lunedì 31 luglio 2017

TERRA PIATTA? IUS PRIMAE NOCTIS? FALSITÀ CONTRO IL MEDIOEVO




Lentamente tutte le bufale sui cosiddetti “secoli bui”, ovvero il Medioevo, stanno crollando grazie all’onestà intellettuale di molti storici.

Per quanto riguarda l‘”Inquisizione medioevale“, ad esempio, è stato dimostrato che in realtà il fenomeno si diffuse nel Rinascimento e maggiormente in ambito protestante anzi, lo storico Christopher Black ha osservato che quella romana era decisamente “meno oscura di quanto si pensi”, anzi fu più umana e con poche condanne.

In questi giorni ha voluto smontare ancora una volta la leggenda dei “secoli bui” lo storico Alessandro Barbero, ordinario di Storia Medievale presso l’Università degli Studi del Piemonte Orientale.
 Scrivendo su “La Stampa” ha osservato accennando a George Orwell: «Al popolo si insegna che nel brutto, lontano passato esistevano creature malvage chiamate i capitalisti, che opprimevano il popolo con le pretese più infami. Il procedimento immaginato da Orwell, creare un’immagine tenebrosa del passato allo scopo di esaltare il presente, è stato praticato davvero in Europa, dal Rinascimento fino all’Ottocento: vittima designata, il Medioevo. Umanisti e artisti rinascimentali orgogliosi della loro nuova cultura, riformatori del XVIII secolo in lotta contro il feudalesimo, positivisti dell’Ottocento intenti a celebrare il progresso e combattere la superstizione, si sono trovati tutti d’accordo a dipingere con le tinte più nere il millennio medievale. Sono nate così alcune istantanee, chiamiamole così, che tutti visualizziamo facilmente, tanto sono inseparabili dall’immagine popolare del Medioevo».

Sono molte queste leggende e il prof. Barbero le affronta smontandole: «Le folle atterrite che riempiono le chiese negli ultimi giorni prima dell’anno Mille, nella certezza che il mondo sta per finire; i dotti, in realtà ignorantissimi, che credono che la Terra sia piatta, o comunque non osano insegnare il contrario per paura di essere puniti dalla Chiesa; e naturalmente lo ius primae noctis evocato da Orwell, la legge infame per cui il signore del villaggio ha diritto alla verginità di tutte le ragazze, e biecamente riscuote quel che gli è dovuto la sera di ogni festa di nozze». Niente di tutto questo è vero e gli storici lo sanno. 

Anzi, lo storico, ha spiegato Babero, «si sente un po’ un guastafeste quando, dopo lunghe e accurate verifiche, gli tocca sentenziare che tutte queste immagini così pittoresche sono false, e che nulla di tutto ciò è mai accaduto davvero. Eppure è proprio così: se si va a controllare si scopre, con non poco stupore, che di queste cose nel Medioevo non si parlava affatto, e che sono tutte state inventate dopo».

Per quanto riguarda il presunto terrore della fine del mondo nell’anno Mille, secondo alcuni teorizzato dalla Chiesa, occorre sottolineare che «il 31 dicembre 999 il papa Silvestro II confermava i privilegi di un monastero per molti anni a venire a patto che in futuro ogni abate, quando veniva eletto dai monaci, si facesse consacrare dal Papa». Lo si evince dal foglio dell’Apocalisse di San Severo, manoscritto francese dell’XI secolo…è evidente che il Pontefice non aveva affatto in mente che il mondo stesse per finire. 

Vogliamo parlare della terra piattaSecondo il poco scientifico Alessandro Cecchi Paone fu Galileo Galilei a dimostrare che aveva una forma sferica, attirandosi così le ire della Chiesa. Eppure chiunque nel Medioevo dava per scontato che la Terra fosse sferica, proprio come oggi, tant’è che «ogni imperatore medievale si faceva raffigurare con in mano il simbolo del suo potere sul mondo: un globo sormontato dalla croce» ha commentato lo storico.

Ed infine, ultimo esempio, si parla della menzogna dello “ius primae noctis” (diritto della prima notte), la legge per cui ogni feudatario aveva il diritto di trascorre, in occasione del matrimonio di un proprio servo della gleba, la prima notte di nozze con la sposa.
Eppure non vi sono testimonianze di una sua diffusione nell’Europa medievale e le fonti storiche non rintracciano direttive né da parte delle autorità laiche (re, imperatori), né da parte di quelle ecclesiastiche.

Anche per questo, ha spiegato lo storico Barbero, «non lo incontriamo mai, se lo cerchiamo dove ci aspetteremmo di trovarlo. Il Medioevo ci ha lasciato un’infinità di novelle come quelle del Boccaccio, in cui si parla di sesso con grande franchezza», eppure «non c’è nemmeno un autore medievale che abbia pensato di trarre profitto da uno spunto così succulento come lo ius primae noctis, di cui oggi sceneggiatori del cinema e autori di romanzi storici si servono continuamente».

Si è cominciato a parlarne dopo il ‘500, in pieno Rinascimento, «secondo uno schema preciso e che è sempre il medesimo: come qualcosa che capitava ai brutti vecchi tempi […] nella fantasia di eruditi creduloni che descrivono un passato leggendario, che comincia a circolare questa storia incredibile: quel passato era così barbaro che i signori pretendevano addirittura di godersi le spose dei loro servi nella notte delle nozze».

Da queste leggende è difficile sbarazzarsi, «non importa se da cent’anni nessuno storico serio le ripete più, e se grandi studiosi come Jacques Le Goff hanno insistito tutta la vita a parlare della luce del Medioevo», ha concluso laconico lo storico Barbero. 
«Nel nostro immaginario è troppo forte il piacere di credere che in passato c’è stata un’epoca tenebrosa, ma che noi ne siamo usciti, e siamo migliori di quelli che vivevano allora».


Fonte: da  UCCR  del 31 agosto 2013



sabato 29 luglio 2017

A BRESCIA SPARISCE VIA CADORNA, AL SUO POSTO QUELLA DEDICATA DODDORE MELONI




di REDAZIONE

Si tratta di un gesto certo, ma estremamente simbolico anche se illegale.
Questa notte qualcuno ha apposto sopra la targa intitolata a Luigi Cadorna, nella omonima via a Brescia, una altra insegna con scritto Via Doddore Salvatore Meloni. Patriota sardo.
In pratica, al posto di un assassino si ricorda un assassinato dallo Stato.

Doddore Meloni indipendentista sardo scomparso 3 settimane fa, dopo un lungo sciopero della fame e della sete.
Perchè a Brescia?
Probabilmente, perchè proprio nella città  della Leonessa Meloni era stato rinviato a giudizio insieme a oltre 40 persone per il processo “Tanko 2” ovvero per aver attentato all’’Unità d’ Italia.

Doddore Meloni è stato tumulato a Terralba, dove hanno partecipato decine di persone, provenienti da ogni parte della penisola.  
Applausi, “Libertà” e “Indipendentzia” urlate tenendo alta la bandiere dei quattro Mori, quella di Malu Entu e anche quella col Leone di San Marco.
I funerali si sono svolti il 9 luglio scorso a Terralba (Oristano), dove viveva con la famiglia, nella Cattedrale di San Pietro gremita di gente arrivata un da tutta la Sardegna.

Fonte: da il miglioverde  del 28 luglio 2017-07-28


venerdì 28 luglio 2017

NELLA DE PIERI. ERA INCINTA, LA GRAZIARONO...POI LA UCCISERO UGUALMENTE

Nella De Pieri 



"La donna gettata nel Bus de la Lum non è un'invenzione. C'è: è mia madre".

 Dopo quarantacinque anni di silenzio Gian Aldo De Pieri, figlio di Nella, fucilata dai partigiani sul Cansiglio, ha deciso di uscire allo scoperto per raccontare la sua verità. Quella di cui è stato testimone diretto in quella mattina del settembre '44 quando, a sei anni di età, si vide portar via la madre sotto gli occhi.

Gian Aldo De Pieri ha scelto di parlare, e di mostrare tutte le carte che ha raccolto, dopo aver letto la smentita dei partigiani a proposito dei cadaveri gettati nel Bus de la Lum, e la controversione da loro fornita. "Una serie di falsità e di inesattezze", contesta. E replica: "La presero per vendicarsi di mio padre, volontario della Guardia nazionale repubblicana.

L'accusarono di essere una spia, era innocente. Un loro medico chiese loro di non ucciderla, perchè era incinta. In un primo tempo le concessero la grazia, poi la fucilarono ugualmente. E infine la gettarono nel Bus de la Lum: lo dice lo stesso certificato di morte¯.

Nella De Pieri aveva 36 anni quando venne uccisa. Era sposata con Lino, ricevitore del dazio a Ponte nelle Alpi. Dal matrimonio erano nati due figli: Gian Aldo e Gabriella. Nel settembre del '44, Lino militava nella Guardia nazionale repubblicana. A Ponte era rimasta Nella con i bambini. Una mattina, mentre stava andando in bicicletta a Soccher con Gian Aldo per comprargli un maglione, venne fermata da alcuni partigiani, che la condussero dapprima in un albergo, e poi con una moto su in Cansiglio.  Il bimbo venne affidato a un uomo del posto, Olindo Pierobon.

La donna fu accusata di essere una spia. Racconta oggi suo figlio: "La denuncia parte da qualcuno che voleva compiere una vendetta.  Alcuni partigiani hanno poi ammesso che era innocente.  Altri hanno sostenuto che era andato bruciato tutto. Nessuno ha mai potuto dimostrare quelle accuse. Per giunta, dopo il processo l'avevano graziata, perché aveva due bambini piccoli e perchè  era incinta. Ma proprio mentre la stavano mandando a casa, arrivò un altro partigiano che insistette per l'esecuzione".

A conferma della sua tesi porta molti documenti raccolti nei mesi successivi da una sua zia, Ilde Fasolato De Pieri, sorella del marito di Nella.
Dice uno di questi, riferendosi appunto al processo: "Il medico che avevano con loro si alzò, e disse che stessero bene attenti prima di commettere un delitto, perchè era in stato interessante".
Sul fatto della grazia, poi revocata, c'è anche la testimonianza di Decimo Granzotto, sindaco di Belluno dopo la Liberazione, al quale la cognata di Nella si era rivolta per avere notizie: "Granzotto mi disse che nei giorni che mia cognata si trovava in Cansiglio, lui era già… venuto via, che però seppe dal dottore che essa era con la Divisione Nannetti, che da questa venne condannata a morte, ma che poi fu graziata perchè madre di due bimbi piccoli".



Fucilata il 9 settembre '44 da partigiani della brigata "Tollot" su in Cansiglio, Nella De Pieri non morì subito: fu necessario darle il colpo di grazia, secondo la testimonianza resa al parroco di Cadola (la parrocchia della donna) da Luigi Boito, un partigiano di Ponte nelle Alpi.
E dopo? Dopo, hanno detto i partigiani nella recente conferenza stampa tenuta a Vittorio Veneto, fu sepolta in un cimitero della zona.
Contro questa versione c'è il certificato di morte redatto dal parroco, don Giacomo Viezzer, custodito nell'archivio parrocchiale di Santa Maria di Cadola al numero 50 bis.
Dice il testo: "Anno 1944 del mese di settembre. Dal B• Marianna di Giovanni e di Troncon Rosa, da Ponte nelle Alpi, di anni 36, coniuge De Pieri Lino, casalinga, uccisa dai partigiani il giorno 9 corrente mese al Pian Cansiglio ed ivi sepolta presso il burrone detto Bus de la Lum. Comunicazione avuta da partigiani del Cansiglio testimoni al processo”.

I due figli della donna intanto erano stati affidati alle suore di Casa del Sole, un istituto di Ponte nelle Alpi. Il marito Lino, qualche settimana dopo, venne intercettato col suo battaglione in Val Camonica dai partigiani e fu ferito nello scontro a fuoco. Riuscito a trascinarsi fino a un ospedale della provincia di Brescia, mori pochi giorni dopo: era il 9 novembre 1944, due mesi esatti dopo la fucilazione della moglie. Quasi mezzo secolo dopo, di quella storia si continua a parlare. E su quella storia si continua a cercare una verità che resta ancora divisa.

IL GAZZETTINO del 18 Marzo 1989 a firma Francesco Jori


Fonte: da Facebook di Manola Sambo del 23 luglio 2017





giovedì 27 luglio 2017

I 15 NOMI DI DONNA PIÙ RICORRENTI NELLE CLINICHE PSICHIATRICHE



1 – Giulia
2 – Chiara
3 – Francesca
4 – Federica
5 – Sara
6 – Martina
7 – Valentina
8 – Alessia
9 – Silvia
10 – Elisa
11 – Ilaria
12 – Eleonora
13 – Giorgia
14 – Elena
15 – Laura


martedì 25 luglio 2017

NAPOLI - IL GIGANTE CHE DERIDEVA I POTENTI




Ci fu un tempo in cui Largo di Palazzo, l’attuale piazza Plebiscito, era sorvegliata da una immensa statua di Giove proveniente dalla rube euboica di Cuma, la prima città della Magna Grecia e anello di congiunzione tra Napoli e l’Ellade.
Il Gigante del Largo di Palazzo, così come venne chiamato dai napoletani, fu collocato nel 1668 sul margine meridionale della piazza dal viceré don Pedro Antonio d’Aragona, e rappresentò per ben 138 anni il veicolo attraverso il quale i napoletani, con la propria straripante ironia, si prendevano gioco dei potenti.

Da simbolo del potere autoritario, dal forte impatto evocativo, la statua del Giove Cumano divenne per il popolo il Gigante parlante, l’improbabile portavoce di lazzari e intellettuali che con sberleffi e componimenti satirici schernivano le cariche istituzionali che si succedevano nell’adiacente Palazzo Reale. Un’usanza dilagante e profondamente oltraggiosa capace di mandare su tutte le furie i governati di Napoli, che a più riprese tentarono di estirpare questa umiliante condanna con ogni mezzo.
Si racconta che il viceré Luis de la Cerda, duca di Medinaceli, sul finire del XVII secolo provò a scoraggiare i napoletani promettendo una taglia di 8.000 scudi d’oro a chiunque fosse stato capace di cogliere sul fatto gli irriverenti burloni. Un tentativo che, ahilui, si dissolse nell’inquietante controproposta dei lazzari napoletani, che nella notte affissero sulla base della statua una taglia di 80.000 Ducati d’oro per chiunque fosse stato in grado di decollare l’ardito governante ed esporre la testa mozzata in piazza Mercato.

Durate i burrascosi moti rivoluzionari del 1799, il popolo fasciò il Gigante cumano con i colori della Repubblica Napoletana, e sul capo riccioluto di Giove fu riposto il simbolo della rivoluzione francese, un enorme berretto frigio che fu poi strappato via qualche tempo dopo dai sanfedisti Napolitani capeggiati dal Cardinale Ruffo.





Ma che fine ha fatto questa colossale statua classica, ignara protagonista della nostra storia millenaria? Ebbene, l’acròlito di Giove fu destinato all’oblio da Giuseppe Bonaparte, sul trono di Napoli  dal 1806 al 1808. Il re di Napoli, stanco dell’intemperanze dialettiche del Gigante cumano, ordinò che fosse smantellato e condotto nelle scuderie reali, fino a quando, agli inizi del XIX secolo, entrò a far parte della collezione esposta nel Real Museo Borbonico di Napoli.

Da quel momento sul Gigante “parlante” calò il freddo sipario dell’indifferenza. Uno dei simboli più importanti della città di Napoli, capace di attraversare più o meno indenne oltre due millenni di storia , si trova oggi relegato in compagnia di altri marmi in un anonimo cortile del Museo Archeologico di Napoli, a due passi dalla porta d’uscita. Un tronco di marmo malandato e storpio che passa quasi inosservato, ma che in passato, con i suoi pungenti sberleffi, fu capace di irridere e umiliare i potenti della città.

Si narra che il giorno destinato al trasloco imposto da re francese, sulla base del Gigante apparve una frase che diceva: “Lascio la testa al Consiglio di Stato, le braccia ai Ministri, lo stomaco ai Ciambellani, le gambe ai Generali e tutto il resto a re Giuseppe…” Un’allusione, quest’ultima, fin troppo eloquente, e che di certo non necessita di ulteriori spiegazioni…




Fonte: srs Di Antonio Corradini, da  facebook Tamburino Meridionale, del 28 aprile 2017