sabato 28 febbraio 2015

RENZI BAMBINO, LO CHIAMAVANO "MAT-TEORIA"

Giugno 2004: Matteo Renzi presidente della Provincia di Firenze



Firenze, 17 dicembre 2013 - Com'era Matteo Renzi da piccolo? Se mai vi siete posti questa domanda il settimanale "Oggi" ha raccolto alcune testimonianze che vi aiuteranno a farvi un'idea. A raccontare il piccolo Renzi Federica Morandi, compagna di banco delle elementari e oggi presidente del Consiglio comunale di Rignano, il suo ex capo scout, Roberto Cociancich, poi presidente nazionale dell'Agesci e oggi senatore del Pd, e monsignor Giovanni Sassolini, ex parroco di Rignano sull'Arno.

"Era il più sveglio già da bambino", racconta Federica Morandi. "Matteo ha doti da leader. Lo vedremo crescere", scriveva negli Anni '90 Cociancich nella sua relazione sul giovane scout. "Era molto devoto. Fin da piccolo era abituato a coordinare i suoi coetanei: era lui che spiegava a tutti come e cosa dovevano fare. E se c'era lui, io ero tranquillo che tutto sarebbe stato a posto. Insomma, era già un piccolo manager", racconta il parroco di allora di Rignano sull'Arno, dove Renzi è cresciuto con babbo Tiziano, mamma Laura e i tre fratelli.

A svelare i retroscena dell'infanzia di Renzi l'articolo pubblicato sul settimanale Oggi racconta un ragazzino così sveglio da saltare la prima elementare per finire direttamente in seconda, appassionato di calcio e chierichetto affidabile e stimato. Fin da ragazzino non amava perdere, tanto che quando scendeva sul campo di calcio capitava che si portasse via il pallone perché non gli andava bene come erano state fatte le squadre. Unico neo del brillante futuro segretario, il fatto che pare avesse più voglia di dirigere che di fare: i suoi compagni scout l'avevano soprannominato "MatTeoria" riferendosi alla spigliatezza di Renzi nell'organizzare e nel dare disposizioni, salvo poi scansare la faticosa messa in pratica.

Fonte: visto su LA NAZIONE del 17 dicembre 2013




MATTEO STORY: RENZI, IL CHIERICHETTO GIÀ LEADER, SOGNÒ DI AVERE I PIEDI DI BAGGIO


Matteo Renzi, sindaco di Firenze (Infophoto)



Chi è Matteo Renzi, l’uomo del momento? Vi raccontiamo i suoi primi 37 anni, attraverso la testimonianza di compagni di scuola, amici, ex insegnanti e di chi lo conosce bene.


Firenze, 19 settembre 2012 - Nato per vincere. Sempre. "Se le partite non si mettevano per il verso giusto, addio. Si andava avanti finché la sua squadra non vinceva", racconta l’ex compagno di giochi Riccardo.

Nel Renzi di ‘Adesso’ c’è la traccia incancellabile di un’infanzia da Renzino la peste, un bambino che "da grande voglio fare il giornalista", sognando però di avere i piedi di Antognoni o Baggio. Il calcio, una monomania. Con tutti quegli Almanacchi zeppi di informazioni da mandare a memoria. E poi il tifo per la Fiorentina: cuore viola forever.
Ci ha anche provato, sulla via del pallone, ma non era cosa: dopo una lunga trafila in tutti i settori giovanili della Rignanese, ha deciso di fare l’arbitro. Da piccolo, giocava con gli amici sotto casa: alla pista (da pattinaggio) della chiesa.

"Quando nella conta per la scelta dei giocatori gli capitava di discutere o di non trovarsi d’accordo con qualcuno, lui, che quasi sempre portava il pallone, lo prendeva e si smetteva di giocare. Fine". Paolo Nannoni descrive Matteo bambino, come vederlo: praticamente un riassunto del candidato senza paura alle primarie del centrosinistra per correre da premier.
Nannoni è il braccio destro di babbo Renzi, Tiziano, che, a dispetto del nome, è sempre stato democristiano: un gran signore della Dc, poi trasmigrato nel Pd (di cui ora è segretario di circolo), in un paese arcirosso della rossa Toscana, a 30 chilometri a Sud di Firenze, puntando verso Roma: Rignano sull’Arno.

Il paese della Renzi’s family conta 3.500 abitanti nel centro abitato, 8mila e tot su tutto il territorio comunale. Non è cresciuto in una metropoli il giovane Obama italiano. Sempre Nannoni, ai tempi di Renzino arbitro che non aveva ancora la patente, lo accompagnava alle partite e restava allo stadio per riportarlo a casa: "Gli arbitri rischiano di beccarsi parecchie offese alla mamma. Non mi pareva il caso".

Siamo nel 1993, in Italia qualcosa si muove, anzi molto si è già mosso. Tra l’anno di Mani pulite e l’anno della più famosa discesa in campo della storia politica contemporanea: comincia l’era Berlusconi. Matteo Renzi ha diciott’anni, li ha compiuti l’11 gennaio: a giugno ha ottenuto la maturità al liceo classico Dante, a Firenze, in piazza della Vittoria. Un anno prima rispetto ai compagni. Perché Renzino la peste ha fatto tutto prima. "Ha imparato a leggere il giornale a cinque anni e lo leggeva a voce alta, per tutti - dice Nannoni -. Quando ha fatto la primina, e allora non era una moda, sapeva già leggere e scrivere e tenere di conto".

A scuola, all’elementare De Amicis, era il pupillo della maestra Eda Caldini Buonamici: ora lei non c’è più, ma Matteo è stato il suo orgoglio. Lo ha sempre detto. "Prendeva voti altissimi, era bravo, il primo della classe", racconta Riccardo. Ci tiene però a dire che Matteo non era un secchione. "Studiava il giusto, gli piaceva molto leggere, e sapeva già difendersi molto bene a parole: usava un linguaggio appropriato, forbito, insomma sapeva parlare. Una caratteristica che gli è rimasta. Ma a quel tempo soprattutto ci piaceva giocare e giocavamo a tutto. E lui voleva sempre e solo vincere".

Già, vincere. "Giocavamo a calcio, anche in casa, con il pallone di gommapiuma. A casa di Tiziano, che aveva un corridoio lungo lungo - dice Riccardo -. Poi giocavamo a subbuteo, a tappini, facevamo interminabili tornei di ping pong, gare in bicicletta".

Non solo la scuola, i giochi, il calcio e l’amore per la Fiorentina. Nell’infanzia di Renzino la peste c’è la parrocchia e la formazione da boy scout.

"Era un leader, un leader per natura", racconta don Giovanni Sassolini, il parroco che ha preso per mano Renzino la peste. Serviva messa, Matteo. "Un bravo chierichetto", dice don Giovanni che ora è vicario generale della Curia di Fiesole.

"Approfittavo della sua disponibilità anche perché abitava di fronte alla chiesa e a me non piaceva fare il don Camillo da solo, a portare la croce ai funerali". Poi uno sketch da morire dal ridere: "Aveva dieci anni e il ciuffo, si divertiva a buttare i capelli indietro con la mano: nello spettacolo parrocchiale fece l’imitazione di Vittorio Sgarbi. Quanto ci siamo divertiti".

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MATTEO STORY: RENZI STUDENTE ROTTAMAVA I PROFESSORI,



Il sindaco di Firenze Matteo Renzi alla Festa Democratica a Firenze (Ansa)



GLI AMICI SVELANO: "VOLEVA SEMPRE VINCERE".

Firenze, 20 settembre 2012  - Questa è bella. Ai tempi del liceo, a Matteo Renzi davano del comunista. Del cattocomunista, per la precisione. Chissà se qualcuno lo ha detto a quella parte del Pd che lo immagina un po’ un Berlusconi in salsa pop contemporanea. Studiava al classico Dante, a Firenze. Era uno dei migliori della classe, sezione A. Il testimone è Giuseppe Cancemi, professore di storia e filosofia: «Chi, quel fascistone?», ci scherzava su Renzi. Posizioni diverse, andava così. Era già un rottamatore (di professori) quando si è diplomato, nel ’93: Berlusconi si scaldava per scendere in campo e il Pci aveva già svoltato nel Pds. «Anche se io non votavo da tempo, e non si poteva dire che fossi fascista, Matteo mi era congeniale: contrastandomi con la sua forza dialettica, creava l’atmosfera migliore per fare bene il mio lavoro — racconta il prof —. Per parlare due o tre ore con trenta ragazzi di storia e filosofia, ci vuole animazione, e lui sì che sapeva farla». «Senza dubbio era già un leader — sentenzia il prof —. Un leader comunista, anzi, catto-comunista. Il maggiore esponente della lista della sinistra studentesca». La faccenda del leader è una costante della Renzi story. Lo hanno detto anche gli amici dell’infanzia e dei giochi: «Matteo era un capo e voleva vincere sempre, sennò portava via il pallone e tutti zitti». E questo, con la dialettica, checché ne dica il prof Cancemi, magari ha meno a che fare.

Dalla parrocchia ai lupetti tutti per uno il passo è stato men che breve per Renzino la peste, un passaggio quasi naturale: in casa, mamma Laura e babbo Tiziano, erano capi scout. La filosofia di vita era indicata. «Lui ha seguito con entusiasmo tutto il percorso da lupetto a capo: lo hanno iniziato i genitori che erano i capizona di Rignano — racconta il parroco don Giovanni Sassolini con cui Matteo ha fatto comunione e cresima, ora vicario generale della Curia di Fiesole —. Ci furono delle discussioni nel gruppo di Rignano, i genitori di Matteo finirono in minoranza e si spostarono di zona a Pontassieve. Lui era ancora un lupetto e li seguì. Conobbe a Pontassieve, tra gli scout, Agnese: ora è sua moglie».

Anche se altri biografi renziani raccontano che Agnese, Matteo l’avesse già conosciuta prima, sicuramente negli anni degli scout, del noviziato e del clan, il loro rapporto si è solidificato. «Onestà, lealtà, sincerità ed essenzialità», la filosofia scout insegna a vivere, spiega don Sassolini: «Ti puoi perdere ma ritroverai sempre la strada, perché c’è sempre una soluzione, basta cercarla». Mica poco. Tra l’altro, un Renzi poco più che ventenne, divenuto capo scout, proprio a una riunione dei capi del Valdarno, rottamò in pubblico le idee del babbo Tiziano. Due volte rottamatore prima del tempo, di prof e di babbo. «Ai tempi degli scout Matteo era una persona molto appassionata, faceva tutto con gioia, ma portava sempre spunti di riflessione utili a tutto il gruppo», racconta Matteo Spanò, presidente della Banca Credito Cooperativo di Pontassieve e presidente, designato dal sindaco e amico Matteo Renzi, del Museo dei Ragazzi di Firenze. «Aveva una grande capacità di mettersi in cammino», dice Spanò. Una caratteristica che ha portato con sé nell’età adulta.

Non potendo fare una carriera da calciatore al top, come le mezzale del suo cuore, abbandonata la scena da Renzino la peste e poi anche quella della pista da pattinaggio della chiesa, e infine la rosa under della Rignanese, scelse di fare l’arbitro. Un incubo per il babbo Tiziano. Che temeva per la sua incolumità fisica, insulti a parte. «Le regole erano il pallino di Matteo, le ha sempre fatte valere», racconta don Giovanni. Con Renzi, che quattro anni dopo mollò, cominciò anche il fischietto fiorentino Gianluca Rocchi, arbitro di serie A.
(ha collaborato Antonio Degl’Innocenti)

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MATTEO STORY: RENZI, LO SCOUT CHE STUDIAVA DA SINDACO. MA LA PRIMA VITTORIA FU IN TV CON MIKE.



Benvenuti in casa Renzi: scene famigliari a Rignano (foto presa da Facebook)


CALCIATORE, ARBITRO, CAMPIONE DI QUIZ, LA TESI DI LAUREA SU LA PIRA.

Firenze, 21 settembre 2012 - Ci siamo quasi. Renzino la peste cresce. Se a undici anni aveva due convinzioni: scendere in campo da capitan Tsubassa (la serie manga giapponese Holly e Benji ha forgiato la generazione Ottanta) e da
grande fare il giornalista; a sedici, il giornalista lo fa sul serio; dopo qualche intervista sul foglio ‘dissidente’ La Linguaccia di Rignano sull’Arno, firmato dal padre Tiziano, dirige con la firma ‘Zac’ il mensile nazionale Camminiamo Insieme della comunità scout che alla fine di tutto il percorso lo eleggerà capo. Aveva imparato presto a rottamare: identica sorte era toccata al prof ‘fascista’ del liceo e al babbo capo scout con idee diverse dalle sue.
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Si sta avviando alla carriera politica. E le avvisaglie c’erano dal principio. "E’ un abile oratore che parla senza fermarsi mai", dice di Matteino chierichetto il parroco don Sassolini. "L’arte della dialettica l’ha fatta sua da subito, declinandola nelle varie forme dell’argomentare", racconta il prof di storia e filosofia ‘rottamato’ Cancemi.
"E’ nato leader", conferma il pensiero di tanti e tanti, dai compagni di giochi a quelli di scuola, Paolo Nannoni, politico e amico di famiglia.
Leggeva il giornale a cinque anni, comandava col pallone, non teneva mai ferma la lingua. Ma Matteo Renzi è stato anche un bambino come tutti, goloso del gelato (il duetto: vaniglia e cioccolato tra due biscotti) con un debole per la pizza: l’avrebbe mangiata a colazione, pranzo e cena. A merenda, non ci stava male un occhio di bue alla marmellata d’albicocche dal Feroci, il bar in piazza, a Rignano.
Decide di fare l’arbitro così, di punto in bianco: aveva sedici anni. Per la disperazione del babbo: "Temevo a ogni partita per la sua incolumità". I campi di calcio tra i giovanissimi possono essere teatro di assurde guerre. "L’ho tenuto a
battesimo, se non avesse smesso avrebbe fatto una carriera importante, aveva grande personalità", dice Alberto Lazzerini, al tempo responsabile tecnico degli arbitri di Firenze. Due episodi sono rimasti nella sua mente marchiati a fuoco.
Lazzerini, anche sindacalista Uil, conosceva bene lo zio di Matteo, Mario Renzi. "Perché sei venuto da solo alla selezione? Perché non ti sei fatto presentare? ‘Non ne vedevo la necessità’. Mi bruciò con la sua risposta", racconta. E poi, la sua capacità di zittire tutti: "Con un coraggio ammirevole, convalidò un gol alla Cattolica Virtus mentre gli avversari protestavano per un fuorigioco inesistente. La contestazione fu pesantissima: spedì fuori quattro calciatori col
cartellino rosso".
A quel tempo Matteo è già all’università. Lascia l’arbitraggio. Folgorato dalla politica. Senza disdegnare la tv. Nel 1994, per cinque puntate consecutive, partecipa alla Ruota della fortuna del grande Mike Bongiorno, vincendo 48 milioni di lire.
La Pira, il sindaco santo di Firenze, è il suo faro.
Si laurea nel 1999 in giurisprudenza, con la tesi, manco a dirlo, ‘Amministrazione e cultura politica: Giorgio La Pira Sindaco del Comune di Firenze 1951-1956’ con relatore il prof Bernardo Sordi. Voto, ahi, 109. Per un punto Martin perse la cappa e Renzi la lode. Il ricercatore Giulio Conticelli, docente di storia del diritto italiano, presidente della commissione ministeriale delle opere di La Pira, gli consigliò il lavoro da fare e lo seguì lungo il percorso. "E’ stupefacente e singolare, credo che sia il primo caso di sindaco che da studente è stato a scartabellare nell’archivio storico del palazzo che poi è andato a governare", dice Conticelli.
"Non c’erano in ballo le ideologie politiche, c’era da studiare cinque anni di delibere di un sindaco decisionista che faceva quasi tutto in giunta, portava in consiglio comunale pochi e grandi temi. Cinque anni di delibere per capire l’efficacia e l’efficienza dell’azione di governo ispirata dagli ideali costituzionali".
E qui si chiude la carriera misconosciuta di Matteo Renzi, l’uomo del momento, anzi di Adesso. Tutto il resto è cronaca.

(3) - fine


di Ilaria Ulivelli




Fonte: srs di  Ilaria Ulivelli, visto su LA NAZIONE del  17 dicembre, 19-20-21  settemrbe 2012,


venerdì 27 febbraio 2015

ECCO COME PUTIN TUTELA DEI LAVORATORI: RENZI, LA COSIDETTA SINISTRA ITALIANA LO FAREBBE MAI?!?




Renzi, il PD e la sinistra italiana criticano Putin, viene definito un "dittatore"... 
Ecco un aneddoto che fa invece capire come mai il popolo russo lo sostenga a spada tratta... 
Putin tutela con fermezza i lavoratori russi, mentre Renzi e la sinistra si sono solo preoccupati di rendere licenziabili quelli italiani... 
Secondo voi Renzi  farebbe mai qualcosa di simile a questo?






Vladimir Putin viene messo a conoscenza del fatto che migliaia di operai, che non ricevevano stipendio da mesi, stanno per essere licenziati e la loro fabbrica chiusa da quegli stessi dirigenti che ne avevano tratto profitti milionari.

Il Presidente russo saputo della cosa va ad occuparsi personalmente della faccenda: convoca immediatamente Padroni e Oligarchi responsabili dell’ondata di licenziamenti, che con la loro avidità ed incompetenza, stavano per mandare in mezzo ad una strada migliaia di famiglie e li affronta uno per uno, facendogli un cazziatone memorabile! Esigendo le loro dimissioni immediate e concludendo il discorso con la frase: “Il termine ultimo per il pagamento degli stipendi arretrati, È OGGI !”.

Nelle successive 4 ore vengono pagati 40 milioni di dollari di stipendi arretrati e gli unici licenziamenti sono quelli dei padroni.



giovedì 26 febbraio 2015

CORTE CONTI ASSOLVE RENZI PERCHÉ ‘INCAPACE DI INTENDERE E DI VOLERE’






SPASSOSA LA SENTENZA CHE ASSOLVE RENZI PER LE ASSUNZIONI ILLEGITTIME


Le motivazioni della sentenza della Corte dei Conti che assolse in appello Renzi, in primo grado condannato a pagare 14mila euro per le assunzioni illegittime quand’era presidente della Provincia di Firenze, sono peggio di una condanna.

Lo hanno assolto, spiegano i giudici, perché il “Collegio ritiene di poter rilevare l’assenza dell’elemento psicologico sufficiente a incardinare la responsabilità amministrativa, in un procedimento amministrativo assistito da garanzie i cui eventuali vizi appaiono di difficile percezione da parte di un ‘non addetto ai lavori’”.

In sintesi: è troppo scemo per capire di avere frodato i contribuenti.

Con Renzi, la legge non solo, ammette ‘ignoranza’, ma anche la stupidità.

Quando era presidente della Provincia di Firenze, l’incapace di ‘intendere e volere’ secondo la Corte, assunse nel suo staff ‘quattro persone esterne all’amministrazione come funzionari’.

Una qualifica, questa, che richiede la laurea, ma i quattro non la possedevano.
A dare il via alle indagini una denuncia anonima sull’assunzione di Marco Carrai, renzista convinto, all’epoca 29enne, assunto nella segreteria del presidente nonostante fosse privo del titolo necessario. Così per un quinquennio, i quattro avrebbero beneficiato di uno stipendio maggiorato. Una violazione che avrebbe prodotto un danno per l’amministrazione stimato in oltre 2 milioni di euro.

Inutile dire che, ora, il principio aperto con la ‘incapacità di intendere e di volere’ rischia di causare altre sentenze a cascata con assoluzione nei giudizi di responsabilità i politici di vertice i quali, essendo “non addetti ai lavori” non possono essere ritenuti responsabili degli atti da loro adottati.

Ladri perché non capiscono di esserlo.


Fonte: visto su VoxNews  del  25 febbraio 2015



RENZI ROTTAMA MONTESQUIEU




La divisione dei poteri dello Stato sembrava un principio cardine, scontato oramai e indiscutibile, indispensabile ai fini della legittimità dello Stato, un’acquisizione definitiva e irreversibile della democrazia occidentale; ma evidentemente non era così, almeno in Italia: con le riforme del Senato e della legge elettorale, il nostro premier è riuscito a rovesciare il lavoro di Montesquieu, a ritornare a una struttura statuale come prima della rivoluzione francese. Ora infatti il premier unisce in sé il potere esecutivo, il potere legislativo, e un’ampia parte del potere di controllo. Inoltre, non vi sono contrappesi indipendenti da lui al suo strapotere.

La tesi fondamentale esposta da Montesquieu nel suo celebre trattato Lo spirito delle leggi, pubblicato nel 1748, è che può dirsi libero solo quell’ordinamento in cui nessun governante possa abusare del potere a lui affidato.
Per prevenire tale abuso, occorrono contrappesi e controlli, occorre che “il potere arresti il potere”, cioè che i tre poteri fondamentali siano affidati a persone od organi differenti, in modo che ciascuno di essi possa impedire all’altro di esorbitare dai suoi limiti e degenerare in tirannia.
La riunione di questi poteri nelle stesse mani, siano esse quelle del popolo o del despota, annullerebbe la libertà perché annullerebbe quella “bilancia dei poteri” che costituisce l’unica salvaguardia o “garanzia” costituzionale in cui risiede la libertà effettiva.
“Il potere corrompe, il potere assoluto corrompe assolutamente”: è partendo da questa considerazione, che Montesquieu elabora la teoria della separazione dei poteri. Per evitare che si conculchi la libertà dei cittadini, il potere legislativo e quello esecutivo non possono mai essere accentrati in un’unica persona od organo costituzionale.

Tecnicamente, Renzi perciò ha restaurato lo stato assolutista pre-rivoluzione francese. Infatti con le sue riforme il premier domina il partito e ne forma le liste elettorali; domina la camera con un terzo circa dei suffragi; domina l’ordine del giorno dei lavori; domina il Senato; sceglie il capo dello Stato; nomina direttamente cinque membri del consiglio superiore della magistratura e cinque attraverso il capo dello Stato; nomina o sceglie i capi delle commissioni di garanzia e delle authorities; da ultimo, quasi dimenticavo, presiede il Consiglio dei Ministri. E gestisce molte altre cose. Si è fatto controllore di se stesso. Questo intendo dire quando affermo che è stato superato il principio della divisione dei poteri dello Stato.

In ciò, Renzi batte Mussolini, perché l’espansione dei poteri del Duce incontrava la limitazione data dalla presenza del re a capo dello Stato,  il quale non era scelto, ovviamente, dal Duce ed era al di sopra del suo raggio d’azione, tanto è vero che il Re lo fece arrestare nel 1943. Rispetto questo, Renzi è più simile a Hitler, perché anche in Germania non c’era la monarchia.

L’abolizione della separazione dei poteri dello Stato è un salto costituzionale tanto lungo e radicale quanto sarebbe il salto per passare alla legge islamica. Eppure, chi se ne accorge? Il popolo è scusato, dato che le stime ufficiali rilevano un 47% di analfabetismo funzionale e solo un 18% capace di capire testi un po’ complessi. 
Ma dove sono i liberali, i democratici, i costituzionalisti, i filosofi, i politici, gli intellettuali, che fino a ieri si riempivano la bocca di antifascismo, costituzione, resistenza, garanzie?
E i magistrati che dimostravano con la Costituzione sotto il braccio togato?
Perché tacciono di fronte alla concentrazione dei poteri in un’unica persona, di fronte all’abolizione dei controlli e dei bilanciamenti?
Perché non insorgono come facevano in passato per molto, molto meno? Se non ora, quando, vostro Onore?
O sono cambiati gli ordini di scuderia?

Forse voi, maliziosi lettori, pensate che siano tutti diretti sul carro del vincitore, alla mensa del principe.
Ma che male ci sarebbe, a questo punto?
I poteri forti, la cosiddetta Europa del Bilderberg e di altri simili organismi, hanno capito che le inveterate caratteristiche sociologiche italiane non consentono il risanamento morale, la legalità e l’efficienza. Non provano nemmeno a metterci le mani. Sì sono convinti che per governare e spremere questo paese ci vuole invece proprio il suo autoctono, tradizionale regime buro-partitocratico, con i suoi poteri collegati. Attraverso Renzi e Berlusconi lo hanno perfezionato, stabilizzato, costituzionalizzato, ponendo tutto nelle mani del segretario del partito forte, controllore di se stesso.
Honni soit qui mal y pense.  Adieu, Montesquieu.  Vive le renzien régime!

Marco Della Luna



Fonte: Visto su Marco Della Luna del 29 gennaio 2015