venerdì 31 gennaio 2014

L'ARCIDIACONO PACIFICO

Lapide-epitafio dell'Arcidiacono Pacifico: Duomo o di Verona



EPOCA II - CAPO VI

SOMMARIO. - Nascita e giovinezza - Giudizio della Croce - L'Epitafio: autore ed epoca - Termini della vita di Pacifico - Arcidiacono - Chiese da lui erette o restaurate - Codici - L'orologio notturno - La Glosa - La bussola - Testamento - Controversia De natura peccati Adami - Epitafio accomoda tizio - Sepolcro.


Il nome Pacifico, prettamente latino, è una rarissima eccezione fra i tanti nomi barbari che si incontrano nei monumenti dei tre secoli VIII-X; esso ci indica che il nostro Pacifico discendeva da famiglia già da secoli indigena fra di noi, la quale poco o nulla avea risentito l'influsso degli idiomi barbarici.  Dal primo dei due epitafi, che tosto riporteremo, deve esser nato verso gli anni 776- 778.  Dal secondo parrebbe che avesse avuto tre nomi: Pacifico, Salomone, Ireneo; ma è chiaro che il secondo ed il terzo sono posteriori esegesi del primo, aggiunte al nome vero più tardi: il secondo ebraico, il terzo greco.  Fu educato nella scuola annessa alla cattedrale, ed ascritto ancor giovinetto tra i chierici della chiesa veronese.

Il Dalla Corte e dietro a lui gli storici nostri posteriori riferiscono questo fatto di Pacifico ancor giovinetto e chierico (1).  Dovendosi riparare e forse in parte costruire le mura di Verona per ordine di Carlo Magno, sorse questione tra la «pars sancti Zenonis » ed il comune quale parte della spesa dovesse esser sostenuta dal clero, se la terza parte o la quarta.  Riuscito vano l'accordo per altre vie, per consenso di ambe le parti si ricorse ad una forma di giudizio di Dio, detto giudizio della Croce.
Furono scelti due giovani chierici di vita innocente « duo juvenes clericos sino ullo crimine existimatos »: dalla parte del clero Pacifico, da quella del comune Aregao.  Condotti nella chiesa di S. Giovanni in Fonte, doveano stare davanti all'altare con le mani sollevate in forma di croce, finché il sacerdote celebrando la Messa recitava il Passio secondo S. Matteo; avrebbe vinto quella parte, il cui campione avrebbe durato più a lungo in quella positura. Siccome Aregao dovette a metà del Passio abbassare le braccia e Pacifico resse sino alla fine, così la questione fu risolta a favore del clero. L'anno del fatto è incerto; dovrebbe esser non lungi dalla fine del secolo VIII, probabilmente l'anno 798.

Il Dalla Corte dice che di questo fatto si avea documento nella cancelleria de rr. canonici in una pergamena dell'anno 837(2): ma più tardi a chi ricercava quel documento fu risposto « mernbranam  ipsam  in  archivio  ipsius  cathedralis jam a pluribus annis desiderari »(3). I due campioni di quel giudizio compariscono sottoscritti nel celebre atto (24 giugno 813) del vescovo Ratoldo: «Ego Pacificus archid. m.m. subscrip. »: indi «Ego Aregaus pbr. m.m. subscripsi et consensi» (4.)

Siccome quasi tutte le notizie sulle doti e sulle opere di Pacifico ci vengono dal suo epitafio; così sarà opportuno che lo riportiamo intiero. Esso ora si trova nella cattedrale sopra la porta che conduce alla corte sant'Elena: fu illustrato da parecchi degli scrittori nostri (5); recentemente fu riprodotto in fac-simile dal sac. Antonio Spagnolo (6). Lo diamo sciogliendo i nessi e compiendo le abbreviature: i versi sono in tutto simili a quelli del Ritmo Pipiniano, e si possono opportunamente distribuire in terzine:


Archidiaconus quiescit hic vero Pacificus

Sapientia praeclarus et forma praefulgida,
Nullus talis est inventus nostris in temporibus
Quod nec ullum advenire umquam tale credimus.

Ecclesiarum fundator, renovator optimus,
Zenonis, Proculi, Viti, Petri et Laurentii,
Dei quoque genitricis,  nec non et Georgii.

Quidquid auro vel argento et metallis caeteris,
Quidquid lignis ex diversis et marmore candido
Nullus unquam sic peritus in tantis operibus.

Bis centenos terque senos codicesque fecerat,
Horologium nocturnum nullus ante viderat,
En invenit argumentum et primum fundaverat.

Glosam veteris et novi testamenti posuit,
Horologioque carmen spera e caeli optimam,
Plura alia grafia que prudens inveniet.

Tres et decim vixit lustra, trinos annos amplius
Quadraginta et tres annos fuit Archidiaconus,
Septimo vicesimo aetatis anno caesaris Lotharii.

Mole carnis est solutus, perrexit ad Dominum;
Nono sane kalendarum obiit Decembrium
Nocte sancta quae vocatur a nobis dominica.

Lugent quoque sacerdotes et ministri optimi,
Ejus morte nempe dolet infinitus populus.
Vestros pedes quasi tenens vosque precor cernuus,

O lectores, exorare quaeso pro Pacifico.


Per comune consenso degli eruditi la lapide è di poco posteriore alla morte di Pacifico (7); anzi dalla data apposta al secondo epitafio, di cui tosto ci occuperemo, deve essere dell'anno 846.
Perciò l'autorità delle asserzioni del primo epitafio è gravissima: fu scritto da qualche veronese ben conscio di quanto avea fatto Pacifico; solo è da deplorare che non sia sempre ovvio il senso delle espressioni. Daremo una qualsiasi esposizione delle parti più importanti (a).

Cominciamo col fissare anzitutto i termini della vita di Pacifico. Egli morì di domenica nella notte seguente al giorno 23 novembre dell'anno ventesimosettimo dell'imperatore Lotario. Ora quale è questo anno secondo il computo dell'era volgare?  Maffei, Muratori, Tiraboschi ed altri dicevano esser l'anno 846:  Da Prato, Federici, Venturi ed altri voleano fosse l'anno 844: il sac. Luigi Trevisani, prefetto degli studii nel nostro seminario, in una sua  nota manoscritta, che abbiamo presso di noi, diceva che i due caratteri, solare e cronologico, attribuiti all'anno della morte di Pacifico si verificano nell'anno 845(8).

Pacifico ha vissuto sessantotto anni: perciò la sua nascita fu tra gli anni 776-778: non insistiamo in voler assegnare una data precisa; essa dipende dall'anno della morte.

Pacifico fu arcidiacono della chiesa veronese per quarantatre anni: perciò la sua nomina a questa dignità sta tra gli anni 801- 803.  V'ha peraltro una difficoltà.  In un documento dell'anno 806 è detto arcidiacono un certo Tisane (9); e non pare che nella nostra chiesa fossero contemporaneamente due arcidiaconi (10).
Risponde il P. Da Prato che il documento citato non è l'atto di una composizione avvenuta l'anno 806; ma è l'autenticazione di una composizione avvenuta alcuni anni prima tra la parte di S. Zeno (vescovo Ratoldo e clero) ed il fisco regio, quando dopo la sentenza data dagli scabini «ambulaverunt  Tiso  archidiaconus,  Ibingi  diaconus,  Donatus presbyter et Deusdedit presbyter » (per la parte di S. Zeno),  ed insieme con essi «Paulus vice dominus» per la parte regia, e determinarono i confini pattuiti nella composizione. Questo fatto può esser avvenuto nell'anno 802, primo di Ratoldo; e nulla asta che l'anno stesso o l'anno seguente, defunto Tisane, sia stato eletto arcidiacono Pacifico.

Dopo aver detto in termini generali delle doti di Pacifico, sia quanto alle qualità intellettuali e morali, sia anche quanto alle corporali, l'epitafio viene ad accennare alcuni meriti di lui in particolare.

Pacifico ha eretto o rinnovato, e coll'ingegno e con le offerte ha collaborato alla erezione o rinnovazione di sette chiese.  
La prima è quella di S. Zeno; secondo alcuni quella eretta da Ratoldo e Pipino; secondo altri quella di S. Zeno in oratorio.   
Seguono le chiese di S. Procolo,   S. Vito adiacente alla precedente,   S. Pietro in Castello,   S. Lorenzo,   S. Maria Matricolare,   S. Giorgio.  Quest'ultima dovrebbe essere quella chiesa che Pacifico ottenne dal vescovo Ratoldo di poter fabbricare sopra un suo fondo, e fu poi consacrata dal patriarca Massenzio nell'anno 813 (11).  E' vero che l'atto di Ratoldo è assai controverso; ma, anche se fabbricato in tempi posteriori, dovrebbe aver come fondamento vero l'erezione di quella chiesa, nella quale più tardi i canonici pretesero di essere esenti dalla giurisdizione del vescovo di Verona (12).

Fornito di ingegno versatile, Pacifico architettò lavori di intaglio, scultura, pittura, in marmo, metallo o legno: lavori, che egli certo fece per decorazione delle chiese. Particolarmente a lui viene attribuito il merito di ben duecento e diciotto codici, scritti o trascritti, o acquistati per la biblioteca annessa alla residenza dei canonici. « Animadvertamus, dice il Muratori, quam ingens, quam rarum et marmore dignum fuerit donum factum a Pacifico: ... thesauri sane loco, neque immerito, tunc temporis id habitum fuit (13).

Sulla natura e forma dell'orologio notturno inventato da Pacifico, han disputato i critici: mentre l'orologio a sole non potea segnar le ore se non quando splende il sole, questo inventato da Pacifico segnava anche di notte; si dubitava quale fosse la causa del moto: certo fu una novità molto importante.

Erudito, com'era, nelle lingue ebraica e greca, compose una Glosa nella sacra scrittura. Secondo Maffei e Giuliari, di questa Glosa sarebbe una parte la Glosa in Exodum  coservata nella biblioteca capitolare.  Il can. Dionisi pensò che vi appartenesse un commento in libros Regum, che sta pure nella capitolare.  Recentemente il sac.  dott. Mercati scrittore della Vaticana opinò che appartenga a qualcuna delle glosse pubblicate a Coimbra nell'anno 1827(14).  Secondo il p. Da Prato, le parole dell'epitafio significano che Pacifico teneva lezioni orali sulla sacra scrittura agli studiosi della « schola sacerdotum ».

Nel verso seguente, secondo il p. Da Prato, si fa nuova menzione dell'orologio notturno; cosa a dir vero inammissibile. Secondo l'opinione comune, qui si parla di qualche altro meccanismo avente relazione con la sfera celeste: alcuni pensano che Pacifico abbia inventato una specie di bussola per la direzione delle navi (15):   altri, escludendo la bussola, non sanno quale istrumento  sostituirvi (16).

Dopo aver detto della morte di Pacifico, l'epitafio riferisce quanto lutto recò a Verona la perdita di tanto uomo: piansero i sacerdoti, piansero gli ottimi ministri, pianse il popolo tutto. Chiude mettendo sulle labbra del defunto un invito ed una supplica a tutti i cittadini, che tutti vogliano pregare per lui.

Vestros pedes quasi tenens, vosque precor cernuus,
O lectores, exorare quaeso pro Pacifico.

Oltre che dall'epitafio, qualche cosa intorno a Pacifico possiamo rilevare dal suo testamento, fatto in comune con la sorella Ansa il giorno 9 settembre dell'anno 844 (17).
Da esso conosciamo come Pacifico ave a moltissimi possedimenti nel contado veronese e fuori di esso, dei quali disponeva in favore di opere pie, principalmente nella fondazione e mantenimento di un ospitale (xenodochium) da erigersi o piuttosto già eretto «in vico Quintiano »; si nominano in particolare «claustra illa ubi oratorium sancti Joannis situm est ».  
Dopo la morte sua e della sorella, i beni lasciati per quell'ospitale siano amministrati dai suoi nipoti, ai quali raccomanda la cura e custodia di quella chiesa e della sua ufficiatura. Agli stessi impone che nel primo giorno di ogni mese «per omnes kalendas » diano a mangiare a sessanta poveri;  così pure a quaranta poveri ed a dieci preti nell'anniversario della morte sua ed in quello della morte della sorella: alla morte dei nipoti sostituisce loro la scuola dei sacerdoti. Altri beni lascia direttamente agli stessi canonici, e pone l'ospitale e l'oratorio di S. Giovanni ed un piccolo tesoro dello stesso «sub defensione scholae sacerdotum vel (et) praepositorum ejus ».

Verso la fine del secolo scorso fu pubblicato in Germania un altro documento, che indirettamente riguarda il nostro Pacifico.

Sembra che nel secolo IX nelle nostre regioni, insieme con le controversie intorno alla predestinazione, siansi sollevate alcune questioni intorno alla natura del peccato di Adamo; sulle quali Pacifico si rivolse ad un monaco di nome «Hildemarus », per averne schiarimenti. Questo «Hildemarus », di origine Alemanno, secondo gli studi di Ludovico Traube, fu monaco ed Abate nel monastero di Clebate o Civate, ora Livate nella diocesi di Milano (18).
Che Pacifico abbia chiesto a lui una esposizione della dottrina sul peccato di Adamo apparisce dal titolo della risposta: «Hildemarus presbyter a Pacifico archidiacono veronensi rogatus  de  schedula cujusdam de Adami primi hominis peccato iniquius agente disserit ».  E' chiara l'analogia di questo titolo con quello della risposta di Rabano Mauro al vescovo Nottingo; e giustamente il Traube ritiene che anche le due schedule, ossia i due errori, avessero qualche connessione tra di loro: si noti che le due dissertazioni, di Rabano e di Ildemaro, ambedue dirette a Verona, sono contemporanee (b).

La lettera di Ildemaro fu pubblicata da Diimmler; ed ha questo indirizzo: « Primo viro Pacifico, vironensi videlicet archidiacono, Hildemarus, quamquam  indignus, presbyter, salutem »(19).  Dalla lettera di Ildemaro si comprende che la schedula confrontava il peccato di Adamo con quello di Giuda, del quale diceva « non plus peccasse quam Adam ».  Ildemaro insegna che il peccato di Adamo era meno grave, ed insiste pure su un altro punto, che, cioè, ad Adamo fu rimesso il peccato, mentre non fu rimesso a Giuda.  
Dalla lettera, o dal suo proemio apparisce che anche Rabano  avea trattato « de liberatione et ereptione Adae primi hominis » per i meriti di Gesù Cristo. Abbiamo qui una conferma di quanto notammo altrove, che il libro De praedestinatione fu indirizzato a Nottingo tuttora vescovo di Verona.

Da altro documento si ricava che Pacifico ha avuto parte nella erezione o nel restauro della chiesa di Sant'Alessandro (ora S. Rocco) non lungi dall'oratorio di S. Giovanni Battista di Quinzano, consacrata da un vescovo Wilprando per la vacanza della sede vescovile (20).

Sotto la lapide contenente l'epitafio di Pacifico, su altra lapide si legge scolpito un secondo epitafio in eleganti distici elegiaci, nei quali lo stesso Pacifico parla al lettore. Opinava il Maffei che questa elegia fosse opera dello stesso Pacifico: ora consta che essa  è tolta dall'epitafio di Alcuino (21), adattato con alcune modificazioni ed omissioni a Pacifico, forse dallo stesso autore del primo epitafio.  Noi, omettendo alcune questioni di importanza secondaria, diamo questi versi, quali si leggono sotto l'epigrafe di Pacifico.


Hic rogo pauxillum veniens subsiste viator,
Et mea scrutare pectore dieta tuo.

Quod nunc es, fueram, famosus in orbe viator,
Et quod nunc ego  sum, tuque futurus eris.

Delicias mundi pravo sectabar amore,
Nunc cinis et pulvis,  vermibus atque cibus.

Ouapropter potius animam curare memento
Quam carnem; quoniam haec manet, illa perit.

Cur tibi plura paras? quam parvo cernis in antro
Me tenet hic requies; sic tua parva fiet.

Ut flores pereunt vento veniente minaci,
Sic tua namque caro, gloria tota perit.

Tu mihi redde vicem, lector, rogo, carminis hujus,
Et dic: da veniam, Christe, tuo famulo.

Pacificus Salomon mihi nomen atque Ireneus,
Pro quo funde preces mente, legens titulum

Obsecro, nulla manus violet pia iura sepulcri,
Personet angelica donec ab arce tuba.

Qui iaces in tumulo terrae de pulvere surge,
Magnus adest iudex rnilibus innurneris.

Tolle hinc segnitiern, pone fastidia mentis,
Crede mihi, frater, doctior hinc redies.
Anno Dominicae Incarnationis DCCCXLVI, Ind. X.(22).


Quanto al luogo, dove fu sepolto il corpo di Pacifico non abbiamo che poche notizie incerte. Il canonico Giuliari attesta che da alcuni rotoli dell'archivio capitolare l'arcidiacono era stato sepolto nella cattedrale (23): d'altronde sappiamo che il luogo dovea esser quello, dove ora è la sacrestia dei canonici, il quale per conseguenza avrebbe appartenuto alla cattedrale esistente nel secolo IX, quale era la chiesa di S. Maria Matricolare. Lo stesso aggiunge che il sepolcro, che era in luogo alquanto elevato, in ossequio alle costituzioni del vescovo Giberti (1542-1543) venne posto sotterra. Nel 1625 per la costruzione della sacristia fu rimosso di là il deposito di Pacifico.
Dopo varie peripezie, le lapidi contenenti gli epitafi furono collocate sopra la porta, che dalla cattedrale mena alla corte dr sant'Elena; degli altri elementi di quel deposito poco ci interessiamo (24); del luogo ove riposino le ceneri di Pacifico, purtroppo, ora non si hanno notizie (c).


NOTE


1 - DALLA CORTE, Storia di Verona, Lib. IV.

2 - PANVINIUS, Antiqu. Veron., Lib. I, Cap. 24; DA PRATO,  Sopra l'Epitafio di Pacifico,  Diss. II, Cap. 3.

3 - LUPI, Codex diplomo Bergom., col. 1094; vedi anche col. 614 (Bergomi 1784). - Vedi CIPOLLA, Fonti edite per la storia della ragione veneta, pag. 80.

4 - Presso MAFFEI,  Istoria teol., Append., pag. 96.

5 - DA PRATO, Sopra l'Epitaffio di Pacifico, Diss. I, Cap. 2; MAFFEI, Verona illustr. II,  pag. 61, segg. (Verona 1731).

6 - SPAGNOLO, in Nuovo Arch. Ven., N. S., Tom. VIII, P. I (Venezia 1904).

7 - CIPOLLA, Il velo di Classe, pag. 37. - Dubitavano dell'autenticità dell'epitafio BIANCOLINI, Dissert. sui vescovi, pag.  183; BLUHME, Iter italic., I, 255.

8 - In margine alla copia degli Elogi a lui regalata dallo stesso Federici.

9 - Presso MAFFEI, Storia teol., Append., pag.  99; DA PRATO, Dissert. II, Capo II.

10 - Nel medio evo in alcune chiese cattedrali, oltre l'« Archidiaconus urbanus»  vi erano gli «Archidiaconi pagenses »;  DUCANGE, Glossarium, ad v. Archidiaconus.

11 - Vedi Bollettino eccles., giugno 1917, pag. 182.

12 - Il MOSCARDO, Storia di Verona, pag. 84, dice che quella chiesa era dedicata in onore di S. Giorgio e di S. Zenone. Ciò confermerebbe la nostra congettura di più antica connessione tra questa località ed il culto di S. Zeno.

13 - MURATORI, Antiqu. ital., Dissert. XLIII, col. 810.  Vedi anche BIANCHINI, Anast. Bibl. Proleg., III,  Cap. XXXIV.

14 - CIPOLLA, Note di storia veronese, Num. XV.

15 - BOTTO, Salomone Ireneo Pacifico inventore della Bussola, e Origine italiana della Bussola nautica inventata dal Veronese Salomone Ireneo Pacifico, in Bollettino della Soc. Afr. d'Italia (Napoli 1903, 1904).

16 - SPAGNOLO, L'arcid. Pacifico di Verona inventore della Bussola?  in Nuovo Arch. Ven., N. S., VIII, P. I (Venezia 1904).

17 - Presso DIONISI, De duobus  episcopis ... Doc. III, pag. 75.

18 - TRAUBE in Abhandl. der bayer Akad., III, Cl. XXI, III. 641;  PIPER, Libri conirat. S. Galli Faberiensis, pag. 384, tra i Monum. Germ., (Berolini 1884).

19 - DUEMMLER, Epistolae  Karolini aevi  III, pag. 355; vedi anche pag. 320, Nota 2, tra i Monum. Germ. (Berol. 1893).  Fu trascritta da un codice del secolo XI, conservato prima nel monastero di S. Emmerano a Ratisbona ed ora nella Biblioteca di Monaco. E' un documento finora sconosciuto agli scrittori di cose nostre.

20 - ANT. PIGHI, Il santuario di S. Rocco, pag. 9 (Verona 1887).

21 - L'epitafio di Alcuino si ha presso DUEMMLER,  Poetae aevi carolini, I, 350, seg., tra i Monum. Germ. (BeroI. 1880).

22 - Presso FEDERICI, Op. cit., l'anno sarebbe MCCCXLVI: ma è uno sbaglio.

23 - GIULlARI, Storia della bibliot. Capitolare, pag. 9-15, (Verona 1888).

24 - Vedi SPAGNOLO, L'arcidiacono Pacifico ... , pag.  8-10.


ANNOTAZIONI AGGIUNTE AL CAPO VI (a cura di A. Orlandi)


(a) pag. 199. - Da quattro secoli Pacifico di Verona alimenta l'interesse di molti studiosi: paleografì, filologi, storici, liturgisti, ciascuno dei quali, illustrando secondo il proprio ambito e metodo la complessa attività del celebre arcidiacono, arriva a precisare di tanto in tanto qualche punto tra i molti rimasti ancora oscuri. Così la bibliografia riguardante questo personaggio si è andata accrescendo. Per le notizie biografiche e l'attività complessiva di Pacifico si veda: T. VENTURINI, Ricerche paleografiche intorno all'Arcidiacono Pacifico di Verona, Verona, 1929, pp. XII-157, tav. 5.

(b) pag. 203. - L'argomento fu ripreso recentemente dagli studiosi. A. CAMPANA, Il carteggio di Vitale e Pacifico di Verona col monaco Ildemaro sulla sorte eterna di Adamo, in Studi Storici Veronesi L.S., voI. III (1951-52), Verona, 1953, pp. 5-18.

(c) pag. 205. - Sembra opportuno completare la recente bibliografia su Pacifico, almeno quanto alle pubblicazioni più notevoli: A. CAMPANA, Veronensia, in Miscellanea Giovanni Mercati II (Studi e Testi, 122) Città del Vaticano, 1946, pp. 57-91; M. CARRARA, Nota pacifichiana. L'orologio notturno e il carme dello Zodiaco, in Atti e Memorie dell'Accademia di Agricoltura, Scienze e Lettere di Verona, vol. CXXXII (serie VI, V. VII, 1955-56), Verona, 1957, pp. 145-149; V. FAINELLI, Grandi benefattori: il Vescovo Ratoldo e l'arcidiacono Pacifico, in Zenonis Cathedra, Verona, 1955, pp. 23-27; G. G. MEERSSEMAN - E. ADDA, Manuale di computo mnemotecnico dell'arcidiacono Pacifico di Verona, (Italia sacra 6), Padova, 1966, pp. XIV-193; G. G. MEERSSEMAN - E. ADDA - J. DESHUSSES, L'Orazione dell'Arcidiacono Pacifico e il Carpsum del cantore Stefano. Studi e testi sulla liturgia di Verona dal IX all'XI secolo, Friburgo, 1974.



Fonte:  srs di Giovanni Battista Pighi, da CENNI STORICI SULLA CHIESA VERONESE, volume I


giovedì 30 gennaio 2014

SULLA CONDIZIONE DEGLI STUDI ECCLESIASTICI IN VERONA NELL'EPOCA CAROLINGICA

Atrio di Santa Maria Matricolare. Il vestibolo, in uso forse già dall’VIII secolo, aveva una funzione di vano di collegamento  tra la chiesa dei canonici e la cattedrale.


EPOCA  II – CAPO V

SOMMARIO. - Ignoranza generale del secolo IX - Documenti veronesi - Scuola calligrafica - Codici della capitolare - Composizioni letterarie - La «schola sacerdotum » - Il «Capitulares olonnense» - I « custodes et rectores » della scuola - Benefattori della scuola - Documenti letterari del secolo IX - Deficienza degli studi teologici.


La così detta « Constitutio Hlotharii », emanata da questo imperatore nel maggio dell'anno 825, parlando della condizione degli studii in Italia, deplora che essi siano del tutto estinti in tutta Italia per la negligenza di coloro, che dovrebbero averne la cura: « De  doctrina vero, quae ab nimiam incuriam atque ignaviam quorumdam praepositorum cunctis  in  locis  est  penitus exstincta, placuit ... » (1).

Questa affermazione uscita dalla penna di un imperatore franca ha un fondo di verità.  L'invasione dei Longobardi, più barbari di tutti i barbari, imponendo all'Italia specialmente superiore la propria barbarie, vi avea  quasi estinto ogni amore allo studio.  Benché anche nei due secoli longobardi non siano mancati impegni sottili e perspicaci, mancava ogni stimolo allo studio, mancavano gli incitamenti, mancavano i mezzi: tutta l'attività degli ingegni era assorbita dalle lotte, dalle contese, dalle prepotenze: pochi  soltanto si applicavano ad un po' di cultura superficiale della lingua latina, corrotta essa pure da barbari termini, da più barbare terminazioni e frequenti solecismi; come appare da tutte le memorie di quei due secoli sventurati (2). La discesa di Carlo Magno per la cultura delle lettere e delle scienze fu una vera provvidenza: lentamente essa riparò ai danni della dominazione longobardica.

Se quell'affermazione ha un fondo di verità, pur tuttavia gli eruditi delle cose italiche medioevali la ritengono esagerata; ed i veronesi possono affermare che, per quanto spetta a Verona, essa è poco meno che falsa. Benché sulle cose ecclesiastiche di Verona non abbiamo che scarse notizie prima dell'era carolingica, pure ne abbiamo sufficienti per affermare che il clero veronese coltivò sufficientemente gli studii anche nei tre secoli delle occupazioni barbariche.

Altrove abbiamo veduto come nel secondo decennio del secolo VI un « Ursicinus» lettore della chiesa veronese trascrisse alcuni opuscoli di Sulpizio Severo e la vita di Paolo monaco scritta da S. Girolamo. Il nostro Maffei osservava come il codice sia scritto in perfetto minuscolo detto italico o romano e, nelle provincie lontane, gallico: dal che deduceva come questo genere di scrittura fosse ben conosciuto a Verona da duecento e cinquant'anni prima che venisse Carlo Magno in Italia.  E' bensì vero che « qualche paleografo espresse l'opinione che il codice oggi dì conservato presso la biblioteca capitolare di Verona sia una copia fatta qualche secolo dopo: ma questa opinione non poggia sopra buon fondamento» (3).  Del resto, quando anche fosse provata vera, è ancor vero che in Verona al principio del secolo VI era un chierico esperto in quest'arte (4)e che oltre di lui doveano esser altri studiosi, ai quali interessava la trascrizione di scritti anteriori, e che appunto per uso di questi sino da allora si andavano raccogliendo dei codici presso la chiesa cattedrale.
Questo codice fu mandato all' Esposizione di Torino nell'anno 1898; ed insieme con esso furono ivi esposti altri due manoscritti preziosissimi, il Salterio greco-latino dello stesso secolo VI, e l'Evangeliario purpureo spettante forse al secolo V (5). Questi tre manoscritti furono giudicati veri cimelii e forse i più preziosi per importanza storica e scientifica: furono un bel vanto per Verona; ma soltanto del primo consta che fu scritto in Verona (6).

Inoltre è opinione ammessa dai dotti che in Verona nel medesimo secolo VI, e forse per opera dello stesso lettore Ursicino, siasi formata una vera scuola calligrafica; alla quale siano da attribuire parecchi dei preziosi manoscritti conservati nella nostra biblioteca capitolare (7). Fra questi è un frammento della profezia di Geremia con altri frammenti del Levitico, del Deuteronomio, della Sapienza: il celebre Fragmentum laurentianum, del quale ci siamo occupati altra volta, il De viris illustribus di S. Girolamo, il De agone christiano di Sant'Agostino.
I codici della biblioteca capitolare anteriori al secolo VIII sono almeno ventisette, dei quali non pochi devono essere di origine veronese(8): tra questi forse è da annoverare anche il celebre Sacramentarium leonianum, che il nostro Bianchini attribuiva a S. Leone (9).  Questi manoscritti direttamente ci attestano che erano a Verona esperti amanuensi; indirettamente ci dicono che v'eran pure istituzioni o cultori di cose sacre, al cui uso erano ordinati gli scritti degli amanuensi.

Dalle trascrizioni veniamo alle composizioni. Queste certamente son poche e di poco valore in se stesse: tuttavia son pur qualche cosa, sia in sé, avuto riguardo alle condizioni dell'epoca, sia in confronto con le composizioni di altre regioni nell'Italia superiore.

Nel secolo VI abbiamo il Fragmentum laurentianum, forse lo scritto De Odoacre et Theodorico, le iscrizioni dei vescovi Valente e Verecondo, quella assai migliore della vergine Placidia, e quelle veramente classiche scoperte nei mosaici presso la chiesa di S. Giorgio.
Nell'epoca longobardica abbiamo la Vita sancti Zenonis scritta in una rozza lingua latina dal notaio Coronato: a quest'epoca secondo lo storico Venturi potrebbero spettare anche i distici che circondano l'Iconografia Rateriana (10): agli ultimi anni dei Longobardi od ai primi dei Franchi forse apparterebbero le iscrizioni poste sulla cassa delle reliquie dei santi martiri Fermo e Rustico;  forse anche quella di sant'Annone.  
Anteriore alla costituzione di Lotario è il Ritmo pipiniano; al quale forse si possono aggiungere il Ritmo acrostico « Audient principes » in onore di S. Zeno (11), e l'altro « Gracia excelsa » scritto da Gaidaldo rettore, a quanto sembra, d'una chiesa di Verona (12).
Sulla fine del secolo VIII visse in Verona un Anselmo, che fu duca del Friuli, poi monaco ed uomo di lettere; egli fondò il monastero di Nonantola, e morì in concetto di uomo colto e santo nell'anno 803 (13).

Ecco quanto abbiamo potuto raccogliere intorno alle condizioni letterarie di Verona dal secolo VI al principio del secolo IX; e certamente non è molto.

Si aggiunga però che già nel secolo VIII, almeno verso la fine, presso la chiesa di S. Maria Matricolare esisteva una « scola sacerdotum et aliorum clericorum »; della quale il diploma di Ludovico il Pio (23 giugno 820) diceva che esisteva «antiquitus », fondata dagli antecessori di Ratoldo « ejusdem videlicet (Ecclesiae) episcopis »(14). Questa scuola avea molto sofferto per le dilapidazioni di AIdone; ma poi ristabilita e dotata di beni dal vescovo Ratoldo: « In has enim casas et in hoc loco volumus ut sit scola sacerdotum, ubi sua stipendia possint habere »(15).  Qualunque fosse la natura e lo scopo della « schola sacerdotum » nella sua istituzione primitiva, è chiaro che al principio del secolo IX essa era ordinata alla formazione del giovane clero, non solo dal lato dell'educazione alla pietà sacerdotale, ma anche dal lato dell'istruzione nelle lettere e nelle scienze ecclesiastiche.  
Oltre i beni lasciati alla scuola, Ratoldo ne destinava una buona parte « illi canonico, qui subdiaconibus et diaconibus praeesse debet studio »; e Ludovico il Pio ordinava « fieri praeceptum, per quod clerici, qui in eadem erudiendi  sunt scola, res quas ipse episcopus sive ceteri eidem contulerunt scolae, ... habere vel tenere debeant ».  Dunque esisteva in Verona una scuola per l'istruzione dei chierici, non solo prima della costituzione di Lotario, ma ancora nel secolo precedente. Non sarebbe temerario ascrivere l'istituzione di questa scuola al vescovo  sant'Annone, sia per gli elogi che di lui fanno il Ritmo pipiniano e Giovanni Mansionario, sia perché detta scuola era situata presso la chiesa di S. Maria Matricolare, che si ritiene eretta a chiesa cattedrale da sant'Annone: presso la stessa chiesa si trova pure la prima biblioteca.

Certamente ad un maggior incremento negli studii venne  opportuna la costituzione di Lotario, detta Capitolare olonnense. Essa stabiliva che anche in Verona fosse istituita una nuova scuola, alla quale, oltre i veronesi, convenissero pure gli studiosi da Mantova e da Trento: « Placuit ut ab his, qui nostra dispositione ad docendos alios per loca denominata sunt constituti, maximum detur studium, quatenus sibi commissi scholastici proficiant atque doctrinae insistant, sicut praesens exposcit necessitas. Propter opportunitatem tamen omnium apta loca providimus, ut difficultas locorum longe positorum  ac  paupertas nulli foret excusatio. Id sunt: primum in Papia conveniant ... : in Verona, de Mantua, de Triento; ecc. »,

Avrà pure efficacemente influito un canone del concilio tenuto  a Roma da Eugenio II nel novembre dell'anno 826; col quale si ordinava che « in universis episcopiis subjectisque plebibus magistri et doctores constituantur, studia litterarum liberaliumque artium ac sancta habentes dogmata assidue edoceant, quia in his maxime divina manifestantur atque declarantur mandata» (16).

Comunque sia, è certo che nel secolo IX fu molto in fiore la « schola sacerdotum »; e forse fu questo uno dei motivi, per cui Lotario volle fondata una scuola a Verona.  Benché dalla donazione di Ratoldo apparisca che la presiedeva un canonico, pure è certo che in seguito la reggevano l'arciprete e l'arcidiacono della cattedrale, i quali perciò eran detti « custodes et rectores scholae ».
Nel testamento di Bilongo (847) sono « rectores » Audone arcidiacono e Stefano arciprete: in un atto dell'879 sono « rectores » Grauseberto arciprete ed Audone arcidiacono (17); in altro atto del dicembre 964 sono detti « custodes atque rectores scolae  sacerdotum» David arciprete e Pietro arcidiacono (18); in un atto del settembre 1007 hanno questo appellativo Martino arciprete e David arcidiacono (19). E' chiaro che la scuola era annessa al capitolo, il quale ne commetteva la direzione alle due primarie dignità: insieme però dipendeva anche dal vescovo. Fra i vescovi, oltre Ratoldo, fu generoso benefattore anche Bilongo. Sul principio del secolo seguente lasciava i suoi beni a questa scuola anche Giovanni vescovo di Cremona nel suo testamento fatto l'anno 922 (20): egli era stato in Verona cancelliere di Berengario.

Una delle mansioni di questa scuola fu di raccogliere e trascrivere documenti ecclesiastici antichi e contemporanei, patristici e massime liturgici.  Tra i codici veronesi del secolo IX sono importanti l'Ordo Romanus con le Laudes (cod. capitoI. XCII), di cui abbiamo parlato altrove; ed il Martirologium ecc. (CVI); un Sacramentarium (LXXXVI) usato nella chiesa veronese (21).
Secondo il prof. Lazzarini, almeno una ventina dei codici conservati nella nostra biblioteca capitolare appartengono al secolo IX(22); secondo altri, appartengono al secolo IX trentaquattro codici, ed almeno dieci al secolo X; e ben si può credere che altri siano smarriti (23). Sono una bella prova dell'operosità della nostra scuola nei due secoli IX e X.

A questi due secoli potrebbero anche appartenere alcune composizioni: il Planctus in obitu Caroli Magni (24); l'ode saffica in onore di Adelardo (25); i Gesta Berengarii: ma non è cosa facile dimostrare che siano composizioni veronesi (26): certamente sono veronesi i distici dell'Iconografia rateriana. Verona in questi due secoli ebbe pure alcuni vescovi eruditi: Ratoldo,  Nottingo,  Adelardo,  Ilduino ed il suo successore Raterio.  Ma una vera illustrazione della scuola veronese fu l'arcidiacono Pacifico, del quale tratteremo in seguito (a).

Finalmente buon tesimonio della cultura letteraria di Verona al principio del secolo X è il vescovo Raterio; il quale acclamava, sia pure malignamente, Verona «magna Verona, villa quondam Platonica illa Athenis » (27).

Però, mentre sono abbastanza numerosi i documenti letterari,  nulla abbiamo che si attesti fiorente in Verona lo studio delle cose sacre nel secolo IX: purtroppo fu questa una funesta conseguenza delle turbolenze politiche.
Verso la metà di questo secolo si trovano agitate in Verona due controversie teologiche: la prima riguardava la predestinazione, l'altra la natura del peccato di Adamo. Ma tali controversie non trovarono una soluzione in Verona; e fu d'uopo che per la prima il vescovo Nottingo ne chiedesse la soluzione a Rabano Mauro; per la seconda l'arcidiacono Pacifico si rivolgesse ad Ildemaro alemanno monaco nel monastero di Clebate.  Forse per questi studii teologici può esser vero quanto scrisse un recente erudito, che il vanto d'aver ricondotto il clero veronese ai fonti del sapere spetta ad alcuni precettori irlandesi chiamati dal vescovo Adelardo.
Nel secolo seguente si trovarono pure quasi esiliati alcuni monaci venuti dalla Scozia: di essi resta memoria nel Lamentum refugae cujusdam, nel quale il povero monaco fuggitivo implora da S. Zeno la grazia di tornare al suo monastero di S. Colombano:

Sancte Zeno, famulum miserum ne despice, quaeso;
Redde Columbano, sancte Zeno, famulum.  (29) (b).



NOTE


1 - Presso PERTZ, Monum. Germ. Leg. I. pag.  249; BORETIUS, Capitularia Regum Franc. I. .326.

2 - MABILLON, De re diplom., pag. 91 riporta questa sottoscrizione: « Signum + suprascripti Gratiani viri reverendi subdiaconi litteras nescientem ».

3 -MAFFEI, Verona illustrata. - Storia. Libro X.

4 - Vedi SPAGNOLO, La scrittura minuscola ... pag. 8, Nota 2. Egli pure sostiene l'originalità del Codice.

5 - SPAGNOLO, Tre frammenti biblici della Versio antiqua, pag. 1, seg., L'Evangeliario purpureo, pag. 5.

6 - Vedi Atlante paleografico-artistico compilato sui manoscritti esposti in Torino ... pag. VII (Torino 1898): in due tavole distinte (IV e XIII) furono riprodotte due carte del manoscritto di Ursicino.

7 - LAZZARINI, Scuola calligr. veronese; SPAGNOLO, Le scuole acol. in Verona, pag.2.

8 - SPAGNOLO, La scrittura minuscola ... pagg. 8-10 (Verona 1911).

9 SPAGNOLO, Tre Calendarii medioev., pag. 4 (Verona 1915).

10 - VENTURI, Compendio della storia di Verona, pagg. 115, 133. - Cipolla la giudica di molto posteriore.

11 - Presso BALLERINI, S. Zenonis Serm., pag.  CLI; vedi CIPOLLA, Fonti edite ... pag.136.

12 - Presso MURATORI, Ant. ital. III. 677. - Omettiamo le iscrizioni del ciborio di S. Giorgio; le quali purtroppo ci dicono quanto il longobardismo avesse corrotto anche fra noi la lingua latina.

13 - FEDERICI, Elogi di illustri eccles. veron. Tomo III. Append., pag. 5.

14 -Presso BALLERINI, Conferma della falsità di tre documenti, p. 126.

15 - Presso MAFFEI, Istoria teol., Append. pag. 95, seg.

16 - MANSI, Concil. Collectio, Tomo XIX. col. 1008 (Paris, Lipsiae, 1901, seqq.).

17 -Presso MAFFEI, Istoria teol., Append., pag. 98.

18 - Presso DIONISI, De duobus Episcopis etc. Docum. XXIII, pag. 126.

19 -Presso MAFFEI, Istoria teol., Append., pag. 245.

20 - CIPOLLA, Intorno a Giovanni Cancelliere di Berengario, pag. 21.

21 - SPAGNOLO, La scrittura minuscola ... pag. 17, segg.

22 - LAZZARINI, La scuola calligrafica veronese, pag. 14.

23 - Opusc. cit., pag. 24.

24 - DUEMMLER, Poetae oevi carol., Tom. I. pag. 433; qui il carme vien attribuito ad un monaco Bobiense od a Colombano Trudonense; ma proviene da un codice della nostra capitolare.

25 - Presso BIANCOLlNI, Dissert. sui Vescovi di Verona, pag. 35.

26 - CIPOLLA, Storia politica di Verona, pag. 57, 62; SPAGNOLO, Le scuole acolitali, pag. 5, Nota 1.

27 - RATHERlI, Opera (Ed. Baller.) Invect. de transl. S. Metronis, Num. 5.

28 - NOVATI, Le origini, nella Storia letteraria d'Italia (Coll. Milano), pag. 151.

29 - MAI, Classicorum auctorum, Tom. V., pag. 458 (Romae 1830).


ANNOTAZIONI AGGIUNTE AL CAP. V (a cura di A. Orlandi )


(a) pag. 195. - Si veda la bella sintesi sulla letteratura latina medioevale di Verona del dotto M. Carrara. M. CARRARA, Verona medioevale. Gli scrittori latini, in « Verona e il suo territorio ». II, Verona 1964, pp. 351-420.

(b) pag. 196 .. A completamento di bibliografia è indispensabile ricordare i seguenti scritti: G.B. PIGHI, Verona nell'VIII secolo, Verona, 1963, pp. 60; G. ONGARO, Cultura e scuola calligrafica veronese del secolo X, in « Memorie del R. Istituto Veneto di Se. Lett. ed Arti, Vol. XXIX, n° 7, Venezia 1925;  T. VENTURINI, Ricerche paleografiche intorno all'Arcidiacono Pacifico di Verona, Verona 1929; P. BRUGNOLI - G.P. MARCHI - R. CAMBRUZZI - S. CASALI, Le case del Capitolo canonicale presso il Duomo di Verona, Verona 1979.
Ma anche varie opere precedentemente citate o che si citeranno nei prossimi capitoli sono utili a completare il quadro della situazione di cui ha trattato il Pighi in questo capitolo.


Fonte:  srs di Giovanni Battista Pighi, da CENNI STORICI SULLA CHIESA VERONESE, volume I