giovedì 23 aprile 2020

GRAZIE MAMMA LUIGINA





“Santa Maria, donna dell’ultima ora, disponici al grande viaggio.
Aiutaci ad allentare gli ormeggi senza paura.
Sbriga tu stessa le pratiche del nostro  passaporto.  Se ci sarà il tuo visto, non avremo più nulla da temere sulla frontiera.
Aiutaci a saldare, con i segni del pentimento e con la richiesta di perdono, le ultime pendenze nei confronti della giustizia di Dio.
Procuraci tu stessa i benefici dell’amnistia, di cui Egli largheggia con regolare misericordia.
Mettici in regola le carte, insomma, perché giunti alla porta del paradiso,  essa si spalanchi al  nostro bussare”
D.T.B.

Valentini Luigina vedova Battocchio Ernesto (Verona 25 settembre 1932- H. Marzana 23 aprile 2020)


Papà Ernesto



Battocchio Ernesto, 1975;  (Fellette di  Romano d'Ezzelino, 13 maggio 1922 - H. Negrar, 26 settembre 1993)




mercoledì 22 aprile 2020

RISCHIO PANDEMIA PER I NAVAJO

Ragazza navajo


Covid-19 nella lingua Navajo si dice così: Dikos Ntsaaígíínáhást’éíts’áadah. Il termine è stato tradotto presto, perché la Nazione Navajo teme d’essere spazzata via dal virus. Da quando il 7 marzo sono stati segnalati i primi casi, i morti sono arrivati a 7 e i contagi a 214 nella riserva di 180mila persone che si estende su vasti deserti e altipiani coperti di pinete in Arizona, New Mexico e Utah.

La paura è legata al fatto che i servizi sanitari sono insufficienti, paragonati da professionisti che ci hanno lavorato a quelli dei Paesi più poveri del mondo. Uno su tre abitanti non ha l’acqua corrente, soprattutto nelle parti più remote della riserva, il che rende difficile lavarsi spesso le mani. I nativi americani, primi cittadini del continente, sono oggi gli ultimi. Cancro, diabete e problemi cardiaci sono superiori alla media nazionale. I leader della comunità hanno cominciato a diffondere bollettini radio a febbraio, da metà marzo vige lo stato di emergenza, con il coprifuoco dalle 8 di sera alle 5 del mattino, e sono stati chiusi i quattro casinò. Da settimane i Navajo chiedevano la chiusura ai turisti del parco nazionale del Grand Canyon, adiacente alle loro terre; sono stati ascoltati soltanto mercoledì scorso. Ma non sono ancora arrivati i fondi del pacchetto di aiuti approvato dal Congresso.

Nel fine settimana l’Arizona ha inviato la Guardia Nazionale, che ha predisposto 50 posti letto nella comunità di Chinle, dove il personale sanitario resta però inadeguato; ha distribuito 300 kit di guanti e mascherine a Kayenta, e inviato medici a Tuba City, a est del Grand Canyon, dove c’è l’unico vero ospedale della regione, con “più pazienti che necessitano di cure urgenti che dottori a disposizione”. Le donne della comunità si sono organizzate per rifornire le persone più fragili di cibo e acqua, in modo che non debbano percorrere lunghi tragitti in un territorio grande il triplo della Lombardia, rischiando la vita per raggiungere un supermercato: ce ne sono solo 13 nella riserva, mentre in quella degli Hopi, nel cuore della Nazione Navajo, tre botteghe servono 3000 persone. Il “Navajo & Hopi Families Covid-19 Relief Fund” ha una pagina per raccogliere donazioni su Gofundme. 
E qui torna utile un’altra parola navajo: T’áá hwó ajít’éego, autodeterminazione.

Viviana Mazza, “Corriere della Sera”.


Fonte: da Etnie del 04-04.2020

lunedì 20 aprile 2020

CONTE, L'OLOGRAMMA DI UNA FIGURA INESISTENTE.

Giuseppe Conte


(articolo di Marcello Veneziani tratto da "Panorama" )

Giuseppe Conte non è. Non è un leader, non è un eletto, non è un politico, non è un tecnico, non è nulla. È il Nulla fatto premier. E lo conferma ogni giorno adattandosi come acqua corrente alle superfici che incontra. È la plastica rappresentazione che la Politica, dopo lo Scarso, lo Storto, il Pessimo, ha raggiunto lo Zero, la rappresentazione compiuta del Vuoto.

Luogotenente del Niente, Conte è oggi il fenomeno più avanzato della politica dopo i partiti, i movimenti, le ideologie, la politica e l’antipolitica, i tecnici e i populisti, le élite e le plebi. È la svolta avvocatizia della politica che pure è da sempre popolata di avvocati: ma Conte non scende in politica, assume solo da avvocato l’incarico di difendere una causa per ragioni professionali; ma i clienti cambiano e così le cause. Andrebbe studiato nelle università del mondo perché segna un nuovo stadio, anonimo e postumo della politica. Non si può esprimere consenso né dissenso nei suoi confronti perché non c’è un argomento su cui dividersi; lui segna la fine del discorso politico, la fine della decisione, la fine di ogni idea, di ogni fatto. È la somma di tante parole usate nel gergo istituzionale, captate e assemblate in un costrutto artificiale. È lo stadio frattale del moroteismo, il suo dissolversi. Ogni suo discorso è un preambolo a ciò che non accadrà, il suo eloquio è uno starnuto mancato, di cui si avverte lo sforzo fonico e il birignao istituzionale ma non il significato reale. Altri semmai decideranno, lui si limita al preannuncio.

Ogni volta che un tg apre su di lui, non c’è la notizia, è solo una presenza che denota un’assenza; si spalanca una finestra nel vuoto. I fatti separati dalle opinioni, si diceva; lui è nello spazio intermedio dove non ci sono i fatti e non ci sono le opinioni. Dopo che Conte avrà parlato lascerà solo una scia di silenzi e di buchi nell’acqua. Non darà risposte, sceneggerà un ruolo e dirà lo Zero virgola zero. Nelle sue citazioni saccenti vanifica l’autore citato, lo rende vuoto e banale come lui. Conte non rientra in nessuna categoria conosciuta, eppure abbiamo avuto una variegata fauna di politici al potere. Lui non è di parte, eccetto la sua, è piovuto dal cielo in una sera senza pioggia.

Conte è portatore sano di politica e di governo, perché lui ne è esente. È contenitore sterile di ogni contenuto. Non ha una sua idea; quel che dice è frutto del luogo, dell’ora e delle persone che ha di fronte. Parla la Circostanza al suo posto, la Circumstancia, per dirla con Ortega y Gasset; Conte è la somma dell’habitat in cui è immesso, traduce il fruscio ambientale in discorso.

Figurante ma senza neanche figurare in un ruolo, è l’ologramma di una figura inesistente, disegnato in piattaforma come un gagà meridionale degli anni 50. Un po’ come Mark Caltagirone, il fidanzato irreale di Pamela Prati; è solo una supposizione. Trasformista, a questo punto, sarebbe già un elogio, comunque un passo avanti, perché indicherebbe un passaggio da uno stadio a un altro. Conte, invece, è solo la membrana liquida che di volta in volta riveste la situazione, producendo un molesto acufema in forma di eloquio. Conte cambia voltura a ogni utente e rispetto a ogni gestore (non fu un caso nascere a Volturara).

Conte è fuoco fatuo, rappresentazione allegorica del niente assoluto in politica, ma a norma di legge. Quando apparve per la prima volta dissero che aveva alterato il curriculum e in alcune università da lui citate non era mai stato, non lo conoscevano; ma Conte è un personaggio virtuale, il curriculum può allungarsi, allargarsi, restringersi secondo i desiderata occasionali.

Conte non ha una storia, non ha eredità e provenienze, non ha fatto nessuna scalata. È stato direttamente chiamato al Massimo Grado col Minimo Sforzo, anzi senza aver fatto assolutamente nulla. Una specie di gratta e vinci senza comprare nemmeno il biglietto, anzi senza aver nemmeno grattato. Da zero a Palazzo Chigi. Come Gregor Samsa una mattina si svegliò scarafaggio, lui una mattina si svegliò premier. Un postkafkiano.

Conte è di momento in momento di centro di destra di sinistra cattolico laico progressista, medieval-reazionario con Padre Pio, democratico-global con Bergoglio, fido del sovranista Trump e al servizio degli antisovranisti eurolocali; è genere neutro, trasparente, assume i colori di chi sta dietro. Un passe-partout. Il Conte Zelig, come lo battezzammo agli esordi, ha assunto di volta in volta le fattezze gradite a tutti i suoi interlocutori: merkeliano con la Merkel, junckeriano con Juncker, trumpiano con Trump, macroniano con Macron, chiunque incontra lui diventa quello; è lo specchio di chi incontra. In questa sua capacità s’insinua e manovra.

Conte non dice niente ma con una faticosa tonalità che sembra nascere da uno sforzo titanico, la sua parlata cavernosa e adenoidea è una modalità atonica, priva di pensieri o emozioni, pura espressione vanesia di un dire senza dire, il gergo della premieralità. Il suo vaniloquio è simulazione di governo, promessa continua di intenti, rinvio sistematico di azioni; è un riporto asintomatico di pensieri, la somma di più uno e meno uno. Indica con fermezza che si adatta a tutto e non comunica niente.

Dopo Conte non c’è più la politica; c’è la segreteria telefonica, il navigatore di bordo, la cellula fotoelettrica. Il drone. Conte però ha una funzione, e non è solo quella di cerniera lampo tra sinistra e M5S, punto di sutura tra establishment e grillini. È la spia che la politica non c’è più, nemmeno nella versione degradata più recente. Lui è oltre, è senza, è il sordo rumore del nulla versato nel niente.

Marcello Veneziani 

sabato 18 aprile 2020

LUC MONTAGNIER: IL CORONAVIRUS È STATO MANIPOLATO PER UN VACCINO ANTI-AIDS


Luc Montagnier


Le rivelazioni del premio Nobel sul podcast francese 'Pourquoi Doctor': "Intervenire su un genoma è un lavoro da apprendisti stregoni ma la natura non accetta queste manipolazioni e, con il tempo, le elimina".

Il coronavirus sarebbe un virus manipolato, uscito accidentalmente da un laboratorio cinese a Wuhan dove si studiava il vaccino per l'Aids. Lo afferma il professore Luc Montagnier, Nobel per la Medicina 2008, ai microfoni del podcast francese, specializzato in medicina e salute, "Pourquoi Doctor".

Secondo il professor Montagnier, che nel 2008 ha scoperto scoperto l'Hiv come causa dell'epidemia di Aids insieme a Francois Barré-Sinoussi, la Sars-CoV-2 è un virus che è stato lavorato e rilasciato accidentalmente da un laboratorio di Wuhan, specializzato per la ricerca sui coronavirus, nell'ultimo trimestre del 2019.

"Con il mio collega, il biomatematico Jean-Claude Perez, abbiamo analizzato attentamente la descrizione del genoma di questo virus Rna" ha spiegato il Nobel nella sua intervista con il dottor Jean-Francois Lemoine. "Non siamo stati primi, un gruppo di ricercatori indiani ha cercato di pubblicare uno studio che mostra che il genoma completo di questo virus che ha all'interno delle sequenze di un altro virus, che quello dell'Aids. Il gruppo indiano ha ritrattato dopo la pubblicazione. Ma la verità scientifica emerge sempre. La sequenza dell'Aids è stata inserita nel genoma del coronavirus per tentare di fare il vaccino". 

Secondo lo scienziato, gli elementi alterati di questo virus verranno comunque eliminati man mano che si diffonde: "La natura non accetta alcuna manipolazione molecolare, eliminerà questi cambiamenti innaturali e anche se non si fa nulla, le cose miglioreranno, ma purtroppo dopo molti morti". Inoltre, ha aggiunto Montagnier che ha anche dato una sua soluzione: "Con l'aiuto di onde interferenti, potremmo eliminare queste sequenze - ha spiegato - e di conseguenza fermare la pandemia. Ma ci vorrebbero molti mezzi a disposizione".

"Quindi - ha aggiunto Montagnier - la storia del mercato del pesce è una bella leggenda ma non è possibile che sia solo un virus  trasmesso da un pipistrello, probabilmente è da questo che sono partiti, poi lo hanno modificato. Forse volevano fare un vaccino contro l'Aids utilizzando un coronavirus come vettore di antigeni. Un lavoro da apprendisti stregoni si può dire. Perché non bisogna dimenticare che siamo nel mondo della natura, ci sono degli equilibri da rispettare. La natura elimina la sequenza del genoma del coronavirus".

Complottismo? "No - risponde il professore - il complottista è colui che nasconde la verità. Credo però che in questo caso è il governo di Pechino che ha nascosto le cose. Ma la verità pero viene fuori come ho detto. Ma 'errare humanum est', e non è il caso di fare accuse ora ne di aprire inchieste. La Cina è un grande Paese e spero che sia in grado di riconoscere un errore" ha concluso.


Fonte: da AGI  del 17 aprile 2020
Link: https://www.agi.it/estero/news/2020-04-17/coronavirus-montagnier-wuhan-8364636/?fbclid=IwAR2KWZWMd5_PFu6SwJ0vfGNVDW5hZ_bEMhBiOZ9Db1KqSoz-dof42E0EyJc

venerdì 17 aprile 2020

L’AVVOCATO TEDESCO BAHNER CONTRO LA QUARANTENA RINCHIUSA IN MANICOMIO




di Cesare Sacchetti

Aveva denunciato l’incostituzionalità delle misure di quarantena in Germania e la scorsa domenica notte è stata portata via dalle autorità in un istituto psichiatrico.
Non è un film dell’orrore nè la trama di un film distopico. E’ quanto accaduto all’avvocato Beate Bahner di Heidelberg.
La notizia è stata riportata nella serata di ieri dal quotidiano Rhein-Neicker-Zeitung (RNZ) della regione tedesca del Baden-Württemberg.

La battaglia dell’avvocato Bahner contro la quarantena

La Bahner aveva lanciato una battaglia lo scorso 3 aprile contro le autorità tedesche per chiedere l’immediata fine dei provvedimenti imposti dal governo federale che ha imposto la chiusura di ogni attività e il bando alle manifestazioni pubbliche in seguito alla crisi da coronavirus.
L’avvocato tedesco aveva redatto un rapporto di 19 pagine nel quale spiegava dettagliatamente perchè le misure restrittive fossero completamente incompatibili con la Costituzione tedesca e in flagrante violazione della legge sul controllo delle epidemie.

L’avvocato Bahner ha un suo sito ed è un’esperta riconosciuta nel campo del diritto sanitario. Negli anni passati aveva ricevuto anche un’onorificenza per il suo impegno professionale.
Esiste una voce dedicata a lei anche su Wikipedia, la nota enciclopedia online che riporta le sue pubblicazioni e le battaglie legali condotte dalla legale di Heidelberg nel corso della sua carriera.
Non si tratta quindi di una “squilibrata” ma di una giurista riconosciuta e rispettata.
L’ultima sua battaglia legale lanciata è proprio quella contro la quarantena.
Per la Bahner quanto stabilito dal governo di Angela Merkel viola i fondamentali diritti costituzionali.

Questo è quanto sostenuto da lei in un recente articolo.
“Queste misure non sono giustificate dalla legge sulla protezione contro le malattie infettive che è stata ritoccata rapidamente solamente pochi giorni fa. Chiusure settimanali e divieti di uscire basati su ipotesi che raffigurano gli scenari peggiori (senza prendere in considerazione le opinioni di esperti basati sui fatti) così come la completa chiusura di compagnie e società senza alcuna evidenza di rischio da infezione da parte di queste attività commerciali è abnormemente incostituzionale.”

Sostanzialmente la giurista afferma un principio semplice. Non si può chiudere un intero Paese sulla mera presunzione che possano esserci degli infetti.
In questo modo, vengono compresse inevitabilmente le libertà di movimento e di manifestazione che sono alla base dei principi non solo della stessa legge fondamentale tedesca, ma anche della costituzione italiana.

L’avvocato aveva provato quindi a ricorrere al tribunale amministrativo di Baden-Württemberg che aveva respinto le sue istanze.
Successivamente si era rivolta alla stessa corte costituzionale tedesca che aveva rigettato a sua volta la richiesta di mettere fine alla chiusura del Paese.
Per la corte, “i pericoli all’incolumità pubblica superano quelli delle restrizioni alle libertà personali.”
I giudici evidentemente hanno deciso senza prendere minimamente in considerazione il parere di altri scienziati che hanno portato evidenze che ridimensionano di molto la cosiddetta “emergenza coronavirus.”

Tra questi c’è proprio il noto virologo tedesco Claus Koehnlein che ha spiegato come la pericolosità di questo agente virale sia stata esagerata di molto.
La Bahner nonostante tutto non si è arresa e aveva mandato una email alla corte costituzionale tedesca chiedendole di non proibire le manifestazioni contro la quarantena forzata.
In seguito a questa sua richiesta, il procuratore di Heidelberg aveva aperto un’inchiesta sull’avvocato per aver invitato sul suo sito internet a disobbedire alle restrizioni.
Lo scorso giovedì, la polizia di Mannheim aveva oscurato il sito web della giurista che non era più raggiungibile.
L’ultimo post sul sito dell’avvocato risale alla domenica di Pasqua pubblicato alle 7 di sera.
Nell’articolo, la Bahner invita i suoi concittadini ad andare fuori per godersi il sole di Pasquetta e a fare un pic-nic all’aperto.
Qualcosa di “eversivo” nei tempi distopici che si stanno vivendo.
Alla fine dell’articolo, Beate aveva annunciato che si sarebbe presa una pausa dopo l’intenso lavoro.
“Sto per fare adesso anche io la mia quarantena di relax per qualche settimana. E’ uno shock quando ti accorgi che l’assordate rumore di un elicottero della polizia è lì per te. Così può volerci un po’ prima che io non abbia più paura di rumori di elicotteri. Perciò non sarò in grado di rispondere a email, al telefono o di ricevere nuovi incarichi. So che capirete e rispetterete questa scelta. Grazie mille a tutti!”
Dopo aver annunciato quindi ai suoi lettori di volersi prendere un periodo di relax, la Bahner la sera stessa della domenica di Pasqua è stata prelevata dal suo appartamento e portata in un istituto psichiatrico.
L’articolo della RNZ è avaro di dettagli. Riporta solo una breve dichiarazione di un rappresentante della polizia locale che definisce l’avvocato “confusa”.
Confusa? Quindi ora in Germania si rinchiudono le persone in manicomio perchè, a detta delle autorità, non hanno le idee chiare.
Chi ha preso questa decisione e in base a quali presupposti? Beate Bahner è un avvocato serio e rispettato e non è certo una persona da trascinare in istituti psichiatrici.
Non lo è, a meno che in Germania e in Europa non si stia instaurando un regime totalitario peggiore dei totalitarismi nazisti e comunisti.
Recentemente, Roberto Burioni, il virologo più amato dal sistema, ha persino avanzato l’ipotesi di utilizzare giovani come cavie per sperimentare un eventuale vaccino contro il coronavirus.
“Metteremo definitivamente alle spalle questa drammatica emergenza solo quando verrà scoperto un vaccino efficace.”
E’ questo lo scopo finale. Sviluppare un vaccino contro un virus che muta, quindi inefficace. Ma a loro non interessa. Questo regime ha come obbiettivo il controllo totale della popolazione italiana e mondiale e per farlo hanno bisogno di creare una situazione di emergenzialità.
Chi si oppone, rischia di fare la fine di Beata Bahner.
Dove è stato portato l’avvocato tedesco? Dov’è l’ordine che giustifica tale provvedimento? La notizia è stata completamente ignorata dal mainstream.
L’UE sempre pronta a sferrare fendenti ad Orban non dice nulla su questa gravissima violazione dei diritti umani avvenuta in Germania.
In Europa iniziano a deportare i dissidenti a questo regime.

In Europa si è entrati in un’epoca molto più buia e repressiva di qualsiasi totalitarismo del secolo scorso.
Tolta la rassicurante e falsa maschera ipocrita liberale, il globalismo ha iniziato a far vedere il suo vero volto.
Quello di una feroce dittatura pronta a tutto pur di cancellare ogni traccia di dissenso.


Fonte: srs di Cesare Sacchetti, da La cruna dell’ago  del 14 aprile 2020

lunedì 13 aprile 2020

VERONA. PALAZZO VOGHERA - BERTOLDI VIA PONTE PIETRA .

Palazzo Voghera-Bertoldi in via Ponte Pietra


Qualcuno si ricorda di aver visto foto od immagini dell' affresco di San Cristoforo, oramai praticamente scomparso presente sulla facciata cieca come da ricostruzione allegata ?

Inquadramento storico artistico 

Il complesso edilizio denominato  Palazzo Bertoldi-Voghera prima del 1600 era costituito da un insieme di edifici che una volta ristrutturati ed unificati , anche formalmente , assunsero una conformazione a palazzo più consona al nuovo proprietario che voleva ostentare il suo livello sociale ed economico raggiunto .
Il tutto infatti accadde agli inizi del XVII secolo quando un certo Pasqualino Zignoni, priore della corporazione dei formaggiai veronesi, volle celebrare questa professione e la sua posizione facendo dipingere sulla sua nuova casa al ponte della Pietra un ciclo di affreschi dove fossero rappresentate le diverse fasi della lavorazione di latticini e salumi (la corporazione si occupava anche di questi, potendo così lavorare sia nei periodi «di magro» sia «di grasso»). 




Il pittore incaricato, probabilmente Paolo Ligozzi e la sua bottega, raffigurò così degli aggraziati putti impegnati nelle operazioni che venivano abitualmente condotte in stalle, casare, macelli e botteghe della città e del territorio: dalla mungitura alla lavorazione del latte con la zangola fino al trasporto di grandi forme di formaggio, dalla macellazione dei maiali alla confezione degli insaccati. L’ operazione di Pasqualino Zignoni ci dice anche del ruolo economico che tali alimenti avevano per la città: la produzione e il commercio di formaggi e salumi era infatti strettamente legata alle necessità di approvvigionamento urbano. Il fregio con affreschi , restaurato negli anni 80, che sono stati attribuiti a Paolo Ligozzi e/o alla sua bottega , sono tra i pochi ( come palazzo Allegri Guiotto in via pigna a pochi metri di distanza e di datazione analoga ) che non siano a soggetto religioso o mitologico .


Tracce pittoriche del San Cristoforo 


Partendo da sinistra , il primo riquadro è scomparso , nel secondo dei putti stanno mungendo le mucche , nel terzo il putto sta raccogliendo la panna da alcune brente , nel quarto i due putti tengono in mano la zangola per fare il burro. Più avanti troviamo al cune parti degradate e non leggibili poi i putti che scaricano un cavallo , un carro con dei maiali ammazzati sopra (questo riferito a lavoro lardarolo) ed in altri i i putti sta portando i salami alla stagionatura e si vede che essi vengono appesi alla piccaglia. Poi seguono altre raffigurazioni che insistono sulla porzione di palazzo di altra proprietà e non inclusa nel nostro progetto.




La parte affrescata continuava parzialmente sotto il fregio e particolarmente sulla facciata sud est , quasi completamente cieca , era presente un’enorme raffigurazione di san Cristoforo dipinta dal pittore tedesco “Gio Breider di Monaco“ come attribuisce il Dal Pozzo … “Di Gio Breider di Monaco : Un S.Cristoforo di smisurata grandezza nel cantonale della casa dirimpetto alla Beccaria del Ponte Pietra” e poi il Dalla Rosa riportando ... “ Sul cantonale di una casa vicino a ponte pietra e rimpetto a quella Beccaria S.Cristoforo di smisurata grandezza , e veramente gigantesco col bambino sulle spalle . Chi è di arte sà quanto è difficile servare le debite proporzioni , ed un buon contorno delle figure , quando eccedono la consueta naturale grandezza . perciò queste pitture meritano lode ed encomj.” . Anche il Da Persico su tale affresco riporta : “ Da un fianco ha tutto un S.Cristoforo del bavaro Giovanni Breider. “
Di questo pregevole dipinto rimangono solo tracce della testa del santo , del terminale a frasche del suo bastone ed il globo retto dal Bambin Gesù , che si intravedono in parte dipinte ed in parte solo il tratto graffito di contorno .

Per quanto riguarda il progetto architettonico si riporta che lo Zignoni avesse affidato al Curtoni il progetto del palazzo . Se risultasse fondato anche questo dato, a supporto dell’importanza del progetto globale , c’è da ricordare che Domenico Curtoni, nato a Verona nel 1564 , ultimo discendente della famiglia di Michele Sanmicheli e forse nipote di questi può, a buon diritto, considerarsi la personalità più interessante, anche se ancora poco chiarita , degli anni di transizione, nell'ambiente architettonico veronese, dalla fine del '500 al primo decennio del ‘600 .

1 Bartolomeo dal Pozzo : Vite dè pittori degli scultori et architetti veronesi . Verona 1718
2 Saverio dalla Rosa : Catastico delle pitture e scolture esistenti nelle chiese e luoghi pubblici situati in Verona . Verona 1803
3 G.B. Da Persico : Verona e la sua provincia. Verona 1820

Fonte: da  srs di.
Ferdinando Forlati Facebook La me bela Verona del 6 aprile 2020 
Link: https://www.facebook.com/groups/454563944580329/permalink/2860120577357975/

venerdì 10 aprile 2020

VERONA. LE GALLERIE SOTTO LE TORRICELLE.. .LE MINIERE DI “TERRA GIALLA”



Le miniere di “Terra gialla” delle Torricelle sono state tra le più importanti d'Europa. Sono cavità naturali riescavate in epoca romana per l’estrazione di ocre gialle e rosse, utilizzate come terre coloranti. 

La rete di condotti si sviluppa su circa 2 kmq ed è estesa per oltre 20 km con gallerie lunghe centinaia di metri e larghe appena 50cm, comunicanti con l’esterno attraverso una serie di pozzi artificiali profondi 5-30 metri. Il pozzo artificiale più profondo (-72 m) è all’interno dei terreni del “Santuario Nostra Signora di Lourdes”. 

A cavallo tra gli anni ’70 ed ’80 la quasi totalità degli ingressi alle miniere è stata chiusa per motivi di sicurezza. Il maggior sfruttamento minerario è avvenuto dalla fine dell’800 alla Seconda Guerra Mondiale, quando dalle miniere veronesi si estraeva la metà della produzione nazionale destinata per le colorazioni murarie e per la composizione di smalti e pitture ad olio.

Fonte: da  Facebook; La me bela Verona del 1 aprile 2020 



LE MINIERA DI TERRA GIALLA SOTTO LE TORRICELLE 





Le Colline Torricelle si trovano ai margini meridionali della Lessinia e arrivano a lambire il centro storico di Verona. È noto che sotto le Torricelle si sviluppano decine di chilometri di gallerie, frequentate sin dall'antichità da minatori intenti ad estrarre dalle viscere delle colline la preziosa ocra gialla, un'argilla composta principalmente da idrossidi di ferro e utilizzata come pigmento naturale nella realizzazione di opere pittoriche e in architettura. I minatori, con il loro lavoro, hanno riportato alla luce gallerie naturali, testimonianza di fenomeni carsici risalenti ad epoche remote.
Le grotte, per la loro ocra, furono utilizzate già nel Paleolitico, poi in epoca romana, medioevale, rinascimentale fino a giungere all'età moderna. L'utilizzo di terre coloranti è antichissimo.

La “terra gialla” di Verona è stata richiesta fino a qualche decennio fa e non solo dai colorifici veronesi, ma anche da quelli nazionali. Essa può essere utilizzata sia al naturale, sia dopo essere stata sottoposta a calcinazione. Questa procedura, come ho ricordato sopra, consiste dal punto di vista chimico nell'ossidazione ad alta temperatura dell'idrossido ferrico ad ossido ferroso

Dopo la metà del secolo scorso l'estrazione mineraria si riduce sempre più, per molteplici motivi: l'entrata in vigore della normativa relativa alla sicurezza in ambiente di lavoro, le difficoltà nell'escavazione, l'avvento dei colori sintetici ben più economici e l'impossibilità di uno sfruttamento su larga scala

All'interno di queste grotte si trovano preziose testimonianze dell'attività mineraria. Una scritta dall’ortografia incerta, in particolare, ci riporta indietro di 79 anni, ad un periodo storico del nostro Paese contrassegnato dall’affermarsi del Regime fascista e dal consenso generato dalla sua politica coloniale. 




Il minatore che l’ha tracciata sulla roccia ha lasciato una testimonianza della microstoria, che si intreccia con le vicende geologiche millenarie e con la grande storia, che ha cambiato profondamente il destino dell’Italia.

Fonte: da  facebook, Historica Legio, del 11 novembre 2019 


martedì 7 aprile 2020

IL RIMEDIO È LA POVERTÀ




  
Questo articolo apparve il 30 giugno 1974, ed è straordinario. Una meraviglia di stile e di pensiero di Goffredo Parise.



«Questo è un articolo di Goffredo Parise tratto dalla rubrica che lo scrittore tenne sul “Corriere della sera” dal 1974 al 1975. 
Si trova nell'antologia "Dobbiamo disobbedire", a cura di Silvio Perrella, edita da Adelphi. 
Questo articolo apparve il 30 giugno 1974, ed è straordinario. 
Una meraviglia di stile e di pensiero di questo autore sicuramente libero e lontano da ogni appartenenza politica e salottiera.
Rappresenta per noi oggi - media compresi che non ospitano più pezzi così controcorrente - uno schiaffo contro la nostra inerzia.


«Questa volta non risponderò ad personam, parlerò a tutti, in particolare però a quei lettori che mi hanno aspramente rimproverato due mie frasi: «I poveri hanno sempre ragione», scritta alcuni mesi fa, e quest’altra: «il rimedio è la povertà. Tornare indietro? Sì, tornare indietro», scritta nel mio ultimo articolo.

Per la prima volta hanno scritto che sono “un comunista”, per la seconda alcuni lettori di sinistra mi accusano di fare il gioco dei ricchi e se la prendono con me per il mio odio per i consumi. Dicono che anche le classi meno abbienti hanno il diritto di “consumare”.

Lettori, chiamiamoli così, di destra, usano la seguente logica: senza consumi non c’è produzione, senza produzione disoccupazione e disastro economico. Da una parte e dall’altra, per ragioni demagogiche o pseudo-economiche, tutti sono d’accordo nel dire che il consumo è benessere, e io rispondo loro con il titolo di questo articolo.

Il nostro paese si è abituato a credere di essere (non ad essere) troppo ricco. A tutti i livelli sociali, perché i consumi e gli sprechi livellano e le distinzioni sociali scompaiono, e così il senso più profondo e storico di “classe”. Noi non consumiamo soltanto, in modo ossessivo: noi ci comportiamo come degli affamati nevrotici che si gettano sul cibo (i consumi) in modo nauseante. Lo spettacolo dei ristoranti di massa (specie in provincia) è insopportabile. La quantità di cibo è enorme, altro che aumenti dei prezzi. La nostra “ideologia” nazionale, specialmente nel Nord, è fatta di capannoni pieni di gente che si getta sul cibo. La crisi? Dove si vede la crisi? Le botteghe di stracci (abbigliamento) rigurgitano, se la benzina aumentasse fino a mille lire tutti la comprerebbero ugualmente. Si farebbero scioperi per poter pagare la benzina. Tutti i nostri ideali sembrano concentrati nell’acquisto insensato di oggetti e di cibo. Si parla già di accaparrare cibo e vestiti. Questo è oggi la nostra ideologia. E ora veniamo alla povertà.

Povertà non è miseria, come credono i miei obiettori di sinistra. Povertà non è “comunismo”, come credono i miei rozzi obiettori di destra.

Povertà è una ideologia, politica ed economica. Povertà è godere di beni minimi e necessari, quali il cibo necessario e non superfluo, il vestiario necessario, la casa necessaria e non superflua. Povertà e necessità nazionale sono i mezzi pubblici di locomozione, necessaria è la salute delle proprie gambe per andare a piedi, superflua è l’automobile, le motociclette, le famose e cretinissime “barche”.

Povertà vuol dire, soprattutto, rendersi esattamente conto (anche in senso economico) di ciò che si compra, del rapporto tra la qualità e il prezzo: cioè saper scegliere bene e minuziosamente ciò che si compra perché necessario, conoscere la qualità, la materia di cui sono fatti gli oggetti necessari. Povertà vuol dire rifiutarsi di comprare robaccia, imbrogli, roba che non dura niente e non deve durare niente in omaggio alla sciocca legge della moda e del ricambio dei consumi per mantenere o aumentare la produzione.

Povertà è assaporare (non semplicemente ingurgitare in modo nevroticamente obbediente) un cibo: il pane, l’olio, il pomodoro, la pasta, il vino, che sono i prodotti del nostro paese; imparando a conoscere questi prodotti si impara anche a distinguere gli imbrogli e a protestare, a rifiutare. Povertà significa, insomma, educazione elementare delle cose che ci sono utili e anche dilettevoli alla vita. Moltissime persone non sanno più distinguere la lana dal nylon, il lino dal cotone, il vitello dal manzo, un cretino da un intelligente, un simpatico da un antipatico perché la nostra sola cultura è l’uniformità piatta e fantomatica dei volti e delle voci e del linguaggio televisivi. Tutto il nostro paese, che fu agricolo e artigiano (cioè colto), non sa più distinguere nulla, non ha educazione elementare delle cose perché non ha più povertà.

Il nostro paese compra e basta. Si fida in modo idiota di Carosello (vedi Carosello e poi vai a letto, è la nostra preghiera serale) e non dei propri occhi, della propria mente, del proprio palato, delle proprie mani e del proprio denaro. Il nostro paese è un solo grande mercato di nevrotici tutti uguali, poveri e ricchi, che comprano, comprano, senza conoscere nulla, e poi buttano via e poi ricomprano. Il denaro non è più uno strumento economico, necessario a comprare o a vendere cose utili alla vita, uno strumento da usare con parsimonia e avarizia. No, è qualcosa di astratto e di religioso al tempo stesso, un fine, una investitura, come dire: ho denaro, per comprare roba, come sono bravo, come è riuscita la mia vita, questo denaro deve aumentare, deve cascare dal cielo o dalle banche che fino a ieri lo prestavano in un vortice di mutui (un tempo chiamati debiti) che danno l’illusione della ricchezza e invece sono schiavitù. Il nostro paese è pieno di gente tutta contenta di contrarre debiti perché la lira si svaluta e dunque i debiti costeranno meno col passare degli anni.

Il nostro paese è un’enorme bottega di stracci non necessari (perché sono stracci che vanno di moda), costosissimi e obbligatori. Si mettano bene in testa gli obiettori di sinistra e di destra, gli “etichettati” che etichettano, e che mi scrivono in termini linguistici assolutamente identici, che lo stesso vale per le ideologie. Mai si è avuto tanto spreco di questa parola, ridotta per mancanza di azione ideologica non soltanto a pura fonia, a flatus vocis ma, anche quella, a oggetto di consumo superfluo. 

I giovani “comprano” ideologia al mercato degli stracci ideologici così come comprano blue jeans al mercato degli stracci sociologici (cioè per obbligo, per dittatura sociale). I ragazzi non conoscono più niente, non conoscono la qualità delle cose necessarie alla vita perché i loro padri l’hanno voluta disprezzare nell’euforia del benessere. I ragazzi sanno che a una certa età (la loro) esistono obblighi sociali e ideologici a cui, naturalmente, è obbligo obbedire, non importa quale sia la loro “qualità”, la loro necessità reale, importa la loro diffusione. Ha ragione Pasolini quando parla di nuovo fascismo senza storia. Esiste, nel nauseante mercato del superfluo, anche lo snobismo ideologico e politico (c’è di tutto, vedi l’estremismo) che viene servito e pubblicizzato come l’élite, come la differenza e differenziazione dal mercato ideologico di massa rappresentato dai partiti tradizionali al governo e all’opposizione. L’obbligo mondano impone la boutique ideologica e politica, i gruppuscoli, queste cretinerie da Francia 1968, data di nascita del grand marché aux puces ideologico e politico di questi anni. Oggi, i più snob tra questi, sono dei criminali indifferenziati, poveri e disperati figli del consumo. 

La povertà è il contrario di tutto questo: è conoscere le cose per necessità. So di cadere in eresia per la massa ovina dei consumatori di tutto dicendo che povertà è anche salute fisica ed espressione di se stessi e libertà e, in una parola, piacere estetico. Comprare un oggetto perché la qualità della sua materia, la sua forma nello spazio, ci emoziona.

Per le ideologie vale la stessa regola. Scegliere una ideologia perché è più bella (oltre che più “corretta”, come dice la linguistica del mercato degli stracci linguistici). Anzi, bella perché giusta e giusta perché conosciuta nella sua qualità reale. La divisa dell’Armata Rossa disegnata da Trotzky nel 1917, l’enorme cappotto di lana di pecora grigioverde, spesso come il feltro, con il berretto a punta e la rozza stella di panno rosso cucita a mano in fronte, non soltanto era giusta (allora) e rivoluzionaria e popolare, era anche bella come non lo è stata nessuna divisa militare sovietica. Perché era povera e necessaria. La povertà, infine, si cominci a impararlo, è un segno distintivo infinitamente più ricco, oggi, della ricchezza. Ma non mettiamola sul mercato anche quella, come i blue jeans con le pezze sul sedere che costano un sacco di soldi. Teniamola come un bene personale, una proprietà privata, appunto una ricchezza, un capitale: il solo capitale nazionale che ormai, ne sono profondamente convinto, salverà il nostro paese».


Goffredo Parise; Corriere della Sera… 30 giugno 1974