mercoledì 28 giugno 2017

DALLA LESSINIA, LA SCARPA PER LO SPAZIO.



Si chiama Grigua e viene prodotta a mano dal calzaturificio Gaibana di Corbiolo.


Inventata nel 1998 dai fratelli Vinco di Bosco Chiesanuova per il torrentismo, da sei anni questa particolare calzatura è la scarpa ufficiale dell’ESA, l’Agenzia spaziale europea della NASA. Viene utilizzata per gli addestramenti nelle cavità più profonde della terra. La indossano gli astronauti di tutto il mondo.

Sono lì, posizionate all’interno di una teca verticale multipiano in vetro trasparente, assieme alle immagini autografate del canadese Jeremi Hassen, degli italiani Paolo Nespoli e Luca Parmitano, o della statunitense Jessica Meir. Stiamo parlando delle scarpe tecniche artigianali Grigua, prodotte a mano, una a una, dai fratelli Daniele, Pierangelo e Roberto Vinco del calzaturificio Gaibana di Corbiolo, e utilizzate dal 2013 dai più noti astronauti dell’ESA, l’Agenzia spaziale europea della NASA.

Calzature speciali, dicevamo, nate nel 1998 per il torrentismo e scoperte dall’ESA circa sei anni fa grazie allo speleologo veronese di fama mondiale Francesco Sauro, che le ha mostrate agli astronauti per la prima volta, indossandole, durante una delle sue frequenti esplorazioni nelle cavità più nascoste della Terra.




«Francesco ci disse che rimasero molto colpiti da questa scarpa particolare che realizzammo per la prima volta quasi vent’anni fa per il torrentismo – racconta Daniele Vinco – Si tratta di una calzatura tecnica che richiede 54 passaggi durante la lavorazione, effettuata tutta rigorosamente a mano, e che deve la sua fortuna all’insieme degli elementi innovativi che la compongono, in particolare alla suola».

«Quando ci fu comunicato l’interesse da parte dell’Agenzia spaziale europea nei confronti di questo nostro prodotto, rimanemmo sbalorditi, senza parole – prosegue ancora emozionato Daniele – L’astronauta statunitense Michael Reed Barratt ha presentato una relazione sulle scarpe direttamente alla NASA. Una cosa straordinaria».

Da cinque anni circa ad oggi, una ventina di astronauti hanno indossato le Grigua per gli addestramenti nelle caverne per prepararsi alle missioni nello spazio. Un rapporto di collaborazione formale, ma di stima reciproca e di elevata professionalità tra l’ESA e il piccolo grande laboratorio artigianale della Lessinia.

«L’Agenzia spaziale ci invia i numeri di scarpe dei loro astronauti con le misure in millimetri, noi le confezioniamo anche in base tipologia di piede (egizio, greco, romano, dal collo alto o basso…) tenendo conto dei minimi particolari. – aggiunge Daniele – In queste operazioni anche un solo millimetro può fare la differenza».

«L’ultima spedizione, per Jessica Meir, l’abbiamo effettuata dall’ufficio postale di Bosco Chiesanuova: ci teniamo che le calzature utilizzate da un ente così importante partano da qui, dal paese in cui siamo nati e dove nostro padre Vincenzo, tanti anni fa, cominciò l’attività prima di cederla a noi figli».

Alcune paia, una volta utilizzate, vengono rispedite in laboratorio. Qui vengono analizzate, centimetro per centimetro, alla ricerca di spazi di maggiore usura, di segni da interpretare per capire il tipo di utilizzo e le correzioni da effettuare per il singolo astronauta.

«Le analizziamo, andiamo alla ricerca di tutti i dettagli per migliorare la volta successiva. C’è uno scambio di informazioni, riservate, tra noi e l’Agenzia per arrivare al risultato migliore e più performante. La soddisfazione maggiore l’abbiamo quando le paia di scarpe ritornano autografate, magari con le congratulazioni degli stessi astronauti. Questo ci ripaga davvero di tutto l’impegno che mettiamo nel nostro lavoro».

Gaibana non è nuovo alla realizzazione di scarpe speciali. 

Un primo prototipo di calzatura particolare fu scelto oltre 15 anni fa dalla squadra di elisoccorso di Milano ed oggi l’ES118HT e ES118 Hovering  sono le calzature ufficiali di molti Pronti Emergenza d’Italia.

«Per realizzare questi dispositivi di sicurezza abbiamo cercato di mantenere intatte le caratteristiche di solidità tipiche dello scarpone da alpinismo e di trekking, adattandole però alle esigenze professionali degli enti in questione. Ad esempio, la scarpa ES118 Hovering ha una cavigliera più morbida che non va a stressare i tendini o a ingombrare gli autisti delle ambulanze quando si trovano alla guida del mezzo.

«Tutte le informazioni, gli accorgimenti, le idee che nascono grazie a queste collaborazioni speciali, con l’ESA e con le altre realtà istituzionali con le quali operiamo – conclude Daniele Vinco – ci permettono di migliorare giorno dopo giorno e di inserire nei nostri prodotti elementi preziosi e sempre più innovativi».


Fonte: srs di Matteo Scolari, da PANTHEON  2017


lunedì 26 giugno 2017

LA GRASPIA, EL VIN PICOLO DEI PITOCHI




In passato anche sui nostri monti Lessini quasi tutti i proprietari terrieri che utilizzavano la manovalanza (“i laorenti a jornàda”) per i lavori nei campi, quali ad esempio i “segàti”, usavano somministrare a ciascun operaio circa un litro di vino al giorno; per questo uso erano soliti produrre e/o acquistare una certa quantità di vino “annacquato” e acidulo.
Questa bevanda, le cui origini si perdono nella notte dei tempi, in passato era conosciuta con varie denominazioni, nel veronese ed in Lessinia in particolare era noto come “graspìa o vìn piccolo”; si otteneva dall’acqua pura versata nella vinaccia e lasciata per più giorni in fermentazione nel tino.

Essa generalmente difettava di grado alcolico e tendeva con facilità ad alterarsi, ma ciò dipendeva esclusivamente dalla mancata conoscenza dell’epoca di saper ottimizzare il processo per poter ottenere buoni risultati.

Spesso l’errore dei nostri montanari consisteva nel versare nella vinaccia in un sol tempo una sproporzionata quantità di acqua, causa per la quale non si sviluppava la fermentazione vinosa; nonostante avessero usato la vinaccia non sottoposta allo strettoio si otteneva quasi sempre un pessimo vinello che comunque in tempi di miseria, in difetto di altre alternative, veniva ingurgitato avidamente.

Si doveva invece avere l’accorgimento di versare nella vinaccia una quantità di acqua incapace ad impedire lo sviluppo della fermentazione, si doveva agitare la massa e dopo ore 24 si doveva versare un’identica quantità di acqua, e si così si doveva procedere fino a che l’acqua non avesse raggiunto la vera proporzione, la quale su per giù dava comunque un qualcosa di bevibile.

La proporzione all’incirca era che una vinaccia in grado di dare mille litri di vino, avrebbe dato circa duecento litri di “graspìa”.
Questa proporzione poteva essere accresciuta se nella vinaccia si versava dello zucchero, del miele, della gomma e del sale di tartaro per correggere la eventuale mediocre qualità del vino da esso estratto.

Usando questo procedimento con vinaccia non sottoposta allo strettoio (“el torcolo”) si otteneva un vinello acidulo, appunto la “graspìa”, impiegato per l’uso domestico e per dissetare i contadini nel duro lavoro dei campi.
Se mantenuto in luogo fresco poteva conservarsi per lungo tempo, anche se in fondo la “graspìa” rimaneva pur sempre “el vìn dei pitòchi” (il vino dei poveri), visto infatti che il vino vero e proprio erano ben pochi a poterselo permettere.


Fonte: da Focebook di Alfred Sternberg, del 25 giugno 2017-06-23


venerdì 23 giugno 2017

OGNI PERSONA COLTA SU QUESTA TERRA HA DUE PATRIE: LA PROPRIA E LA SIRIA.




Delle tre religioni mondiali, che venerano un solo Dio, l'ebraica e la cristiana sono nate in Siria.

L'Islam ha raggiunto in Siria il suo rigoglio maggiore.

I fedeli di tre religioni guardano da ogni parte del mondo verso i santuari disseminati in tutta la Siria.

Fu in Siria che, per la prima volta nella storia, fu fondato un regno dello spirito, e per la prima volta un'idea fondò il proprio dominio su tutta la potenza e lo splendore della terra. Fu l'idea che il mondo è stato creato da Dio e che l'uomo è un'immagine di Dio.

Fu in Siria dove fu annunciato per la prima volta che l'uomo è fratello dell'uomo.

 La Siria è stata maestra di morale a tutta l'umanità.


A ragione Philip K. Hitti, storico di questi luoghi, dice che ogni persona colta su questa terra ha due patrie: la propria e la Siria.

giovedì 22 giugno 2017

DA DOVE DERIVA IL TERMINE CRUCCO?




Il termine “crucco” è un adattamento italiano del serbocroato “kruch”, che significa pane.

La parola risale alla seconda guerra mondiale, quando i soldati italiani la utilizzarono per soprannominare gli abitanti della Iugoslavia meridionale con cui venivano in contatto. Per questo motivo, quella regione veniva chiamata anche “terra crucca”.

In un secondo tempo il termine, anche nella forma “cruco”, venne applicato dai soldati che combattevano in Russia e poi dai partigiani ai soldati tedeschi (nella foto, un gruppo di ufficiali  dell'esercito della Germania posa con Adolf Hitler).

Come aggettivo, “crucco” fu riferito, in senso dispregiativo, a tutto ciò che era tedesco. Ora è sinonimo anche di persona testarda.


Fonte: da Focus del 11 ottobre 2002