sabato 16 dicembre 2017

IPAZIA DI ALESSANDRIA


Ipazia da Alessandria d’Egitto (nata fra il 355 e il 370 – morta  8 marzo 415 dopo Cristo)


Di Donato Barone


premessa


Ho conosciuto Ipazia attraverso l’opera fondamentale di L. RussoLa rivoluzione dimenticata”. A pag. 30 Russo dedica alla donna poche righe:

“La fine della scienza antica si pone a volte nel 415, anno in cui la figlia di Teone, anche lei matematica (aveva scritto commenti ad Apollonio, Tolomeo e Diofanto) fu linciata ad Alessandria da una folla di cristiani fanatici per motivi religiosi” [1]

Nell’opera il nome di Ipazia ricorre più volte, ma certamente non è una delle protagoniste del lavoro di Russo. Per conoscere Ipazia bisogna leggere il testo di S. RoncheyIpazia: la vera storia” [2] in cui la storica e bizantinista delinea uno stupendo ritratto della matematica, scienziata e filosofa alessandrina.

Chi era Ipazia?

Le fonti sono unanimi, ma per ora soffermiamoci sulla prima, ovvero il Suda o Suida. Si tratta di un’opera enciclopedica pubblicata a Bisanzio nel X secolo in cui, tra l’altro, si cita Damascio, un filosofo neo-platonico vissuto tra il 480 ed il 550 ed ultimo scolarca  dell’Accademia di Atene, che parla di Ipazia nella Vita di Isidoro. Isidoro, maestro di Damascio ed ultimo sacerdote del Serapeo di Alessandria,  venne a conoscenza della vicenda di Ipazia attraverso il racconto di due sacerdoti alessandrini a lei contemporanei. [3] Le vicende di cui parla Damascio, pertanto, gli erano state trasmesse da Isidoro. Considerando che Damascio era pagano ed esponente della scuola neoplatonica di cui Ipazia era stata insigne rappresentante in Alessandria, non deve stupire se il suo racconto appaia un po’ agiografico. Secondo Damascio Ipazia nacque ad Alessandria, dove fu allevata ed istruita dal padre. La giovane non fu appagata dagli insegnamenti scientifici e matematici paterni e cominciò a studiare la filosofia, di cui divenne padrona. Indossando il mantello del filosofo (riservato agli uomini, ma lei non era molto ligia alle regole) si recava al centro della città e qui commentava pubblicamente le opere di Platone, Aristotele ed altri filosofi.  Scrive Damascio che ella

“Fu giusta e casta e rimase sempre vergine. Lei era così bella e ben fatta che uno dei suoi studenti si innamorò di lei, non fu capace di controllarsi e le mostrò apertamente la sua infatuazione. Alcuni narrano che Ipazia lo guarì dalla sua afflizione con l’aiuto della musica. Ma la storia della musica è inventata. In realtà lei raggruppò stracci che erano stati macchiati durante il suo periodo e li mostrò a lui come un segno della sua sporca discesa e disse, “Questo è ciò che tu ami, giovanotto, e non è bello!”. Alla brutta vista fu così colpito dalla vergogna e dallo stupore che esperimentò un cambiamento del cuore e diventò un uomo migliore.” [4]




Ho preferito riportare le parole del Suda per far capire il carattere franco e diretto della donna, al limite della supponenza e della sfacciataggine, ma la narrazione ha anche molti altri significati di cui parleremo a breve.

Ipazia era ben vista da tutti i cittadini di Alessandria, ma aveva diversi nemici tra coloro  che detenevano il potere in città. Damascio attribuisce all’invidia le ragioni dell’odio e, in ultima analisi, della sua triste fine.

Le notizie fornite da Damascio non sono molto diverse da quelle che ci sono state tramandate da Socrate Scolastico, avvocato e storico vissuto a Costantinopoli tra il 380 ed il 450, quindi contemporaneo di Ipazia. Nella sua Historia Ecclesiastica egli scrive:

“Ad Alessandria c’era una donna chiamata Ipazia, figlia del filosofo Teone, che ottenne tali successi nella letteratura e nella scienza da superare di gran lunga tutti i filosofi del suo tempo. Provenendo dalla scuola di Platone e di Plotino, lei spiegò i principi della filosofia ai suoi uditori, molti dei quali venivano da lontano per ascoltare le sue lezioni.
Facendo conto sulla padronanza di sé e sulla facilità di modi che aveva acquisito in conseguenza dello sviluppo della sua mente, non raramente apparve in pubblico davanti ai magistrati. Né lei si sentì confusa nell’andare ad una riunione di uomini. Tutti gli uomini, tenendo conto della sua dignità straordinaria e della sua virtù, l’ammiravano di più. Fu vittima della gelosia politica che a quel tempo prevaleva.” [5]

Come si vede Ipazia era conosciuta ben oltre i confini di Alessandria d’Egitto e rappresentava un punto di riferimento per buona parte del mondo antico. A questo punto è necessario capire, però, che cosa aveva fatto Ipazia di così importante da meritarsi simile fama.


– la matematica e la scienziata 






Ipazia è vissuta alla fine di quella che può essere considerata una delle età dell’oro della scienza. Secondo L. Russo [6] tra il 300 a.C. ed il 100 d.C. nel mondo ellenistico ebbe luogo la prima rivoluzione scientifica. Per la prima volta nella storia dell’uomo venne elaborato un metodo di indagine dei fenomeni naturali che ha molti punti di contatto con il metodo scientifico-sperimentale galileiano. Le conoscenze acquisite dagli scienziati ellenisti durante questo periodo, risultarono estremamente sofisticate e riguardarono campi tra i più disparati: astronomia, geometria, geodesia, medicina e fisiologia, idraulica e pneumatica, ingegneria e via cantando. In questo periodo vissero, infatti, Eratostene, Euclide, Archimede, Diofanto, Tolomeo e tanti altri la cui fama è giunta fino ai nostri giorni. Le loro opere, purtroppo, si sono in gran parte perse e con grande fatica gli storici riescono a ricostruire l’operato di questi giganti della scienza attraverso lavori di altri autori che ad esse fanno riferimento. Uno dei centri più importanti di questa fioritura della scienza, fu Alessandria d’Egitto che può essere considerato il faro che illuminava la civiltà ellenistica, ma anche Antiochia può essere considerata un centro culturale di ottimo livello, così come le colonie greche di Siracusa e Marsiglia.

Ai tempi di Teone e della figlia Ipazia il periodo d’oro della scienza ellenistica poteva dirsi finito da un pezzo e quello in cui vissero i due scienziati, filosofi e matematici alessandrini, costituiva la parte finale del lungo periodo di decadenza che, di lì a poco, sarebbe sfociato nel Medioevo. Nonostante ciò Alessandria continuava ad essere considerata uno dei maggiori centri culturali del mondo antico e le parole di Damascio e Socrate Scolastico lo testimoniano. Tornando ad Ipazia, sappiamo, attraverso la testimonianza del padre Teone e dal Suda, che ella scrisse due opere matematiche: un Commentario sull’Arithmetica di Diofanto di Alessandria [7] ed un Commentario sulle Coniche di Apollonio di Perga[8] Non possedendo i testi, non siamo in grado di capirne l’importanza e, quindi, i contributi di Ipazia al progresso delle conoscenze matematiche. Studi condotti da A. Cameron e pubblicati nel 1990, sembrano avvalorare l’ipotesi che Ipazia sia intervenuta sui testi originali e non si sia limitata ad una semplice azione di revisione dei commenti del padre.[9]  In questa ipotesi Ipazia non dovrebbe essere considerata una semplice insegnante di matematica, ma una matematica a tutti gli effetti.

Ipazia aveva grande interesse anche per l’astronomia, come deduciamo da alcune lettere del suo allievo più famoso: Sinesio di Cirene. E’ attraverso le lettere di costui che siamo in grado di conoscere una parte dell’opera di Ipazia. Sappiamo, infatti, che Sinesio ha costruito o fatto costruire, in base a precise istruzioni della sua maestra un astrolabio piano, un idroscopio ed un aerometro.

Vediamo, in estrema sintesi di cosa si tratta. Storicamente la prima menzione dell’aerometro è collegata proprio alla figura di Ipazia: Sinesio di Cirene scrisse infatti verso il 400 d.C. alla sua maestra per chiederle spiegazioni circa la costruzione di un aerometro. Come indica l’etimologia della parola stessa, si tratta di uno strumento che serve per determinare la densità di un gas.

Ad Ipazia si attribuisce la costruzione di un altro strumento di misura detto idroscopio.

Il densimetro o idroscopio sfrutta il Principio di Archimede ovvero il fatto che un corpo immerso in un liquido, riceve una spinta, diretta dal basso verso l’alto, pari al peso del volume di liquido spostato. Nella fattispecie l’idroscopio attribuito ad Ipazia è costituito da un tubo cilindrico avente la forma e la dimensione di un flauto che presenta degli intagli perpendicolari al suo asse.  Una delle estremità del tubo è chiusa con un cono, detto barillio, avente la stessa sezione di base del tubo cilindrico. Il barillio ha la funzione di zavorrare il sistema in maniera tale che esso, immerso nell’acqua, mantenga un assetto verticale. Il calcolo della densità del liquido avviene contando il numero di intagli che fuoriescono dal liquido: più il liquido è denso, minore è il numero di intagli che emergono dall’acqua. Tarando opportunamente lo strumento, ad esempio immergendolo in un liquido di riferimento come l’acqua, siamo in grado di calcolare la densità relativa di qualsiasi liquido per semplice comparazione.

E’ l’astrolabio piano, però, lo strumento che ci introduce in quello che fu un altro campo in cui Ipazia eccelse. L’astrolabio piatto o piano é uno strumento astronomico tramite il quale è possibile determinare la posizione di corpi celesti come il Sole, la Luna, i pianeti e le stelle. L’astrolabio progettato da Ipazia era formato da due dischi metallici forati, ruotanti l’uno sopra l’altro mediante un perno rimovibile: veniva utilizzato per calcolare il tempo, per definire la posizione del Sole, delle stelle, dei pianeti. Di questo strumento Sinesio è particolarmente orgoglioso in quanto scrive che  “concepito sulla base di quanto mi insegnò la mia veneratissima maestra […] Ipparco lo aveva intuito e fu il primo a occuparsene, ma noi, se è lecito dirlo, lo abbiamo perfezionato”.[10]

Pare che mediante questo strumento Ipazia abbia addirittura risolto alcuni problemi di astronomia sferica anche se non tutti gli studiosi sono concordi in proposito. Anche in questo caso ci troveremmo di fronte a contributi originali al corpus di conoscenze astronomiche.  L’astronomia per Ipazia non era, però, la mera osservazione degli astri per prevedere il futuro o la successione delle stagioni o dei fenomeni astronomici come le eclissi.

Stando a quanto scrive Sinesio “l’astronomia è di per sé una scienza di alta dignità, ma può forse servire da ascesa a qualcosa di più alto, da tramite opportuno, a mio avviso, verso l’ineffabile teologia, giacché il beato corpo del cielo ha sotto di sé la materia e il suo moto sembra essere ai sommi filosofi un’imitazione dell’intelletto. Essa procede alle sue dimostrazioni in maniera indiscutibile e si serve della geometria e dell’aritmetica, che non sarebbe disdicevole chiamare diritto canone di verità” [11]

Se queste parole riflettono il pensiero di Ipazia, possiamo affermare che la studiosa alessandrina per giungere alla conoscenza della verità, più che dei discorsi retorico-dimostrativi del neo-platonismo ateniese, si serviva dell’esperienza e dello studio dei fenomeni naturali.

Come si vede l’opera di Ipazia può essere inquadrata nella migliore tradizione della scuola di Alessandria che alla speculazione teorica associava anche applicazioni basate sulle conoscenze teoriche stesse e che servivano a verificarle sperimentalmente. Circa la fama di astronoma di Ipazia, illuminante appare un epigramma del Pallada (Alessandria d’Egitto IV-V secolo):

Quando ti vedo mi prostro, davanti a te e alle tue parole,
vedendo la casa astrale della Vergine,
infatti verso il cielo è rivolto ogni tuo atto
Ipazia sacra, bellezza delle parole,
astro incontaminato della sapiente cultura
“. [12]

Illuminante, scrive G. Beretta in “Ipazia di Alessandria”, il terzo verso in quanto dimostra che ogni interesse ed azione di Ipazia era diretto verso le cose del cielo e ciò denota tanto la sua sapienza astronomica, quanto quella filosofica. Ogni mappa celeste disegnata da Ipazia, prosegue Beretta, rappresenta una “… traiettoria nuova – e insieme antichissima – per mezzo della quale gli uomini e le donne del suo tempo potessero imparare ad orientarsi sulla terra e dalla terra al cielo e dal cielo alla terra senza soluzione di continuità e senza bisogno della mediazione del potere ecclesiastico […]. Ipazia insegnava ad entrare dentro di sé (l’intelletto) guardando fuori (la volta stellata) e mostrava come procedere in questo cammino con il rigore proprio della geometria e dell’aritmetica che, tenute l’una insieme all’altra, costituivano l’inflessibile canone di verità”. [13]



– la filosofa







A queste attività scientifiche Ipazia associava lo studio della musica e l’insegnamento della filosofia. In proposito ella ricevette in eredità da Plotino la scuola di filosofia di Alessandria ed il livello del suo insegnamento lo deduciamo da quanto hanno scritto Damascio e Socrate Scolastico. Anche in questo caso non siamo in grado di conoscere i contributi originali della filosofa alla progressione della filosofia.

Può esserci d’aiuto, però, il ritratto che della filosofa Ipazia traccia G. Beretta nella sua opera  “Ipazia di Alessandria”.[14]  L’autrice ha effettuato un profondo scavo storico e filosofico per riuscire a ricostruire l’opera di Ipazia. Il risultato appare un po’ sopra le righe: Ipazia mi sembra un po’ sopravvalutata e ciò, forse, anche a causa dell’impegno sociale e politico della Beretta. Secondo la Beretta Ipazia è addirittura l’iniziatrice di una scuola di pensiero originale che vede “nell’autorità femminile” il suo nucleo fondante. Beretta parte dal mito di Dike, la Vergine patrona della prosperità e della fecondità, simbolo di una mitica età dell’oro in cui la filosofia e la razionalità, unite alla politica, contribuivano al benessere della società e attraverso l’analisi dei testi di Damascio, Sinesio, Agostino ed altri, individua in Ipazia la Vergine che, tornata tra gli uomini, avrebbe dovuto dare inizio ad una nuova età dell’oro. Ipazia viene vista in questa ottica non solo da Damascio e da Sinesio di Cirene, ma da tutti gli intellettuali dell’Impero Romano d’Oriente che vedono nella filosofa alessandrina un “astro incontaminato della sapiente cultura” , per usare le parole di Pallada.  A questo punto appare chiara l’enfasi che Damascio pone nel descrivere lo stato della filosofa (verginità intesa come stato ideale di colei in grado di collegare il mondo celeste con quello terreno senza tema di contaminazione) ed anche il significato simbolico dell’esibizione del sangue mestruale (simbolo di fecondità alla stregua della spiga di grano della Vergine Igea). [15]  L’immagine della Vergine in questo travagliato periodo storico si confà tanto alla tradizione pagana che a quella cristiana e ciò spiega il giudizio ampiamente positivo che traspare dagli scritti del pagano Damascio e dei cristiani Sinesio e Socrate Scolastico. In maniera più prosaica io penso che Ipazia sia stata una maestra di filosofia che riusciva a creare un rapporto docente-discente estremamente profondo che, in alcuni casi, sfociava quasi nella venerazione della maestra. Le parole con cui Sinesio di Cirene si rivolge alla sua Maestra non lasciano spazio ai dubbi:

“Detto questa lettera dal letto nel quale giaccio. Possa tu riceverla stando in buona salute, o madre, sorella e maestra, mia benefattrice in tutto e per tutto, essere e nome quant’altri mai onorato!”[16]

Sinesio era cristiano, Ipazia pagana, ma il legame spirituale tra i due travalica i precetti delle rispettive religioni e denota una completa immedesimazione tra la maestra e l’allievo, alla stregua del legame tra Socrate ed Aspasia o Socrate e Platone:

“E se c’è qualcuno venuto dopo che ti sia caro, io debbo essergli grato poiché ti è caro, e ti prego di salutare anche lui da parte mia come amico carissimo. Se tu provi qualche interesse per le mie cose, bene; in caso contrario, non importano neanche a me”.[17]

Ipazia era tutto questo: matematica, astronoma, scienziata, musicista, filosofa. Una mente eclettica che attirava allievi da ogni dove e che teneva alto il faro della cultura scientifica alessandrina.

Ipazia era, però, anche altro e di ciò mi occuperò ora.



– l’impegno civile







Per comprendere meglio la figura di quest’altra Ipazia, bisogna che essa sia inquadrata nella realtà storica in cui si svolse la vicenda dell’intellettuale alessandrina. Ipazia apparteneva all’aristocrazia pagana di Alessandria ed era, pertanto, molto vicina alle elites che gestivano il potere nella città. Attorno a lei si era venuto a formare un cenacolo di discepoli rappresentanti il meglio della buona società di Alessandria e di buona parte del Nord Africa e del Medio Oriente. Si trattava di persone altamente influenti che nel segreto delle loro riunioni oltre che di scienze, filosofia e matematica, discutevano di politica e di affari di stato ed economici. Non stupisce, quindi, che Oreste, prefetto di Alessandria si rivolgesse ad Ipazia per discutere dei problemi politici ed economici della città. Così come non stupisce che la filosofa fosse ammessa a parlare nelle riunioni dell’Assemblea cittadina: rappresentava quello che oggi definiremmo un potentissimo gruppo di pressione in grado di influenzare le scelte politiche dell’intero governo cittadino. [18]

La cosa non poteva passare inosservata a chi in quegli stessi momenti cercava di accreditarsi come antagonista del potere civile alessandrino e mirava a soggiogarlo: la potente e ricchissima sede vescovile di Alessandria.  Nel 313 l’imperatore Costantino aveva concesso la libertà di culto ai cristiani. Da quel momento iniziò il lento processo che nel 391 portò Teodosio a proclamare il cristianesimo religione di stato e, l’anno dopo, ad emanare delle leggi speciali contro i culti pagani in Egitto. Ad Alessandria l’azione contro i culti pagani fu particolarmente violenta. Il vescovo Teofilo si dimostrò particolarmente attivo nell’opera di distruzione di ogni traccia della religione degli antichi templi e, si narra, che fu lui ad assestare il primo colpo alla “statua blu” di Giove Serapide. Quasi contemporaneamente veniva dato fuoco alla biblioteca tolemaica di Alessandria. [19] Il vecchio mondo stava per cedere il passo al Medioevo.

La contesa per la supremazia tra la chiesa alessandrina e le autorità civili, si trasformò ben presto in una lotta senza quartiere che nel 431 culminò con il trionfo del nuovo patriarca alessandrino, il vescovo Cirillo. In quell’anno si concluse, infatti, il Concilio di Efeso, fortemente voluto da Cirillo, che decretò il distacco della chiesa di Roma da una parte di quella Orientale, distacco che perdura ancora ai nostri giorni. Alessandria e l’intero Egitto si schierarono con il Papa di Roma e contro le gerarchie civili e religiose dell’Oriente bizantino. [20]

Nel pieno di questa tumultuosa stagione politica va a collocarsi la vicenda di Ipazia. Abbiamo visto gli aspetti scientifici e filosofici che caratterizzavano il suo insegnamento ed abbiamo visto anche come tra i suoi discepoli si collocasse l’elite della classe dirigente alessandrina. Un aspetto del personaggio Ipazia non è stato, però, ancora esaminato. Secondo alcuni studiosi (Bregman, 1982; Cameron, 2013 ed altri) Ipazia affiancava all’insegnamento pubblico anche un insegnamento, per così dire, privato. Abbiamo visto come ella discettasse di filosofia nel centro di Alessandria (forse da una cattedra pubblica, finanziata dallo Stato) ed abbiamo fatto cenno ad un cenacolo di discepoli. Si trattava di un gruppo di allievi rigorosamente selezionati ai quali la Maestra insegnava i culti misterici ed i principi esoterici tipici del neo-platonismo e della scuola di Plotino. Quella costituita da Ipazia e dai suoi allievi prediletti, veniva a configurarsi come una specie di “loggia massonica” ante litteram che non poteva lasciare indifferenti gli esponenti del clero alessandrino che, ai sensi dei decreti teodosiani che proibivano i culti pagani, erano gli unici depositari dell’ortodossia religiosa. A questo punto il quadro diventa estremamente chiaro. Ipazia è una scienziata ed una filosofa che ha anche libertà di insegnamento nell’ambito della netta separazione tra Chiesa e Stato che caratterizzava l’Impero d’Oriente, ma la sua azione trascende questi due aspetti e invade la sfera politica che ella riesce a condizionare tramite i suoi discepoli e religiosa attraverso i riti iniziatici ed esoterici che pratica nel suo cenacolo domestico.

A rendere ancora più difficile la posizione di Ipazia furono una serie di eventi che funestarono la vita di Alessandria tra il 414 ed il 415. Nel 414 si verificò un pogrom contro la potente comunità ebraica della città. Secondo alcune fonti la causa dell’evento deve ricercarsi nella lotta per il controllo del commercio del grano egizio nel territorio dell’Impero. Fino ad allora  tale commercio  era stato saldamente nelle mani degli ebrei di Alessandria  in un regime di monopolio assoluto, ma, successivamente, il monopolio era stato esteso anche alla chiesa alessandrina. Quella  ebraica era una presenza estremamente potente in Alessadria: elleni ed ebrei convivevano nella città sin dall’epoca della sua fondazione ed i legami tra le due comunità erano saldissimi anche ai tempi di Ipazia. Tra i due potenti gruppi di armatori (l’ebraico ed il cristiano) non correva buon sangue per cui nel 414, sfruttando eventi pretestuosi, si verificarono diversi massacri (di ebrei e di cristiani) al termine dei quali gli ebrei alessandrini furono cacciati dalla città, i loro beni confiscati e le loro sinagoghe trasformate in chiese. La classe dirigente ellenica della città aveva sempre appoggiato gli armatori greci, per cui non è affatto campata in aria l’ipotesi che Ipazia, di cui abbiamo visto l’influenza sulle scelte politiche dei Magistrati alessandrini, sia stata considerata ispiratrice delle veementi proteste contro il vescovo Cirillo che Oreste e gli altri Magistrati portarono fino al soglio imperiale. Dopo qualche mese dai tragici eventi del 414, Oreste fu assalito da un gruppo di monaci inferociti e ferito alla testa da uno di loro, Ammonio. Costui fu arrestato e sottoposto a tortura tanto violenta, da causarne la morte. Il vescovo Cirillo gli tributò solenni funerali e lo dichiarò martire. [21]



– l’epilogo





Appare chiaro che Ipazia aveva superato il limite e la punizione non si fece attendere. Nell’anno quarto del vescovado di Cirillo, decimo del consolato di Onorio, sesto di Teodosio II, nel mese di marzo dell’anno 415, narra Socrate Scolastico, un gruppo di monaci e parabalani (sorta di ordine monastico di infermieri/barellieri) si riunisce sotto la guida del chierico Pietro il Lettore e decide di assassinare Ipazia.[22]

Racconta Damascio “che una moltitudine di uomini imbestialiti piombò improvvisamente addosso a Ipazia un giorno che come suo solito tornava a casa da una delle sue apparizioni pubbliche.”  Ipazia viene tirata fuori dalla lettiga e trascinata nel Cesareo dove, scrive Socrate Scolastico,  “incuranti  della vendetta e dei numi e degli umani questi veri sciagurati massacrarono la filosofa” in modo orrendo. Secondo Damascio “mentre ancora respirava debolmente le cavarono gli occhi”, mentre secondo Socrate “La spogliarono delle vesti, la massacrarono usando cocci aguzzi (ὄστρακα), la fecero a brandelli. E trasportati quei resti al cosiddetto Cinaro, li diedero alle fiamme.”[23]

Ed ora è possibile leggere e comprendere un passo di Giovanni, vescovo cristiano di Nikiu, in Etiopia, risalente a circa due secoli dopo i fatti avvenuti ad Alessandria nel 415. Il passo è un po’ lungo, ma vale la pena leggerlo interamente in quanto, pur nella sua semplicità, dà una chiave di lettura degli eventi molto chiara. Soprattutto se lo si legge tra le righe ed alla luce di quanto si è potuto desumere dal quadro generale degli avvenimenti che ho cercato di delineare fino ad ora.

“In quei giorni apparve in Alessandria un filosofo femmina, una pagana chiamata Ipazia, che si dedicò completamente alla magia, agli astrolabi e agli strumenti di musica e che ingannò molte persone con stratagemmi satanici.

Il governatore della città l’onorò esageratamente perché lei l’aveva sedotto con le sue arti magiche. Il governatore cessò di frequentare la chiesa come era stato suo costume. Ad eccezione di una volta in circostanze pericolose. E non solo fece questo, ma attrasse molti credenti a lei, ed egli stesso ricevette gli increduli in casa sua.

Un giorno in cui stavano facendo allegramente uno spettacolo teatrale con ballerini, il governatore della città pubblicò un editto riguardante gli spettacoli pubblici nella città di Alessandria. Tutti gli abitanti della città erano riuniti nel teatro.

Cirillo, che era stato nominato patriarca dopo Teofilo, era ansioso di comprendere esattamente il contenuto dell’editto.

C’era un uomo chiamato Hierax, un cristiano che possedeva comprensione ed intelligenza e che era solito dileggiare i pagani. Era un seguace affezionato all’illustre padre il patriarca ed obbediente ai suoi consigli. Egli era anche molto versato nella fede cristiana.

Ora questo uomo si era recato al teatro per conoscere la natura dell’editto. Ma quando gli ebrei lo videro nel teatro gridarono e dissero: ‘Questo uomo non è venuto con buone intenzioni, ma solamente per provocare un baccano’.

Il prefetto Oreste fu scontento dei figli della santa chiesa, e Hierax fu afferrato e sottoposto pubblicamente a punizione nel teatro, sebbene fosse completamente senza colpa.

Cirillo si irritò con il governatore della città per questo fatto, ed anche perché aveva messo a morte Ammonio, un illustre monaco del convento di Pernodj, ed anche altri monaci.

Quando il magistrato principale della città venne informato, rivolse la parola agli ebrei come segue: ‘Cessate le ostilità contro i cristiani’. Ma essi rifiutarono di dare ascolto a quello che avevano sentito; si vantarono dell’appoggio del prefetto che era dalla loro parte, e così aggiunsero oltraggio a oltraggio e progettarono un massacro in modo infido.

Di notte posero in tutte le strade della città alcuni uomini, mentre altri gridavano e dicevano: ‘La chiesa dell’apostolico Athanasius è in fiamme: corrano al soccorso tutti i cristiani’. Ed i cristiani al sentire queste grida vennero fuori del tutto ignari della slealtà degli ebrei. Quando i cristiani vennero avanti, gli ebrei sorsero e perfidamente massacrarono i cristiani e versarono il sangue di molti, sebbene fossero senza alcuna colpa.

Al mattino, quando i cristiani sopravvissuti sentirono del malvagio atto compiuto dagli ebrei contro di loro, si recarono dal patriarca. Ed i cristiani si chiamarono a raccolta tutti insieme. Marciarono in collera verso le sinagoghe degli ebrei e ne presero possesso, le purificarono e le convertirono in chiese. Una di esse venne dedicata a S. Giorgio.

Espulsero gli assassini ebrei dalla città. Saccheggiarono tutte le loro proprietà e li derubarono completamente. Il prefetto Oreste non fu in grado di portare loro alcun aiuto.

Poi una moltitudine di credenti in Dio si radunò sotto la guida di Pietro il magistrato, un credente in Gesù Cristo perfetto sotto tutti gli aspetti, e si misero alla ricerca della donna pagana che aveva ingannato le persone della città ed il prefetto con i suoi incantesimi.

Quando trovarono il luogo dove era, si diressero verso di lei e la trovarono seduta su un’alta sedia. Avendola fatta scendere, la trascinarono e la portarono nella grande chiesa chiamata Caesarion. Questo accadde nei giorni del digiuno.

Poi le lacerarono i vestiti e la trascinarono attraverso le strade della città finché lei morì. E la portarono in un luogo chiamato Cinaron, e bruciarono il suo corpo. E tutte le persone circondarono il patriarca Cirillo e lo chiamarono ‘il nuovo Teofilo’ perché aveva distrutto gli ultimi resti dell’idolatria nella città”.[24]

Dopo la morte di Ipazia i suoi discepoli si dispersero ed Alessandria perse il suo ruolo di guida culturale del mondo ellenico. La prima rivoluzione scientifica era terminata definitivamente. Bisogna attendere il rinascimento affinché venga riscoperta la ricchezza del mondo classico ed il genio di G. Galilei per riscoprire il metodo scientifico-sperimentale.
Ho cercato di esporre la vicenda umana e scientifica di Ipazia in modo asettico, presentando i fatti come raccontati dalle fonti ed interpretati dagli studiosi che per oltre un millennio e mezzo si sono dedicati alla vicenda di Ipazia. Le fonti utilizzate non sono esenti da pregiudizi e riserve mentali: Damascio è un pagano neoplatonico che vede come il fumo negli occhi il cristianesimo, Socrate Scolastico è un cristiano orientale che ha non pochi pregiudizi verso la chiesa alessandrina ed il vescovo Cirillo, così come altre fonti (Filostorgio,  Esichio e Malala che non ho citato e commentato in quanto si rifanno a Damascio ed a Socrate Scolastico). 
La cronaca del Vescovo di Nikiu fa dell’assassinio di Ipazia un motivo di vanto per la chiesa alessandrina per cui è affetta da un bias opposto.
Mettendo a confronto le varie fonti e le interpretazioni fornite dagli studiosi, è possibile ricavare un quadro d’insieme della vicenda di Ipazia.
Personalmente sono convinto che il vescovo Cirillo sia responsabile della sua morte, ma sono altrettanto convinto che Ipazia non è morta perché scienziata e filosofa, ma perché impegnata attivamente nelle vicende politiche ed economiche della città di Alessandria e, quindi, fu vittima di una guerra di potere combattuta senza esclusione di colpi tra due fazioni che si contendevano il governo della città: la vecchia classe dirigente ellenica affiancata da quella ebraica e la nuova classe dirigente cristiana (per fede o per convenienza).
Ipazia era una presenza scomoda che doveva essere eliminata e, difatti, fu eliminata, in modo premeditato e pianificato.
Le motivazioni ideologiche e religiose c’entrano poco: sono la solita foglia di fico con cui si coprono le vergogne.



[1] L. Russo – La rivoluzione dimenticata – Feltrinelli editore
[2] S. Ronchey – Ipazia: la vera storia – BUR Rizzoli
[3] G. Beretta – Ipazia di Alessandria – Editori Riuniti
[6] L. Russo – op. cit.
[9] Alan Cameron – Isidore of Miletus and Hypatia: On the Editing of Mathematical Texts  http://grbs.library.duke.edu/article/viewFile/4171/5587
[10] Suda da una notizia di Esichio
[11] Damascio – Vita Isidori
[13] G. Beretta – op. cit.
[14] G. Beretta – op. cit.
[15] G. Beretta – op. cit.
[19] S. Ronchey – op. cit.
[20] S. Ronchey – op. cit.


Fonte: srs di Donato Barone, da   http://www.climatemonitor.it del  15 dicembre 2017



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