giovedì 28 febbraio 2019

BISOGNA CAMBIARE IL SANTO PATRONO D’ITALIA






A Bobbio abbiamo avuto un santo strepitoso:  San Colombano….l’Italia  ha avuto un altro santo strepitoso simile a San Colombano: San Benedetto,quello che aveva messo a punto la regola ora et labora…. 

E invece l’Italia si è andata a scegliere come  patrono un certo Francesco che è campato fino a 46 anni… e  mentre sia San Colombano  che  San Benedetto      avevano  questa regola di  lavorare,   quella di san Francesco era di vivere di carità, non hanno mai lavorato … l’unica cosa che facevano nel 1200 era di raccogliere la legna  perché, secondo me, gli abitanti di Assisi   e  d’intorni se non si raccoglievano la legna  li  avrebbero lasciati morire di  freddo.

E l’Italia si è   scelto il santo secondo me sbagliato, perché l’Italia è un popolo che cerca di vivere di carità.    È stato messo appunto il reddito di cittadinanza:   regalare soldi alle  persone  senza sudarseli,  senza guadagnarseli, senza   “l’ ora et labora”.   È tutto qua il guaio  e l’Italia non se la caverà  mai.    
L’unica possibilità  per l’itala è quella di cambiare patrono…trovare un patrono  che dice: lavorare,  lavorare,  pregare anche,  meditare,  ma  lavorare… lavorare, lavorare, … e basta!
Finché avremo questo santo,  niente!……. Eppure    tutti lo portano in palma di mano…. Uno che ha sempre vissuto  di carità che non si è mai fatto neanche   un orticello…incredibile!  

Bisogna creare   le possibilità per le persone,  per i giovani soprattutto, di vivere del   proprio lavoro,   questa è la cosa stupenda. Non chiedere niente  ai giovani,    non dar loro  niente,  ma lasciar loro la possibilità   di tirare fuori il meglio di sé,   inventarsi, crearsi  il lavoro,   come lo hanno fatto i nostri padri,  i nostri nonni,  soprattutto chi è stato reduce  dalla guerra tremenda.. che però subito dopo la guerra tutti hanno potuto inventarsi  un lavoro… Stop!

P. M.





mercoledì 27 febbraio 2019

LA PRIMA VICENZA SCOPERTA SOTTO LA FUTURA BRETELLA




VICENZA. Lì dove tutto è iniziato, nascerà una tangenziale. Quei primi vicentini non potevano immaginare che 7.300 anni dopo, al posto delle loro capanne, sarebbe passata una strada a scorrimento veloce. Ma non era nemmeno prevedibile che l’area di cantiere della tanto attesa futura bretella dell’Albera nascondesse uno dei siti archeologici più interessanti di Vicenza, capace di raccontare i primi insediamenti di abitanti della città, risalente al Neolitico antico. È qui che sono state ritrovati frammenti di vasi di ceramica, strumenti di selce, tracce di intonaci delle capanne o dei primi focolari. 

Una scoperta che gli archeologi della Soprintendenza considerano importantissima. Anche se si attendono ulteriori indagini per confermare le tesi preliminari: il materiale emerso dagli scavi sembrerebbe risalire a un periodo compreso tra il 5.300 e il 4.900 avanti Cristo, quando le comunità che prima vivevano solo di caccia e raccolta, cominciarono a coltivare i campi. E dove prese forma la prima Vicenza. 

Fonte: da il Giornale di Vicenza del 23 febbraio 2019 

martedì 26 febbraio 2019

ADDIO A GIORGIO GIOCO EL “COGO” DE VERONA




Il cuoco icona della cucina tradizionale veronese affermava che «La cucina povera ha il profumo della terra e il sapore dell’onestà».

Rabbrividirebbe leggendo i tanti articoli di questi giorni in cui viene definito chef. Lui era un cuoco, anzi el “cogo” de Verona. 
Lo scorso 23 febbraio Giorgio Gioco, a novantatre anni, ci ha lasciati. Ha fatto la storia della cucina non solo a Verona ma in tutta Italia. Patron del 12 Apostoli, “il ristorante” nel cuore della Verona antica conosciuto in tutto il mondo. Ristorante con il quale conquistò le due stelle Michelin, che mantenne fino ai primi anni Ottanta. 
Legato al territorio e alla tradizione è stato uno dei fondatori della Fiera del Riso di Isola della Scala, sua anche la prima pasta e fagioli della prima delle Giornate del Vino Italiano, che poi diedero origine al Vinitaly.
Tradizione e semplicità il cuoco veronese affermava che «La cucina povera ha il profumo della terra e il sapore dell’onestà». 
Appassionato d’arte e lettere, nel 1968, Giorgio Gioco con Cesare Marchi, Indro Montanelli, Giulio Nascimbeni e Enzo Biagi, fondò il premio letterario 12 Apostoli.

Credo che il miglior modo per salutarlo sia a tavola, realizzando una sua ricetta. Recentemente, nel 2016 in occasione del 50° anniversario della Fiera del Riso, ha riscritto, aggiornandola  la ricetta “ufficiale” del Risotto all’Isolana. Con questa gli rendiamo omaggio.


Ricetta del Risotto all’Isolana (2016) di Giorgio Gioco

Cosa occorre: kg di riso Vialone Nano veronese (consigliato l’Igp), 2 litri di ottimo brodo (pollo/gallina – manzo – verdure), 200 gr. di vitello magro, 600 gr. di lombata di maiale, 150 gr. di burro, 140 gr. di formaggio grana, pepe, sale, cannella e rosmarino (quanto basta).
Come si fa: tagliate la carne a dadini, condire con sale e pepe macinato fresco, lasciare riposare per un’ora. Fondere il burro, mettere un rametto di rosmarino, rosolare bene la carne. Cuocere a fuoco lento fino a completa cottura della carne indi togliere il rosmarino. 
Far bollire il brodo, aggiungere il riso mondato, cuocere per circa 18 minuti a fuoco lento. Il riso dovrà assorbire tutto il brodo. Condire quindi il riso con il condimento fatto in precedenza. Completare il risotto all’Isolana con il formaggio profumato alla cannella.

Cinzia Inguanta


Fonte: srs di Cinzia Inguanta, da Verona in del  25 febbraio 2019 

domenica 17 febbraio 2019

STRAORDINARIA SCOPERTA A NOGAROLE ROCCA - TROVATA LA PIÙ GRANDE NECROPOLI D’ITALIA




Un archeologo durante un lavoro di scavi in un sito


  
Valeria Zanetti .  14.02.2019
  
La più importante necropoli dell’Italia settentrionale, probabilmente utilizzata senza interruzioni tra l’età Campaniforme, dal 2500 al 2200 avanti Cristo, e l’età del Bronzo, dal 2200 al 1600 avanti Cristo, è stata scoperta a Nogarole Rocca. Per quasi mille anni i defunti della comunità che viveva in questo territorio, ricco di corsi d’acqua e di risorse, furono seppelliti nello scampolo di campagna ora delimitato tra il casello autostradale e la vasta area in corso di urbanizzazione, denominata Porta della Città, poco distante dall’insediamento su cui sta sorgendo l’hub logistico di Zalando.

Pradelle,la frazione interessata dal ritrovamento, da mesi gli abitanti guardano con curiosità le montagnole di terra scavata su un appezzamento, non ancora raggiunto da strade asfaltate, ai bordi del quale parcheggiano spesso due o tre auto. Tanto che già si vociferava di qualche ritrovamento archeologico: chi parlava di ossa, chi di utensileria. Ora però la notizia è ufficiale e contenuta in un comunicato congiunto della Soprintendenza archeologica, belle arti e paesaggio di Verona, Vicenza e Rovigo e del Comune di Nogarole, postato sulla pagina Facebook dell’ente locale.

«La scoperta», riporta la nota, «è frutto di attività di indagine di archeologia preventiva». In pratica, è stata possibile in seguito al monitoraggio del sottosuolo, previsto di prassi per legge, prima di partire con l’urbanizzazione e l’edificazione del comparto di proprietà di una società scaligera. I dettagli della scoperta saranno illustrati la settimana prossima nella sede della Soprintendenza di Corte Dogana, a Verona, dal sindaco di Nogarole Rocca, Paolo Tovo e dal soprintendente di Verona Fabrizio Magani. I funzionari archeologi Gianni De Zuccato e Paola Salzani faranno il punto sulle suggestive fasi della scoperta, del recupero e sull’eccezionale valore scientifico-culturale del rinvenimento.


Alcuni reperti trovati nella necropoli di Nogarole 


La necropoli si è rivelata tra le più ricche mai scoperte nell’Italia settentrionale a cavallo tra III e II millennio a. C.  a partire dall’età Campaniforme che prende il nome da bicchieri e vasi in ceramica a forma di campana capovolta, manufatti tipici dell’epoca, diffusi in tutta Europa, dall’Italia alla penisola Iberica, dall’Irlanda alla Gran Bretagna, dalla Germania all’Austria. Diversi contenitori con queste caratteristiche sono stati rinvenuti anche a Pradelle. Dal Comune intanto le bocche sono cucite e non si forniscono dettagli soprattutto per proteggere l’area dall’interesse dei curiosi e dalle visite di eventuali tombaroli, che potrebbero essere solleticati dall’idea di testare di persona l’importanza della scoperta per trafugare reperti. Il ritrovamento aggiunge una pagina importante alla ricostruzione delle antichissime origini del Comune. I primi insediamenti del Nogarolese furono rilevati lungo le sponde del fiume Tione, in località Corte Vivaro, nella frazione di Bagnolo, sito sottoposto a vincolo nel 1977. Dall’attività di scavo emersero ceramiche, ossa lavorate, bronzi, una tavoletta enigmatica fittile e diverse armi, attualmente custodite nel museo archeologico di villa Balladoro, a Povegliano.

Fonte: srs di  Valeria Zanetti, da L’Arena di Verona del  14 febbraio 2019 
Link: http://m.larena.it/territori/villafranchese/straordinaria-scoperta-a-nogarole-rocca-trovata-la-più-grande-necropoli-d-italia-1.7120465?fbclid=IwAR1kkoAYjtQS3QadLlE-gQ-sW2DWkA6V-Rxs9B4Nhxn6poGj_lKd4FAgaRM




SCOPERTA LA PIÙ GRANDE NECROPOLI DEL NORD ITALIA



 A Nogarole Rocca durante i lavori di costruzione del centro logistico di Zalando sono emersi importanti ritrovamenti archeologici


Alberto Sogliani,  14 FEBBRAIO 2019

NOGAROLE ROCCA. Importantissima scoperta archeologica nel comune di Nogarole Rocca, in località Pradelle, a due passi dal confine con la provincia di Mantova. Nell’ambito dei lavori da tempo in atto per la costruzione del polo logistico di Zalando, precisamente nell’area tra la campagna e il casello dell’autostrada A22, è stata riportata alla luce una necropoli preistorica risalente al Terzo e Secondo millennio a.C.

I risultati di questa scoperta saranno resi pubblici con dovizia di particolari in una conferenza stampa organizzata dalla Sovrintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Verona, Rovigo e Vicenza per venerdì 22 febbraio nella sede in Corte Dogana 2/4 a Verona.

Fin d’ora tuttavia si può affermare, in base alle indagini di archeologia preventiva effettuate nell’area, che si tratta di una delle necropoli più ricche mai rinvenute in Italia settentrionale relativamente al periodo di competenza. Da tempo del resto gli abitanti della zona avevano notato movimenti particolari e pure si parlava di rinvenimenti di suppellettili e materiale vario. Il comunicato ufficiale congiunto di Sovrintendenza e Comune di Nogarole Rocca ha poi sgombrato il campo da ogni chiacchiera popolare e ora non resta che attendere con ansia i risultati finora raggiunti ed, eventualmente, i possibili sviluppi futuri dello scavo.

«Allo stato attuale delle ricerche – si legge nella nota – questo sito si configura come la più importante necropoli rinvenuta in Italia settentrionale per la quale si possa ipotizzare una continuità di utilizzo tra tra Età Campaniforme (2500-2200 a.C.) e antica età del Bronzo (2200-1600 a.C.).

La cultura del vaso campaniforme (in inglese Beaker culture) si riferisce a un periodo della tarda età del rame (2600 - 1900 a.C.), in cui si diffuse questa tipologia di ceramica, con forma per lo più di campana capovolta: nel riserbo tenuto dagli studiosi, sono state pubblicate nel comunicato stampa alcune fotografie di bicchieri campaniformi rinvenuti a Pradelle di Nogarole Rocca in questa prima parte di indagine. Manufatti largamente diffusi in tutta Europa, con particolare riferimento alla penisola iberica da dove sembra abbiano storicamente avuto origine, ma poi estesi anche all’Italia, Irlanda, Gran Bretagna, Germania ed Austria.

Il rinvenimento di questa necropoli proprio in concomitanza con la costruzione, nel luogo, di una importante multinazionale sembra quasi voler rinverdire una sorta di spinta commerciale della zona esistente fin dai tempi antichi.

I responsabili dello scavo sono il dottor Gianni De Zuccato e la dottoressa Paola Salzani, che illustreranno la fasi della scoperta, del recupero e l'eccezionale valore scientifico-culturale della scoperta della necropoli.

Fonte: srs di Alberto Sogliani, da GAZZETTA DI MANTOVA  del 14 febbraio 2019-02-16 




VERONA, SCOPERTA NECROPOLI: SCHELETRI, PUGNALI E VASI DEL 2500 AVANTI CRISTO

di Davide Orsato

VERONA Decine di sepolture in diversi stili: c’è uno scheletro rannicchiato, con una lama di pugnale in mano, un altro ancora supino, alcune urne cinerarie, segno che quel “cimitero” è stato utilizzato per centinaia d’anni, forse per un intero millennio. E poi c’è quell’oggetto un po’ bizzarro, che compare in corredi funerari che vanno dalla Scozia fino al Marocco, e che raccontano di un popolo viaggiatore.




Otto vasi rarissimi

Un bicchiere di ceramica, dalla forma a campana (da qui il nome con cui è stata battezzata la cultura del “vaso campaniforme”), che presenta un motivo ornamentale riconoscibilissimo e che era utilizzato per le bevande fermentate. 
La squadra di archeologi composti da ricercatori delle università di Trento, Padova e Milano ne hanno rinvenuti ben otto praticamente integri: abbastanza per farne la più importante scoperta a livello italiano per questo tipo di società preistorica. 
Il ritrovamento, in un lotto destinato a prossime costruzioni a Nogarole Rocca, nella Bassa Veronese (non lontano da dove è in costruzione il nuovo hub della Zalando) è stato reso possibile grazie al fatto che le antiche sepolture, databili fino al 2500 avanti Cristo, si trovavano nell’alveo di un fiume prosciugato già in epoca preistorica, la cui sabbia e profondità ha protetto il materiale da manipolazioni successive. 
Gli scavi, iniziati nel 2017, si sono conclusi la scorsa settimana.




Nuove ricerche

Questa mattina, alla sede della Soprintendenza di Verona sono stati presentati i primi risultati. «Il sito è stato sgomberato – fa sapere Paola Salzani, archeologa che ha diretto le operazioni 
- Ma gli studi in ambiente protetto inizieranno adesso. E ci potranno dire moltissimo su una cultura che è rintracciata in tutta Europa ma di cui si hanno pochissimi indizi sull’origine. Basti pensare che uno dei più importanti ritrovamenti, l’arciere di Amesbury, rinvenuto in Inghilterra presso Stonehenge, era un uomo nato in zona alpina e poi spostatosi nelle isole britanniche. Sapevamo che il territorio attorno al Garda era stato interessato da una fitta presenza di questa popolazione, ma nessuno si aspettava una scoperta di questa importanza».

Fonte: srs di di Davide Orsato, da Corriere del veneto del 22 febbraio 2019 





NOGAROLE ROCCA. LA SOPRINTENDENZA ILLUSTRA I RISULTATI DEGLI SCAVI ESEGUITI ALLA PORTA DI NOGAROLE, LA ZONA INDUSTRIALE DEL PAESE IN CUI STANNO SORGENDO NUOVI CAPANNONI



Tombe antiche come a Stonehenge

Vasi e lame assieme agli scheletri nel la grande necropoli usata dal 2500 al 1600 a. C. Salzani: «Scoperta rilevante sul piano internazionale». Tesori dell'età Campaniforme

VALERIA ZANETTI



Paolo Tovo, Fabrizio Magani, Gianni De Zuccato e Paola Salzani



«Un salto da vertigine fino al 2.500 avanti Cristo, per riportare alla luce una magnifica storia che, se raccontata bene, può portare lustro a Nogarole Rocca, e a tutta la provincia. Oggi come ieri crocevia di scambi di persone, merci e conoscenze». 
È entusiasta Fabrizio Magani, soprintendente all'archeologia, belle arti e paesaggio di Verona, commentando il ritrovamento della necropoli nogarolese, risalente all'età Campaniforme (2500-2200 avanti Cristo), usata fino almeno all'età del Bronzo (2200-1600 avanti Cristo). 
La scoperta, di cui si è avuta notizia solo la settimana scorsa, quando sono tra l'altro stati ultimati i lavori di scavo, è stata presentata ieri mattina nella sede della Soprintendenza di Corte Dogana, a Verona, da Magani con il sindaco di Nogarole,Paolo Tovoe i funzionari archeologi Gianni De ZuccatoPaola Salzani

Tutto è partito nel 2017, ma l'opera di recupero del patrimonio è proseguita tra stop and go.«L'area interessata ha riguardato una superficie di 12.800 metri quadrati», spiega Salzani. L'appezzamento nella frazione di Pradelle era stato sottoposto ad attività di indagine di archeologia preventiva, come previsto per legge prima di partire con l'urbanizzazione e l'edificazione del comparto di proprietà di due società, Consorzio Porta Città e Verona Porta Sud. Queste ultime, verificata la presenza della necropoli, si sono accollate le spese degli scavi, per decine di migliaia di euro. «Avevamo già trovato a Gazzo e sul Garda tracce di presenze risalenti al periodo Campaniforme. Lo scavo di Nogarole Rocca non si limita a confermare le ipotesi», prosegue Salzani. L'età Campaniforme prende il nome da bicchieri e vasi in ceramica a forma di campana capovolta, diffusi in tutta Europa, dalla Scozia alla Sicilia, dal Marocco, e dal Portogallo la Polonia. «Le sepolture hanno restituito, tra i corredi, materiali archeologici di straordinaria rilevanza, che collocano la necropoli tra le più importanti d'Italia. La scoperta non mancherà di suscitare la curiosità della comunità scientifica internazionale», afferma. 


In pratica, nell'alveo prosciugato di un corso d'acqua che scorreva dove ora si trova la vasta area in corso di urbanizzazione, denominata Porta della Città, poco distante dall'insediamento su cui sta sorgendo l'hub logistico di Zalando, sono stati trovati 25 tumuli sepolcrali, simili a quelli diffusi nel resto del continente a cavallo tra le Età del Rame e del Bronzo. All'interno 48 sepolture di tre tipi: defunto in posizione rannicchiata, cremato con ceneri deposte in nuda terra o in vaso-primi casi in pianura-ed infine inumato in posizione supina. 
Scoprire perché nei secoli, forse nei millenni, è cambiata la modalità di seppellire i defunti è uno dei tanti rebus da sciogliere. I corpi degli uomini e delle donne erano seppelliti in aree separate. «Anche i corredi sono diversi e da qui si comprende che nella comunità esistevano differenze sociali: c'è chi è stato inumato con vasi, lame di pugnale in metallo, ornamenti», afferma Salzani. 
«Per la prima volta in Italia le sepolture di Nogarole di età Campaniforme sono addirittura otto», precisa. Sono stati trovati inoltre otto vasi interi o ricostruibili e armi. 
Proseguendo nelle ricerche, si potranno evidenziare relazioni nascoste tra il territorio veronese ed il resto del continente. «Ad esempio, si è scoperto che una delle sepolture più famose del Campaniforme europeo, nota come l'arciere di Amesbury, rinvenuta a pochi chilometri da Stonehenge, in Gran Bretagna appartiene a un giovane uomo nato sulle Alpi. Come è evidente gli spostamenti erano frequenti anche nell'antichità», dice Salzani, che ha già coinvolto nello studio del materiale le università di Padova (geoarcheologia), Trento (studio lame e pugnali), Milano (archeozoologia), Cagliari (ceramiche).




«IL VASO ROVESCIATO RESTA UN ENIGMA»



Franco Nicolis


Uno dei massimi studiosi a livello europeo del fenomeno del vaso campaniforme è Franco Nicolis, direttore dell'Ufficio Beni Archeologici della Soprintendenza per i Beni culturali della Provincia di Trento che l'altro pomeriggio, al Centro ambientale archeologico di Legnago, ha tenuto proprio sul tema una conferenza dal titolo «Simbolo e enigma. Il bicchiere campaniforme nella preistoria italiana e europea del III Millennio a. C.». L'appuntamento era inserito nel corso di archeologia curato dall'archeologo veronese Giampaolo Rizzettoe dalla dottoressa Marisa Morellato

Dottor Nicolis, cosa si intende con vaso o bicchiere campaniforme? È un vaso a forma di campana rovesciata, decorato con motivi caratteristici ottenuti imprimendo su questa particolare ceramica una cordicella o un piccolo pettine. La vera particolarità è che non si trova in piccole regioni, ma sparso a macchia di leopardo in tutta Europa, arrivando addirittura a toccare alcune aree dell'Africa settentrionale. 
Perché si parla di enigma? Perché fin dalle sue prime scoperte in Italia alla fine dell'Ottocento, si pensi ad esempio alla necropoli di Remedello, nel Bresciano, ha suscitato notevoli problemi di interpretazione legati soprattutto alla sua estesa diffusione e all'alto valore simbolico, ma anche al suo carattere unitario che, stranamente e non occasionalmente, ritroviamo però in contesti culturali diversi. 
La prima domanda che si sono posti gli archeologi è stata quella della provenienza. Ovvero da dove aveva tratto origine questo fenomeno così diffuso, elemento tuttora incerto, e chi fossero i portatori del vaso campaniforme che si è spostato per secoli in Europa. 
Il fatto che nelle sepolture questi uomini e donne siano accompagnati da diversi materiali, tra i quali punte di freccia, ha portato ad identificarli come un gruppo nomade di arcieri. 
Come veniva utilizzato il vaso campaniforme? Si è pensato che questo vaso fosse una moda, oppure, meglio ancora, che facesse parte di un pacchetto, di una sorta di set di oggetti legati a certi rituali. Perché questo fenomeno è presente in alcune aree e in altre è totalmente assente? È proprio questo l'elemento più interessante sul quale occorre indagare a fondo.


GLI ESAMI DEL DNA SVELERANNO LE ORIGINI





SPESE URGENTI. Servono fondi per scoprire da dove venivano gli uomini e le donne sepolti ed analizzare i reperti.  Necessario il restauro in tempi brevissimi degli oggetti recuperati per evitare il deperimento

VA.ZA.

Procedere il più rapidamente possibile al restauro di reperti in ceramica e materiali in metalli. I primi che potrebbero deperire. Avviare poi la fase di studio sulla datazione degli scheletri in modo da comprendere, dall'esame delle ossa chi erano gli antenati dei nogarolesi, da dove provenivano, di cosa si cibavano, se c'erano malattie diffuse e frequenti tra la popolazione della zona nell'età compresa tra la fine dell'età del Rame e l'età del Bronzo. 

«Al momento tutto ciò che è stato trovato è, come previsto per legge, sottoposto alla burocrazia dei Beni culturali», dice il soprintendente scaligero Fabrizio Magani. «Adesso serve individuare chi si potrà fare carico dei costi della conoscenza». Costi che almeno in prima battuta non sembrano esorbitanti. «Serviranno circa 30mila euro per il restauro delle ceramiche», ipotizza la funzionaria archeologa, Paola Salzani, «mentre per l'analisi dei materiali in metallo occorreranno altri 20 mila euro circa». Denaro che servirà per mettere in sicurezza quanto appena estratto. Poi si potrà partire con la fase di disegno dei materiali archeologici e l'esecuzione di analisi archeometriche (datazioni, analisi degli isotopi dell'ossigeno e stronzio, Dna, istologiche, ndr) sui materiali osteologici e sui resti organici e non solo. 
Le tecnologie d'avanguardia disponibili consentono non solo di far luce sulla datazione ma anche di scoprire il luogo di provenienza di chi fu sepolto nella necropoli appena scoperta. 

«La Soprintendenza si attiverà, come già fatto per altri beni culturali veneti, in modo da far convergere le offerte di privati sullo strumento dell'art bonus che non consente sponsorizzazioni e dunque visibilità a chi sostiene un restauro, ma offre il beneficio fiscale pari al 65 per cento della donazione effettuata», annuncia Magani. «Speriamo che il tentativo funzioni anche se la regione si è dimostrata piuttosto tiepida finora, fatto salvo l'esempio del restauro dell'Arena, sostenuto da Unicredit Banca e Fondazione Cariverona», spiega. 

Il Comune offre tutto il suo supporto. «Sentiamo la responsabilità diretta nell'investire in restauro e studi anche con risorse dell'amministrazione», afferma il sindaco Paolo Tovo, che comincia già ad interessare tutte le imprese della zona. Nella sala della Soprintendenza ci sono rappresentanti di Vailog, la multinazionale che costruisce soluzioni logistiche per imprese specializzate in e-commerce, all'opera per conto di Zalando, che a mesi si insedierà. L'impresa tedesca leader nel commercio elettronico di abbigliamento, calzature ed accessori pare sia già stata contattata per farsi carico di alcuni costi. Il 22 marzo è in programma a Nogarole la presentazione dell'esito degli scavi alla cittadinanza e ai numerosi imprenditori.

Fonte: da L’arena di Verona del 23 febbraio 2019 


venerdì 15 febbraio 2019

ANIMA DULCIS VIVAS MECU(M)" - "CHE TU POSSA VIVERE CON ME, ANIMA DOLCE




"Anima dulcis vivas mecu(m)"
"Che tu possa vivere con me, anima dolce"


Anello romano, IV secolo d.C.

mercoledì 13 febbraio 2019

ANDARE A MESSA




Non so se vi capita mai di andare a messa, io quasi tutte le domeniche mattina e uso il pieghevole per seguire meglio le letture, si chiama La Domenica. L’ultima pagina non segue la liturgia della messa bensì riporta testi vari e comunicazioni dei redattori e collaboratori, che possono prestarsi a qualche considerazione come questa che segue (che ho prontamente spedito al diretto interessato).

Gentile Mons. Giuseppe Greco,
su La Domenica di domenica 8 gennaio Battesimo del Signore /A, lei scrive: “Se ci sono ancora i poveri è perché esistono i ricchi”. Mi permetto di confutare radicalmente questa sua affermazione anche se appena ieri papa Francesco ha ribadito che “il capitalismo genera povertà” (chissà che intende con la parola capitalismo). 

Mio padre 95enne l’altro giorno -guardavamo insieme il tg- riguardo a parole di lamento sulla disoccupazione, ha detto testualmente: “Quando ero ragazzino io (anni ’20 e ’30 del Novecento, Ponte Pattoli a quel tempo 1.500 abitanti alle porte di Perugia) tutti erano disoccupati. A parte dei mezzadri che vivevano del podere da condurre, gli unici stipendi erano quelli dello stradino, della maestra e dei due carabinieri, tutti gli altri non avevano un vero lavoro e men che meno uno stipendio, ognuno si dava da fare a suo modo per mettere insieme il pranzo con la cena. Alla fine degli anni ’20 nacque la fabbrica di Simonetti che faceva le conserve di pomodoro e una quindicina di persone vi trovarono un lavoro regolare più gli stagionali. Invece tutto cambiò come hai visto -rivolto a me- dagli anni ‘60: nacquero allora da vecchie botteghe tre belle fabbriche, quella di Pucciarini (che arrivò a 90 operai negli anni ’80), Ciaccarini (cinquanta operai) e lo stesso Simonetti per il parquet (cinquanta operai), più una miriade di altre aziende come Argentari (30 operai), Monni (25 operai), e altri che ora non mi vengono in mente”.

Naturalmente egregio monsignore tutti costoro Simonetti, Pucciarini, Ciaccarini, Argentari, Monni, appena qualche anno prima erano poveri come gli altri ma, nel diventare ricchi o piuttosto ricchi, fecero benestanti tutti i loro dipendenti insieme ovviamente a tutti coloro che in un tale contesto vivace e produttivo trovarono la propria occupazione: muratori e geometri (un ingegnere) per costruire uno stuolo di case casette villette e palazzi; commercianti e professionisti, quadri, tecnici, commessi, rappresentanti, mediatori, etc, etc. 

Molti di questi chi più chi meno diventarono ricchi nel mentre i poveri scomparvero del tutto, neanche una famiglia rimase in quella povertà che appena trent’anni prima era di tutti tranne tre famiglie di agrari. Vecchi agrari che dovettero ricollocarsi nel mondo del lavoro moderno e produttivo. Una siffatta alta produttività consentì parallelamente allo Stato (pubblica amministrazione) di assumere e mantenere oltre tre milioni di dipendenti pubblici a fronte dei 20.000 dell’Unità d’Italia 1861. Questa dinamica sociale avvenne in tutta Italia (dove più dove meno), in gran parte dell’Europa non comunista ma libera, e avviene tuttora in ampie fasce dell’ex terzo mondo e delle ex colonie europee che hanno messo a frutto la contaminazione occidentale: la Cina, l’India, molti paesi del sud est asiatico, buona parte dell’America Latina, tutta gente che ora ci dà filo da torcere con la concorrenza nel mercato globale.

Come vede la realtà vissuta dalle nostre famiglie, dalle nostre comunità smentisce radicalmente il suo assunto circa i ricchi causa dei poveri, bensì ci ripete l’eterna lezione della storia: la povertà genera povertà mentre la ricchezza reale (produzione e scambio di merci, beni e servizi) genera altra ricchezza che non può che ricadere beneficamente sull’intera società, sull’intera popolazione qualunque sia la sua ripartizione.

Molto migliore è invece la sua frase appena precedente: “La ricchezza è un bene, ma il suo accumulo nelle mani di pochi a discapito di altri, dell’intera comunità umana, è un male”, ove il nodo cruciale è in quel “a discapito di altri”. Effettivamente è a discapito di altri la ricchezza parassitaria degli agrari assenteisti, dei parassiti che oggi infestano la nostra società moderna nelle gerarchie burocratiche dell’Onu, della Comunità Europea, dei Parlamenti e Ministeri, delle Regioni, degli Enti Locali, Enti Pubblici vari e diversi, della Aziende Pubbliche finto-privatizzate dove onorevoli, direttori e presidenti paramafiosi collocati dalla politica cuccano e ciucciano centinaia di migliaia se non milioni di euro/anno di stipendio, di emolumento, di gratifica, di prebenda, di vitalizio, di rendita. 

Tutto sulle spalle dei Simonetti, Pucciarini, Ciaccarini, Argentari, Monni e rispettivi dipendenti e collaboratori, che non a caso stramazzano di tasse e burocrazia e infatti molti hanno già chiuso. Tasse altissime ovviamente indispensabili per mantenere quegli eserciti di parassiti…

Insomma egregio monsignore la ricchezza dei Simonetti, Pucciarini, Ciaccarini, Argentari, Monni e tutti gli altri, qualunque ne sia l’entità, non è a discapito di altri bensì è a beneficio di tutti gli altri. Posso dire di più: qualsiasi accumulo di tale ricchezza reale è comunque benèfico, sia che lo spendi per cose voluttuarie (remunerandone le relative filiere produttive, dai progettisti agli operai) sia che lo tieni in banca (creando possibilità di accedere al credito per altri sviluppi d’impresa). Come si vede nulla è più sociale di una impresa privata e capitalistica che sa vivere non di Stato bensì nel mercato (ora globale) creando ricchezza capace di pagare stipendi, fornitori, investimenti e tasse.

Mi permetto pertanto di chiarirle che di ricchezze ve n’è due, quella parassitaria dell’Ancient Règime e quella produttiva della modernità industriale e post. Una nobiliare e una borghese, ove la borghesia è avanguardia del popolo non certo suo nemico. Ove, soprattutto, il moderno parassitismo di Stato rientra perfettamente tra la nobiltà parassitaria che sempre nella storia ha pesato sulla vita dei popoli. E devesi comunque precisare che causa della povertà degli anni ’20 non erano certo i tre agrari spelacchiati del tempo, bensì semplicemente il non-sviluppo, l’arretratezza millenaria dei mezzi di lavoro: se i tre agrari fossero stati decapitati ma fosse continuata la mancanza d’un popolo fattosi borghesia imprenditrice, può stare ben sicuro che la povertà generale non sarebbe scemata d’un grammo.

Devo concludere che sorprende molto la sua affermazione per l’evidente falsità storica che sinistramente pare derivare da ingiustificabile superficialità di approccio, appena un sillogismo improbabile -i poveri causati dai ricchi- che suona uguale a chi dicesse che il sole sorge perché il gallo canta. Piuttosto sgorga la domanda: perché tanta parte della chiesa su questi temi è diventata così superficiale quasi avesse delegato ad altri, o preso da mondi totalmente altri la sua nuova “dottrina”, quando nei millenni gloria e forza della chiesa è stata esattamente la sua autonomia? Come può dare ad intendere con le sue parole che l’uomo -nato ricco per natura- impoverisce a causa del capitalismo, quando è vero il contrario, che l’umanità nasce povera e diventa ricca proprio grazie allo sviluppo d’impresa? La informo che questa infondata guerra al lavoro, all’impresa, alla ricchezza privata e sociale ad un tempo, che deriva da frasi come la sua è fonte terribile di disorientamento per molta gente. Le segnalo che appena cinquant’anni fa la chiesa scomunicò i comunisti ma oggi siamo al paradosso che se non si è sostanzialmente comunisti non si può essere popolo di Cristo. Le intimo maggiore prudenza e studio, cioè distinzione, e poi pentimento con adeguate parole pubbliche di riparazione.

Fonte: srs di Luigi Fressola, da Facebook, Party Italia del 5 febbaio 2017

domenica 10 febbraio 2019

LA DEMOCRAZIA È UNA QUESTIONE DI STOMACO



ATTENZIONE: questo articolo è pericoloso, può far venire dei dubbi a chi abbocca ancora alla chiamata alle armi per esportare la 'democrazia'.

Eduardo Galeano  sosteneva che:  ogni volta che gli Usa “salvano” un popolo lo trasformano in un manicomio o in un cimitero.


VENEZUELA. I BASTONCINI E LE NATICHE AL VENTO DI GUAIDÒ




Quanto sta succedendo intorno al Venezuela ricorda un vecchio esperimento di psicologia sociale esaminato tanti anni fa e, per la sua apparente grossolanità, liquidato come “un’americanata”.

L’esperimento consisteva nel mettere un bastoncino obliquo in mezzo a tanti altri dritti e sottoporre l’insieme a un gruppo di 21 persone di cui 20 addestrate a fingere di vederli tutti uguali. La ventunesima persona, oggetto dell’esperimento, dopo aver insistito un po’ circa la posizione obliqua di uno degli elementi in osservazione, si lasciava convincere di essere in errore e accettava la verità del gruppo, rifiutando spontaneamente la verità oggettiva che si trovava di fronte agli occhi.

L’esperimento veniva ripetuto con 200 campioni e di questi, grazie all’abilità dialettica dei 20 persuasori apparentemente sconosciuti gli uni agli altri, meno di una decina manteneva la propria convinzione facendo affidamento sui propri sensi. Ma questa decina di irriducibili finiva emarginata! A questo punto scattava la seconda fase e gli “irriducibili” venivano sottoposti a un nuovo esperimento, collegato al primo, per valutarne la capacità di resistenza alle opinioni altrui in situazione di emarginazione e verificare quanti avrebbero ceduto finendo per autoconvincersi della bugia accettandola come verità. Alla fine dell’esperimento restava fedele alla realtà oggettiva meno dell’1% del campione iniziale.

Impressionante questa induzione al conformismo sociale in modo tanto semplice e col risultato di arrivare alla negazione di una verità oggettivamente dimostrabile .

Non era “un’americanata” quell’esperimento, e quanto sta succedendo in questi giorni circa il Venezuela lo conferma.

Ma veniamo ai fatti. Il mondo è pieno di feroci dittature, di massacri spaventosi – vedi Yemen solo per fare un esempio – di richieste di aiuto inascoltate che spesso vanno a riempire carceri già traboccanti di chi invoca semplicemente democrazia. Le Costituzioni dei Paesi detti democratici ricordano, in modo più o meno incisivo, ma lo ricordano tutte, il principio di non ingerenza, così come pure fa il Diritto internazionale. La Costituzione italiana poi, aggiunge anche il ripudio della guerra e il favorire “le organizzazioni internazionali rivolte ad assicurare la pace e la giustizia”.

Dunque, tra le tante situazioni economicamente e socialmente drammatiche, una al momento è in primo piano nell’informazione mediatica: il Venezuela.

Sono anni che gli Usa cercano di mettere questo Paese nel proprio giardino, date le sue immense ricchezze di petrolio, oro, minerali pregiati e le sue enormi riserve idriche. Durante il governo di Chavez, sia il Nobel-preventivo Obama che il suo predecessore Bush junior, non ce l’hanno fatta, nonostante un “colpetto di Stato” organizzato e fallito nel 2002. Ma il presidente Chavez aveva un carisma che Maduro non ha. Aveva anche una panoramica politica ed economica che Maduro non ha e aveva un vicino sicuramente più affidabile del fascista Bolsonaro, quello che ha inaugurato il 2019 con abbracci e reciproci riconoscimenti col capo di uno dei governi più sprezzanti del Diritto internazionale qual è Netanyahu.

Maduro non è riuscito a far fronte agli attacchi economici giocati sul prezzo del petrolio da parte degli USA, né ai boicottaggi, definiti sanzioni economiche, di USA e UE che per abbattere la presidenza di un Paese non allineato con l’impero non hanno esitato a far morire di fame, in senso proprio, migliaia e migliaia di bambini. Il Paese ha pagato duramente le operazioni di destabilizzazione che hanno portato ad affamare il popolo e questo ogni osservatore politico minimamente onesto non solo lo sa ma lo potrebbe anche documentare. Maduro ha fatto certamente errori politici ed economici grossolani questo è innegabile. I suoi tentativi di frenare l’inflazione ancorando il nuovo Bolivar al barile di petrolio non hanno funzionato. L’inflazione è arrivata a livelli spaventosi, tanto da ricordare quella tedesca dei primi anni ‘20 dello scorso secolo quando un dollaro arrivava a valere 5 miliardi di marchi. Il banchiere Shacht allora riuscì a fermare quella mostruosa emissione di carta straccia legando il marco alla terra e emettendo il nuovo rentmark, ma il banchiere Shacht in quella operazione di salvataggio fu aiutato dal capitalismo mondiale, qui, invece, il capitalismo mondiale ha tutto l’interesse ad abbattere il Venezuela di Maduro visto che non è riuscito ad abbattere il Venezuela di Chavez, e l’entrata a gamba tesa dell’Arabia Saudita (che di democrazia se ne intende e lo sta dimostrando soprattutto in Yemen!) era destinata a rendere vani i tentativi di Maduro, per cui le condizioni sociali si sono via via rese più drammatiche fino a trasformarsi in vera e propria crisi umanitaria pronta a divenire crisi politico-umanitaria.

Sebbene le recenti elezioni abbiano riconfermato la presidenza della repubblica a Maduro, i cinguettii più o meno sguaiati dei media mondiali, con pochissime eccezioni, hanno seguitato a ripetere che Maduro occupa illegalmente la carica di Presidente della Repubblica e quindi è un dittatore, un dittatore che affama e reprime il suo popolo.

Le forze di opposizione, con le consulenze gentilmente offerte dagli USA, hanno avuto gioco facile nell’agitare masse di poveracci, ovviamente scontenti data l’oggettiva e comprensibile disperazione di chi vede i propri figli morire di fame e, come normalmente accade in tutte le comunità umane, il popolo affamato, se adeguatamente manipolato, non ha lo sguardo capace di arrivare verso le cause che hanno generato la realtà effettuale, ma ne vede solo gli effetti e gli effetti sono la fame, l’inflazione che ha superato il 700%, il lavoro che – quando c’è – non dà salari bastanti a vivere, il welfare realizzato dal primo Chavez completamente sparito e, in aggiunta a tutto questo, una forza militare che, come tutte le polizie americane, e non solo, reprime brutalmente i manifestanti. Manifestanti che nella loro esasperazione, in parte pompata, non riescono a chiedersi come mai l’estrazione del petrolio – ricchezza massima del Venezuela – e la sua esportazione, pari al 98% verso gli USA, è stata paralizzata dall’omaggio saudita a Trump che ne ha fatto crollare il prezzo da 100 $ a 8 $ al barile.

In questa situazione di comprensibile inquietudine popolare, l’avvocato Julio Borges, rappresentante del partito di opposizione “Primera Justicia”, accanito anti-chavista, accusato di frodi finanziarie di consistente peso e organizzatore di un tentato golpe nel 2015, organizza la più grande manifestazione in opposizione al potere costituito. Il gioco è quasi fatto. La gente affamata scende in piazza e non si chiede con chi sta manifestando. I militari reprimono le manifestazioni. La situazione ormai è matura e i “portatori di democrazia” ora sanno che gli serve solo l’attor giovane capace di interpretare “il cambiamento, il nuovo che avanza”.

Il 5 gennaio di quest’anno un giovane fascista, Juan Guaidò, noto in patria per aver organizzato una manifestazione a braghe calate e natiche nude come forma di protesta ingiuriosa ed esteticamente disgustosa contro Maduro, viene eletto presidente dell’Assemblea Nazionale. 
CI SIAMO QUASI. Negli Usa è già pronto, valige alla mano, uno dei più macabri personaggi, già consulente degli squadroni della morte in Guatemala e in Nicaragua. Il suo nome è ELLIOTT ABRAMS. Verrà inviato in Venezuela come consulente del giovane presidente dell’Assemblea Nazionale che a 18 giorni dalla sua nomina, il 23 gennaio, deciderà di tenere un discorso in cui si autoproclamerà, in stile commedia brillante, Presidente della Repubblica in sostituzione del Presidente legittimo Nicolas Maduro. A vederlo in tv sembra un caso di bipolarità parossistica e le prime reazioni spontanee che girano sui social sono di stupore e di scherno. Qualcuno invoca l’intervento della neuro e gran parte dei social si scatenano ridicolizzando la sua autoproclamazione.

Ma non è un gioco né un fenomeno dovuto a squilibrio psichico. Tutto era programmato e quest’omino viene prontamente riconosciuto quale salvatore della democrazia da quei paesi che finalmente pensano di avercela fatta.

Quei social, insieme a una sempre più ridotta minoranza di opinion maker, di politici e di pochissimi governi – neanche sempre democratici – riescono ancora a riconoscere il bastoncino obliquo in mezzo a tutti gli altri e il ruolo di salvatore della democrazia ferita, affidato a un fascista, risulta farsesco oltre che pericoloso.

Non c’è osservatore politico o giornalista appena appena informato sui fatti che non capisca la verità, ma ormai l’ordine è dato: il giovane Guaidò deve essere il nuovo mito della democrazia venezuelana contro il “dittatore rosso.” Con un tempismo da record Trump riconosce il golpista come nuovo presidente ma, piccola riflessione, la nomina secondo la Costituzione Venezuelana è popolare, e allora che c’entra il riconoscimento da parte di un Paese straniero? E’ ingerenza impropria, lo stabilisce anche l’ONU!

Inoltre la Costituzione venezuelana all’art. 138 stabilisce che “ogni autorità usurpata è inefficace e i suoi atti sono nulli”. Pertanto basterebbe questo a rimandare Guaidò a fare le sue performance politiche a natiche al vento per la strada ma, si sa, la forza di una potenza come gli USA, se vuole, abbatte la legge e la ragione e quindi ecco che tutti i “campioni assoluti di democrazia e libertà” a cominciare dai fascisti Bolsonaro e Netanyahu, ripetono in coro che Gaidò è il vero rappresentante della democrazia venezuelana.

Intanto il presidente Maduro cerca inutilmente di riavere alcune tonnellate di lingotti d’oro inviati in Germania e in Gran Bretagna per poterli scambiare con generi alimentari per la popolazione. Impossibile! Tanto la Merkel che la May, donne sicuramente sensibili alla tragedia umanitaria che sta squassando il Venezuela, negano la restituzione! Cioè Regno Unito e Germania si appropriano dell’oro venezuelano come volgari ladri o usurai che non restituiscono il pegno! Il fatto è che se la crisi umanitaria si dovesse placare o addirittura risolvere, la crisi politica potrebbe seguirne felicemente le sorti. Eh, no! Allora a che pro tanta fatica? L’avvocato Elliott Abrams non è mica in Venezuela per turismo magari con i figli Jacob e Sarah! Il Times mette la ciliegina sulla torta scrivendo che la Gran Bretagna non restituirà le 1,4 tonnellate di oro depositate nelle sue casse “perché si teme che Maduro lo venda per beneficio personale”.

No, non è una commedia, e non è neanche un esperimento di laboratorio. Loro sanno bene quel che vogliono e sanno che quel bastoncino obliquo rappresentato dal fascista Gaidò è REALMENTE OBLIQUO e non può essere chiamato democrazia. Ma, come nell’esperimento di psicologia sociale citato all’inizio, abbiamo tutti gli altri, a partire dal nostro presidente Mattarella che, ipnotizzati dall’effetto domino del conformarsi alla voce del padrone, annaspano nel sentirsi emarginati e quindi ripetono tristemente che ci si deve adeguare all’Europa!

Non si vede più il bastoncino obliquo, la pochezza morale, culturale e politica che ha invaso l’Italia porta a questo adeguamento capace di falsare persino la realtà oggettiva e dimostrabile.

Ma un irriducibile c’è, può darsi che nella tradizione ondivaga del suo partito domani cambi idea, ma al momento il sottosegretario agli Affari Esteri Manlio Di Stefano sembra ancora capace di vedere il bastoncino nella sua giusta posizione e invoca il principio di NON INGERENZA negli affari interni di un altro Stato proclamato dall’ONU e la ratio sottesa all’art.11 della Carta Costituzionale italiana per affermare che non si può riconoscere il golpista quale legittimo presidente del Venezuela.

Strana la situazione in Italia. Strana, mutevole e contraddittoria. Una sola cosa al momento è certa: la dichiarazione del sottosegretario agli Esteri – che nulla ha a che vedere con le posizioni espresse per tutt’altra ragione dalla Turchia – sta a dimostrare che non sempre e non su tutto è possibile convincere e autoconvincersi che un bastoncino inclinato sia dritto perché tutti lo dichiarano tale, e che un fascista a servizio dell’impero sia un nobile salvatore della democrazia.

(Patrizia Cecconi)

Fonte: facebook  del 7 febbraio 2019-02-05 

venerdì 8 febbraio 2019

USA E TRATTATO INF: MENTONO…MENTONO SEMPRE


MoD russo Mostra FOTO del set di impianti statunitensi per la produzione di missili banditi da INF


Dopo la decisione degli Stati Uniti di sospendere i propri obblighi ai sensi del trattato INF, il ministero della Difesa russo ha dichiarato che Washington ha iniziato i preparativi per la produzione di missili a medio e corto raggio proibiti dall'accordo INF due anni prima di accusare Mosca di violare l'accordo.

I militari russi hanno rilasciato immagini satellitari della fabbrica della Raytheon Corporation, dove i preparativi per la produzione di missili vietati dall'accordo INF sono in corso da due anni, secondo il ministero della Difesa russo.

L'immagine, risalente al 3 dicembre 2018, mostra la fabbrica che misura 4150 × 2300 metri. Secondo il ministero della Difesa, il complesso contiene tre unità di produzione di attori e una che è ancora in costruzione, così come un'area di prova, una stazione elettrica e strutture di stoccaggio semi-sotterranee.



© Foto: Ministero della Difesa russo
Immagine satellitare della fabbrica Raytheon nello stato dell'Arizona


Fonte: Da Veterans Today  del 2 febbraio 2019 

lunedì 4 febbraio 2019

SMETTIAMO DI FARE I PERBENISTI: IL DC-9 DELL’ITAVIA A USTICA FU ABBATTUTO DAI CACCIA FRANCESI MENTRE CERCAVANO DI UCCIDERE GHEDDAFI. COSÌ DICE IL LIBRO DEL GIUDICE ROSARIO PRIORE…




La gente si straccia le vestisull’ingerenza francese in Libya e sui migranti fatti arrivare abusivamente in Italia. Peccato che gli stessi che oggi si agitano non facciano i compiti a casa, non studino: il giudice Priore nel libro “Intrigo Internazionale – Perchè la guerra in Italia”  – Chiarelettere, del 2010 – indica chiaramente che furono i francesi ad abbattere il DC-9 nell’Itavia nelle more di una operazione di guerra internazionale molto simile a quella che portò alla fine di Gheddafi 30 anni dopo. Come disse il capo dei servizi segreti francesi Alexandre de Marenches, pg. 154, “il leader libico doveva essere messo nelle condizioni di non nuocere più, e farlo era il dovere di più governi“. Questo perchè la politica estera di Gheddafi, certamente troppo filo-Italia (il Rais aveva attinenze materne italiane; ricordiamo tra le altre cose il salvataggio della Fiat alcuni anni prima coi soldi libici) dava molto fastidio a Parigi.




In breve, quello che accadde secondo la ricostruzione del giudice Rosario Priore conferma che la marina francese assieme alla propria aviazione, nelle more di una “verità indicibile” secondo lo stesso, avrebbe sferrato l’attacco a Gheddafi mentre il leader libico usava un corridoio aereo riservato ossia non monitorato dai radar – concesso dalla politica estera di Andreotti negli anni precedenti, in cambio di cooperazioni economiche con l’Italia, ndr – per muoversi fuori dai propri confini ossia anche sul nostro Paese. Di norma ciò comportava accodarsi o sovrapporsi a aerei di linea per confondere la traccia radar. Proprio questo accadde durante la battaglia aerea nei cieli italiani del 27 giugno del 1980, quasi precisamente 38 anni fa. E tutto questo sulla scorta di notizie “attendibili” secondo cui l’operazione partì dalla portaerei Clemenceau di stanza nel Tirreno, con il supporto dei caccia partiti dalla base di Solenzara in Corsica.



Pensate che, per uno strano scherzo del destino, quella notte addirittura il vice del generale Dalla Chiesa, il gen. dei Carabinieri Nicolò Bozzo in vacanza in zona vide enormi movimenti di aerei dalla base corsa. La Francia per decenni non ammise quanto rilevato dal gen. Bozzo, anzi disse una marea di bugie, sia sulla reale posizione delle Clemenceau che sul traffico aereo a Solenzara(pg. 156).




Interessantissima la conclusione del giudice Priore sulla vicenda che nella chiosa conduce precisamente alla realtà dei nostri giorni, dove i francesi hanno in piedi un progetto egemonico nell’area una volta fatto fuori il Rais, pg. 157, piano che contempla l’annichilimento dell’Italia:

L’eliminazione del leader libico su Ustica sarebbe stata soltanto la prima fase di un progetto assai più vasto che prevedeva anche interventi via terra sulla Libia. La caduta del regime di Tripoli avrebbe avuto come conseguenza il riordino dell’intero assetto nordafricano e subsahariano e una nuova spartizione dell’influenza in queste aree ricchissime di risorse. A tutto svantaggio della presenza italiana“.


Eppoi: “la politica mediterranea ed africana di Gheddafi era fortemente destabilizzante e colpiva direttamente interessi francesi“, pg. 158. Ossia, nelle more dell’attacco francese di Ustica “l’Italia, appoggiando la Libia, era di fatto in conflitto con la Francia“, pg. 162.


Lettura fondamentale quella sopra indicata.

Con una preveggenza incredibile il giudice Priore ci ha spiegato nei dettagli il contesto e le ragioni dell’attacco di Ustica: l’abbattimento del DC9 fu solo un errore attuato durante la “caccia al jet di Gheddafi” da parte dei francesi sui cieli italiani, contingenza del tutto simile a quanto accaduto nel 2011. Anche allora gli USA erano chiaramente a conoscenza di tutto, c’era infatti un governo Dem a Washington (come nel 2011 con Obama) e come spesso accade gli USA cedettero alle richieste francesi di indebolire l’Italia senza però sporcarsi le mani, una costante da almeno 50 anni, per motivi storici con profonda radice massonica i Dem USA e quelli del Massachusstes in particolare sono legatissimi a Parigi 

In pratica lo scontro sui migranti tra Italia e Libia dei nostri giorni nasconde molto di più ossia il petrolio libico e le risorse nell’area, in nordafrica. 
Peggio, dal 2011 in avanti, col golpe contro l’Italia e la caduta del Rais, in parallelo alla corruzione sistematica di una certa fazione politica Dem ossia della sinistra italiana si è innescato un movimento revanscista europeo che ha coinvolto la fino allora silente Germania la quale si è finalmente convinta a sfidare Washington in EUropa (tale processo corruttivo della gauche francese verso l’omologa fazione italiana ha radici profonde, …, non a caso un ex primo ministro romano – a cui secondo chi scrive andrebbe tolto il passaporto italiano – Enrico Letta, è andato ad insegnare all’università dei servizi francesi a Parigi, oltre ad essere stato insignito – come molti sodali di partito – della Legion d’Onore per i servigi prestati non all’Italia ma alla Republique).




Ossia il flusso incessante di migranti che abbiamo visto negli scorsi anni – dal 2012/13 – dirigersi in Italia, disperati che invece di essere riallocati in EUropa come da accordi EU sono stati deliberatamente ed abusivamente tenuti bloccati entro i nostri confini, fa parte di un piano paneuropeo mirato ad indebolire il miglior alleato anglosassone in Europa.




L’Italia, guarda caso sede di oltre 110 basi ufficiali USA e del primo deposito fuori dai confini americani di esplosivi convenzionali (Camp Darby) oltre ad ospitare più testate atomiche USA di tutti gli altri paesi EU messi assieme.




Ossia i migranti fatti concentrare in Italia sarebbero dovuti essere il diluente socialenecessario per indebolire il Paese dall’interno permettendo, da un lato, la sua conquista economica(parallelamente alla cooptazione – solo per non dire corruzione – della classe dirigente di sinistra da parte dei francesi, vedasi quanti soggetti apicali sono legati a filo doppio alla Francia, Bassanini, Prodi, lo stesso D’Alema, per non parlare di Gentiloni ed E. Letta oltre che dello stesso Renzi, che però si è orientato maggiormente verso la sponda Dem atlantica); dall’altro la perpetrazione di interessi politici ed economici privati (accoglienza migranti da parte delle cooperative rosse) finalizzati a mantenere al potere il PD dando il voto ai nuovi elettori immigrati, gente senza cultura facilmente manipolabile a cui si sarebbe reso chiaro l’obbligo morale di dare il voto a chi li aveva fatti arrivare. 
Parallelamente ci sarebbe stata la progressiva erosione del tessuto economico, sociale e nazionale con l’obiettivo di lungo termine di annientare la creatura anglosassone di stampo ottocentesco nel Mediterraneo, l’Italia.

Ecco. Ora sapete una grossa parte di verità.



E capite anche il motivo dello scontro tra Macron e Salvini, ossia col governo più unionista dall’Unità d’Italia, un governo forte nel Belpaese viene visto da Parigi letteralmente come fumo negli occhi. Ah, l’ultimo dettaglio: sono ben 11 giorni che le “forze francesi di Al Qaeda in Libya” sono martellate da bombardamenti americani partiti da Sigonella, ancora qualche giorno e diventerà impossibile per l’opinione pubblica francese nascondere le decine se non centinaia di morti di soldati d’oltralpe ufficialmente in “incidenti” in giro per il mondo, in realtà morti in guerra in zone dove non sarebbero dovuti essere “operativi”.




Vero che le parole di Macron rivolte a Trump nell’ultimo G7 sono state forti [“… ricordati che non sarai Presidente per sempre….“], ma ben più degno di nota è che oggi Parigi ne sta subendo le pesanti conseguenze, fino a mettere in pericolo la sua stessa permanenza in Nordafrica. Ecco il motivo della fronda interna anti-Macron, terrorizzata in forza del supporto militare USA all’Italia tanto possente da poter ribaltare le sorti di uno scontro geopolitico che solo qualche mese fa sembrava vedere la Francia sicura vincente.

Mitt Dolcino


Fonte: da Scenari Economici del 26 giugni 2918