giovedì 30 agosto 2018

LE INVASIONI MIGRATORIE SARANNO L’INGREDIENTE FATALE CHE SCIOGLIERÀ L’UNIONE EUROPEA




Invece di portare alla fusione, la crisi migratoria europea sta portando alla fissione”, ha scritto lo storico di Stanford Niall Ferguson. 
Sono sempre più convinto che la crisi migratoria sarà vista dai futuri storici come l’ingrediente fatale che ha sciolto l’Unione Europea”. Settimana dopo settimana, la previsione di Ferguson sembra trasformarsi in realtà.

Non solo l’Europa continua a frammentarsi poiché il sentimento anti-immigrazione acquista forza politica, ma in seguito alla crisi migratoria, la zona interna all’Unione Europea senza frontiere, il gioiello più prezioso del nostro continente dopo la seconda guerra mondiale, è ora definita “a rischio” dal governo italiano, ma anche da parte di altri governi, come l’Austria.

L’immigrazione sta inoltre ridefinendo l’accordo intraunionale.

La Cechia, l’Ungheria, la Polonia e la Slovacchia, il cosiddetto “gruppo di Visegrad”, hanno recentemente invocato la difesa delle frontiere UE. “Noi dobbiamo avere un’Europa in grado di difenderci”, ha affermato il cancelliere austriaco Sebastian Kurz, dopo essere stato invitato a partecipare alla riunione dei Paesi di Visegrad.

Anche il nuovo governo populista italiano, dopo che l’Italia ha visto arrivare sulle proprie coste più di 700 mila migranti negli ultimi cinque anni, ha adottato una linea intransigente. Il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha di recente chiuso i porti italiani alle navi cariche di migranti. In Germania, dopo che la cancelliera tedesca si è scontrata sul tema dell’immigrazione con il ministro dell’Interno Horst Seehofer, la politica migratoria potrebbe anche portare alla fine del mandato della Merkel.

 “Il nuovo governo populista italiano segna una grande sfida per lo status quo europeo, ma non nel modo in cui la maggior parte degli osservatori si aspettava inizialmente”, ha di recente commentato Walter Russell Mead sul “Wall Street Journal”. “La coalizione di governo ha messo da parte la sua sfida alla politica dell’euro. Invece la sta trasformando in un argomento su cui l’establishment europeo è più vulnerabile: l’immigrazione”.

L’intero consenso politico europeo si sta frammentando sotto l’impatto sismico delle ondate migratorie. La migrazione verso l’Europa è diventata una questione politica “tossica come sempre”, ha osservato il “New York Times” in merito al dibattito in corso nell’Unione europea. L’attuale problema dell’UE sembra derivare da una sordità tra le élites politiche, che si rifiutano di prendere in considerazione i problemi che i loro cittadini si trovano ad affrontare a causa di un’immigrazione di massa non controllata.

Negli ultimi anni, le migrazioni di massa hanno solo creato gravi problemi alla stabilità interna dell’Europa. Innanzitutto, c’è stata una sfida alla sicurezza. 

Secondo un nuovo rapporto della Heritage Foundation:
Dal 2014, quasi mille persone sono state ferite o uccise in attacchi terroristici perpetrati da richiedenti asilo o profughi. Negli ultimi quattro anni, il 16 per cento degli attentati terroristici islamisti in Europa sono stati compiuti da richiedenti asilo o profughi. L’ISIS ha legami diretti con la maggior parte degli attentati, con la Germania che è stata colpita più frequentemente, e i siriani che sono maggiormente coinvolti rispetto a qualsiasi altra nazionalità. Quasi tre quarti degli attentatori entrano in azione, o vedono sventare i loro piani, entro due anni dall’arrivo in Europa.

Dal gennaio 2014,…44 rifugiati o richiedenti asilo sono stati coinvolti in 32 attacchi terroristici islamisti in Europa. Questi attacchi hanno causato 814 feriti e 182 morti.

C’è anche una sfida importante per la coesistenza etnica e religiosa posta dall’immigrazione. Gli ebrei francesi sono vittime di una forma di pulizia etnica, secondo un manifesto firmato, tra gli altri, dall’ex presidente francese Nicholas Sarkozy e dall’ex premier francese Manuel Valls. “Il dieci per cento dei cittadini ebrei della regione di Parigi sono stati di recente costretti a spostarsi perché non erano più al sicuro in certi quartieri”, si legge nel manifesto. “Questa è una pulizia etnica silenziosa.”

La minaccia che l’Europa sta affrontando, se si rifiuta di chiudere i confini e controllarli, viene analizzata da Stephen Smith, un esperto di Africa apprezzato dal presidente francese Emmanuel Macron, nel suo nuovo libro La ruée vers l’Europe
Oggi, egli osserva, vivono nell’Unione Europea 510 milioni di persone, a fronte di 1,3 miliardi di africani. “In trentacinque anni ci saranno 450 milioni di europei per 2,5 miliardi di africani, cinque volte di più”, prevede Smith. Se la migrazione africana seguisse l’esempio di altre parti del mondo in via di sviluppo, come i messicani negli Stati Uniti, “tra trent’anni l’Europa avrà da 150 a 200 milioni di afro-europei, rispetto ai 9 milioni di oggi”. Smith chiama questo scenario “Eurafrica”. La più grande ondata migratoria dopo la seconda guerra mondiale è diventata anche un problema sempre più urgente, visto che le popolazioni autoctone europee continuano a invecchiare e a diminuire di numero.

Il controverso sistema di quote per la ripartizione dei migranti ha già dato esiti fallimentari. Inoltre, i governi europei non possono espellere i migranti. Nel 2012, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo condannò il governo italiano ordinandogli di pagare migliaia di euro a 24 immigrati che erano stati respinti in mare verso le coste libiche. Le autorità italiane avevano intercettato i migranti nel Mar Mediterraneo mentre cercavano di raggiungere Lampedusa dalla Libia. Tre anni dopo, la corte europea condannò di nuovo il governo italiano per respingimento di migranti. La CEDU ha inoltre condannato la Spagna per aver proceduto all’espulsione di un gruppo di 75-80 migranti dall’enclave di Melilla. Ha poi condannato l’Ungheria per detenzione di profughi. 
Che cosa suggeriscono le autorità di Bruxelles? Portare tutti in Europa?
Andrew Michta, decano del College of International and Security Studies al George C. Marshall European Center for Security Studies, di recente ha scritto che con queste migrazioni di massa le democrazie europee rischiano la “decomposizione”. Non vedremo soltanto la “fissione” della già fragile Unione Europea, ma anche quella della civiltà occidentale.


Fonte: srs di Giulio Meotti, da etnie  del 12 agosto 2018 
Link: http://www.rivistaetnie.com/invasioni-migratorie-unione-europea-101180/ù

martedì 28 agosto 2018

PAPA BERGOGLIO E I MIGRANTI: «SE NON SI PUÒ INTEGRARE, MEGLIO NON ACCOGLIERE»



Durante l’intervista sul volo di ritorno da Dublino, al Papa è stato chiesto un giudizio sulla vicenda italiana della nave Diciotti e sul tema dell’immigrazione. «Accogliere lo straniero è un principio morale», ha ribadito il Pontefice. «Ma non si tratta di accogliere “alla belle étoile”, no, ma un accogliere ragionevole». Perciò occorre parlare «della prudenza dei popoli sul numero o sulle possibilità: un popolo che può accogliere ma non ha possibilità di integrare, meglio non accolga. Lì c’è il problema della prudenza. E credo che proprio questa sia la nota dolente del dialogo oggi nell’Unione Europea».

Salta così, una volta di più, l’immagine costruita da certi media di un Pontefice immigrazionista, schierato irrazionalmente per un’accoglienza selvaggia dei migranti. Non è la posizione della Chiesa. Il Papa ha anche citato la Svezia: «La Svezia è stata un modello. Ma, in quel momento, la Svezia incominciava ad avere difficoltà: non perché non avesse buona volontà, ma perché non aveva le possibilità di integrazione», di migranti. Giudizi in continuità con quanto aveva già detto tante altre volte. Ma avvertendo anche prudenza nel volerli rimandare indietro: «Ho visto in un filmato registrato di nascosto dove si vede ciò che succede a coloro che vengono rimandati indietro e che sono ripresi dai trafficanti. È doloroso: le donne e i bambini sono venduti, ma gli uomini ricevono le torture, le più sofisticate. Prima di rimandarli indietro, si deve pensare bene, bene, bene».

La situazione della Diciotti e della poco umana condizione dei 134 migranti eritrei a bordo da giorni si è sbloccata solo grazie alla disponibilità mostrata dalla Conferenza Episcopale Italiana che garantirà l’accoglienza a un centinaio di migranti. Una ventina, invece, saranno accolti dall’Albania, con la quale la Farnesina ha stretto un accordo. E altri 20-25 dall’Irlanda. Il ministro Salvini ha ringraziato i vescovi italiani ma è finitosotto inchiesta per sequestro di persona a scopo di coazione. Il portavoce della CEI, don Maffeisha dichiarato«è stata una soluzione concordata con il ministero dell’Interno per sbloccare una situazione dolorosa ed insostenibile». In una recente indagine si è dimostrato che il 60% delle diocesi italiane ha aperto le porte all’accoglienza degli immigrati, facendo seguire atti concreti agli appelli.

Il Papa, nella medesima intervista, si è mostrato abbastanza informato della situazione italiana, rispondendo: «Il cardinale Gualtiero Bassetti ha seguito la vicenda dall’Irlanda, e il sotto-segretario don Ivan Maffeis, negoziava col ministro. Non so come sia stato il negoziato, credo che i migranti saranno accolti a Rocca di Papa, nella comunità del Mondo Migliore e che saranno più di cento».

A proposito di interventi papali, durante l’Incontro mondiale delle Famiglie si è parlato di centralità della famiglia nella vita cristiana, di perdono, di educazione, di evangelizzazione e di preghiera quotidiana all’interno del nucleo familiare. I media cattolici hanno ben ripreso tutti gli interventi e ad essi rimandiamo. In questo contesto segnaliamo solamente quelli relativi a tematiche sensibili, come quello della vita nascente, anche in considerazione del recente referendum irlandese vinto dalla cultura abortista. «La crescita di una “cultura dello scarto” materialistica»ha affermato il Pontefice incontrando il corpo diplomatico, «ci ha di fatto resi sempre più indifferenti ai poveri e ai membri più indifesi della famiglia umana, compresi i non nati, privati dello stesso diritto alla vita». Poche ore dopo, ha ribadito«Il mondo ci dice di essere forti e indipendenti, curandosi poco di quanti sono soli o tristi, rifiutati o ammalati, non ancora nati o moribondi». E, in una terza occasione«Quanto è sempre difficile perdonare quelli che ci feriscono! Che sfida è sempre quella di accogliere il migrante e lo straniero! Com’è doloroso sopportare la delusione, il rifiuto, il tradimento! Quanto è scomodo proteggere i diritti dei più fragili, dei non ancora nati o dei più anziani, che sembrano disturbare il nostro senso di libertà».

Francesco ha anche sottolineato che «anche nelle ore più buie dell’Irlanda», i cittadini «hanno trovato nella fede la sorgente di quel coraggio e di quell’impegno che sono indispensabili per forgiare un avvenire di libertà e dignità, giustizia e solidarietà. Il messaggio cristiano è stato parte integrante di tale esperienza e ha dato forma al linguaggio, al pensiero e alla cultura della gente di quest’isola». Inoltre, ha chiesto che il battesimo dei bambini avvenga il prima possibile, perché «nella famiglia si ha cura di ciascuno, perché Dio nostro Padre ci ha resi tutti suoi figli nel Battesimo. Ecco perché continuo a incoraggiare i genitori a far battezzare i figli appena possibile, perché diventino parte della grande famiglia di Dio. C’è bisogno di invitare ciascuno alla festa, anche il bambino piccolo! E per questo va battezzato presto. E c’è un’altra cosa: se il bambino da piccolo è battezzato, entra nel suo cuore lo Spirito Santo. Facciamo una comparazione: un bambino senza Battesimo, perché i genitori dicono: “No, quando sarà grande”, e un bambino con il Battesimo, con lo Spirito Santo dentro: questo è più forte, perché ha la forza di Dio dentro!». Ed, infine, ha ribaditol’importanza dell’insegnare il segno di croce ai più piccoli e il suo significato: «Voi insegnate ai bambini a fare il segno della croce? Sì o no? O insegnate a fare qualcosa così, che non si capisce cosa sia? E’ molto importante che i bambini da piccolini imparino a fare bene il segno della croce: è il primo Credo che imparano, il Credo nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo. Questa sera, prima di andare a letto, voi genitori domandatevi: insegno ai miei figli a fare bene il segno della croce? Pensateci, è cosa vostra!».

Come si è già accennato, basta seguire serenamente la vita della Chiesa attraverso gli organi ufficiali per accorgersi di quanto sia falsa l’immagine che i media dipingono addosso a Francesco. Con la nascita di VaticanNews la comunicazione vaticana è decisamente migliorata e si è modernizzata ma forse andrebbe fatto di più per inibire questo fenomeno di idealizzazione sbagliata.

Essendo stata pubblicata l’intervista ufficiale e integrale al Papa sull’aereo, citiamo anche quanto il Pontefice ha detto riguardo alle accuse nei suoi confronti avanzate dall’ex nunzio Carlo Maria Viganò«leggete voi, attentamente, il comunicato e fate voi il vostro giudizio. Io non dirò una parola su questo. Credo che il comunicato parla da sé stesso, e voi avete la capacità giornalistica sufficiente per trarre le conclusioni. E’ un atto di fiducia: quando sarà passato un po’ di tempo e voi avrete tratto le conclusioni, forse io parlerò. Ma vorrei che la vostra maturità professionale faccia questo lavoro: vi farà bene, davvero».

La redazione


Fonte: da uccr del 27agosto 2018 

giovedì 16 agosto 2018

CHIUNQUE SIA DI GENOVA



Domenica del Corriere, 1 marzo 1964  Ponte Morandi    



Chiunque sia di Genova ...sa che li sotto di morti ce ne sono tanti, ma tanti. 

Chiunque sia di Genova sa che cambierà tutto a Genova, che finiscono per sempre gli anni ’60 e le loro illusioni di futuro. 

Chiunque sia di Genova sa che sarà un inferno spostarsi, viverci. Sarà impossibile raggiungere l’aeroporto, spostarsi un treno verso nord (la ferrovia passa li sotto), sarà impossibile andare a Ovest, in Francia.

Chiunque sia di Genova sa che bastava già prima un nonnulla per bloccare la città: uno sciopero dei trasportatori, un incidente sulla A10, il vento di tramontana che impedisce ai tir di scaricare il carico perchè le navi portacontainer con il vento di tramontana si mettono di traverso e non si possono gestire gli scarichi. 

Chiunque sia di Genova sa che non si tratterà solo di code o rallentamenti, ma di cambiare abitudini di vita, di trasporto, di mobilità, di scambio di beni. 

Chiunque sia di Genova sa che non parliamo di giorni o settimane o mesi, ma di anni (e non pochi). 

Chiunque sia di Genova sa che, che chi non è di Genova non capisce che non riguarderà solo noi genovesi o liguri ma l’Italia, dal nord Ovest al mare e da est o ovest. Da oggi la Spagna (e la Francia) sono molto più lontane. 

Chiunque sia di Genova sa che il ponte era sottocontrollo e manutenzione da vent’anni (o giù di li) e che OGNI notte vi si transitava in direzione alternata perchè nutrite squadre di manutentori (eroici) calati come acrobati o alpinisti tentavano l’impossibile: salvare una infrastruttura insalvabile.

Chiunque sia di Genova sa che il ponte, nonostante gli interventi, i finanziamenti, gli ingegneri ed i tecnici era condannato e sarebbe venuto giù. Era condannato perchè la legge di gravità non ammette deroghe e quel cemento era fatto per durare meno e chi lo aveva progettato non poteva neanche immaginare che avrebbe dovuto tollerare un traffico ed un carico cento volte superiore a quello che aveva previsto il grande Architetto Morandi, che per quanto visionario e progressista e bravo non aveva la sfera di cristallo. 

Chiunque sia di Genova sa che si poteva solo chiuderlo e demolirlo. 

Chiunque sia di Genova quando ci transitava sopra era contento di essere arrivato dall’altra parte. 

Chiunque sia di Genova sa che sotto ci sono altre strade, la ferrovia che porta a Milano, e molti palazzi, di poveracci, ma grandi e popolati. 

Chiunque sia di Genova sa che la bruttezza di vivere sotto un ponte è una sorte che non è data solo ai clochard. 

Chiunque sia di Genova sa era impossibile chiudere l’unica autostrada che collega l’Italia con la Francia sul mare e che l’unica possibilità (è la morfologia del territorio che è tiranna) sarebbe stata costruire la cosiddetta “gronda”, ovvero una bretella un po’ più a nord che consentisse al grosso traffico pesante (che non deve entrare a Genova ma solo transitarci per andare da est o ovest o viceversa) di bypassare il ponte Morandi. 

Chiunque sia di Genova (e non sia stupido o in mala fede) non può non saperlo. 

Chiunque sia di Genova non può dire che la gronda non serve! Ma alcuni si, invece, e proprio di Genova lo hanno detto, e sbraitato. E hanno anche convinto altri (che di Genova non sono) a sbraitare senza conoscere. Si, sbraitare senza conoscere.
I media stanno dando le notizie con il contagocce, centellinano il numero di morti, inframmezzano le notizie della tragedia con il ritrovamento di qualche ferito. Piove, si forte. Pare che la causa del crollo sia stato un fulmine. Lo ritengo plausibile, erano dei tiranti metallici “a sostenere” (messi dopo, come “tapullo”) il secondo ponte d’Europa - ma il primo quando fu costruito negli anni ’60.

Io mi vergogno di non avere avuto il coraggio di intervenire pro-gronda con forza, perchè abito altrove e perchè non avevo voglia di litigare con i tanti (ex)amici contrari a priori. In un lungo processo partecipativo di una decina di anni orsono, portato avanti dalla Giunta Vincenzi, fra i vari tracciati possibili, uno era stato faticosamente scelto. Non se ne è più fatto nulla, molta acqua è passata sotto i ponti...

Ma oggi il governo del cambiamento ha decretato: “niente gronda” è un lavoro inutile.

Fonte: srs di Giovanna Sissa, da facebook del 14 luglio 2018-08-15


mercoledì 15 agosto 2018

LE STELLE SONO CONCORDI SUL MESE IN CUI NASCONO I GENI




Gli studiosi sono categoricamente contro l’astrologia e le credenze per cui la data di nascita abbia una qualche influenza sul destino della persona. Tuttavia, chi nasce in inverno vive più a lungo, chi in autunno ha migliori risultati a scuola e chi in estate ha più successo nello sport.

Gli studiosi sono categoricamente contro l'astrologia e le credenze per cui la data di nascita abbia una qualche influenza sul destino della persona. Tuttavia, chi nasce in inverno vive più a lungo, chi in autunno ha migliori risultati a scuola e chi in estate ha più successo nello sport. A tutto questo c'è una spiegazione razionale.

Chi nasce ad agosto ha buone probabilità di diventare un giocatore della nazionale di calcio francese, belga o olandese. Siete nati tra settembre e novembre? Per voi è meglio la Premier League inglese. Se volete che vostro figlio diventi un giocatore di hockey di successo, pianificate la sua nascita per il primo semestre dell'anno.
Queste non sono raccomandazioni dell'astrologo, ma deduzioni fatte sulla base di alcune ricerche scientifiche.

I calciatori russi nascono a gennaio

Ad esempio, in Belgio, Francia e Olanda il culmine di nascite di calciatori si ha ad agosto e poi il loro numero diminuisce raggiungendo la cifra minima a luglio. Nella Premier League inglese la maggior parte dei giocatori festeggia il compleanno in autunno e attualmente tra le stelle del calcio inglese non vi è nessuno che sia nato tra maggio e agosto. I giocatori di hockey canadesi, al contrario, nascono solitamente nella prima metà dell'anno, tra gennaio e maggio.

"Questa correlazione non sottende a un legame di causa-effetto. È come la diminuzione del numero di pirati e il riscaldamento del pianeta. Queste deduzioni potrebbero rivelarsi errate o non valide, ma si può tentare di proporre una spiegazione teorica di questo fenomeno. Ad esempio, a seconda del mese in cui nasce una persona, questa sarà senior o junior nel suo gruppo sportivo. Questo può influire sui suoi successi rispetto agli altri allievi e sulla sua successiva carriera. In età infantile una differenza di alcuni mesi è significativa", spiega Aleksandr Panchin, dottore di ricerca in scienze biologiche, vincitore del premio "Prosvetitel" e membro della commissione per la lotta alle pseudoscienze e alla falsificazione delle ricerche scientifiche presso l'Accademia nazionale russa delle scienze.

Nella scienza questa suddivisione asimmetrica delle date di nascita degli atleti viene chiamata "effetto dell'età relativa" (Relative age effect, RAE). Secondo gli studi, il RAE è riscontrabile nelle federazioni sportive di praticamente tutto il mondo. In Russia fra i calciatori primeggiano quelli nati nella prima metà dell'anno, in particolare a gennaio.

Spiegare il RAE è semplice: per scegliere gli allievi le accademie calcistiche prendono in considerazione solo l'anno di nascita. Per questo, gli sportivi nati a gennaio hanno un vantaggio sugli altri.

Nascere in autunno vuol dire vivere a lungo

La data di nascita può anche influire sulla prospettiva di vita. Chi nasce in autunno e in inverno vive più a lungo. Il destino peggiore è quello riservato a chi nasce a marzo: solo il 4% di loro vive fino a 100 anni. Sarebbe un errore interpretare in tal modo i resultati di una ricerca condotta da studiosi della Chicago University che hanno analizzato i dati di 1500 persone nate tra il 1880 e il 1895 a Chicago.

Secondo gli studi di Alexander Lerchl, professore della Jacobs University di Brema, i tedeschi nati tra ottobre e dicembre vivono in media più a lungo di quelli nati tra maggio e giugno. Dati simili sono emersi dalle ricerche degli studiosi dell'Università di Berkeley in California che hanno comparato la prospettiva di vita nei diversi emisferi della Terra. È risultato che i longevi austriaci e danesi nascono più spesso tra settembre e dicembre, mentre quelli australiani tra marzo e giugno.

Una delle spiegazioni più probabili è da rintracciare nell'alimentazione della madre durante la gravidanza. Le donne che partoriscono in autunno e in inverno portano in grembo il bambino durante i periodi caldi dell'anno, cioè quando c'è molta frutta e verdura. Questo contribuirebbe a creare sane abitudini alimentari nei bambini. Non è possibile controllare scientificamente questa deduzione, ma si potrebbe prendere ad esempio una ricerca sui topi la quale ha dimostrato che, se il topo femmina durante la gravidanza ha ingerito cibo calorico con un elevato contenuto di grassi, i topi figli in seguito erano inclini a cibarsi di cibo per loro dannoso e soffrivano di obesità.

Partorire con la testa

Secondo i dati del National Bureau of Economic Research (USA), i bambini più intelligenti e diligenti nascono a settembre. I ricercatori hanno analizzato i profitti scolastici di più di un milione di scolari tra i 6 e i 15 anni. È emerso che i bambini nati ad agosto avevano i profitti più bassi, mentre quelli nati a settembre non solo avevano buoni voti a scuola ma erano anche ammessi in università prestigiose.

Gli studiosi hanno una spiegazione per questo. I bambini americani vanno a scuola una volta compiuti i 6 anni. Per questo, chi nasce tra settembre e dicembre ha un vantaggio sugli altri: sono più vecchi di qualche mese rispetto ai loro compagni di classe nati in primavera o in estate. Questo può creare nei primi anni di scuola un significativo divario nel profitto.

Inoltre, i ricercatori hanno spiegato che tra i nati a settembre vi erano più bambini provenienti da famiglie agiate. I genitori pianificando la gravidanza contavano sulla nascita in autunno cosicché i figli in futuro potessero usufruire del maggior numero possibile di programmi con borse di studio.

Geni e stelle

Il legame tra genialità e data di nascita è stato studiato più volte, ma gli studiosi non sono riusciti a fare ipotesi certe. Alcuni trovano una correlazione tra l'anno di nascita degli scienziati e il conferimento del Premio Nobel. Altri sono contro a simili tentativi di determinare il grado di intelligenza in base alla stagione del concepimento o della nascita.

"I dati relativi al rapporto tra la data di nascita e il fatto che una persona possa diventare uno scienziato di successo sono spesso frutto di correlazioni errate. Se si tenta di mettere in correlazione grandi quantità di dati, è normale che alla fine qualcosa vada a correlarsi con qualcosa d'altro per ragioni di mera statistica. Tutte le ricerche in tal senso andrebbero, in primo luogo, riprodotte a partire da campioni indipendenti e, in secondo luogo, bisognerebbe sempre verificare la presenza di spiegazioni alternative per la correlazione ipotizzata",  conclude Panchin.

Fonte: da SPUTINIK del 12 agosto 2018 

domenica 5 agosto 2018

LE CAUSE REMOTE DELLA DISTRUZIONE DI GERUSALEMME E IL CONCILIO DI GERUSALEMME





PRIMA  PARTE. (1 DI 2)


Gli antefatti della distruzione di Gerusalemme  dal 7 d. C. al 66 d. C.


La distruzione di Gerusalemme nel 70 d. C. viene letta comunemente come l’avveramento di una profezia di Gesù(Lc., XIX, 411). Da allora il popolo ebraico ha perso la sua patria, che ha riacquistato solo parzialmente e con la forza nel 1948 a danno dei Palestinesi, i quali vi abitavano da circa duemila anni, ma il Tempio è andato distrutto completamente e con esso è cessato il Sacrificio della Vecchia Alleanza, che è stato rimpiazzato dall’Olocausto del Verbo Incarnato con cui è iniziata la Nuova ed Eterna Alleanza.

Gli antefatti che portarono alla conquista e distruzione di Gerusalemme da parte di Roma sono poco conosciuti.

Innanzitutto sorge spontanea la domanda sul come sia potuta avvenire una guerra talmente assurda in cui il piccolissimo popolo ebraico provocò nel 66 d. C.  il gigantesco Impero romano. Una guerra del genere non poteva che essere vinta da Roma e persa dagli Ebrei. Eppure essi non esitarono a provocare Roma, come mai?

Per poter rispondere occorre conoscere lo stato d’animo degli Ebrei di quei tempi acceso dall’Apocalittica e dal Messianismo temporale2

La Palestina, sotto il governo di Roma, non si trovava poi tanto male, ma vi fu un avvenimento che fece insorgere la maggior parte degli Ebrei contro Roma.

Quest’atto fu il censimento degli abitanti la Palestina, che Roma indisse 7 anni dopo la nascita del Salvatore. La reazione a questo censimento romano fu grande e fu capitanata da Giuda il Galileo coadiuvato da un sacerdote di nome Sadduc. Essi incitarono il popolo alla rivolta contro il censimento e l’autorità di Roma che lo aveva ordinato.

Israele si considerava la Nazione di Dio e non poteva essere censita dall’uomo, poiché ciò avrebbe significato usurpare i diritti di Dio e considerarsi il Padrone di Israele al posto di Jahveh. Flavio Giuseppe narra che i due ispiratori della rivolta anti-romana non “tolleravano padroni mortali dopo Dio” (Guerra giudaica, II, 8, 1). I Romani erano, quindi, visti come tiranni che volevano sostituirsi a Dio e i Giudei che avrebbero acconsentito a farsi censire sarebbero stati ritenuti come apostati religiosi e rinnegati nazionali. Le turbe insorsero, Roma rispose con la forza; dopo gravi disordini e scontri cruenti la ribellione fu domata, Giuda il Galileo venne ucciso e i suoi seguaci si dispersero3
Il censimento fu portato a termine anche grazie alla collaborazione dei sacerdoti con Roma, specialmente dei sacerdoti Sadducei che non erano avversi ai Romani. I Farisei, invece, aiutarono i ribelli.

Tuttavia Ricciotti commenta che la vittoria militare di Roma, moralmente divenne una “vittoria di Pirro”. Infatti l’atteggiamento di rivolta iniziato da Giuda il Galileo sopravvisse e durò tanti anni sino alle insurrezioni ebraiche contro Roma domate da Tito (70 d. C.) e da Adriano (135 d. C.). Questi, in breve, sono gli antefatti della distruzione di Gerusalemme col suo Tempio (70 d. C.) e poi della Giudea intera (135 d. C.).

I ribelli anche dopo la prima sconfitta avvenuta in concomitanza col censimento del 7 d. C. non si arresero, anzi si isolarono e si circondarono di segreto per raccogliere le loro forze. Essi provenivano dal partito dei Farisei, ma erano ancor più radicali di quelli che avevano taciuto, pur se a malincuore, di fronte al censimento romano, tuttavia aiutando nascostamente i ribelli ma non andando oltre. 

Questi ribelli ad oltranza siccome si erano dati totalmente alla causa religioso-politica di Israele vennero chiamati Zeloti, ossia zelanti. Essi si distinguevano dai Farisei solo per ragioni pratiche: la necessità di agire contro Roma e non restare in silenzio, seppure all’opposizione, ma la sostanza della loro dottrina era comune a quella dei Farisei. Il loro “zelo” era rivolto ad avere un unico Signore come Capo, anche nel campo politico: Iddio e pur di non riconoscere nessun uomo (tantomeno i Romani) come loro capo erano pronti anche a farsi uccidere (cfr. Flavio Giuseppe, Antichità giudaiche, XVIII, 1, 6). 

Tuttavia la sconfitta subìta e l’uccisione di Giuda il Galileo dimostravano abbondantemente che Roma era troppo forte per essere sconfitta in battaglia aperta e frontale. Fu così che gli Zeloti passarono alla “guerriglia”, alla congiura, alla guerra segreta e occulta. Lavorarono col pugnale che i Romani chiamavano sica e si fecero chiamare SicariSi nascondevano tra la folla e pugnalavano un Romano o un Giudeo collaborazionista, addirittura arrivavano ad incendiare un villaggio reputato filo-romano. Erano sostenuti dalla letteratura Apocalittica giudaica, dal Messianismo materiale e da un nazionalismo acceso. 

Ricciotti scrive: “L’attività dei congiurati recava i danni maggiori, non ai Romani, bensì ai Giudei non affiliati alla congiura. Il sistema della sica, infatti, richiamò tra le fila degli Zeloti molta e varia gente che di ideali nazional-religiosi non ne aveva affatto, mentre aveva grande inclinazione ad ammazzare e derubare; così la congiura dello zelotismo s’ingigantì ben presto, ma grazie ai ladri, assassini e simili furfanti. Per essere esatti il sicarismo fu una degenerazione dello zelotismo: gli Zeloti saranno stati dei fanatici, ma nei primi tempi sentivano in maniera profonda e sincera i principi del fariseismo; i Sicari invece, di poco posteriori, erano degli autentici malfattori, per i quali i princìpi nazional-religiosi del fariseismo erano semplici pretesti per esercitare il brigantaggio. 

Si aggiunga che, col degenerare dello zelotismo, si diffondeva e deformava sempre di più un’idea della massima efficacia: il “Messianismo” (cit., p. 56), secondo il quale il Messia sarebbe stato un condottiero, un Re temporale, che avrebbe reso Israele la prima tra le Nazioni. Il Messianismo era interpretato dai Farisei e dagli Zeloti in maniera materiale, politica, nazionalistica ed economica. Tuttavia il Messia non era ancora apparso. Secondo l’Apocalittica giudaica sarebbe comparso quando Israele fosse stato nel più profondo delle sue umiliazioni, calpestato dagli idolatri. Ma questo era il momento opportuno. Infatti i Romani occupavano la Terra Promessa. “Gli incirconcisi erano padroni della Città Santa, con le aquile romane che erano in vista del sacro Tempio. Indubbiamente il Messia stava lì lì per comparire: era assurdo che tardasse ancora!” (G. Ricciotti, cit., p. 57).

Questa presunzione spinse gli Ebrei e soprattutto i Farisei e gli Zeloti a provocare Roma. Oggi in Siria si assiste ad uno scenario molto pericoloso, che coinvolge Israele, l’Iran, la Russia e gli Usa. Si sta deliberatamente provocando la Russia, ma la guerra che rischierebbe di scoppiare potrebbe essere nucleare e con la tecnologia che ha raggiunto l’umanità di oggi sarebbe una catastrofe globale. Sorge spontanea la stessa domanda di fronte alla provocazione fatta contro Roma nel 66 d. C. come potrebbe avvenire una guerra talmente assurda? Purtroppo l’orgoglio e la presunzione accecano le menti e spingono l’uomo verso il baratro. Purtroppo quando un uomo (o un popolo) si mette al posto di Dio commette le peggiori scempiaggini.
Curzio Nitoglia


1–«Quando [Gesù] fu vicino alla città [di Gerusalemme], la guardò e pianse su di lei, dicendo: “O se conoscessi anche tu e proprio in questo giorno, quel che giova alla tua pace! Invece ora sono cose rimaste nascoste ai tuoi occhi. Poiché verranno per te giorni, nei quali i tuoi nemici ti costruiranno attorno delle trincee, ti circonderanno e distruggeranno te e i tuoi figlioli che sono in te, e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il momento nel quale sei stata visitata”».

2–L’Abate Giuseppe Ricciotti scrive: «ai veri ‘Profeti’ dell’Antico Testamento erano succeduti i falsi ‘veggenti’ dell’Apocalittica: i Rabbini, gli Scribi e i Farisei; ma l’opera di costoro non poteva sostituire adeguatamente quella dei primi. […]. Il Profeta, sotto l’azione dello Spirito Santo, era una “fonte di acque vive” (Ger. II, 13), lo scriba incanalava quelle acque facendole confluire nello stagno della casuistica. […]. I Profeti avevano parlato condizionatamente, e in particolar modo avevano annunciato le grandi promesse di Dio al popolo d’Israele in dipendenza dell’atteggiamento futuro di costuiL’Apocalittica al contrario non conosce condizioni; ciò che fu vaticinato deve avverarsi infallibilmente» (G. RICCIOTTI voce “Apocalittica”, in Enciclopedia Italiana, Roma, II ed., 1950, III vol. coll. 657-658). Monsignor Francesco Spadafora qualifica l’Apocalittica come «odio atroce conto i Gentili, morbosa attesa della rivoluzione e della liberazione futura di Israele. All’Apocalittica si deve la formazione del più acceso nazionalismo ebraico, che sfocerà nella ribellione all’Impero romano. Tramite essa si spiega la fiducia cieca dei Giudei per straordinarie rivincite nazionali vaticinate dai ‘falsi profeti’» (F. SPADAFORA, Dizionario Biblico, III ed., 1963, Roma, Studium, voce “Apocalittica”, p. 42). 

3–Cfr. G. Ricciotti, Questioni giudaiche, Roma, AVE, 1945, p. 52 ss. su cui mi baso per la compilazione di questo articolo.



SECONDA PARTE (2 di 2)


Cristianesimo e Giudaismo nel 50 d. C.


Circa 15 anni prima della Guerra giudaica, che portò alla distruzione del Tempio di Gerusalemme (l’unico luogo in cui i sacerdoti del Vecchio Testamento potessero offrire il sacrificio a Dio) assistiamo ad un altro affrontamento, tutto teologico e spirituale, tra il Cristianesimo, che è l’erede del Vecchio Testamento perfezionato dalla Nuova ed Eterna Alleanza e il Giudaismo farisaico, che cercava già allora di infiltrarsi nel Cristianesimo per renderlo schiavo delle prescrizioni cerimoniali del Vecchio Patto tra Dio e Israele.

La questione dei rapporti tra Cristianesimo e Giudaismo venne risolta canonicamente, magisterialmente e infallibilmente nel Concilio di Gerusalemme (49/50 d. C.), in cui gli Apostoli si riunirono sotto Pietro per definire se fosse ancora necessaria l’osservanza del cerimoniale veterotestamentario oppure no.

L’Abate Giuseppe Ricciotti scrive che S. Paolo nella sua Epistola ai Romani ha commentato le decisioni del Concilio di Gerusalemme riguardo alla relazione tra Antica e Nuova Alleanza (G. Ricciotti, Questioni giudaiche, Roma, AVE, 1945, p. 59).

Oggi la dottrina cattolica su Cristianesimo e Giudaismo resta vincolata a ciò che decretò il Concilio di Gerusalemme e a ciò che è divinamente Rivelato in San Paolo e negli altri Libri del Nuovo Testamento. La Dichiarazione pastorale Nostra aetate del Concilio Vaticano II non cita nessun testo di Tradizione patristica, nessun testo del Magistero e travisa il senso genuino della S. Scrittura. Quindi il cattolico fedele deve restare fermo e ancorato a quanto rivelato, insegnato e tramandato costantemente sino a prima di Nostra aetate e dei pronunciamenti post-conciliari sulla “Antica Alleanza mai revocata” (Giovanni Paolo II, Magonza, 1981) e su “Gli Ebrei fratelli maggiori dei Cristiani nella Fede di Abramo” (Giovanni Paolo II, Tempio Maggiore di Roma, 1986).

Don Giuseppe Ricciotti scrive: “Oggi, alla distanza di 19 secoli, le basi di quella questione non sono cambiate; e tanto meno possono essere cambiate le soluzioni date allora dalle Colonne della Chiesa, San Pietro e San Paolo, giacché la Chiesa non cambia le sue fondamentali dottrine” (cit., p. 59).

L’Antico Testamento o Giudaismo mosaico era tutto relativo a Gesù e al Nuovo Testamento; esso è sostanzialmente distinto dal Giudaismo rabbinico e talmudico, che invece nega Cristo.
 Nel Vecchio Testamento si trovava rivelato che il Messia sarebbe venuto e che tutte le Genti sarebbero accorse a Lui. 
Invece l’Apocalittica giudaica, il fariseismo e lo zelotismo, che sono l’architrave del Giudaismo attuale o post-biblico, ritenevano che solo Israele doveva esser il vero popolo di Dio e solo lui sarebbe entrato nel Regno di Dio.

L’Antico Testamento sapeva di essere una preparazione a Cristo e quindi transitorio e caduco, destinato ad essere perfezionato e inglobato dal Nuovo Testamento. I Farisei non accettavano questa visione della Religione, non volevano neppure pensare che il particolarismo di Israele fosse rimpiazzato dall’Universalismo di Cristo.

I primi a non accettare il disegno di Dio su Antica e Nuova Alleanza furono i Giudei. 
Essi possono essere divisi in due classi: 
1°) coloro che si ostinarono sino in fondo a negare Cristo e dettero nascita alla nuova setta o falsa religione che è il Giudaismo talmudico; 
2°) coloro che pur essendosi convertiti al Cristianesimo volevano obbligare i pagani divenuti Cristiani ad osservare la legge cerimoniale dell’Antico Testamento (costoro vengono chiamati “giudaizzanti”), ma poi accettarono le decisioni del Concilio di Gerusalemme.

I primi, come scrive Ricciotti: “reputandosi gli eletti dell’antico periodo di preparazione, non acconsentirono ad essere parificati a tutti gli altri popoli nel periodo di perfezione, non vollero ammettere che quell’antico periodo per essi privilegiato fosse oramai abolito e superato: perciò in massima parte respinsero il Cristianesimo. La questione giudaica fu ed è ancora tutta qui, con le sue conseguenze sociali che riaffiorano di tempo in tempo lungo i secoli. Con la morte espiatrice di Gesù Cristo, allorché fu versato il Sangue del Nuovo ed Eterno Testamento, l’Antico Testamento fu abolito e l’antico periodo fu chiuso” (cit., p. 61).

Pertanto si scorge un’enorme opposizione di contraddizione tra la posizione di San Paolo nell’Epistola ai Romani e di San Pietro al Concilio di Gerusalemme, riassunte mirabilmente dall’Abate Ricciotti, e le teorie giudaizzanti contenute nel Decreto Nostra aetate e nei pronunciamenti post-conciliari.

Se la Fede cristiana sin dalla morte di Cristo annunziava la chiusura della Vecchia Alleanza e l’apertura di una Nuova ed Eterna, questa Fede rivelata fu definita nel 50 al Concilio di Gerusalemme e pose fine alle diatribe tra i Cristiani che non avevano ancora le idee chiare su Cristianesimo e Giudaismo.

La figura di San Paolo, un ex rigorosissimo fariseo ostile a Cristo e al Vangelo, si impone perché è stato colui che ha approfondito e commentato meglio di tutti la dottrina dei rapporti tra i due Testamenti. San Pietro, definì dogmaticamente la dottrina già insegnata da San Paolo e stabilì infallibilmente che il Nuovo Testamento, avendo sostituito l’Antico, lo aveva anche superato e abolito, perfezionandolo. Tutti gli uomini sostanzialmente sono eguali, sia i Giudei che i Greci, forniti di un’anima spirituale e immortale, riscattati dal Sangue di Cristo e chiamati ad entrare, con la loro libera cooperazione, nel Regno di Dio.

Certamente rimasero molti spiriti torvi che non accettarono la decisione del Concilio e continuarono a spargere la zizzania dell’errore giudaizzante e della divisione nella Chiesa apostolica. Contro costoro suonano lapidarie le parole di San Paolo: “Noi stimiamo che l’uomo è giustificato per la Fede senza le opere della legge [cerimoniale giudaica]” (Rom., III, 28).

Il Giudaismo è stato sostituito dal Cristianesimo e anche i Pagani fattisi Cristiani non hanno nessun obbligo verso il cerimoniale giudaico.

Il termine ‘giudeocristianesimo’ si applica in senso stretto ai “cristiani nati ebrei, i quali ritenevano che la Legge cerimoniale dell’Antico Testamento non fosse abrogata e sono entrati così in conflitto non solo con San Paolo, ma con il Cristianesimo stesso”1.

Mentre la parola ‘giudaizzanti’ etimologicamente riguarda “i Pagani convertiti al Cristianesimo, che imitavano i costumi ebraici (…) e ritenevano obbligatoria per salvarsi l’osservanza, totale o parziale, della Legge [cerimoniale] mosaica, di fatto però furono quasi tutti Cristiani di sangue ebraico”2.

Le pretese giudeocristiane si fondavano – materialmente ed erroneamente – sulle promesse fatte da Dio ad Abramo e ai Patriarchi, sul fatto che il Messia, nato dalla razza ebraica, avrebbe stabilito sulla terra un regno che era quello di Israele, che Cristo era venuto per compiere la Legge dell’antico Israele. Il giudeocristianesimo (di cui si parla tanto e a sproposito oggi, teologicamente e politicamente, senza definirne il significato) voleva così “ricalcare il Cristianesimo sul Giudaismo, chiedendo ai popoli di affiliarsi – tramite la circoncisione [e l’osservanza della Legge cerimoniale] – alla nazione ebraica”3. Inoltre i proseliti o convertiti dal Paganesimo al giudeocristianesimo, sarebbero stati Cristiani di seconda serie, con un’inferiorità ontologica nell’ordine della salvezza.

La Chiesa rispose in vari modi, immediatamente e fermamente, a quest’insidia:

1     Il battesimo del centurione romano Cornelio:

Attesta che un pagano è entrato, per ordine di Dio, nella Chiesa senza passare per la Sinagoga (Atti, X). Quindi si può essere Cristiani senza essere Ebrei di sangue (giudeo-cristiani) e nemmeno sottomettersi al cerimoniale ebraico (giudaizzanti). L’antica Legge è stata abrogata, il ‘muro di separazione’ (Ef., II, 14) tra Ebrei e Gentili è caduto, la Chiesa è aperta a tutti, senza distinzione o primati di razza, non ci sono ‘fratelli maggiori o minori’, ontologicamente parlando.

2     Il Concilio di Gerusalemme(Atti, XV; Gal., II, 1-10):

Riconobbe la libertà dei Gentili ad entrare nella Chiesa senza passare per il Giudaismo fondandosi sul battesimo di Cornelio, essi non sarebbero neppure diventati ‘fratelli minori’, ossia non avrebbero avuto un rango secondario nella Chiesa.

3     L’incidente di Antiochia(Gal., II, 11-21):

I pagani si salvano senza obbligo di sottomettersi alla Legge cerimoniale, basta la Fede e la Carità (o le buone opere). Anche gli Ebrei, si sarebbero potuti salvare attraverso la Fede e la Carità, mentre il sangue non avrebbe dato loro una dignità ontologica maggiore. S. Paolo insegna che “la circoncisione è nulla” (Gal., VI, 15) e che ciò che salva è “la Fede che agisce per la Carità” (Gal.,V, 6).

Così il giudeocristianesimo fu rigettato fuori della Chiesa, mentre oggi si cerca di farvelo rientrare con la teoria dei ‘fratelli maggiori’, dell’Antica Alleanza ‘mai revocata’, delle radici ‘giudaico-cristiane’ dell’Europa. Occorre fare attenzione perché il vecchio errore non si riproduca. Onde non bisogna mai dimenticare la dottrina apostolica. San Paolo nell’Epistola ai Romani insegna che “il ruolo d’Israele è oramai finito. Dio, irritato dalla sua condotta, l’ha abbandonato. Verrà un tempo in cui un resto d’Israele si salverà. Ora le promesse divine passano ai Gentili”4.

La dottrina sul pericolo del giudeo-cristianesimo, come abbiamo visto, è esposta specialmente nelle Epistole di San Paolo e soprattutto in quella ai Romani. Egli nel suo secondo viaggio apostolico (nel 50 circa) arrivò in Galazia del nord (con capitale Ankara). Ritornandovi tre anni dopo, si accorse che coloro che aveva evangelizzato nel primo incontro, si “erano lasciati abbindolare dai fanatici giudeocristiani, abbracciando le pratiche del Giudaismo (circoncisione, ecc.) quasi necessarie alla salvezza”5. Dunque, da Efeso (nel 54 circa) S. Paolo, divinamente ispirato, scrive loro confutando gli errori del giudeocristianesimo e dei giudaizzanti.

Nell’Epistola ai Galatiinsegna: “Mi meraviglio che così presto vi siete allontanati da Colui che vi ha chiamato nella grazia di Cristo, passando ad un vangelo diverso…, vi sono alcuni che gettano lo scompiglio in mezzo a voi e si propongono di stravolgere il Vangelo di Cristo. Ora se anche un Angelo vi annunziasse un vangelo diverso da quello che noi stessi vi abbiamo annunciato, sia anatema!” (I, 6-8). 
I Padri, i Dottori e gli esegeti approvati nella Chiesa spiegano in tal senso il passaggio paolino: i giudaizzanti disertano e abbandonano il Vangelo di Cristo, predicato dai suoi apostoli, per aderire ad un altro vangelo contrapposto a quello cristiano, esso è un contro-vangelo, poiché i giudeo-cristiani si propongono di pervertire il Vangelo di Cristo. Il giudeo-cristianesimo vuole abbandonare Dio, che chiama gli uomini nella grazia ottenutaci da Cristo, con la sua Passione e morte, e rimpiazzarlo con l’osservanza delle cerimonie legali antiche. La salvezza invece si ottiene solo grazie alla Fede (vivificata dalla Carità) in Cristo. 
I giudaizzanti sono bestemmiatori e votati alla dannazione, tal è, infatti, il significato dell’anatema (v. 8) che equivale all’heremebraico, che designava gli scomunicati come votati alla perdizione per motivi religiosi. Neppure un apostolo e S. Paolo stesso potrebbe sfuggire alla dannazione, se predicasse il contro-vangelo giudeo-cristiano (v. 9).

Nel capitolo II ai versi 3-4, l’Apostolo rivela che nel 50 circa, era salito al Concilio apostolico di Gerusalemme, assieme a Tito, il quale essendo greco non era circonciso. I giudaizzanti gridavano allo scandalo, poiché la presenza di un incirconciso a Gerusalemme e ad un Concilio era ritenuta da loro intollerabile e quindi chiesero che fosse circonciso. L’Apostolo qualifica i giudaizzanti come ‘falsi fratelli intrusi’ (v. 4), e non “maggiori”, “che si erano infiltrati per spiare la libertà nostra, che abbiamo in Gesù Cristo e renderci schiavi (v. 4). Il loro scopo era d’imporre la Legge giudaica come necessaria alla salvezza, abolendo la grazia che rende liberi dal peccato, in Gesù Cristo. I cristiani giudaizzanti più che a Cristo credevano al vecchio cerimoniale mosaico, ma l’antico cerimoniale è oramai – con l’avvento di Gesù – incapace di santificare, esso è stato rimpiazzato dalla grazia di Cristo in virtù dei suoi meriti. “Se, la giustificazione vien dalla Legge cerimoniale, certamente Gesù è morto invano o senza scopo” (v. 21). Il giudeocristianesimo è l’annullamento radicale e totale del Sacrificio di Gesù e della grazia cristiana che ne deriva, in breve è l’apostasia e la distruzione del Cristianesimo apostolico. “Se vi lasciate circoncidere, Cristo non vi gioverà a nulla” (V, 2).

Nella II Epistola ai Corintisan Paolo specifica che i giudaizzanti sono “falsi apostoli, operai fraudolenti e mentitori, che si camuffano da Apostoli di Cristo, [come] lo stesso satana si traveste da angelo di luce” (XI, 13-14). Il giudeocristianesimo è la contro-chiesa o la ‘sinagoga di satana’ (Apoc., II, 9) che vuole carpire la buona fede dei semplici, con un falso zelo e una virtù simulata.

d. Curzio Nitoglia


1 – F. Vernet, voce Juifs et Chrétiens in ‘Dictionnaire Apologétique de la Foi Catholique’, vol. II, col. 1654, Parigi, Beauchesne, 1911.
2 – Ibidem.
3 – Ivi, col. 1655.
4 – D.A.F.C., art. cit., col. 1656.
5 – F. Spadafora, San Paolo: le Lettere, Genova, Quadrivium, 1990, p. 30.


Fonte: srs di don Curzio Nitoglia, del  7-8 maggio 2018
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