mercoledì 13 febbraio 2019

ANDARE A MESSA




Non so se vi capita mai di andare a messa, io quasi tutte le domeniche mattina e uso il pieghevole per seguire meglio le letture, si chiama La Domenica. L’ultima pagina non segue la liturgia della messa bensì riporta testi vari e comunicazioni dei redattori e collaboratori, che possono prestarsi a qualche considerazione come questa che segue (che ho prontamente spedito al diretto interessato).

Gentile Mons. Giuseppe Greco,
su La Domenica di domenica 8 gennaio Battesimo del Signore /A, lei scrive: “Se ci sono ancora i poveri è perché esistono i ricchi”. Mi permetto di confutare radicalmente questa sua affermazione anche se appena ieri papa Francesco ha ribadito che “il capitalismo genera povertà” (chissà che intende con la parola capitalismo). 

Mio padre 95enne l’altro giorno -guardavamo insieme il tg- riguardo a parole di lamento sulla disoccupazione, ha detto testualmente: “Quando ero ragazzino io (anni ’20 e ’30 del Novecento, Ponte Pattoli a quel tempo 1.500 abitanti alle porte di Perugia) tutti erano disoccupati. A parte dei mezzadri che vivevano del podere da condurre, gli unici stipendi erano quelli dello stradino, della maestra e dei due carabinieri, tutti gli altri non avevano un vero lavoro e men che meno uno stipendio, ognuno si dava da fare a suo modo per mettere insieme il pranzo con la cena. Alla fine degli anni ’20 nacque la fabbrica di Simonetti che faceva le conserve di pomodoro e una quindicina di persone vi trovarono un lavoro regolare più gli stagionali. Invece tutto cambiò come hai visto -rivolto a me- dagli anni ‘60: nacquero allora da vecchie botteghe tre belle fabbriche, quella di Pucciarini (che arrivò a 90 operai negli anni ’80), Ciaccarini (cinquanta operai) e lo stesso Simonetti per il parquet (cinquanta operai), più una miriade di altre aziende come Argentari (30 operai), Monni (25 operai), e altri che ora non mi vengono in mente”.

Naturalmente egregio monsignore tutti costoro Simonetti, Pucciarini, Ciaccarini, Argentari, Monni, appena qualche anno prima erano poveri come gli altri ma, nel diventare ricchi o piuttosto ricchi, fecero benestanti tutti i loro dipendenti insieme ovviamente a tutti coloro che in un tale contesto vivace e produttivo trovarono la propria occupazione: muratori e geometri (un ingegnere) per costruire uno stuolo di case casette villette e palazzi; commercianti e professionisti, quadri, tecnici, commessi, rappresentanti, mediatori, etc, etc. 

Molti di questi chi più chi meno diventarono ricchi nel mentre i poveri scomparvero del tutto, neanche una famiglia rimase in quella povertà che appena trent’anni prima era di tutti tranne tre famiglie di agrari. Vecchi agrari che dovettero ricollocarsi nel mondo del lavoro moderno e produttivo. Una siffatta alta produttività consentì parallelamente allo Stato (pubblica amministrazione) di assumere e mantenere oltre tre milioni di dipendenti pubblici a fronte dei 20.000 dell’Unità d’Italia 1861. Questa dinamica sociale avvenne in tutta Italia (dove più dove meno), in gran parte dell’Europa non comunista ma libera, e avviene tuttora in ampie fasce dell’ex terzo mondo e delle ex colonie europee che hanno messo a frutto la contaminazione occidentale: la Cina, l’India, molti paesi del sud est asiatico, buona parte dell’America Latina, tutta gente che ora ci dà filo da torcere con la concorrenza nel mercato globale.

Come vede la realtà vissuta dalle nostre famiglie, dalle nostre comunità smentisce radicalmente il suo assunto circa i ricchi causa dei poveri, bensì ci ripete l’eterna lezione della storia: la povertà genera povertà mentre la ricchezza reale (produzione e scambio di merci, beni e servizi) genera altra ricchezza che non può che ricadere beneficamente sull’intera società, sull’intera popolazione qualunque sia la sua ripartizione.

Molto migliore è invece la sua frase appena precedente: “La ricchezza è un bene, ma il suo accumulo nelle mani di pochi a discapito di altri, dell’intera comunità umana, è un male”, ove il nodo cruciale è in quel “a discapito di altri”. Effettivamente è a discapito di altri la ricchezza parassitaria degli agrari assenteisti, dei parassiti che oggi infestano la nostra società moderna nelle gerarchie burocratiche dell’Onu, della Comunità Europea, dei Parlamenti e Ministeri, delle Regioni, degli Enti Locali, Enti Pubblici vari e diversi, della Aziende Pubbliche finto-privatizzate dove onorevoli, direttori e presidenti paramafiosi collocati dalla politica cuccano e ciucciano centinaia di migliaia se non milioni di euro/anno di stipendio, di emolumento, di gratifica, di prebenda, di vitalizio, di rendita. 

Tutto sulle spalle dei Simonetti, Pucciarini, Ciaccarini, Argentari, Monni e rispettivi dipendenti e collaboratori, che non a caso stramazzano di tasse e burocrazia e infatti molti hanno già chiuso. Tasse altissime ovviamente indispensabili per mantenere quegli eserciti di parassiti…

Insomma egregio monsignore la ricchezza dei Simonetti, Pucciarini, Ciaccarini, Argentari, Monni e tutti gli altri, qualunque ne sia l’entità, non è a discapito di altri bensì è a beneficio di tutti gli altri. Posso dire di più: qualsiasi accumulo di tale ricchezza reale è comunque benèfico, sia che lo spendi per cose voluttuarie (remunerandone le relative filiere produttive, dai progettisti agli operai) sia che lo tieni in banca (creando possibilità di accedere al credito per altri sviluppi d’impresa). Come si vede nulla è più sociale di una impresa privata e capitalistica che sa vivere non di Stato bensì nel mercato (ora globale) creando ricchezza capace di pagare stipendi, fornitori, investimenti e tasse.

Mi permetto pertanto di chiarirle che di ricchezze ve n’è due, quella parassitaria dell’Ancient Règime e quella produttiva della modernità industriale e post. Una nobiliare e una borghese, ove la borghesia è avanguardia del popolo non certo suo nemico. Ove, soprattutto, il moderno parassitismo di Stato rientra perfettamente tra la nobiltà parassitaria che sempre nella storia ha pesato sulla vita dei popoli. E devesi comunque precisare che causa della povertà degli anni ’20 non erano certo i tre agrari spelacchiati del tempo, bensì semplicemente il non-sviluppo, l’arretratezza millenaria dei mezzi di lavoro: se i tre agrari fossero stati decapitati ma fosse continuata la mancanza d’un popolo fattosi borghesia imprenditrice, può stare ben sicuro che la povertà generale non sarebbe scemata d’un grammo.

Devo concludere che sorprende molto la sua affermazione per l’evidente falsità storica che sinistramente pare derivare da ingiustificabile superficialità di approccio, appena un sillogismo improbabile -i poveri causati dai ricchi- che suona uguale a chi dicesse che il sole sorge perché il gallo canta. Piuttosto sgorga la domanda: perché tanta parte della chiesa su questi temi è diventata così superficiale quasi avesse delegato ad altri, o preso da mondi totalmente altri la sua nuova “dottrina”, quando nei millenni gloria e forza della chiesa è stata esattamente la sua autonomia? Come può dare ad intendere con le sue parole che l’uomo -nato ricco per natura- impoverisce a causa del capitalismo, quando è vero il contrario, che l’umanità nasce povera e diventa ricca proprio grazie allo sviluppo d’impresa? La informo che questa infondata guerra al lavoro, all’impresa, alla ricchezza privata e sociale ad un tempo, che deriva da frasi come la sua è fonte terribile di disorientamento per molta gente. Le segnalo che appena cinquant’anni fa la chiesa scomunicò i comunisti ma oggi siamo al paradosso che se non si è sostanzialmente comunisti non si può essere popolo di Cristo. Le intimo maggiore prudenza e studio, cioè distinzione, e poi pentimento con adeguate parole pubbliche di riparazione.

Fonte: srs di Luigi Fressola, da Facebook, Party Italia del 5 febbaio 2017

Nessun commento: