venerdì 30 luglio 2010

Verona: Piazza Corrubbio, il parcheggio si fa


In Piazza Corrubbio sono venute alla luce 250 tombe


IL PARKING A SAN ZENO:  Scavi archeologici verso la conclusione. A settembre si aprono i cantieri per realizzare le fondamenta. Ospiterà 250 posti auto interrati. Sarà ultimato entro due anni. Verrà coinvolta anche via Da Vico

La costruzione del parcheggio sotterraneo di piazza Corrubio sta per entrare nel vivo. Dopo lunghi mesi di sopralluoghi, studi prima e scavi archeologici poi, e dopo i molti ritrovamenti che hanno tenuto con il fiato sospeso sanzenati e veronesi tutti, cittadini e politici pro e contro il parcheggio, ora è iniziato il conto alla rovescia per la realizzazione dei 250 posti auto interrati.

Dalla prossima settimana, gli esperti dello studio archeologico Cipriani-Meloni, che si è occupato di trovare, catalogare e rimuovere i reperti per conto della Soprintendenza, ultimeranno il proprio lavoro all’interno del cantiere. Lasciando poi campo libero agli operai della ditta Rettondini, che ha in appalto la costruzione del parcheggio.

SOTTOSERVIZI. «A settembre inizieremo con la realizzazione dei sottoservizi e poi con le opere propedeutiche alla realizzazione vera e propria dei posti auto, come le fondamenta e gli elementi portanti», spiega il direttore dei lavori, l’architetto Graziano Gabaldo.

Da quando partiranno i lavori, il parcheggio sarà pronto in due anni, probabilmente meno. «Il nostro interesse, così come quello del quartiere e dei commercianti, è quello di chiudere il cantiere il prima possibile e di recuperare il tempo perso», assicura Gabaldo. «Difficile comunque preventivare una data ultima: se l’avessi azzardata due anni fa avrei sbagliato clamorosamente», ammette. «Le operazioni andranno avanti su più fronti e mentre da una parte si inizierà con i sottoservizi, dall’altra estenderemo il cantiere su via Da Vico, ora ancora intoccata. E procederemo a stralci per arrecare meno disagi possibile».

REPERTI. Sembra proprio che quanti ancora speravano di ritrovare nel sottosuolo della piazza qualche reperto archeologico di rilevanza tale da bloccare la costruzione del parcheggio dovranno ora rassegnarsi.

Anche le notizie che si sono succedute nelle ultime settimane, rimbalzate di bocca in bocca, relative al ritrovamento di un abside tanto importante da dover decretare ulteriori rallentamenti se non addirittura sancire lo stop ai lavori, sembrano infatti non essere fondate.

Ad assicurarlo sono sia l’assessore al traffico e al commercio Enrico Corsi che il direttore dei lavori Gabaldo. «Non ci sono novità in tal senso. La Soprintendenza si è mostrata molto collaborativa ed entro breve ci ha assicurato il proprio parere», spiega Corsi.

L’ASSESSORE. «Si tratta di leggende metropolitane, totalmente infondate. Il nostro lavoro è sotto gli occhi di tutti, Soprintendenza in primis. Fossimo in mezzo al deserto avremmo magari anche potuto occultare qualcosa. Ma qui siamo controllati a vista 24 ore su 24 e non solo dagli archeologi ma da un intero quartiere. E tutto si è svolto nella massima chiarezza e collaborazione tra le varie professionalità coinvolte a vario titolo nei lavori», puntualizza Gabaldo. Unica opzione, arrivati a questo punto, sarebbe il ritrovamento di una strada romana o di altre costruzioni negli strati più bassi del terreno, ora gli scavi hanno raggiunto una profondità di circa un metro e mezzo. Ma anche se così fosse, la ditta ha già espresso la propria disponibilità a ridimensionare il parcheggio a tutela di questi probabili reperti.

RISERBO. Nel cantiere, intanto, c’è il massimo riserbo su quanto è venuto alla luce durante questi scavi. La comunicazione del «tesoro» archeologico trovato spetta infatti solo alla Soprintendenza. Si sa però che sotto piazza Corrubio c’era una vera e propria necropoli, dato che in questi mesi sono state ritrovate circa 250 tombe. «Dagli studi preliminari effettuati anche con l’aiuto del georadar ci aspettavamo questi ritrovamenti. Ma non pensavamo fossero così tanti.

Questo, e il tempo che nei mesi invernali è stato inclemente, ci ha fatto perdere un bel pò di tempo ma finalmente ora ci siamo», spiega Gabaldo. Dai cinque mesi circa iniziali, il tempo dedicato alla fase di repertazione archeologica è lievitato infatti fino a toccare l’anno. Con buona pace anche dei residenti che denunciano la morte sociale del quartiere. E dei commercianti che ne piangono quella economica.



«Ma il sottosuolo di certo  riserverà altre sorprese»

Valpiana: «Rimaniamo vigili. Siamo fiduciosi che anche questa volta i lavori verranno rinviati»


Vigile e attenta. E per nulla rassegnata ad accettare la realizzazione di questo parcheggio, «nonostante la piazza sia stata ormai distrutta e gli alberi sradicati».

È la posizione del comitato Salviamo piazza Corrubio, composto dai commercianti e dai residenti di San Zeno contrari all’opera e protagonisti negli ultimi anni di una battaglia serrata, anche se a volte goliardica e ironica, contro il parcheggio.

«A noi risulta che la questione del ritrovamento dell’abside sia ancora tutta da chiarire. La ditta Rettondini voleva iniziare con i sottoservizi già un mese fa. Ma anche in quel caso non è stato possibile e siamo fiduciosi che non lo sarà nemmeno questa volta», auspica il portavoce del comitato Mao Valpiana. «Inoltre, il cantiere non è solo quello che è stato delimitato e indagato fino ad oggi».

«Ma comprende anche il terreno ancora integro e inesplorato sotto via Da Vico, dato che dovrà essere esteso fino ad un paio di metri dal bar Du de Spade», prosegue Valpiana che mette le mani avanti, stoppandola, su una ventilata ipotesi da parte della ditta di trovare un accordo con il Comune per poter ampliare il parcheggio e il numero di posti auto come sorta di risarcimento per il tempo perduto.

Richiesta che però lo stesso assessore comunale Enrico Corsi ha negato essere mai stata fatta.
«Comunque sia, per il comitato quella di piazza Corrubio è una situazione ancora in corso d’opera e aperta e per questo continueremo a rimanere vigili», chiude Valpiana.

L’estate calda dei parcheggi interrati, situazione che nella città antica è di per sè bollente anche in pieno inverno, non è solo a San Zeno ma punta i riflettori anche su altri progetti e cantieri aperti in centro.

Intanto in lungadige Capuleti, le ruspe sono ferme e si lavora con scalpello e palettina tra i reperti archeologici che sono emersi nei giorni scorsi all’interno del cantiere.

E anche alcune delle modifiche che sono state apportate al progetto del parcheggio pertinenziale di piazza Arditi fanno discutere maggioranza e opposizione. (I.N.)


Fonte: srs di Ilaria Noro da L’Arena di Verona di Mercoledì 28 Luglio 2010, CRONACA, pagina 7

mercoledì 28 luglio 2010

Chiara Coltri: se cadi ti rialzi, parola mia

Chiara Coltri

Aveva quindici anni Chiara Coltri quando capitò l'incidente. Era il 31 ottobre 2003, la sera di Halloween. "Eravamo stati a una festa vicino a Caprino", racconta, "ed avevamo noleggiato una videocassetta, al ritorno pioveva. Sull'auto, una Renault Clio, stavamo in quattro. Quando siamo finiti fuori strada, rotolando giù da una scarpata, solo io ho subito gravi conseguenze. Il ragazzo che guidava non si è fatto nulla. Una ragazza è rimasta tre mesi in ospedale con le vertebre offese, ma poi se l'è cavata. A me è andata peggio perchè da allora ho perso l'uso delle gambe. Per tirarci fuori chiamarono i Vigili del fuoco. Ho dei ricordi molto annebbiati, qualche flash mentre sono in ambulanza.

All'Ospedale di Borgo Trento la diagnosi fu immediata: sesta vertebra dorsale. L' intervento chirurgico fu immediato e al risveglio mi trovai in Terapia intensiva, dove sono rimasta cinque giorni. Sedata naturalmente. Vedevo solo i miei genitori, un quarto d'ora al giorno. Poi tornai al reparto di Neurochirurgia e infine a Negrar, per sei mesi di riabilitazione.

Quando è successo l'incidente facevo la terza liceo all'Istituto Seghetti. Non ho nemmeno perso l'anno perché dal mese di gennaio del 2004 i miei fratelli o i miei genitori mi venivano a prendere a mi portavano a scuola al mattino mentre al pomeriggio rientravo a Negrar, dove facevo palestra e rieducazione al pomeriggio e dormivo la sera.

Ce l'ho fatta.

E' stata la prima battaglia vinta. Finito il liceo, ho preso la patente e mi sono iscritta all'Università di Padova, facoltà di Scienza Politiche. Ora vivo in un appartamento da sola. Prima eravamo in tre, poi le mie compagne si sono laureate e sono rimasta sola.
L'appartamento non ha barriere e riesco a cavarmela.

Com'è cambiata la mia vita? Beh, ho dovuto tirare fuori tutto il coraggio che avevo dentro, una voglia di vivere che nemmeno immaginavo di avere. Prima era una forza spenta. Dopo il trauma si è accesa e ora la sfrutto in tutte le occasioni possibili. Intorno a me vedo tanti ragazzi apatici, anche più giovani di me. Molti non apprezzano, non capiscono il vero valore della vita, delle persone, delle cose.
Prendi lo sport: io prima non facevo nulla. Oggi gioco a basket e sto anche prendendo il brevetto di volo. Quando camminavo, non ci avrei nemmeno pensato.

Giro per le scuole e porto la mia testimonianza con il Galm, parlo ai ragazzi e stanno tutti molto attenti. Spero scatti qualcosa nelle loro teste. In ogni caso è fondamentale mettere a suo agio il nostro prossimo senza aspettare che gli altri lo facciano con noi, persone con disabilità, ma siamo noi a doverlo fare con loro.  Perché se io inizio a chiudermi nei miei problemi, loro non riusciranno mai capire che io sono proprio come loro e continueranno a vedermi e sentirmi diversa.

Le cellule staminali? Sono una luce lontana, un lumicino che potrebbe accendere la speranza.
Ma credo non dobbiamo vivere per quello, ma cercare piuttosto di raggiungere un equilibrio accettabile nelle condizioni attuali.
Se poi la scienza porterà guarigioni oggi inimmaginabili, tanto meglio. Per me la ricetta migliore è l'autosufficienza. Bisogna fare tutto da soli. Ricordo ancora la prima volta, "tranquilla Chiara se cadi ti rialzi", mi ripetevo.
Ma volevo farcela... Sono stata davvero autonoma quando sono andata a vivere da sola.

Se avessi una bacchetta magica vorrei cambiare la testa di quelli che ci fregano il posto nei parcheggi. E quando ti vedono arrivare con la sedia a rotelle sono pure scocciati. Purtroppo questo è il mondo, la sensibilità non alberga nel cuore di tutti. Ma questo non deve intimorirci perché c'è molta gente che ha bisogno di noi.

Ai ragazzi vorrei dire verificate sempre chi guida. lo non sapevo chi guidava quella notte. Non ci ho pensato su. C'era un breve tratto da percorrere e ricordo che, mentre salivo in macchina, mi sono detta "Cosa vuoi che succeda in un chilometro?".


Fonte: srs di Danilo Castellarin da L’informatore numero 154 di luglio  agosto 2010

lunedì 19 luglio 2010

Verona: Selci blu ed Arsenale, risponde il sindaco Flavio Tosi

Caro  direttore,
se il suo collega Gian Antonio Stella, per il quale nutro profonda stima, avesse potuto venire di persona a vedere l'ex Arsenale, si sarebbe reso conto che le cosiddette «selci blu» non «marciscono»  (come si legge sul Corriere della Sera del 6 giugno) in una «cantina» ma nei saloni al pian terreno (messi a norma dal Comune con una spesa di 790.618 euro) di quella che fu, fino al 2006, la Palazzina Comando dell'Esercito Italiano, i cui militari «blu» non risulta siano mai diventati. Sarei comunque lieto di accompagnare Lei o il suo collega Gian Antonio Stella a visitare l’edificio, per constatare come ne le selci, ne altri reperti archeologici, stiano marcendo o siano coperti di muffa: come ha rilevato anche il Soprintendente per i Beni Archeologici del Veneto Vincenzo fine, che ci ha chiesto di potervi conservare in futuro ulteriori collezioni di proprietà statale. E magari potrei farvi vedere i 6.231 pezzi battuti in un'asta a Monaco di Baviera per un valore di 107 milioni di euro (di cui si parla nell’articolo) perché  i carabinieri che li hanno sequestrati al collezionista nella capitale bavarese, dopo averli rimpatriati li hanno affidati a noi per la custodia: evidentemente non ci ritengono inaffidabili!

Vorrei precisare alcune cose: tutti i materiali di cui stiamo parlando non sono mai stati visibili, nelle sedi museali in cui erano custoditi, al pubblico, ma solo agli studiosi: come avviene adesso. Inoltre non è vero che al Museo di Storia Naturale sia mancato il direttore dal 1997; da quella data, fino al recente pensionamento, dopo regolare concorso, è stata la dottoressa Alessandra Aspes, archeologa esperta e di riconosciuta competenza.

 Per risolvere il «mistero delle selci blu», un'apposita Commissione mista Comune-Soprintendenza sta cercando di capire la causa del loro cambiamento di colore, senza escludere nessuna ipotesi. Quanto alle alienazioni degli immobili non sono state certo una svendita!  Fra le inesattezze, mi preme rettificarne almeno due: Palazzo Forti è stato ceduto alla Fondazione Cariverona con l’obbligo di continuare ad ospitare gratuitamente per venti anni la Galleria d’Arte Moderna del Comune e di rispettare l’attuale destinazione mussale. Se avessimo voluto far cassa   avremmo cambiato la destinazione d’uso raddoppiandone il valore: ecco il motivo per cui dai 65 milioni di euro  si è scesi   ai 33:  il palazzotto del Bar Borsa non è stato messo in vendita per 6,5 milioni  ma  posto all’asta al prezzo base di 3.080.000,00 euro e  aggiudicato per 5.110.000,00: dunque nessun «clamoroso ribasso d’asta».

Non voglio pensare che le imprecisioni contenute nell’articolo siano intenzionali (sarebbe stato meglio  comunque  sentire anche la «nostra campana» ma nemmeno voglio sfuggire al vero problema: la tutela e valorizzazione  del nostro patrimonio  storico, artistico e culturale, per il quale i comuni  non hanno risorse sufficienti e lo Stato  non assicura i fondi necessari.
Per gli Enti locali  l’unico obbligo di legge è quello  di assicurare  il funzionamento  dei loro musei esistenti,  mentre la valorizzazione  degli stessi è materia concorrente fra Stato e Regioni.
Le difficoltà che stanno vivendo l’economia internazionale e il nostro  Paese pongono  gravi problemi ai sindaci. Assicurare il funzionamento ottimale dei servizi che sono  obbligatoriamente dovuti  ai cittadini o privilegiare  cose importanti come il nostro patrimonio storico, artistico  e culturale?  Evidentemente vengono prima  le esigenze  fondamentali dei cittadini(servizi per la famiglia, anziani, persone disagiate, strade, scuole, asili) rispetto a spese che possono  dare prestigio ma che, in questa situazione, vengono dopo. Anche chi, come noi e chi ci  ha preceduto a Verona non ha sprecato il pubblico denaro, deve  ricorrere ad alienazioni di immobili per i quali, spesso, non esistono risorse per mantenerli adeguamento o  arrestare il loro degrado gia in atto.

Flavio  Tosi
Sindaco di Verona

Fonte:  srs di Flavio Tosi,  da il Corriere della Sera di  giovedì  8 luglio 2010



Gian Antonio Stella  risponde a Flavio Tosi   sindaco di Verona

Tosi si offre di accompagnarmi a vedere l'Arsenale? Troppo gentile. Così, visto che io prima di scrivere c'ero ovviamente andato, avrà finalmente l'occasione per vedere le condizioni dei magazzini, dato che non mi risulta ci sia mai andato lui dopo la scoperta delle selci blu. Non mi è chiaro come abbiano speso 790.618 euro di restauro, visto che le condizioni dello stabile,  per usare un eufemismo, non sono ottimali.
Ma sarei comunque curioso di sapere: prima di portarci il prezioso materiale museale evacuato dai palazzi-musei venduti era stata fatta un'analisi degli eventuali rischi?
Sorvolando sulla battuta dei militari che non diventarono blu (anche i custodi della cappella degli Scrovegni non perdono pezzi di intonaco: sono materiali diversi...) vorrei sottolineare tuttavia tre punti.
1) non ho scritto che i pezzi archeologici sono coperti di muffa o stanno marcendo: vada a controllare. Della muffa richiamata nel sommario redazionale, in ogni caso, parlò proprio il Soprintendente Vincenzo Tine sull'Arena il 20 maggio scorso.
2) Non mi sono permesso di mettere in dubbio la preparazione della dottoressa Aspes. La domanda è: l'obbligo del concorso venne rispettato? Prendiamo il nuovo direttore, Giuseppe Minciotti. Sarà bravissimo ma è laureato (lo dice il sito Internet del Comune) in giurisprudenza: ha fatto il concorso, che prevede «laurea specialistica, diploma di specializzazione, dottorato di ricerca, o altro titolo post-universitario» attinente al ruolo?
Quanto alle «inesattezze», il sindaco precisa che «Palazzo Forti è stato ceduto alla Fondazione Cariverona con l'obbligo di continuare ad ospitare gratuitamente per venti anni la Galleria d'Arte Moderna del Comune» e che per questo «dai 65 milioni di euro (...) si è scesi ai 33 milioni».  lo avevo scritto che «la Cariverona ha dovuto impegnarsi a lasciarci il museo per venti anni» e che «in compenso, invece di pagare i 65 milioni pretesi dal Comune ne ha pagati 33». Non capisco: qual è la rettifica?
Quanto al palazzetto del Bar Borsa «aggiudicato per 5.110.000,00» vale la pena di rileggere il titolo del Corriere di Verona del 16 giugno scorso: «Grana ex Bar Borsa, venduto a 5 milioni. Incassati zero euro». Mai fatto il rogito. In due anni.
Quanto ai ribassi, secondo il Pd «nel 2007 si prevedevano entrate di 74 milioni da alienazioni e in bilancio poi ne sono stati iscritti 47» e «nel 2008 si aspettavano 148 milioni e ne sono entrati 21»: è falso? Ringraziamo comunque il sindaco per la sua chiarezza: vende i musei, proprio come scritto sul Corriere, per fare le rotatorie e i campetti da calcio. Opinioni.  (g.a.s.)

Fonte: srs di Gian Antonio Stella, da Il Corriere della Sera di  giovedì  8 luglio 2010

sabato 17 luglio 2010

FUMANE DI VERONA, GROTTA SOLINAS: Trovato dente di 40mila anni fa. Era dell’uomo di Neanderthal

Il frammento del dente neanderthaliano ritrovato a Fumane

L’ultimo rinvenimento negli scavi nella grotta è ora allo studio degli esperti delle università di Torino e Ferrara.  È un rarissimo frammento di premolare con una marcata usura dello smalto che fornisce nuove ipotesi per le ricerche

Gli scavi alla Grotta di Fumane hanno portato alla scoperta di un dente appartenuto a uno degli ultimi uomini di Neanderthal vissuto tra i 40 e i 50mila anni fa.

Si tratta di un rarissimo frammento di dente umano, un premolare, trovato nei cosiddetti livelli Uluzziani, nello strato A3, che presenta una marcata usura dello smalto e dei solchi verticali. Questo dimostra che i neanderthaliani usavano molto la bocca e i denti per rompere e strappare, oltre che per mangiare. Il dente è ora allo studio del professor Giacomo Giacobini dell’Università di Torino e di Marco Peresani dell’Università di Ferrara, che ha proprio in questi giorni aperto la campagna di scavi per l’anno 2010.

«Questo dente è molto importante, in quanto le testimonianze fossili degli ultimi neanderthaliani sono rarissime», spiega Peresani, «in Grecia ad esempio manca qualsiasi resto umano, mentre in Italia meridionale specialmente in Campania sono stati rinvenuti sinora solo cinque denti. L’attribuzione dell’Uluzziano all’Homo di Neanderthal può essere discussa e Fumane apporta un nuovo tassello». È importante trovare resti umani perché permettono l’estrazione del dna fossile.

L’Uluzziano è un termine designato per la cultura delle ultime popolazioni neanderthaliane che hanno abitato diverse grotte dell’Italia centro-meridionale e del Peloponneso e che erano avviate verso un processo di «modernizzazione» con una maggiore varietà di strumenti litici e produzione di utensili in osso. La campagna di scavi, che durerà un paio di mesi, continuerà il lavoro iniziato l’anno scorso nella parte a sinistra dell’antro, in un livello di 50mila anni fa, che presenta resti di focolare, carboni, sostanze organiche e di macellazione. Si effettueranno sondaggi del terreno per evidenziarne le caratteristiche e le temperature di allora.

Finanzieranno gli scavi quest’anno la Comunità Montana, il Parco della Lessinia, la Regione Veneto, il Comune di Fumane, la Fondazione Cariverona, l’impresa di costruzioni Gardina di Rovigo, le cantine Nicolis di San Pietro in Cariano, il ministero dei Beni Archeologici e l’Università di Ferrara. «Presumibilmente i lavori in questo settore della Grotta andranno avanti per cinque anni», continua Peresani, «poi si abbatterà il muro in fondo al riparo e si avranno senz’altro delle sorprese, perché la zona in galleria è piena di ossa».

«L’amministrazione ha intenzione di creare una Fondazione, aperta anche a i privati, per la valorizzazione della Grotta», ha detto il sindaco Domenico Bianchi presente all’apertura degli scavi, «in modo che ci siano delle risorse da investire. L’intenzione è quella di realizzare una struttura fissa nelle vicinanze, un laboratorio didattico e un museo dove portare il materiale trovato con una mostra fotografica, così da poter accogliere scolaresche e turisti con un flusso costante tutto l’anno».

Il presidente della Comunità Montana, Claudio Melotti, ha sottolineato: «È necessario approntare un progetto di almeno cinque anni che garantisca finanziamenti e continuità sul lungo periodo». Negli ultimi mesi la Grotta di Fumane è stata oggetto di conferenze in Francia e Spagna dove sia Peresani, che Alberto Broglio dell’Università di Ferrara hanno portato la loro voce su Fumane, molto conosciuta all’estero per l’importanza dei ritrovamenti.


Fonte: srs di Giancarla Gallo, da L’Arena di Verona di Sabato 17 Luglio 2010 PROVINCIA, pagina 31


mercoledì 14 luglio 2010

PRIMA GUERRA MONDIALE: LA RISCOSSA DI VITTORIO VENETO? SOLO SULLA CARTA


Il generale Armando  Diaz


Si legge sui libri di storia che sul fronte italiano, per tutto l'inverno 1917-18, gli austriaci tentarono, attaccando   per mesi e mesi con tutti i mezzi possibili, ma senza ottenere  successi,  di  passare il Piave e occupare il Grappa.

Poi, esattamente un anno dopo Caporetto,  il  24 ottobre 1918,  il generale Diaz  dà inizio  a una grandiosa battaglia. Ai generali italiani viene impartito l’ordine  di attaccare  ad  oltranza: è  la battaglia di Vittorio Veneto.  Lo sforzo delle nostre truppe è sovrumano, l’esercito italiano   passa il Piave, sfonda  in tre punti lo schieramento nemico e ne accerchia le posizioni: è il crollo dell'Austria. L’Italia si avvia al tavolo delle trattative per reclamare i suoi confini “naturali”

Tutto vero? Ma….

La riscossa di Vittorio Veneto esiste soltanto sulla carta perché, in quella settimana, a cavallo fra la fine d’ottobre e l’inizio di novembre 1918, non ci fu nessun assalto e nessuno sfondamento. 
Gli italiani avanzarono perché gli austriaci si stavano ritirando: e gli austriaci si ritiravano perché era diventato inutile continuare una guerra che era irrimediabilmente perduta.

“Non a caso il comandante in capo di allora,  Armando Diaz - informato di una travolgente avanzata italiana che, evidentemente,  non aveva ordinato ne che era a conoscenza si stesse sviluppando - tuffò la testa nella cartina geografica, strizzando gli occhi da miope,  dietro occhiali con lenti spesse un dito  alla ricerca del teatro della sua rivincita. 
E poiché  faticava a individuare il luogo della battaglia, chiese soccorso agli uomini dello Stato Maggiore che affollavano la sua stessa stanza: «Ma 'sto Vittorio Veneto 'ndo cazzo stà...?»

Fonte: liberamente tratto da srs di Lorenzo Del Bocca

venerdì 9 luglio 2010

Verona e il mistero delle selci blu. La preistoria finita in magazzino. Venduto il museo marciscono in cantina. I rischi del federalismo demaniale.


La conservatrice  del dipartimento mussale  Laura Longo  mostra alcune selci diventate blu


di GIAN ANTONIO STELLA

Risolto il caso delle mozzarelle blu, un altro giallo dilania gli studiosi: quello delle selci blu. Gli antichissimi reperti preistorici veronesi che, ammassati in un ex deposito militare, hanno misteriosamente cambiato colore. Come mai? Le opinioni sono diverse. Dietro lo scontro, tuttavia, emerge un problema se possibile più grave: la vendita (svendita?) di palazzi storici che erano stati donati alla città per ospitare musei.

Un tradimento dei benefattori deciso per costruire nuove rotatorie.  Sarebbe questa la famosa «valorizzazione» del patrimonio pubblico?

Il Museo civico di storia naturale di Verona, aperto nel 1861 nella scia di collezioni ancora più antiche, come il museo Calzolari del 1550 o  il  Moscardo del 1611, è organizzato  sul modello viennese in quattro sezioni: Geologia e Paleontologia,  Zoologia,  Botanica e Preistoria.  Sezione che, grazie ai ricchissimi ritrovamenti sui monti Lessini e negli insediamenti di palafitte sul lago di Garda e nella Bassa veronese, è una delle più celebri del pianeta.

Meglio: sarebbe. Se le quattro stanze un tempo dedicate alla preistoria non fossero state ridotte (con l’aggiunta di una aula per la didattica) a una sola di una cinquantina di metri quadrati.  Se il sito Internet del museo non fosse stato sostituito da un link nel portale del Comune dove accanto a due fotine non solo non si fa cenno ai tesori esposti  (l’incisione del leone e dello stambecco trovati al Riparo Tagliente, le ceramiche e i bronzi delle palafitte del Garda o della necropoli di  Franzine Nuove) ma  neppure all’esistenza stessa della sezione nella sede centrale di palazzo Pompei ma solo alla direzione e al magazzino ( non aperti al pubblico) all’ Arsenale.

Se infine lo spazio ridicolo rispetto all’importanza della raccolta (un esempio: gli studi sul Dna di  un neandertaliano trovato a Riparo Mezzena e la  scoperta. che aveva la pelle chiara, gli occhi azzurri e i capelli rossi sono finiti in copertina su «Science») non costringesse a tenere nei depositi migliaia di oggetti tra cui tutti quelli trovati negli ultimi 20 anni.  Compresi pezzi straordinari quali quelli recuperati dallo scavo subacqueo di Lazise.  Come un panino bruciacchiato conservatosi miracolosamente intatto o uno spillone da cerimonia di 50 centimetri.

Un panorama indecoroso. Che insulta la ricchezza del nostro patrimonio e ci espone al sarcasmo di tutti quei musei del mondo che farebbero pazzie per avere una fetta di questa nostra torta lasciata andare a male. Basti ricordare, come fa Laura Longo, conservatore di Preistoria, «che l'anno scorso una collezione raccoglticcia di 6231 pezzi è stata battuta all’asta  a Monaco a 107 milioni di euro».

Un panorama che spingerebbe un direttore alle dimissioni se, sottolineiamo a Verona, il direttore titolare del museo (non un funzionario nominato da Comune, magari bravissimo ma non specializzato: un vincitore di concorso come dicono la legge   e il buon senso) non  mancasse dal 1997. Un dettaglio che la dice lunga.           

Il  «giallo delle selci blu» si inserisce in questo contesto. E ha il punto di partenza nella decisione presa anni fa dal Comune di indire un concorso internazionale per sistemare il grande e bello ma ammaccato Arsenale militare, così da trasferire il Museo di storia naturale lì.  Ma, ahinoi, il progetto messo a  punto dal vincitore, l’architetto inglese  David Chipperfield, prevedeva una spesa enorme. E si sa quanto le casse comunali si sian fatte di anno in anno sempre più povere.

Come tirar su i soldi per pagare questo e altri progetti?  Idea: mettendo in vendita un po' di palazzi donati nei secoli al municipio.  Prima il Castel San Pietro, comprato dalla fondazione Cariverona, poi via via il Palazzo Forti, il Palazzo Gobetti, il Palazzo Pompei, l’ex Convento francescano di San Domenico.  Tutta roba di grandissimo valore.

Lo dice il sito Internet municipale.
Il convento? «Rappresenta una preziosa testimonianza artistica dell'architettura del XVI - XVII secolo».
Palazzo Gobetti? «È uno dei palazzi più caratteristici della rinascenza veronese, con armoniosa facciata quattrocentesca, balconi traforati e portale dagli stipiti finemente scolpiti». Insomma, non vecchie caserme o capannoni: gioielli.

Tanto che Palazzo Pompei  e Palazzo Gobetti sono (erano) sedi del Museo di storia naturale. E Palazzo Forti, dono «all’amata Verona» d’un ricco ebreo morto un anno prima delle leggi razziali, ospita la Galleria d’arte moderna. A proposito: cosa avrebbe detto, sapendo che quella sua donazione «per farei un museo» sarebbe stata stravolta anni dopo da sindaco e assessori? Amen, ha risposto il Comune.   Dichiarando di voler ricavare dalla vendita di questi ultimi edifici la bellezza di 115-milioni per ripianare i debiti, avviare il recupero dell’Arsenale, finanziare il Polo finanziario e altre nuove opere.

«Non sarà che poi, dato il valore dei palazzi, non ci si potrà manco piantare un chiodo?» s'interrogavano i possibili compratori.
Tranquilli, ha risposto ufficialmente il Comune on line: «Per detti immobili è stato adottato un apposito provvedimento urbanistico che ha assegnato le diverse destinazioni urbanistiche (residenziale, direzionale e commerciale) consentendo la più ampia possibilità di utilizzo». Rileggiamo: «la più ampia». Più chiaro di così! Al massimo, com'è accaduto per il «Forti» inutilmente difeso da migliaia e migliaia di cittadini, la Cariverona ha dovuto impegnarsi a lasciarci il museo per venti anni. Un periodo che per i tempi lunghi di una grande banca è un battere di ciglia. In compenso, invece di pagare i 65 milioni pretesi dal Comune ne ha pagati 33.

Chi si contenta gode? Sarà... Certo è che anche Palazzo Gobetti, messo in vendita per 10 milioni è stato venduto a 6 e mezzo scarsi. Per non dire del centralissimo palazzetto del Bar Borsa: in vendita per 6 milioni e mezzo, era stato ceduto per 4,8 alla «Valpadana Costruioni» ma due settimane fa è saltato fuori che di quei soldi, al Comune, non è arrivato un centesimo: nessun versamento, nessun rogito, nessun contatto ulteriore.

Nel frattempo, tutto il materiale preistorico che non potendo essere esposto per mancanza di spazio era in deposito parte a Castel  San Pietro e parte da Palazzo Gobetti, è stato sgomberato dagli edifici venduti e accatastato in due stanzoni al piano  terra e al primo piano dell’Arsenale che magari domani, ristrutturati, saranno stupendi. Ma oggi sono ne più ne meno che due magazzini semi diroccati. Cosa sia successo non si sa. C'è chi ipotizza, come Gilberto Artioli del dipartimento di Geoscienze di Padova, che il magazzino al piano terra fosse impregnato di qualche sostanza non ancora ben definita. Chi ritiene occorrono nuove analisi per capirci qualcosa. Chi ancora si avventura nell'immaginare un sabotaggio. Vero? Falso? Si vedrà.

Fatto è che mentre i pezzi al piano superiore, per quanto messi a rischio da umidità e sbalzi di temperatura, si sono conservati decentemente, quelli al piano inferiore hanno subito una sorprendente metamorfosi. Molti sono diventati, come dicevamo, blu. Subendo un danno così grave che per il conservatore Laura Longo, impegnata in una battaglia che le ha tirato addosso le ire del Comune, «in tanti casi non valgono più nulla: massicciata per le strade». Troppo pessimista? C'è da sperarlo.

Un punto, tuttavia, pare chiaro: la storia esemplare dei palazzi di Verona, dei clamorosi ribassi d'asta rispetto alle illusioni finanziarie, dello sfasamento tra la vendita (subito) dei musei di oggi in attesa (chissà...) dei nuovi musei domani, è la prova che il federalismo demaniale è come il tritolo: può essere utilissimo, ma va maneggiato con cura.  O sarà accompagnato da regole rigidissime (non complicatissime, ma rigidissime sì ho rischiamo che i Comuni, con l’acqua alla gola, ne facciano di tutti i colori.
Per carità, forse non vale la pena di calcare troppo sulla battuta con cui Flavio Tosi, il sindaco leghista, ha sbuffato contro il blocco dei lavori per un parcheggio sotterraneo dovuta alla scoperta di resti archeologici: «Meglio il parcheggio che la conservazione di quattro sassi». Testuale.

Fa però effetto leggere un titolo dell' Arena dedicato al tema: «Palazzo Gobetti regala rotatorie a San Michele». Vi si legge che grazie alla vendita del palazzo che ospitava parte del museo di storia naturale, il Comune «ha stanziato 900mila  euro per la costruzione di due rotatorie a San Michele» e «un milione e 100mila per il campo sportivo Audace». Opere indispensabili, forse. Però...


Fonte: srs di Gian Antonio Stella da il Corriere della Sera  di martedì  6 luglio 2010 pag. 23

giovedì 8 luglio 2010

Verona: Nel giallo delle selci blu ora entra anche il RIS


All’assessore Erminia Perbellini vengono mostrate le selci che hanno preso il colore blu. (FOTO MARCHIORI) 


L’assessore alla Cultura Perbellini, in sopralluogo all’Arsenale, replica alle accuse di incuria:  «I reperti conservati in modo ottimale».  Ma a chiarire il mistero sono stati chiamati i carabinieri del nucleo scientifico

Reperti archeologici accatastati ad ammuffire in scantinati semidiroccati? «Falsità che offendono prima di tutto chi lavora alla conservazione di un patrimonio di enorme valore». L’assessore alla Cultura Erminia Perbellini replica piccata alle accuse piovute dal maggiore quotidiano italiano. E nel pomeriggio, a sorpresa, apre le porte a giornalisti e fotografi dei locali dell’ex palazzina comando dell’Arsenale, dove sono depositati centinaia di migliaia di resti.

«Non mi arrabbio quasi mai, ma di fronte a certe affermazioni non posso non indignarmi» esclama l’assessore. Sulla sua scrivania è aperto a pagina 23 il Corriere della Sera, con un articolo di fuoco, a firma Gian Antonio Stella, iniziato in prima pagina. Il titolo non lascia spazio a dubbi: «La preistoria finita in magazzino». Vi si descrive un «panorama indecoroso». Una situazione, a detta del quotidiano milanese, nata dalla vendita e successivo sgombero dei palazzi storici, Castel San Pietro e palazzo Gobetti in cui gli antichi reperti erano conservati. «Un panorama indecoroso. Che insulta», scrive Stella, «la ricchezza del nostro patrimonio e ci espone al sarcasmo di tutti quei musei del mondo che farebbero pazzie per avere una fetta di questa nostra torta lasciata andare a male». Il riferimento è alle centinaia di selci che misteriosamente hanno assunto un colore bluastro dopo il trasloco. Un vero e proprio giallo. Tanto che Comune e Soprintendenza, dopo aver messo all’opera i laboratori delle università di Trento e Firenze, hanno deciso di rivolgersi ai carabinieri del nucleo di tutela del patrimonio culturale, che potranno avvalersi delle sofisticate attrezzature del Ris di Parma.

«Il fatto più curioso», osserva Nicoletta Martinelli, tecnico della sezione preistoria del Museo di storia naturale, «è la rapidità del fenomeno, visto che nel giugno del 2009 non presentavano alcuna anomalia. Ci risulta che sia il primo caso al mondo e la cosa è tanto più strana in quanto le selci sono il tipo di reperti che danno meno preoccupazioni... siamo davanti ad un inedito problema di conservazione che diventerà oggetto di interesse scientifico». L’assessore allarga le braccia. «Perché ci siamo rivolti ai carabinieri? In questi casi non bisogna scartare nessuna ipotesi». Neppure che il danneggiamento sia stato intenzionale, quindi. Le analisi di laboratorio hanno trovato tracce di idrocarburi. Ma le stanze in cui sono conservati i reperti sono protette da sistemi di allarme i cui codici di accesso sono in possesso solo dei responsabili del museo.

Angelo Brugnoli, responsabile dei servizi del Museo di storia naturale, mostra le tre grandi stanze al piano terra dedicate alla preistoria, alla geologia e paleontologia e alla zoologia. I locali con i materiali biologici sono climatizzati per mantenere costante la temperatura. I pezzi sono collocati in scaffali, armadi e speciali contenitori ermeticamente chiusi, attrezzature costate circa 100mila euro. Al piano superiore, dove si trovano anche gli uffici, il tecnico responsabile della sezione botanica Francesco Di Carlo mostra le teche contenenti 260mila campioni. «Il primo erbario per importanza in Italia a livello di musei civici», sottolinea. Per eliminare parassiti e larve che li distruggerebbero in poco tempo, a rotazione i vegetali vengono messi in freezer a meno 40 gradi. Allo stesso piano ci sono anche le collezioni preistoriche risalenti a ritrovamenti degli ultimi decenni. C’è anche uno scheletro recuperato nella necropoli di Franzine Nuove, dell’Età del bronzo. «Tutto materiale già elencato e catalogato che con il trasloco abbiamo sottoposto a verifica e revisione» fa sapere Nicoletta Martinelli.

«Il materiale ora esposto al palazzo Pompei è di un migliaio di pezzi, solo una minima parte dei circa 2,5 milioni, insetti compresi, che possediamo e che sono a disposizione degli studiosi» spiega Brugnoli. Molti scaffali sono vuoti. «Alla faccia di chi parla di materiali accatastati», si scalda l’assessore Perbellini, «come vedete qui ci sono spazi ancora disponibili, perché vogliamo diventare attrattori di nuove collezioni».
Va bene, ma se il Comune è intenzionato a vendere anche lo storico Palazzo Pompei, dove sarà trasferito il museo? L’assessore non si sbilancia, ma l’ipotesi Arsenale, che ora ospita il deposito, sembra per ora accantonato. Per il restauro dell’edificio servirebbero almeno 80 milioni di euro e questi sono tempi di vacche magre. «È da almeno 35 anni che si dice che l’attuale sede si trova in una posizione infelice, servirebbe un’area comoda per i pullman, magari con la possibilità di costruire un acquario e un planetario, la palazzina dell’Arsenale la vedo più adatta ad un ampliamento degli spazi del museo di Castelvecchio, un’idea potrebbe essere il nuovo Polo culturale della Fondazione Cariverona degli ex Magazzini generali. È un’ipotesi, ma l’unica cosa certa è che non intendiamo smantellare un bel niente, checché se ne dica...».
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Fonte: srs di Enrico Santi,   da L’arena di Verona di l Mercoledì 07 Luglio 2010, CRONACA, pagina 10
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Verona. Per le selci  blu, intervengono i Ris « L’ordine è di fare chiarezza»

Gli esperti mostrano una selce blu all’assessore Perbellini (a sinistra)

Ieri l’incontro per discutere del mistero dei reperti divenuti azzurri.
Tinè: analisi anche sugli oggetti preistorici all’ex Arsenale

VERONA - Sarà il Reparto di Investigazioni Scientifiche dei Carabinieri a risolvere il giallo delle selci blu. Un mistero che sta diventando un caso scientifico.

A spiegarlo è il Soprintendente ai Beni Archeologici del Veneto Vincenzo Tinè reduce da un incontro congiunto ieri pomeriggio tra Soprintendenza, Comune di Verona, direzione e funzionari del Museo di Storia Naturale.
Obiettivo: «Avere quante più risposte scientifiche possibili sul fenomeno in modo da poter incrociare i dati» spiega Tine.

Bocche cucite in Comune,  con l’Assessore alla Cultura Erminia Perbellini che si limita a constatare la necessità «di fare in tutti i modi chiarezza, per capire i tempi, le modalità e le cause nelle quali abbia preso origine il fenomeno del viraggio cromatico che ha riguardato una parte importante del nostro patrimonio verso il quale abbiamo il dovere di tutela».

Dopo la scoperta delle selci preistoriche diventate blu a febbraio, con la denuncia del fenomeno da parte di Laura Longo, conservatrice del dipartimento museale a cui fa capo il materiale che da circa tre anni si trova in un locale dell’ex Arsenale (materiale in parte di pertinenza comunale e in parte statale), risale a maggio l'ispezione richiesta dalla Commissione Cultura del Comune. Dai due laboratori di analisi coinvolti, uno legato all’Università di Padova e uno a Firenze, esiti non proprio concordi:  per entrambi la causa del viraggio sta nella presenza di  idrocarburi, ma quello di Firenze ipotizza l’intenzionalità del «contagio».
Intenzionalità da sempre esclusa con decisione da parte del soprintendente Vincenzo Tinè che nei giorni scorsi aveva auspicato un chiarimento soprattutto su eventuali responsabilità.
Ora Tinè esclude sia dolo che responsabilità: «Al museo va restituita dignità e riconosciuta la serietà del suo lavoro. il fenomeno si è sviluppato in tempi rapidi e tutto ciò che si doveva è stato fatto».

Tine spiega ancora che «ieri, di comune accordo con l’assessore  Perbellini, è stata presa la decisione di allargare lo spettro delle analisi, sia agli altri oggetti preistorici conservati nel medesimo ambiente, anche quelli che non hanno subito il viraggio, sia coinvolgendo altri enti per le analisi ambientali. Oltre al laboratorio Spisal dell’UsI del Veneto già ingaggiato dal Comune, il Ministero vuole ingaggiarne dunque altri, tra cui il Ris dei Carabinieri».

Fonte: srs di Camilla Bertoni da Il Corriere della sera - cronaca di Verona di martedì 6 luglio 2010

lunedì 5 luglio 2010

LE OSSA FOSSILI: UNA DIFFICILE CONSERVAZIONE

Tecnico  di laboratorio 

Secondo una recente ricerca le ossa fossili andrebbero conservate refrigerate ed in condizioni di sterilità per evitare di contaminarne il DNA. Le procedure tradizionali di scavo e conservazione potrebbero avere causato danni irreparabili al materiale sin qui raccolto.

D'ora in poi i ricercatori impegnati negli scavi dei reperti fossili dovranno imparare a comportarsi come gli investigatori della Scientifica.

Questo è quanto emerge da un recente articolo pubblicato sulla prestigiosa rivista Americana PNAS.

Fino ad ora le ossa fossili erano manipolate da una quantità di persone, lavate collettivamente in ampie vasche, ripulite e spazzolate, e perfino lucidate con speciali vernici, prima di essere esposte nelle teche dei musei.

Queste procedure potrebbero aver causato danni irrimediabili ai reperti fin qui raccolti.

La nuova frontiera della paleontologia è senza dubbio la paleogenetica, vale a dire l'analisi del DNA delle specie animali e vegetali delle epoche preistoriche.

Attraverso queste ricerche è possibile definire, con un dettaglio impensabile fino a qualche anno fa, i rapporti evolutivi delle varie specie.

In questo settore spicca senza dubbio l'analisi in corso del genoma dell'Homo Neanderthalensis, condotta da Svante Paäbo del Max Plank Insitute di Leipzeig, Germania.

Molti ricercatori sospettavano da tempo che i trattamenti tradizionali alterassero irreversibilmente il DNA contenuto nei reperti dilavandolo, mescolando con materiale genetico proveniente da ossa di specie diverse e contaminandolo con quello umano, ma mancavano le prove.

Ora è arrivata la dimostrazione inconfutabile della necessità di cambiare radicalmente le procedure di raccolta e conservazione dei fossili.

Cranio incompleto di un Bos Primigenius

Il gruppo di ricerca di Eva-Marie Geigl dell'Istituto Jacques Monod di Parigi, Francia ha raccolto campioni di DNA da due set di reperti fossili di un esemplare di Uro, Bos primigenius, l'antenato delle attuali mucche.

I campioni, appartenenti allo stesso animale, risalgono a 3.200 anni fa ma sono stati raccolti in due epoche diverse. Un primo gruppo di ossa fu scavato nel 1947, trattato con le tecniche convenzionali e quindi esposto in un museo.

Un secondo set è stato riportato alla luce, nel 2004, dal medesimo sito seguendo un metodo rigoroso: camici, guanti, mascherine e immediato congelamento del fossile con tutta la sua "sporcizia" originale

Tutti i tentativi di estrarre DNA dai fossili scavati nel 1947 sono falliti. La procedura si è invece conclusa con successo in quelli recuperati più recentemente.

Poiché le ossa sono state tutte sepolte per il medesimo periodo di tempo, nelle stesse condizioni ambientali, il "colpevole" non può che essere il metodo di conservazione.

In pratica, si è degradato più DNA negli ultimi 57 anni che nei 3.200 precedenti.

Questi risultati influenzeranno radicalmente le tecniche di scavo nel prossimo futuro e consentiranno enormi progressi nello studio dell'evoluzione dell'uomo.

Bibliografia
Prevost M. et al., Freshly excavated fossil bones are best for amplification on ancient DNA , PNAS, 104(3):739-744, 2007

Smith K., Don't wash those fossils:standard museum practice can wash away DNA . Nature, published ondine, 8 January 2007, doi:10.1038/news0701808-2


Sitografia
PNAS - Proceedings of the National Academy of Sciences
www.pnas.org
Nature.com
http://www.nature.com
homepage della rivista Nature
Prof. Dr. Svante Pääbo - Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology di Leipzig
http://email.eva.mpg.de/~paabo/
Paleogenetics, molecular taphonomy, and Neolithique domestication - Institut Jacques Monod
http://ijm2.ijm.jussieu.fr/ijm/research/research-groups/
Sito del gruppo di ricerca di Paleogenetica dell'istituto Jacques Monod di Parigi
The Extinction Website - Species Info - Bos primigenius
www.petermaas.nl/extinct/speciesinfo/aurochs.htm
CNRS - Centre National de Recherche Scientifique
www.cnrs.fr

Fonte: Le Scienze Web News

venerdì 2 luglio 2010

L’estate della bassa padana è terribile



L’estate della bassa padana è terribile. Ho visto polli che giravano su se stessi  convinti di essere nei girarrosto 

giovedì 1 luglio 2010

L’UOMO DI NEANDERTHAL IN TERRA PADANA: INTERVISTA A LAURA LONGO CONSERVATORE DI PREISTORIA DEL MUSEO DI STORIA NATURALE DI VERONA

L'occipitale  neandertalIano  del riparo Mezzena.

La Dottoressa Laura Longo, Conservatore di Preistoria del Museo di Storia Naturale di Verona, è la coordinatrice delle ricerche sui Neandertaliani e gli Uomini anatomicamente moderni (H. sapiens) convissuti in terra padana per circa 3/5000 anni. La abbiamo intervistata per voi.

Quando l’uomo di Neanderthal si stabilì in terra padana?

Abbiamo notizie della presenza neandertaliana nel nord Italia a partire da almeno 150.000 anni fa, forse anche un po’ prima.

Cosa attirò i Neandertaliani, e poi gli Uomini anatomicamente moderni (H. sapiens), sui monti veneti?

I Monti Lessini, i Berici, gli Euganei e le prealpi venete più in generale, sono disposti in modo che il sole li illumina e riscalda durante tutto l’arco della giornata. E durante i periodi glaciali questo aspetto non era certo da sottovalutare. Poi sono ricchi di strati calcarei in cui il carsismo ha scavato grotte e ripari, che sono i naturali ricoveri dei gruppi umani preistorici. Sono tutte aree ricche di selce, la roccia a frattura concoide che l’uomo preistorico ha sempre usato per costruire i propri strumenti. Sono zone ricche di acqua e quindi attiravano gli animali che diventavano facile preda dei cacciatori e raccoglitori preistorici. Insomma i monti veneti erano una specie di paradiso per Neandertaliani e Uomini anatomicamente moderni.

Quali furono le cause che portarono all’estinzione dell’uomo di Neandertal e al predominio Uomo anatomicamente moderno?

I dati provenienti dalle ricerche condotte dal mio gruppo di lavoro, ci inducono a ragionare sui cambiamenti di comportamento che imponeva la convivenza, nella stessa area, di due gruppi umani diversi. Stiamo lavorando sull’ipotesi che gli uomini anatomicamente moderni, tecnologicamente più avanzati e più numerosi dei Neandertal, abbiano “costretto” questi ultimi a cambiare le loro strategie di caccia… provocando un abbattimento dell’efficacia e quindi la capacità di “prendere” un numero minore di prede.  Questo, di fatto, avrebbe comportato un’alimentazione più scarsa…e quindi difficoltà a mantenere i gruppi neandertaliani sufficientemente numerosi per potersi riprodurre efficacemente.

Quando scopriste i primi reperti ricollegabili ai nostri antenati in terra padana?

L’uomo di Quinzano, che è attribuito all’Homo erectus – una forma precedente all’uomo di Neandertal – è stato trovato da Francesco Zorzi alla fine degli anni ’30 del secolo scorso, durante i lavori di sfruttamento di una cava di argilla. Da allora tutti i siti a fossili umani del territorio li ha scoperti lui, che era il direttore del Museo di Storia Naturale di Verona.

Come avete gestito le varie campagne di scavo archeologico?

Purtroppo la prematura scomparsa, nel 1964, di Francesco Zorzi ha lasciato un vuoto incolmabile. Siti come Riparo Tagliente, la Grotta di Fumane o la Grotta Paglicci, quest’ultima in Puglia, sono stati affidati all’esterno del Museo a varie università italiane.
Ma i fossili del Riparo Mezzena, quello del famoso Neandertal dai capelli rossi, sono ancora saldamente nelle mani del Museo di Verona e il loro studio è stato recentemente ripreso con successo. Purtroppo la Soprintendenza non ha concesso il permesso per riprendere gli scavi…

Quali sono stati i risultati più importanti?

La ripresa delle ricerche sulla collezione di Riparo Mezzena, presso Avesa, ha permesso di dimostrare che i frammenti di cranio e la mandibola sono appartenuti ad un neandertaliano, grazie alle analisi del DNA. Sempre le analisi del DNA nucleare hanno permesso di individuare un gene – l’ Mc1R – che codifica per il colore della pelle che era chiara. La pelle chiara è associata a occhi azzurri e capelli di colore rosso. Questi risultati eccezionali hanno avuto l’onore di essere stati pubblicati da “Science” nel 2007, il più importante giornale scientifico del mondo.  Dal collagene estratto dai medesimi campioni abbiamo lavorato sull’identificazione degli isotopi dell’Azoto e dello Zolfo e abbiamo così recuperato informazioni sulle abitudini alimentari… sembra che non se la passassero troppo bene…

Su cosa si basano le nuove datazioni?

Sempre sui campioni di collagene del Mezzena abbiamo ottenuto la prima datazione diretta che sia mai stata fatta su un fossile umano italiano (e sono solo 6 in tutto il mondo!).
Le date che si discostano per poco meno di 1000 anni una dall’altra, attestano la presenza dei neandertaliani dai capelli rossi a Mezzena intorno a 33.500 anni fa.  Alla Grotta di Fumane, nella valle a fianco del Vajo Gallina, a pochi km di distanza in linea d’aria da Riparo Mezzena, già viveva da almeno 3000 anni l’uomo anatomicamente moderno.  Il grande antagonista, il cui comportamento più moderno ha purtroppo causato la scomparsa degli ultimi neandertaliani dai Monti Lessini. E la storia può essersi ripetuta anche in altri contesti simili delle prealpi venete.

Come procederanno le future ricerche?

A Soprintendenza piacendo… speriamo che ci lascino finalmente riprendere gli scavi. I risultati finora ottenuti sono eccezionali… speriamo che li convincano a lasciarci lavorare!

Fonte: srs di Martina Calogero  da ArcheoRivista del  26 settembre  2009
Link: http://www.archeorivista.it/

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Neanderta che passione: Le novità degli studi condotti sui fossili umani di Riparo Mezzena, Verona

La dott.ssa Laura Longo ed il dr. Lucio Milani(gruppo del Prof. D. Caramelli dell'università di Firenze) al Museo di Verona nelle sale espositive


[28/09/2009]


Sono venuti da tutta Europa, ma molti anche dal resto del mondo, gli archeologi che si sono riuniti a Riva del Garda la settimana dal 15 al 20 per una full immersion sulle ultime novità riguardanti le scoperte più eccezionali. L'invito è stato fatto dalla Soprintendenza Archeologica della Provincia di Trento all'European Association of Archaeologists (EAA) e circa 700 studiosi hanno risposto calorosamente: ci saremo.

Sono moltissime le sessioni proposte dal gotha dell'archeologia europea ma per l'Italia riveste particolare importanza la sessione dedicata al periodo che vede la trasformazione dell'Eurasia in un territorio sempre più freddo e ostile come testimoniato dall'inasprimento climatico imposto dall'ultima glaciazione.

Infatti la posizione geografica della penisola italiana la colloca in un contesto favorevole rispetto ai territori a Nord delle Alpi. L'Europa mediterranea di cui l'Italia fa parte si è dimostrata essere un'ottima area rifugio per le ultime popolazioni nendertaliane.

Lo testimoniano i ricchi contesti delle grotte presso Gibilterra, quelle del promontorio del Circeo e spostandosi verso sud est quelle dell'area del Salento e della Grecia. Ma anche la pianura padana orientale e i Monti Lessini, in particolare, seppure più settentrionali, giocano un ruolo chiave.

Nel Simposio – organizzato da Laura Longo, Conservatore di Preistoria del Museo di Storia Naturale - intitolato "Up-dating the Reasoning on Middle to Upper Palaeolithic Biological and Cultural shift in Eurasia" che ha visto la partecipazione di più di venti relatori, tra i più prestigiosi ricercatori del settore, si è discusso proprio delle ultime novità in fatto di ultimi neandertaliani e del loro possibile incontro con i primi uomini anatomicamente moderni.

Dall'Africa alla Siberia verranno presentati i dati aggiornati delle più significative ricerche attualmente in corso sull'Uomo di Neandertal e sul suo rapporto (chissà …magari coesistenza per un certo periodo) con la forma umana moderna, la nostra specie. Nuove datazioni: tendono a dimostrare che il Neandertal è sopravvissuto molto più a lungo di quello che si pensava.

Nuovi dati genetici: sembrerebbe proprio che l'uomo sapiens moderno e l'Uomo di Neandertal non avessero molto in comune, cosa che renderebbe impossibile l'affascinante, ma poco probabile, ipotesi del meticciamento.

E i dati sulla paleonutrizione che ci vengono dalle analisi degli isotopi, quali l'Azoto e il Carbonio, o lo Zolfo.

Verona gioca un ruolo fondamentale in tutto questo grazie ai suoi fossili umani.

In particolare le nuove analisi condotte dall'equipe internazionale – nell'ambito del progetto "Fossili umani veronesi" coordinato da L. Longo del Museo di Storia Naturale – gettano nuova luce sui rapporti intercorsi tra gli ultimi neandertaliani che sono sopravvissuti sui Monti Lessini - in particolare al Riparo Mezzena, sopra Avesa - fino a circa 33.000 anni fa, quando nel territorio veronese già facevano le loro scorribande gli uomini anatomicamente moderni.

Queste nuove datazioni sono state condotte da Elisabetta Boaretto, del Weizmann Institute di Gerusalemme, che ha lavorato con il DNA prelevato dal medesimo frammento di fossile umano su cui David Caramelli, dell'Università di Firenze, ha estratto le sequenze di DNA mitocondriale ma sopratutto di DNA nucleare (escludendo così ogni parentela con il sapiens moderno).

L'ultimo pezzo del frammento è servito a Marcello Mannino, del Max Planck Institute di Liepzig, per elaborare il DNA mitocondriale e trarre informazioni preziose dagli Isotopi, utilissimi per capire il tipo di dieta degli ultimi neandertaliani, rifugiatisi nelle accoglienti e assolate vallate dei Monti Lessini.

Le difficoltà incontrate dagli ultimi neandertaliani, evidenti nelle patologie che la mandibola femminile di Mezzena presenta, verranno illustrate da Silvana Condemi, del CNRS di Marsiglia. Dello studio delle faune si occupano Ursula Thun e Benedetto Sala, dell'Università di Ferrara.

"Io e il mio collega Paolo Giunti ci occupiamo di capire come lavorassero la selce per realizzare tutte le trasformazioni e le operazioni utili alla sopravvivenza in condizioni non proprio comodissime" dice Longo. "Un lavorone coordinare tutti questi studiosi sparsi in mezzo mondo…" ma per Laura Longo, che nel frattempo è appena rientrata dal Caucaso dove fa parte dell'equipe internazionale che studia l'Uomo di Dmanisi, il più antico ominide arrivato in Europa quasi 2 milioni di anni fa, si tratta di una "grande fortuna".

Il Museo di Verona grazie a queste ricerche è tornato ad essere al centro della scena accademica mondiale in fatto di paleoantropologia e non a caso i più importanti studiosi di questo tema hanno risposto con entusiasmo alla "chiamata" di Laura Longo per incontrarsi e discutere delle "novità preistoriche" a Riva del Garda.

Infatti i nuovi dati emersi dal proseguimento del progetto "Fossili umani veronesi" hanno permesso di proporre uno scenario possibile per comprendere il cruciale periodo del passaggio di testimone tra gli ultimi neandertaliani e gli uomini anatomicamente moderni che li hanno sostituiti.

"Niente di cruento" afferma Longo "ma i dati estrapolati dagli studi in corso sui fossili umani di Riparo Mezzena sembrano condurre coerentemente verso l'ipotesi – in discussione – che tra i 36 e 33.000 anni fa sui Monti Lessini si sia consumata la fine dei Neandertaliani.

Una specie umana che ha avuto un successo enorme, è durata quasi 200.000 anni, attraversando diverse fasi climatiche - a volte vere e proprie crisi climatiche – e che nonostante il miglioramento delle condizioni ambientali durante l'interpleniglaciale Wurmiano (stadio isotopico 3) si sono rifugiati in aree molto ospitali come i Monti Lessini, ricchi di grotte e ripari, animali da cacciare, e tanta, tantissima selce di ottima qualità.

Ma condizioni così favorevoli facevano gola anche ai nuovi arrivati, i tecnologicamente più sofisticati uomini moderni, che entrano in competizione con i neandertaliani che necessitavano di un areale molto ampio per le loro strategie di sussistenza.

"I nuovi arrivati possono essere state concause dell'estinzione dell'Uomo di Neanderthal."
Il quadro delle ultime ricerche verrà fissato sulla carta stampata appena possibile, visto che l'attivissima Conservatrice del Museo ha già incassato il "si stampi" di un'importante rivista a diffusione mondiale come Quaternary International della casa editrice Elsevier (leader mondiale per l'editoria scientifica). In questo modo sarà disponibile anche per il grande pubblico che potrà continuare a seguire la saga degli ultimi neandertaliani. Ma altre cose bollono in pentola… state collegati

Per ulteriori informazioni e materiali contattare:

Dr., PhD Laura Longo -
E-mail: longo10 [AT] unisi.it
Mobile.: +39.347.3638792
Convenor del Simposio
"Up-dating the Reasoning on Middle to Upper Palaeolithic Biological and Cultural shift in Eurasia"

A Annual Meeting – Riva del Garda, 15-20 settembre 2009-09-11



Fonte:  da  Le schienze de  28 settembre  2009





VERONA: A PIAZZA CORRUBIO DOPO LE TOMBE ORA SPUNTA UN’ABSIDE

L'abside di  Piazza Corrubio

VERONA - Nuove cartucce da sparare per il comitato di San Zeno che controlla costantemente gli scavi di piazza Corrubbio.
In superficie è emerso un nuovo ritrovamento sul quale gli archeologici hanno già a lungo lavorato, mettendo ora completamente in luce i resti di una struttura absidata, in muri di grossi ciottoli di fiume, probabilmente la base di una tomba monumentale o di una piccola chiesa, nella parte dello scavo vicina alla pasticceria sotto la quale era già stata trovata  un’altra struttura simile. Le mura sono circondate da altre sepolture non in semplici coppi di cotto, come tante altre ritrovate (sono circa duecento le tombe emerse fino a questo momento), ma in pietra di Prun.
Si tratta; come in tutti gli altri ritrovamenti di piazza Corrubbio di una struttura di cui resta appunto solo la base  perché  come in altre occasioni ha spiegato la Soprintendenza ai Beni Archeologici, tutta la necropoli si trova ad un livello molto superficiale tanto da essere stata in passato profondamente danneggiata e completamente tagliata in superficie.  Ma se questo è visibile ad occhio nudo, ciò che il comitato contesta, sostenuto da Alberto Solinas, appassionato conoscitore di archeologia e di storia veronese, è appunto la decisione di fermare gli scavi ad un livello così superficiale.
«Se è vero  che le tombe sono state tagliate in superficie («cimate», è il termine tecnico, ndr) - spiega Solinas - è anche vero che se si andasse a scavare più in profondità si troverebbero i resti delle sepolture precedenti a questa necropoli che risale all'ottavo o nono secolo».
Ma non è l'unica obiezione che il comitato muove alla Soprintendenza e al metodo con cui sta svolgendo lo scavo, che si sta svolgendo con tempi molto lunghi- a causa soprattutto dei molti scheletri da liberare che affiorano - sotto la pressante  attenzione non solo del comitato, ma anche della ditta appaltatrice del futuro garage interrato.
 «Il fatto che le tombe siano senza corredo - spiega Solinas - non è legato tanto ad  una spoliazione, ma solo al fatto che i  primi cristiani si volevano presentare a Dio senza beni terreni». 

Il comitato spera che quest’ultimo ritrovamento possa fermare i lavori, anche se nessuna comunicazione ufficiale è stata  fatta al momento in merito da parte della Soprintendenza:
«In altri casi, come nella zona dietro l’abside di San Zeno o in piazza Arditi   continua Solinas - ritrovamenti molto simili, mura e tombe in pietra di Prun, sono stati conservati, quindi ci auguriamo che quest'ultimo ritrovamento in piazza Corrubbio sia ritenuto, allo stesso modo, degno di essere tutelato e conservato.  Altrimenti non se ne capisce la logica».

Fonte: srs di  Camilla Bertoni da il Corriere Verona del  30 giugno 2010