martedì 12 dicembre 2017

ISLAM E SCHIAVISMO: UNA STORIA DIMENTICATA




Il rapporto tra Islam e Schiavismo, cui numerosi storici avevano dedicato diversi volumi nei secoli scorsi, non ha riscosso grande interesse nelle ultime decadi.

Una storia dimenticata.  

Sovrastata dall’immagine da imbarcazioni ricolme di subshariani che attraversano l’Atlantico per riversare il loro carico nelle piantagioni americane. Eppure parliamo di una storia molto più lunga, di un sistema che è andato avanti per più di mille anni (circa tredici secoli), sul quale la storiografia recente ha preferito indagare in modo superficiale pur essendoci una mole di informazioni incredibilmente vasta.


Quale che sia il motivo di questo improvviso scarso interesse per la questione – il senso di colpa per il commercio di schiavi operato dagli europei, la continua necessità di piegare la storia agli interessi politici, il perpetuarsi del mito del buon selvaggio ecc.- è necessario superarlo.


Il traffico di schiavi sahariani e sub-sahariani attraverso il Nilo era già piuttosto sviluppato in epoca romana. Una volta preso il loro posto in nord-africa, i musulmani lo migliorarono. L’uso delle piste del Sahara aumentò l’afflusso di schiavi anche dalle regioni dell’africa occidentale e, mano a mano che l’Islam estendeva i suoi confini, il limite dei territori “Dar El Islam” (i cui abitanti si erano sottomessi all’Islam) si spinse sempre più a sud. I territori al di fuori del “Dar el Islam”, detti “Dar el Harb”, erano, almeno in linea teorica, i soli dai quali i musulmani potessero prendere i loro schiavi.

Attorno al XII-XIII secolo, la zona del “Dar el Harb” era ormai coincidente con la “Bilad es Sudan”, ovvero la “Terra dei Neri”. Una fonte di schiavi quasi illimitata.


1. Schiavi Neri






I procacciatori di schiavi catturavano gli schiavi direttamente (specie le tribù nomadi), o tramite compravendite con i regni locali, come ad esempio quello del Ghana, l’Impero Gao o, in seguito, l’Impero del Mali. In questo caso, tutto quello che i musulmani dovevano fare era recarsi presso i vari mercati regionali (Gao, Aghordat, o altri locali) e acquistare i prigionieri catturati nelle guerre interne.

Oltre a questo, i regni vassalli venivano spesso costretti a pagare un tributo in schiavi. Il primo fu istituito nel 652 a carico del regno di Nubia, e prevedeva l’invio di 360 schiavi l’anno (un numero che probabilmente fu aumentato nel tempo), oltre a elefanti e altri animali selvatici. Il regno di Nubia continuò a pagare ininterrottamente per circa cinquecento anni.


Le Catture di Musa bin Nusair


Musa bin Nusair, uno dei più capaci generali arabi di tutti i tempi, ridusse in schiavitù 300.000 Berberi infedeli, di cui 30.000 divennero schiavi-soldato. Successivamente, durante la campagna che lo portò a disintegrare il regno Visigoto (711–15), Musa riuscì a riportare in nord-Africa 30.000 vergini gote.

Se, come nella maggior parte dei casi, l’acquisto veniva effettuato in territorio sub-sahariano, per gli schiavi iniziava una marcia di oltre 1.000 km a piedi, della durata di 40-60 giorni. Il traffico veniva gestito interamente dai Berberi o dalle già  citate tribù arabe nomadi, che non avevano altra fonte di introito se non quella di scortare le carovane o depredarle. A causa della lunghezza del viaggio, delle condizioni atmosferiche terrificanti e della scarsità d’acqua e di cibo, la percentuale di schiavi morti durante il tragitto era enorme.


 Mappa delle rotte sahariane del traffico di schiavi. Molte rimasero attive fino agli anni’30 del secolo scorso.



Henry Drummond, in Slavery in Africa (1889), dice:
Marciano tutto il giorno; di notte, quando si fermano per dormire, gli vengono distribuite poche manciate di sorgo. Questo è tutto ciò che mangiano. E il giorno dopo devono ricominciare la marcia.

In pratica, la razione giornaliera di cibo di uno schiavo era composta da poche manciate di sorgo grezzo. E’ una testimonianza importante, poiché per secoli e secoli la “dieta” degli schiavi doveva essere rimasta più o meno la stessa.

Alcuni studiosi, come Fischer (1975) e Baet (1967), hanno calcolato che circa il 50% degli schiavi non giungevano dai loro padroni, mentre altri parlano di 80%.

Sempre Henry Drummond ci fornisce un particolare raccapricciante:
Prima è stato giustamente detto che, se un viaggiatore dovesse perdere la strada che porta dall’Africa Equatoriale alle città dove gli schiavi vengono venduti, potrebbe ritrovarla facilmente grazie agli scheletri dei negri che la pavimentano.

Una vera e propria carneficina, specie se paragonata al 10% di morti complessive calcolato per i traffici europei lungo le rotte atlantiche. Un dato, quest’ultimo, molto attendibile, riportato nel 1785 da Thomas Clarkson’s nel libro Slavery and Commerce In the Human Species.

Riguardo allo schiavismo islamico, una fonte del XIX secolo dice:
La vendita di un singolo schiavo può costare la perdita di altre dieci vite – fra quelli che difendono i villaggi attaccati, la morte di donne e bambini per le epidemie e la morte dei figli, dei vecchi, dei malati che non riescono a tenere il passo dei loro guardiani, muoiono di stenti o finiscono uccisi a causa degli attacchi di tribù ostili

Le testimonianze di Cameron e Burton

A questa, si aggiungono le testimonianze del capitano V.L. Cameron e del nostro conoscente Richard Burton, che nei suoi scritti parla di 1000-2000 morti complessivi per catturare poco più di 50 donne. Anche Drummond è su cifre simili, visto che parla di 30.000 morti per 5.000 schiavi. Keltie, in The Partition of Africa (1920) reputa che per ogni schiavo che raggiungeva il mercato ne morivano almeno 6, mentre Livingstone parla di 10.

Alle morti per fame, fatica e soprusi devono aggiungersi quelle dovute ad una pratica particolarmente amata dai padroni musulmani: la castrazione.

Nel mondo islamico infatti ci fu sempre un’alta richiesta di eunuchi; da un lato erano considerati più adatti a svolgere un gran numero di mansioni, dalla guardia dell’harem alle funzioni amministrative, dall’altro, gli schiavi neri avevano nomea di possedere un appetito sessuale inarrestabile. Purtroppo, l’operazione era molto rischiosa. All’asportazione di pene e scroto  (su bambini fra i 7 e i 12 anni) sopravviveva solo il 10% degli operati, anche perché il normale processo di cauterizzazione non poteva avvenire, visto che avrebbe automaticamente ostruito l’uretra.

La percentuale del 10% sembra essere supportata da un dato riportato da Jan Hogendorn in The Hideous Trade. Economic Aspects of the ‘Manufacture’ and Sale of Eunuchs“:
I mercanti Turchi erano disposti a pagare 250-300 dollari per ciascun eunuco in Borno (nord-est dell’attuale Nigeria) in un periodo in cui il prezzo locale per un giovane schiavo non sembra andasse oltre i 20 dollari…

I più fortunati erano quelli destinati a servire come schiavi-soldati (furono centinaia di migliaia, forse milioni, nel corso dei secoli), che formavano una sorta di aristocrazia all’interno della massa degli schiavi.


Schiavi neri condotti dai padroni beduini


Il “razzismo” (perdonatemi l’uso altamente improprio della parola) verso i neri, ancora oggi più vivo nei paesi del nord-africa che da noi, era completo presso gli Arabi.

 Ibn Khaldun, uno dei massimi pensatori della storia islamica, scrisse:
Le nazioni dei Negri sono sempre adatte ad essere ridotte in schiavitù, perché le loro capacità sono abbastanza simili a quella degli animali stupidi.
Affermazione che fa il paio con un’altra considerazione: in arabo, la parola “Abd” vuol dire “Schiavo” e il plurale “Abeed” viene utilizzato per indicare i Neri.


Il flusso di schiavi verso il nord Africa aumentò ulteriormente alla fine del XVI secolo, quando l’eunuco Judar Pasha (uno spagnolo, probabilmente ebreo, catturato durante un raid e castrato) conquistò l’Impero Songhay. Nello stesso periodo, il traffico atlantico di schiavi si stava organizzando al meglio, ma non superò i 10 milioni di schiavi circa dal XVI al XIX secolo.

Dal VII al XX secolo, gli arabi presero solo dall’Africa 15-18 milioni di schiavi. Se contiamo un 80% di perdite lungo il tragitto, arriviamo ad una cifra vicina ai 75 milioni complessivi, cui vanno aggiunti milioni di uomini massacrati durante le razzie. Per quanto possa sembrare assurdo, una cifra superiore ai 100-120 milioni di persone in dodici-tredici secoli non è affatto esagerata.

A questo punto, molti di voi crederanno che l’avvento degli europei abbia diminuito i flussi sahariani, mentre in realtà gli arabi furono forti sostenitori anche dello schiavismo atlantico. Gli europei infatti non avevano grande esperienza nel procacciarsi schiavi, quindi si rivolsero a chi controllava tutti i traffici africani, ovvero gli arabi. La richiesta di schiavi si duplicò, e le attività dei cacciatori di uomini divennero più intense, andando sempre più addentro al continente africano. In sostanza, gli europei si recavano presso i mercati della costa orientale, o quelli più interni, e acquistavano gli schiavi presso i mercanti musulmani (80%) o presso i mercanti africani (20%, parliamo sempre di uomini catturati in lotte interne).



Altra bella mappa dei traffici trans-sahariani


D’altronde, gli arabi gestivano il commercio di schiavi anche verso i paesi asiatici (Cina compresa), proprio per la posizione strategica dei loro territori, a metà strada fra europa, africa e asia.

Le squadre di cacciatori di schiavi erano formate da trenta-quaranta persone bene armate, che potevano avere ragione di centinaia di indigeni nudi et ululanti.

Un tipico raid ci viene raccontato sempre da Drummond:
Le genti con le lunghe vesti bianche e con il turbante (gli Arabi) erano state lì con il loro capo, chiamato Tippu Tib. All’inizio era giunto per commerciare, poi aveva iniziato a rubare e a portare via le donne. Chiunque si opponeva veniva fatto a pezzi o abbattuto con le armi da fuoco, e la maggior parte della popolazione fuggì quindi nella foresta. Gli Arabi rimasero lì in forze fino a che rimase qualche chance di cacciare e catturare i fuggitivi.  Tutto ciò che non potevano usare lo distrussero o lo diedero alle fiamme – in breve, il villaggio fu raso al suolo. Poi gli Arabi andarono via. I fuggitivi ritornarono a ciò che rimaneva delle loro case e provarono a ricostruirle e rimettere in sesto le coltivazioni.  
Dopo tre mesi, le orde di Tippu Tib apparvero di nuovo, e si verificarono le stesse scene.
Dopo altri tre mesi, ci fu un altro attacco. Tutto il paese dei Baneki fu afflitto dalla carestia e dalle peggiori miserie. In Africa, i risultati della carestia erano il più delle volte terribili epidemie, in particolar modo di vaiolo. 
Mi è stato detto che alcuni sono riusciti a fuggire verso ovest, ma solo un numero insignificante rispetto alle migliaia – potrei dire milioni – che trovai qui nel corso della mia prima visita. 

Rallentare la carovana o lamentarsi poteva portare a conseguenze molto spiacevoli:
Dopo uno o due giorni la fatica, le sofferenze e le privazioni ne avevano indeboliti moltissimi. Le donne e gli anziani sono i primi a fermarsi. Quindi, per terrorizzare questa disgraziata massa di esseri umani, i loro guardiani, armati di bastoni per risparmiare polvere da sparo,  si avvicinano ai più esausti e gli assestano un violentissimo colpo al collo. Le sfortunate vittime emettono un gemito e cadono in preda alle convulsioni della morte.


Carovana di schiavi e padroni musulmani del XIX secolo


Insomma, in 1300 anni era cambiato poco. D’altronde, fu proprio Maometto a dare vita allo schiavismo musulmano, quando massacrò gli uomini della tribù ebraica dei Banu Quraydhah e ridusse in schiavitù circa 800 donne e bambini. Egli stesso possedeva un buon numero di schiavi e concubine.


2. SCHIAVI BIANCHI


Nella storia dimenticata c’è una storia dimenticata, quella degli schiavi bianchi. Quando ne parlo, nella maggior parte dei casi il mio interlocutore sbuffa e nega una verità storica inoppugnabile. È un atteggiamento diffuso, anche in ambito accademico, e supportato dalla forza del politicamente corretto.

L’Europa del sud e quella orientale divennero un importante serbatoio di schiavi bianchi sin dall’VIII secolo. Ho già parlato delle 30.000 ragazze trascinate in africa dopo la distruzione della nobiltà visigota di Spagna, ma si tratta solo di una frazione del traffico complessivo attivato nei primi secoli dell’islam.

Quanto alle concubine (in sostanza si trattava di ragazze rapite, buttate in un harem e stuprate a piacimento), sappiamo che gli harem delle personalità più eminenti del mondo arabo potevano raggiungere delle dimensioni enormi. L’harem of Abdal Rahman III (912 – 961) era composto da 6.000 ragazze, di cui la maggior parte europee; quello dei Fatimidi presso il Cairo circa 12.000.

A queste, come ho già accennato, si aggiungevano schiere di eunuchi. All’inizio del X secolo, il Califfo di Baghdad possedeva 11.000 eunuchi, di cui 7.000 neri e 4.000 bianchi.

I cittadini bizantini non facevano dunque una fine diversa da quella dei poveri africani. Sappiamo che il Califfo al-Mutasim lanciò nell’838 una campagna contro la città turca di Amorium, facendo talmente tanti schiavi da essere costretto a venderli a lotti di 5 o 10 per sbrigare velocemente le operazioni.

J.W. Brodman , in Ransoming Captives in Crusader Spain: The Order of Merced on the Christian-Islamic Frontier (1986), dice:
Nell’attacco a Tessalonica del 903, i capi Arabi si spartirono o vendettero come schiavi 22.000 Cristiani. Quando il Sultano Al Arsalan devastò la Georgia e l’Armenia nel 1064, ci fu un massacro difficilmente quantificabile e tutti i sopravvissuti furono ridotti in schiavitù. Il Califfo Almoade Yaqub al-Mansur [il mecenate di Averroè] colpì Lisbona nel 1189, schiavizzando 3.000 donne e bambini. Il suo governatore a Cordoba attaccò Silves nel 1191, facendo 3.000 schiavi Cristiani.

Più o meno nello stesso periodo, il sultano Mahmud iniziò una serie di massicci attacchi contro i territori indiani. In tre spedizioni, dal 1002 al 1015, rifornì i mercati orientali (specie quello di Ghazni) con oltre 800.000 schiavi. Mahmud è anche famoso per la distruzione sistematica dei templi indu e buddisti che trovava sulla sua strada e per il massacro indiscriminato di qualsiasi popolazione gli si opponesse. 

Sappiamo che anche i Vichinghi, vista l’alta richiesta, da parte degli arabi, di donne europee, iniziarono a lucrare con un traffico di schiavi parallelo a quello sahariano e orientale, seguendo delle rotte analoghe a quelle che, secoli più tardi, utilizzeranno i pirati berberi.



Donna europea ispezionata da un cliente


I musulmani utilizzavano molto gli schiavi di origine slava, che chiamavano “Saqaliba“. Una delle vie predilette per rifornirsi di questo prezioso bene era quella che passava dai Tartari di Crimea, convertitisi all’islam nel XIII secolo. I cacciatori di schiavi Tartari continuarono con le loro incursioni devastanti verso la Polonia e la Russia per circa trecento anni, dal 1450 circa alla fine del XVIII secolo. Durante questo periodo, 3.000.000 di europei furono costretti ad una marcia analoga a quella cui erano costretti i sub-sahariani.

In Muscovy and the Black Sea Slave Trade, H.J. Fischer dice:
…the first ordeal [of the captive] was the long march to the Crimea. Often in chains and always on foot, many of the captives died en route. Since on many occasions the Tatar raiding party feared reprisals or, in the seventeenth century, attempts by Cossack bands to free the captives, the marches were hurried. Ill or wounded captives were usually killed rather than be allowed to slow the procession. Heberstein wrote… ‘the old and infirm men who will not fetch much as a sale, are given up to the Tatar youths either to be stoned, or thrown into the sea, or to be killed by any sort of death they might please.’ An Ottoman traveler in the mid—sixteenth century who witnessed one such march of captives from Galicia marveled that any would reach their destination — the slave markets of Kefe. He complained that their treatment was so bad that the mortality rate would unnecessarily drive their price up beyond the reach of potential buyers such as himself. A Polish proverb stated: ‘Oh how much better to lie on one’s bier, than to be a captive on the way to Tartary’

La situazione non era differente nei balcani, dove gli Ottomani razziarono persone e beni per secoli. Il resoconto più accurato ce lo fornisce Alexandrescu-Dersca Bulgaru in Le role des escalves en Romanie turque au XVe siecle, (1987):
Nelle cronache contemporanee Turche, Bizantine e Latine, c’è l’unanime riconoscimento che, durante le campagne condotte per unificare Grecia, Romania latina e Balcani slavi sotto lo stendardo dell’Islam, così come durante le razzie Ottomane nei territori Cristiani, gli Ottomani ridussero in schiavitù masse di abitanti.

Il cronista Ottomano Ašikpašazade riporta che durante la spedizione di Ali pasha Evrenosoghlu in Ungaria (1437), e anche nel viaggio di ritorno della campagna di Murad II contro Belgrado (1438), il numero di prigionieri superava quello dei combattenti.
Il cronista Bizantino Ducas dice che gli abitanti di Smederevo, che fu occupatadagli Ottomani, vennero tutti condotti via in catene.
La stessa cosa accadde quanto di Turchi di Menteše arrivarono a Rodi e Cos e nel corso della spedizione della flotta Ottomana a Enos e Lesbo. Ducas cita anche dei numeri:  70,000 abitanti ridotti in schiavitù durante la campagna di Mehmed II in Morea (1460).
Il francescano Italiano Bartolomeo di Giano (Giano dell’Umbria) parla di 60,000- 70,000 schiavi cattturati nel corso di due spedizioni degli akinðis in Transylvania (1438) e di circa 300,000-600,000 schiavi ungheresi.

Se questi dati sembrano esagerati, altri sembrano più accurati: 7,000 abitanti ridotti in schiavitù dopo l’assedio di Tessalonika (1430), secondo John Anagnostes, e 10.000 abitanti portati via durante l’assedio di Mytilene (1462), secondo il Metropolitano di Lesbos, Leonardo di Chios.  

Allo stato attuale delle ricerche e dei documenti disponibili, non possiamo calcolare su quale scala gli schiavi siano stati introdotti nella Romania Turca con questo metodo. Secondo Bartholomea di Giano, parliamo di circa 400.000 schiavi catturati fra 1437 to 1443. Anche accettando un certo grado di esagerazione, dobbiamo ammettere che gli schiavi ebbero un ruolo demografico importante nell’espansione Ottomana del XV secolo.

Possiamo stimare che, dal 650 al 1500 circa, gli Arabi abbiano ridotto in schiavitù un numero di “bianchi” (latini, goti, slavi) superiore ai 5 milioni.

Proprio all’inizio del XVI secolo si sviluppò una nuova minaccia per l’Europa, quella rappresentata dai Corsari Barbareschi.
Le loro continue razzie, spesso contrastate dai Cavalieri di Malta, ebbero come risultato la schiavitù di oltre 1 milione di europei nel periodo compreso fra il 1530 e il 1780. Molto interessati alle donne bianche, i Corsari Barbareschi si spinsero fino alla Groenlandia, ma una delle loro mete preferite rimase l’Irlanda che, secondo alcune fonti locali, fu praticamente decimata.

Nel 1544, l’Isola di Ischia al largo di Napoli fu razziata e 4.000 abitanti furono ridotti in schiavitù, mentre 9,000 furono presi a Lipari, al largo della Sicilia. 
Turgut Reis, il famoso pirata Turco, saccheggiò l’insediamento costiero di Granada (Spagna)  nel 1663 portò via 4.000 schiavi.

L’attività dei Corsari Barbareschi fu così intensa da costringere i neonati Stati Uniti a pagare un tributo annuo di 60.000 dollari a partire dal 1784. Ovviamente, gli americani si liberarono presto di questo peso portando la guerra in casa dei Corsari. Alla fine della Seconda Guerra Barbaresca, gli americani si erano garantiti pieni diritti di navigazione.

Per un’analisi più approfondita della c.d. Schiavitù Bianca, vi consiglio di leggere anche gli articoli della serie Schiavitù Bianca negli Stati Barbareschi: prima parte e seconda parte.


Marines vs Corsari nel 1805

Il colonialismo europeo in Africa portò alla fine dello schiavismo islamico (le conquiste francesi in Algeria furono dettate, in parte, dalla necessità di rendere sicura la navigazione mediterranea) nella parte nord-occidentale del continente, mentre la maggior parte dei territori orientali e l’Arabia si rifiutarono di cedere alle richieste di abolizione dello schiavismo nate in USA e in Europa.

Ancora nel 1890, nel Califfato di Sokoto si contavano 2 milioni di schiavi. All’arrivo in Etiopia, i nostri nonni trovarono 2 milioni di schiavi su 10 milioni di abitanti.

Secondo diversi studi, a tutt’oggi in Africa esistono centinaia di migliaia di schiavi. D’altronde, l’Arabia Saudita ha abolito la schiavitù solo nel 1962, la Mauritania nel 1980.

Alla luce di quanto detto, potrete ben comprendere il motivo per cui trovo del tutto scriteriata l’azione compiuta da tanti neri negli anni’60-’70, che per abbandonare il loro nome da schiavi si sono andati a prendere nomi arabi, ovvero i nomi dei loro veri padroni.
È l’ennesima dimostrazione che la storia è stata e sarà sempre la pietra angolare del concetto di cultura.


Bibliografia

       Thomas Clarkson,  Slavery and Commerce In the Human Species (1785);
       Henry Drummond,  Slavery in Africa (1889);
       Keltie, in The Partition of Africa (1920);
       Fisher, C. B. and Fisher, H. J, Slavery and Muslim Society in Africa (1970);
       Alan W Fisher, Muscovy and the Black Sea Slave Trade. Canadian-American Slavic Studies, VI, 4:575-594 (1972);
       Fisher, H. J., Central Sahara and the Sudan: the contribution of slavery. In
       The Cambridge History of Africa, Vol. 4, pp. 97–105 (1975);
       Stephen Clissold, The Barbary Slaves  (1977);
       J.W. Brodman, Ransoming Captives in Crusader Spain: The Order of Merced on the Christian-Islamic Frontier (1986);
       Alexandrescu-Dersca Bulgaru, Le role des escalves en Romanie turque au XVe siecle (1987);
       Hogendorn, Jan. The Hideous Trade. Economic Aspects of the ‘manufacture’ and Sale of Eunuchs. Paideuma 45 (1999): 137–160;


Fonte:  da ZHISTORICA-CENTRO STUDI STORICI; del  13 febbraio 2012

S.

P.S.

E’ vero pochi sopravvivevano, era una specie di selezione, gli schiavi diretti alle miniere del Sinai potevano considerarsi i più fortunati, mentre gli altri se sopravvivevano alle marce, per di più costretti a portare pesi come zanne di elefante, otri di acqua, eccetera, giunti ai porti d’imbarco venivano evirati, mentre le donne venivano vendute o cedute in cambio di viveri nei vari caravanserragli sui percorsi che partivano dal centr’africa verso il mare; i caravanserragli erano dei veri e propri bordelli, oltre che a tenere al sicuro schiavi, animali e mercanzie, gli schiavisti arabi si rilassavano con giovani schiave, con il trascorrere degli anni attorno ai caravanserragli si sono formate delle baraccopoli abitate da vecchie prostitute con i loro figli mezzi arabi, chiamati dagli schiavisti “Habesh” (miscuglio di schiavi) , cioè “Abissini”; in poche generazioni questa “popolazione abissina” è cresciuta di diverse centinaia di migliaia di individui, divenendo un esercito, riuscendo a scalzare e sostituendosi agli schiavisti arabi nella tratta degli schiavi, schiavi che venivano venduti non solo agli arabi lungo le coste ma anche ai vari ras etiopici (nel 1930 ricercatori inglesi avevano calcolato che gli schiavi in Etiopia superavano i 5 milioni, nel solo Wollega su 200,000 abitanti residenti nella regione, ben 180,000 erano schiavi nilotici (i Baria), adibiti alla raccolta del caffè). 
Questo per quanto riguarda la costa del Mar Rosso mentre invece verso le coste del sud: Kenya, Tanzania e Somalia i caravanserragli erano rari sia per le fitte foreste che per la malaria per cui gli schiavi, carichi sopratutto di zanne d’avorio, erano costretti a marce forzate, i morti venivano sostituiti da altri schiavi catturati lungo il tragitto, uno schiavista arabo della fine del 1800, si vantava nelle sue memorie di aver ucciso in 40 anni oltre 42,000 elefanti, era chiamato dagli indigeni “Tippu-tip” (vedi wikipedia), per via dello schioppietio che fascievano i suoi fucili quando attaccava i villaggi.



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