attività prestata in teatro.

Gravemente sospetta era apparsa la presenta in quei territori di residui di uranio impoverito che, sotto forma di aerosol con particelle micro polverizzare trasportabili dal vento anche a grande distanza, erano suscettibili di entrare nell’organismo per inalazione o ingestione attraverso alimenti contaminati.


Dopo non poche polemiche, non sempre prettamente scientifiche, venne varata la Commissione Mandelli, incaricata dal Ministero della Difesa di far luce sul fenomeno ed individuarne le cause scatenanti.


La commissione terminò i propri lavori nel 2004 senza accertare un nesso diretto ed incontrovertibile tra l’esposizione potenziale all’uranio impoverito e l’insorgenza dei linfomi, ma raccomandando un’ulteriore fase di studio che monitorasse l’evoluzione del fenomeno.

Ne nacque, su indicazioni della Difesa, il Progetto SIGNUM, acronimo per Studio di Impatto Genotossico Nelle Unità Militari, destinato a coinvolgere su base volontaria 982 militari impiegati nella missione “Antica Babilonia” in Iraq, dove le forze statunitensi avevano fatto largo uso di munizionamento contenente uranio impoverito.

Lo studio prevedeva la raccolta di informazioni dettagliate sulla possibile esposizione dei militari oggetto dell’indagine all’uranio impoverito e ad altri metalli pesanti mediante l’esame di campioni biologici (urine, sangue e capelli) effettuato prima e dopo la missione, per un periodo significativamente lungo (quasi otto anni).

Lo scopo era chiaramente quello di porre in essere una sorveglianza clinica ed epidemiologica protratta nel tempo, per accertare l’insorgenza di fenomeni a lungo termine.

Lo studio prendeva inoltre in considerazione altri fattori potenziali di rischio quali le condizioni ambientali e climatiche presenti nelle basi italiane di “White Horse” e “Camp Mittica”, gli stili di vita, la dieta, il fumo ed altre condizioni tendenzialmente pericolose, inclusa, per la prima volta, la somministrazione dei vaccini.

Il rapporto finale del progetto, redatto dal Comitato Scientifico costituito da 14 esperti di fama provenienti dagli staff medici delle università di Pisa, Genova e Roma, giunge già nel 2010 a conclusioni sorprendenti.

Nei soldati monitorati la quantità di uranio impoverito presente nel sangue e nelle urine non risultava aumentata al termine della missione, ma diminuita.

Erano invece aumentati i livelli di cadmio e nichel, notoriamente cancerogeni, ed ara cresciuto il danno ossidativo sul dna dei linfociti, cioè delle cellule del sistema immunitario, in particolare tra i soggetti che svolgevano intesa attività all’esterno ed avevano subito 5 o più vaccinazioni. I monitoraggi ambientali escludevano invece contaminazioni significative dovute ad uranio e l’esposizione ad altri specifici inquinanti genotossici.


L’attenzione sui vaccini





L’uranio impoverito, il grande accusato dei Balcani, cessava di essere il principale responsabile delle malattie sviluppate tra tanti soldati italiani e di un numero tristemente crescente di decessi.


Il Comitato Scientifico di Signum si concentrava invece sui vaccini, osservando una chiara correlazione tra le alterazioni ossidative del DNA ed il numero di vaccinazioni effettuate a partire dal 2003.

La differenza più eclatante si registrava infatti tra i 742 soggetti che avevano ricevuto un massimo di quattro vaccinazioni e quanti, un centinaio, ne avevano praticato un numero superiore, fino ad otto e somministrate talvolta anche in rapida successione. Per questi ultimi il differenziale di alterazioni ossidative era significativamente più elevato.

In particolare risultava sotto accusa il vaccino trivalente vivo attenuato Mrp (morbillo parotite rosolia) suscettibile di compromettere le cellule del nostro sistema immunitario incaricate di aggredire ed eliminare gli agenti patogeni esterni.

Profilassi massicce, stress psico-fisico e forte irraggiamento solare venivano pertanto individuati quali probabili concause di linfomi e neoplasie.

Sulla base di queste conclusioni, per certi versi inaspettate e spiazzanti, si costituì con delibera del Senato del 16 marzo 2010 una nuova Commissione Parlamentare di Inchiesta sui casi di morte e di gravi malattie che avevano colpito il personale italiano impiegato all’estero. Di fronte a questa il professor Franco Nobile, oncologo direttore del Centro prevenzione della lega contro i tumori di Siena, rese noti gli esiti di uno studio condotto su 600 militari del 186° Reggimento Paracadutisti “Folgore” reduci da missioni internazionali.

Le risultante confermavano quanto emerso dal Progetto Signum, evidenziando la possibilità che pratiche vaccinali particolari, massicce e ravvicinate potessero comportare una “disorganizzazione del sistema immunitario”, suscettibile a sua volta di concorrere alla manifestazione di gravi patologie autoimmuni, quali tiroidite, sclerosi multipla, eritema nodoso, lupus, artrite reumatoide, diabete e, secondo taluni studi, leucemie e linfomi.

Sotto accusa erano soprattutto le modalità di somministrazione vaccinale, con un nesso sempre più evidente tra vaccinazioni ravvicinate e abbassamento delle difese immunitarie, ed il loro stesso contenuto, che evidenziava la presenza di metalli pesanti quali alluminio e mercurio, senz’altro cancerogeni, utilizzati in alcuni tipi di vaccini come eccipienti e conservanti per migliorarne l’effetto.

Il ruolo dei vaccini risulterebbe suffragato soprattutto dall’insorgenza di numerosi casi di malattie in situazioni che escluderebbero altri fattori, primo fra tutti l’uranio impoverito.


Secondo dati di fonte ufficiale, infatti, l’85% dei militari che hanno contratto patologie gravemente invalidanti o sono addirittura deceduti per cause tumorali non hanno preso parte a missioni militari all’estero.

Si giunge così ai giorni nostri, con la pubblicazione, nel mese di luglio, della Relazione della IV Commissione d’Inchiesta sull’uranio impoverito che, nonostante il nome, si è occupata di tutti gli aspetti relativi alla tutela della salute del personale militare.

Sono state esaminate anche tematiche particolari, relative a determinati siti utilizzati dalle forze armate e potenzialmente contaminati dalla presenza di amianto, gas radom o elementi radioattivi specifici utilizzati nel sistema di tracciamento IR del missile Milan.

Oltre a questo la Relazione si è soffermata ampiamente di nuovo sulla somministrazione dei vaccini.

Ricordando gli esiti del progetto Signum e gli studi del Prof. Nobile sui militari della Folgore che collegavano in maniera molto netta il significativo incremento della frequenza di alterazioni ossidative del DNA dei linfociti con un numero di vaccinazioni superiore a cinque, il documento raccomanda che tale numero divenga limite prescrittivo nella somministrazione di vaccini ed adottato come specifica prescrizione.

Indicazioni utili anche per civili e bambini?

 A tale proposito la Commissione suggerisce di predisporre una serie di esami pre-vaccinali specifici per individuare i soggetti particolarmente esposti a patologie gravi e per i quali è assolutamente sconsigliabile la vaccinazione, estendendo tali test in futuro anche alle reclute in fase di valutazione di idoneità all’arruolamento. In ogni caso per tutto il personale in servizio si raccomandano esami prima della somministrazione, per valutare immunità già acquisite e si sottolinea l’opportunità di non effettuare vaccinazioni in prossimità della partenza per le missioni, perché indurrebbero uno stato di immunodepressione che aumenterebbe paradossalmente il rischi di contrarre quella stessa malattia o altra patologia.

Infine la Commissione esprime il convincimento che farmaci vaccinali forniti in soluzione monovalente e monodose ridurrebbero significativamente i rischi della profilassi vaccinale, in particolare in presenza di soggetti già immunizzati nell’infanzia, con profilassi specifica o per aver contratto la malattia.

Dopo quasi vent’anni di polemiche spesso ideologiche e ben poco scientifiche, accese campagne di stampa talvolta fuorvianti, circa 4000 soggetti ammalati ed alcune centinaia di decessi, sembrano finalmente identificate con sufficiente chiarezza le cause principali di un fenomeno così grave e devastante.

Nell’auspicare che il Ministero della Difesa e la Sanità Militare diano attuazione con la massima sollecitudine e solerzia alle direttive espresse dalla Commissione, non possiamo ignorare che l’apparizione di questo autorevole documento sia coinciso con le forti polemiche registrate in tema di vaccinazione dei bambini in età scolare, vaccinazioni numerose (10 obbligatorie e 4 facoltative) ed effettuate anche con farmaci polivalenti.

A dispetto delle granitiche certezze manifestate più volte dal ministro della salute ci domandiamo se non sia opportuno suggerire anche per i bambini maggiori cautele e specifici accorgimenti pre-vaccinali per escludere rischi legati all’iperimmunizzazione, valutando caso per caso i possibili effetti delle somministrazioni sull’equilibrio immunitario.

Fonte: da ANALISI E DIFESA  del 28 settembre 2017