martedì 29 settembre 2015

STORIA VENETA – 76: 1448 - VENEZIA ANCORA IN GUERRA CONTRO I MILANESI. LA ROTTA DI CARAVAGGIO.


Dal testo di Francesco Zanotto


"Cadder de' nostri, fra gli altri, prigioni Gentile da Lionessa, Roberto da Montalbotto, Guido Rangoni, ed eziandio i due provveditori Ermolao Donato e Gerardo Dandolo, i quali ultimi, quantunque parecchie volte  fatti avvertiti del pericolo loro, affinchè si salvassero colla fuga, magnanimemente risposero: voler piuttosto morire daccosto alle insegne di San Marco, di quello sia salvarsi, abbandonandole vilmente ... "


ANNO 1448


Giuseppe Gatteri


Cosa ci racconta il disegno di Gatteri.


Dopo la morte del Visconti per Venezia tuttavia non c'è pace. Il  nuovo duca Francesco Sforza, dopo aver combattuto anche nelle fila veneziane, lavora ora per il suo personale ed ambizioso progetto di potere.  Sulle prime la sorte sembra favorirlo, ma non tutti gli si arrendono ...


LA SCHEDA STORICA - 76


L'anno in cui Venezia estese la sua giurisdizione fino a Ravenna (1441), fu anche l'anno in cui le parti belligeranti ormai esauste, firmarono la pace (Cremona).
Nel 1440, un anno prima, dopo un'ultima battaglia che permise di far giungere i rifornimenti a Brescia assediata, il Gattamelata si ritirò per sempre dagli impegni militari, a causa anche di due attacchi di apoplessia, lasciando il comando delle armate veneziane al solo Francesco Sforza. E costui prima della firma della pace a Cremona riuscì finalmente a sposare la figlia del Visconti Maria, già da tempo promessagli dallo stesso duca milanese che non aveva altri eredi diretti.
Con le nozze lo Sforza otteneva quale dote della moglie Cremona e Pontremoli. Le nozze vennero celebrate nell'ottobre del 1441 nella chiesa di San Sigismondo a Cremona e il 20 novembre venne finalmente siglata la pace tra Milano e Venezia.
Qui lo Sforza venne accolto quale trionfatore e la casa che fu del Gattamelata a San Polo venne messa a disposizione dell'illustre coppia. A Bianca Maria Sforza venne anche regalato un gioiello del valore di un migliaio di ducati. Niente in quei giorni festosi sembrava poter incrinare l'amicizia e la devozione dello Sforza verso Venezia. Niente, fuorchè il mutare rapido degli equilibri e delle ambizioni che presto avrebbero fatto della pace di Cremona una semplice formalità. Gli ingredienti per creare una situazione esplosiva, non mancavano.


Ancora e sempre il Visconti


 Milano Filippo Maria Visconti continuava a tessere complotti e intrighi, Francesco Sforza era ormai all'apice dell'energia e delle sue ambizioni tanto più dopo le nozze con la Visconti; a Firenze Cosimo de Medici guardava ora con crescente preoccupazione all'espansione veneziana in Lombardia.
Date queste premesse l'unica potenza che avrebbe voluto finalmente una pace duratura era proprio Venezia che si ritrovava ora a gestire un dominio di terraferma che si estendeva per ben trecento chilometri verso occidente e a sud fino a Ravenna. Ma le circostanze incalzavano il governo ducale che nel 1446 scendeva con il suo esercito nuovamente in guerra. Il Visconti infatti, si era mosso per l'ennesima volta contro il potente genero che Venezia accettò di aiutare ed appoggiare ( come avrebbe potuto non farlo?).
Nel settembre di quel medesimo anno l'esercito veneziano sbaragliava così i Milanesi a Casal Maggiore e attraversando l'Adda giungeva fin sotto le mura di Milano. Disperato Filippo Maria Visconti chiese aiuto a destra e a manca. A quel punto lo Sforza sapeva benissimo che se avesse atteso un altro po' il Visconti avrebbe prima o poi ceduto. E così fu.
Purchè retrocedesse dall'assedio di Milano, il duca promise allo Sforza di nominarlo suo erede e capitano generale delle forze milanesi. Il destino poco dopo sembrò confermare queste promesse.
Il 13 agosto del 1447 infatti, Filippo Maria Visconti moriva improvvisamente dopo una settimana di agonia tenuta nascosta. La notizia della morte del duca sorprese anche Francesco Sforza che infatti allora non si trovava a Milano dove invece scoppiò la più totale confusione.
Lodi e Piacenza poi, colsero l'occasione per consegnarsi spontaneamente a Venezia, creando le premesse per un inevitabile scontro tra la Serenissima e lo Sforza. Questi infatti, era stato nominato dal fragile governo della neonata repubblica ambrosiana comandante delle forze milanesi.
E così venne chiesto più volte al senato veneziano di restituire a Milano tutte le terre al di là dell'Adda appartenute al ducato visconteo, ma i veneziani risposero che l'avrebbero fatto a patto che si fosse rimborsato loro tutta la spesa occorsa per conquistarle. La richiesta, inaccettabile anche finanziariamente per i milanesi fu la scintilla che provocò il nuovo scontro tra Milano e Venezia.


Lo Sforza ora è a casa sua


 Lo Sforza questa volta combatteva apertamente per i suoi interessi con l'esercito milanese contro i veneziani riuscendo a conquistare Pavia che si diede spontaneamente, e dopo lungo e sanguinoso combattimento anche Piacenza. Alla fine del 1447 era così riuscito a recuperare tutti i territori oltre l'Adda ad eccezione di Caravaggio. Lo Sforza inviò così una flotta sul Po per contrastare i veneziani che al comando di Andrea Querini dovettero ripiegare.
Intanto il capitano generale delle truppe terrestri Attendolo, premeva affinchè l'esercito veneziano muovesse contro quello milanese contro il parere dei due provveditori di campo Ermolao Donato e Gerardo Dandolo. A nulla valsero i loro consigli di rimandare lo scontro poichè l'Attendolo si era già mosso con le sue truppe contro lo Sforza. Per l'esercito veneziano numericamente molto inferiore fu il disastro più totale.
L'urto con le soldataglie dello Sforza presso Caravaggio provocò ben presto tra le fila dei Veneziani un fuggi fuggi generale dopo che i due principali condottieri furono uccisi. Bartolomeo Colleoni dopo un generoso tentativo di resistenza alla fine fuggì un un bosco lì vicino; Michele Attendolo, capitano generale e colui che spinse l'esercito veneziano nel disastro, ugualmente fuggì con ottomila tra cavalli e fanti. Solo i due provveditori Donato e Dandolo invece, si rifiutarono di abbandonare il campo anche se il loro generoso e orgoglioso gesto non mutò l'esito finale della battaglia.
Francesco Sforza aveva ricostituito il ducato visconteo e aveva dato a Venezia una sonora lezione sancendo definitivamente il suo personale dominio.  


Fonte: srs di Giuseppe Gatteri, Antonio Viviani, Francesco Zanotto, Giuseppe Grimaldo, Laura Poloni, Giorgio Marenghi; da STORIA VENETA,  volume  3, SCRIPTA EDIZIONI



giovedì 24 settembre 2015

STORIA VENETA – 75: 1441 - RAVENNA DIVENTA VENEZIANA. ANTONIO MARCELLO RIFIUTA LA SIGNORIA



Dal testo di Francesco Zanotto


"Confusi i Ravennati da questa inopinata sciagura, nè avendo altra speranza di salute, fuorchè nelle armi della Repubblica, portaronsi dinanzi al Marcello, proclamandolo lor signore assoluto. Ma egli che più la  patria che il proprio interesse curava, magnanimemente ricusò il titolo, il grado e l'onore costantemente, e in quella vece si diede con tutto sè stesso a dirigere gli animi di que' cittadini all'unico scopo di difendere la città dall'aggressione ... "


ANNO 1441 



Giuseppe Gatteri


Cosa ci racconta il disegno di Gatteri.


Dopo una serie di alterne e convulse vicende interne e la reale minaccia dell'esercito visconteo, Ravenna chiede aiuto ai veneziani che accettando estendono la loro influenza anche sulla città romagnola.


LA SCHEDA STORICA  -  75


Bisogna fare un passo indietro per comprendere lo sviluppo delle relazioni tra Venezia e Ravenna. L'importante centro romagnolo chiudeva di fatto a sud l'arco della laguna veneta e da sempre era stato un obiettivo molto ambito dai veneziani.  
Nella guerra poi che vide le truppe veneziane contrastare le mire espansionistiche di Jacopo da Carrara signore di Padova, Ravenna a differenza ad esempio di Ferrara, si era schierata con la repubblica veneziana.   
Nel 1405 anzi, quale riconoscenza della fedeltà dimostrata in svariate circostanze il governo veneziano ascriveva Obizzo da Polenta signore di Ravenna alla nobiltà veneziana.
Poco prima durante il conflitto, Obizzo, caduto prigioniero nelle mani dei padovani, riotteneva la libertà solo grazie alla generosità del governo ducale che pagò il riscatto di ben tremilacinquecento ducati richiesto dal Da Carrara. Come se non bastasse Venezia aiutò finanziariamente i ravennati ai quali il signore padovano aveva ugualmente chiesto una somma esorbitante per riavere il loro marchese.
Da quelle ormai remote circostanze ebbe origine quella stretta amicizia tra il governo veneziano e la città di Ravenna nelle persone di Obizzo e del suo successore e figlio Ostasio. Le circostanze storiche, poi, fecero il resto.
La Romagna infatti, non era certo una delle terre più tranquille della penisola, da sempre anzi autonomie feudali dei signori locali in rotta di collisione a volte con la sovranità della Chiesa avevano contribuito a creare nella regione un costante stato di agitazione e di guerra.
A complicare ulteriormente le cose arrivò agli inizi del XIV secolo anche lo scisma che portò al soglio pontificio ben tre papi ( Gregorio XII, Benedetto XIII e Giovanni XXIII). Il caos che ne derivò in quella regione fu a quel punto totale e Obizzo da Polenta, impotente a far fronte alle continue e sempre più accese discordie, decise di rivolgersi a Venezia chiedendone l'aiuto.
Con una lettera datata 4 settembre 1430, Obizzo chiedeva al doge Tomaso Mocenigo di intervenire. Il senato veneziano naturalmente acconsentì e spedì prontamente a Ravenna un podestà che governasse a fianco del Da Polenta per conto del governo veneziano.
Proprio al podestà Obizzo si rivolse sul punto di morte nel 1432 quando affidò suo figlio e successore Ostasio III alle cure del governo ducale data anche la sua minore età. Il podestà-tutore veneziano raggiunse presto Venezia che si assicurava così praticamente il controllo e l'amicizia di quella città. Un'amicizia che si dimostrò vitale anche per la stessa Ravenna, più volte minacciata dalle armate del Visconti.
Purtroppo Ostasio III, giovane e debole di carattere, non assomigliava per nulla al padre e quando un potente esercito comandato dall'immancabile Piccinino si presentò sotto le mura di Ravenna, non seppe far altro che accordarsi con lo stesso per cacciare i veneziani dalla città.
Il giovane principe tuttavia, accorgendosi di avere ancora in casa i Veneziani, ritornò praticamente quasi subito sulla sua decisione facendo ripristinare le insegne di San Marco salvo di tornare poco dopo all'idea iniziale.
Era veramente troppo! La nobiltà ravennate non sapeva più cosa fare nei confronti di un principe tanto inetto e incapace di ogni decisione. Alla fine si risolse di offrire la propria città alla repubblica di Venezia tramite l'ambasciatore Francesco Monaldini.
Come sempre l'offerta venne benevolmente accettata dal governo veneziano che provvide immediatamente tramite diploma ducale ad esentare Ravenna per i prossimi dieci anni da ogni forma di tributo in segno della sua gratitudine.
Dopo la gratitudine i fatti. Il governo veneziano provvide a mandare nella città un corpo di milizie con lo scopo di riportarvi un po' di quiete, ma questo suscitò il rancore e le ire del giovane Ostasio che riprese a tramare, questa volta seriamente, contro i Veneziani.
Dalla città lagunare allora, venne inviato a Ravenna un ambasciatore investito di larghi poteri, primo fra tutti quello di pacificare le diverse fazioni cittadine schierate pro o contro i veneziani.
Antonio Marcello, questo era il suo nome, giunse quindi nella tormentata città e a fatica riuscì a tenere a freno gli animi, quando nel 1441 ricomparve all'orizzonte cittadino un'antica conoscenza dei Veneziani: Nicolò Piccinino con il suo spaventoso esercito. I Ravennati terrorizzati corsero dal Marcello supplicandolo di prendere presto dei provvedimenti, una decisione che salvasse la città dalla rovina.


L'occasione fa l'uomo vero


Fu in quell'occasione che al Marcello venne così offerta la possibilità di diventare signore assoluto di Ravenna, carica offertagli su di un piatto d'argento da tutta una cittadinanza. Antonio Marcello, tuttavia, ben consapevole della delicata situazione, rifiutò decisamente l'offerta che ben sapeva dettata solo dalla paura. Accettarla non rientrava certo nei suoi progetti anche perchè prima di tutto c'erano comunque gli interessi di Venezia e del suo governo. Pensando proprio alla sua patria invece e al pericolo che Ravenna stava correndo si diede subito da fare per organizzare i cittadini nella difesa della loro città. In quei momenti di grande incertezza e terrore il marchese Ostasio da Polenta dopo aver subìto anche un attentato, scelse la più facile e sicura via della fuga, abbandonando la città con sua moglie Ginevra figlia del signore di Faenza.
La città poteva ora e veramente solo contare sui Veneziani e a Venezia Ravenna si consegnò spontaneamente ad un patto che prevedeva alcuni punti: che Ostasio e la moglie andassero esuli a Candia, che i nuovi sudditi godessero di tutte le immunità commerciali e fiscali; che tutte le saline costruite attorno alle mura venissero distrutte perchè rendevano l'aria troppo insalubre. Il governo veneziano di fronte a queste richieste favorevoli alla città di Ravenna quanto alla Serenissima accettò più che volentieri.


Fonte: srs di Giuseppe Gatteri, Antonio Viviani, Francesco Zanotto, Giuseppe Grimaldo, Laura Poloni, Giorgio Marenghi; da STORIA VENETA,  volume  3, SCRIPTA EDIZIONI



mercoledì 23 settembre 2015

STORIA VENETA – 74: 1439 -VERONA ATTACCATA IMPROVVISAMENTE. SI RECUPERA VERONA



Dal testo di Francesco Zanotto


" Lo Sforza ... verso la mezzanotte, sendo avvertito che il Piccinino ed il marchese di Mantova abbandonavano quella parte della città giacente sulla sinistra sponda del fiume per chiudersi nella cittadella, marciò tosto col drappello de' suoi, passò libero i ponti, ed entrò in quella parte, disarmando i facendo prigioni i soldati che qui e qua trovava posti a guardia dei luoghi. Dalle finestre intanto i cittadini lo acclamavano siccome lor liberatore ... "


ANNO 1439


Giuseppe Gatteri


Cosa ci racconta il disegno di Gatteri.


Un improvviso attacco a Verona da parte del comandante visconteo Piccinino costringe i veneziani a concentrare le proprie forze sul recupero della strategica città dove i due eserciti si fronteggiano sulle opposte rive dell'Adige per arrivare presto allo scontro decisivo ...


LA SCHEDA STORICA – 74


 La città di Brescia dopo lunghi mesi di assedio era effettivamente ormai alle sue ultime energie. L'inverno con il freddo e senza rifornimenti aveva portato i suoi abitanti ai limiti massimi di sopportazione. Con l'estate tuttavia, la situazione divenne a dir poco disperata.
Scrive un testimone oculare: "Mi pareva che li citadini havesseno invidia alli morti tanto stavano a mal porto ... et pur si portava (sopportava) in pace per non venir sotto quello duca di Milano, aspettando sempre lo secorso del conte Francesco (Sforza)".
Come se non bastassero l'assedio e la fame, con l'estate arrivò puntuale anche la peste con le sue quaranta, cinquanta vittime giornaliere. E pure la città ancora non si arrendeva. Pur di non cadere nelle mani del Visconti sopportava tanto supplizio fiduciosa nell'aiuto dei veneziani.
La titanica impresa del Garda non produsse però alla fine alcun effetto, restando le navi bloccate dai milanesi nel porto di Torbole. Si doveva a tutti i costi tentare un'altra strada.
Al Gattamelata intanto venne affiancato Francesco Sforza che dal 1439 militava sotto le bandiere di San Marco con la promessa che se si fosse conquistata Milano, Venezia lo avrebbe immediatamente riconosciuto quale nuovo e legittimo duca. Allo Sforza del resto, lo stesso Filippo Maria Visconti aveva promesso la mano dell'unica sua figlia ed erede Maria.
Le forze riunite del Gattamelata e dello Sforza, dunque, dovevano assolutamente rompere l'assedio di Brescia o comunque far giungere nella città dei rifornimenti.
Gli eserciti veneziani, in marcia versò nord, trovarono però questa volta bloccata la via presso il castello di Tenno, a pochi chilometri da Riva, che era stato infatti conquistato nel frattempo dal Piccinino. Lo scontro fu inevitabile e i milanesi ebbero fortunatamente la peggio proprio grazie anche all'audacia di un gruppo di soldati bresciani che combattevano nelle file della Serenissima. In quell'occasione lo stesso Piccinino rischiò di venir catturato riuscendo solo alla fine a fuggire nottetempo facendosi portar via dentro un sacco - così almeno secondo un racconto dell'epoca. Il comandante dell'esercito visconteo, certo non fuggiva senza una meta ben precisa, il suo scopo era di raggiungere il grosso dell'esercito stanziato lì vicino. La cosa più inaspettata, tuttavia, avvenne solo dopo.
Una volta ricongiuntosi con il suo esercito, infatti, il Piccinino mosse un improvviso attacco alla città di Verona. Nessuno, tanto meno i veneziani, si aspettava una simile iniziativa che gettò nel più totale scompiglio i piani delle forze venete. In pochi giorni, intanto, Verona veniva quasi completamente occupata dalle truppe viscontee del Piccinino.  
Cosa fare ora?  Brescia da oltre un anno resisteva eroicamente agli eserciti milanesi, ma ora con una mossa da vero stratega il Piccinino occupava anche Verona, da un punto di vista strategico molto più importante di Brescia. Lo Sforza e il Gattamelata non avevano scelta. Verona doveva essere assolutamente riconquistata, ma questo voleva dire per i Bresciani veder nuovamente allontanarsi i tanto sospirati ed attesi rinforzi. E così, dalle mura ormai quasi totalmente diroccate della loro città i cittadini di Brescia guardavano increduli e disperati allontanarsi l'ultima loro speranza di salvezza.
L'esercito veneziano infatti, prese a muoversi verso Verona dove ben tre punti strategici non erano ancora caduti nelle mani del comandante visconteo. I tre castelli di San Pietro, di San Felice, e Castel Vecchio erano infatti in mano veneziana. Lo Sforza pose così un drappello di uomini a guardia dell'importantissimo ponte di Castelvecchio da sempre via strategica verso il nord e prese il comando delle truppe d'avanguardia. Quello della retroguardia invece, venne lasciato al Gattamelata.


Si entra in Verona


Accampati presso il villaggio di Volargne all'alba del 19 novembre del 1439 l'esercito veneziano guidato dai due condottieri mosse verso la città passando l'Adige e le strette della chiusa, sostando ancora brevemente a pochi chilometri da Verona. Per entrarvi c'erano solo due vie: quella di pianura o quella dei monti. Lo Sforza scelse la più difficile ovvero quella dei monti, la più difficile ma anche per questo la meno prevedibile dal nemico.
Lo stesso Piccinino infatti avuta notizia di questi spostamenti sui monti intorno alla città, pensò si trattasse di truppe dirette a Vicenza. Questa volta il condottiero visconteo si sbagliava e se ne avvide troppo tardi quando cioè lo Sforza sferrò il suo attacco alla città entrando dal castello di San Felice e da lì occupando gran parte della città sulla sponda destra del fiume. La sorpresa di questo attacco fu tale da mettere in fuga i milanesi che si precipitarono in massa e disordinatamente verso Ponte Nuovo. La calca fu tale che la struttura non resse a lungo l'impeto delle soldatesche in fuga e crollò sotto il loro peso. Era il segno della disfatta. Molti furono coloro che perirono annegati, altri vennero fatti facilmente prigionieri.
Padrone di mezza città lo Sforza chiamò a quel punto anche il Gattamelata  con il resto dell'esercito che si era trattenuto strategicamente fino ad allora sui monti. Era il via libero all'attacco generale. Tuttavia il Piccinino questa volta venne avvertito avendo così tutto il tempo di ritirarsi. In città dilagavano intanto le truppe veneziane.
Verona era stata finalmente riconquistata. Lo Sforza ricevette quale ricompensa dal governo ducale diecimila ducati e l'iscrizione nella nobiltà veneziana mentre il Gattamelata veniva gratificato con duemila ducati. Il Piccinino si era nel frattempo ritirato nel bresciano dove proseguivano scontri occasionali tra lombardi e veneziani nel corso dei quali tuttavia fu possibile per i Veneziani far giungere finalmente una parte dei rifornimenti a Brescia. La guerra tuttavia, alla fine del 1439, doveva durare ancora quasi due anni, due lunghi anni.


Fonte: srs di Giuseppe Gatteri, Antonio Viviani, Francesco Zanotto, Giuseppe Grimaldo, Laura Poloni, Giorgio Marenghi; da STORIA VENETA,  volume  3, SCRIPTA EDIZIONI




lunedì 21 settembre 2015

STORIA VENETA - 73: 1438 - PER DIFENDERE BRESCIA SI FA L'IMPOSSIBILE. LA FLOTTA VENEZIANA ATTRAVERSA I MONTI



Dal testo di Francesco Zanotto


"In tanta incertezza, un cotal Sorbolo marinaio greco, incanutito nelle opere di mare, un dì si produsse in Senato ed offerissi di condurre da Venezia con tutta sicurezza e di varare la flotta nel lago. Parve opera  questa al tutto disperata di effetto, ma in tanto stremo fu accolta dal Senato stesso quella proposta. Venne quindi tostamente allestita in Venezia la flotta, e condotta con ogni prontezza e diligenza per l'Adige fino a Verona ... "


ANNO 1438


Giuseppe Gatteri


Cosa ci racconta il disegno di Gatteri.


Brescia resiste eroicamente all'assedio delle truppe viscontee, ma Venezia non riesce a farle arrivare i necessari aiuti. L'unica strada ... praticabile e poco controllata dai milanesi resta quella dei monti!


LA SCHEDA STORICA  - 73 


Con Brescia assediata da oltre un mese, si faceva sempre più urgente e pressante la necessità di farle arrivare i rifornimenti alimentari e militari soprattutto.
L'esercito veneziano comandato  dal Gattamelata era stato costretto ad abbandonare la difesa della città per evitare un pericoloso scontro frontale col più forte esercito milanese e che sarebbe tornato a danno suo, di Brescia e della stessa Venezia. Doveva necessariamente ritirarsi per spostare il fronte più a est, lungo il confine tra Lombardia e Veneto, retrocedendo fino a Verona.
Per realizzare questa ritirata strategica, con Brescia assediata, restava una sola via possibile: il lago di Garda in direzione nord, dal momento che il lato meridionale restava saldamente sotto il controllo dei milanesi.  A doversi spostare erano circa tremila cavalli e duemila fanti, per le alte e scoscese montagne che racchiudono a nord il lago. Un'impresa difficile già in estate, quasi impossibile d'inverno. Eppure non c'era alcuna alternativa e Gattamelata decise di iniziare la marcia.
Vennero costruiti i ponti indispensabili per attraversare le gole e vennero risistemati i sentieri ormai quasi scomparsi. Alle difficoltà naturali si aggiunsero lungo il percorso anche gli attacchi armati delle bande spedite contro i Veneziani dal vescovo di Trento filo visconteo.
Dopo una settimana di marcia serrata il Gattamelata riuscì a portare i suoi uomini, ormai esausti, ad est del lago, in val Caprino, a pochi chilometri a nord di Verona. Brescia intanto resisteva ancora alle spingarde del Piccinino, ma la situazione si stava facendo disperata. Con il Gattamelata che batteva praticamente in ritirata Brescia era stata lasciata sola a fronteggiare la pressione dell'esercito milanese. Quanto avrebbe potuto resistere senza rifornimenti?


Un dilemma grave e una soluzione impossibile ma ...


L'unica strada percorribile in inverno per farle arrivare i rinforzi restava quella a sud, ancora tuttavia sotto il  pieno controllo dell'esercito milanese. L'inverno poi era già iniziato e ripercorrere la strada settentrionale per poi scendere lungo la sponda occidentale verso Brescia non era più possibile anche perchè questa volta si sarebbero dovuti trasportare i pesanti carichi dei rifornimenti. Restava libera e percorribile solo la sponda orientale del  lago ancora infatti saldamente in mano dei veneziani. Restava un solo problema e non certo da poco: con quali navi si potevano trasportare i rifornimenti a Brescia? La piccola flotta di leggere imbarcazioni presente sul lago non era certo predisposta a una simile impresa. Era assolutamente necessario disporre di una flotta molto più robusta ed adatta ad accogliere i pesanti carichi dei rifornimenti. Costruirla sul lago era impossibile. Non c'era tempo sufficiente ed il controllo dei vicini milanesi non avrebbe consentito di lavorare tranquillamente, tanto più che l'operazione doveva restare il più possibile segreta. Si doveva per forza fare arrivare le navi con i loro vitali carichi direttamente da Venezia via Adige fino a Verona e da qui ... da qui trasportare le navi via terra verso nord lungo la sponda orientale del lago.


L'idea geniale


Fu questa l'idea tanto incredibile quanto geniale di un tal Sorbolo, marinaio greco che espose la sua idea  dinanzi al senato veneziano. Questo, diviso tra speranze, incredulità e stupore dette l'immediato ordine di allestire la flotta. Due grosse galee (per altri forse sei), quattro fregate e venticinque barche (copani), nel giro di poco tempo erano pronte a risalire l'Adige fino a Rovereto. Da lì ebbe inizio poi una delle più straordinarie imprese militari mai tentate: il trasporto cioè delle imbarcazioni via terra. A trascinarle su dei rulli erano oltre duemila buoi che riuscirono a portare le navi fino al laghetto alpino di S. Andrea (oggi lago di Loppio) a pochi chilometri a nord di Rovereto. Per coprire questa breve distanza vennero impiegate due settimane con un costo per la serenissima repubblica di ben quindicimila ducati.


Una grande avventura militare


L'impresa tuttavia non era che al suo inizio. Dal laghetto infatti, le navi vennero poi trascinate fino al  monte Baldo e da lì calate con funi e argani lungo il fianco della montagna, un'operazione titanica e pericolosissima se si pensa alla conformazione rocciosa delle sponde settentrionali del lago di Garda. Eppure l'operazione si concluse felicemente. Tutte le imbarcazioni, dalle galee alle più piccole barche toccarono integre e complete del loro carico le acque del lago presso Torbole, pronte a raggiungere finalmente la città  di Brescia. Era il febbraio del 1439. Eppure a quel punto qualcosa sembrò non tornare. I Milanesi infatti attivarono immediatamente la flottiglia che avevano di stanza sul lago di Garda chiudendo praticamente le navi veneziane comandate da Pietro Zen nel porto di Torbole.
L'incredibile ed acrobatica impresa dei Veneziani a quel punto, sembrava completamente vanificata, non potendo raggiungere lo scopo che l'aveva determinata: soccorrere l'ormai stremata città di Brescia.



Fonte: srs di Giuseppe Gatteri, Antonio Viviani, Francesco Zanotto, Giuseppe Grimaldo, Laura Poloni, Giorgio Marenghi; da STORIA VENETA,  volume  3, SCRIPTA EDIZIONI