Il problema dell’immigrazione è generalmente legato a
quello dell’autonomia e dell’indipendenza nella misura in cui va a incidere
sul grado di identità della comunità che chiede maggiore riconoscimento e
libertà.
Nelle comunità che hanno a che fare con lo Stato
italiano, il rapporto è particolarmente pesante per l’uso
perverso che da sempre l’unitarismo italiano fa dei rimestamenti demografici.
Non è evidentemente il solo (la Spagna ha riempito di spagnoli “etnici” la
Catalogna, l’Urss aveva inondato i paesi baltici di immigrati russi e
bielorussi, il Tibet si sta affollando di cinesi eccetera) ma lo Stato italiano
ha pochi rivali nella sistematicità e nella violenza con cui aveva – ad esempio
- riempito di italiani “veraci” l’Istria orientale e il Sud Tirolo, e poi
la Padania. Dopo aver inutilmente provato a stabilizzare l’unità politica con
guerre, repressioni e propaganda, il partito unitarista ha cercato di farlo
attraverso un generale meticciamento, un rimescolamento etnico a evidente
preponderanza meridionale. Non ha funzionato con le comunità tedesche e slave
ma neppure in Padania: i meridionali migliori si sono perfettamente integrati e
sono diventati spesso essi stessi portatori di volontà indipendentista, mentre
i peggiori sostengono con protervia il loro ruolo di “coloni” di Roma, di
braccio armato della burocrazia statalista e alimentano così le pulsioni
autonomiste di tutti gli altri.
Sostanzialmente fallito il rimescolamento interno, lo
Stato italiano tenta la carta dell’immigrazione foresta con due fini: la
disgregazione delle identità locali e la speranza di una presa di posizione
italianista e nazionalista contro gli stranieri, con l’obiettivo perverso che –
per fronteggiare “diversi più diversi” – si stemperino le diversità interne.
Insomma da una parte si vuole distruggere il tessuto sociale, culturale e
identitario delle comunità padane, dall’altro si favorisce l’illusione di
una comune identità italiana per far fronte a “foresti più foresti”. Questo
spiega la violenza con cui la sinistra spinge verso la società multiculturale
(la stessa violenza e le stesse motivazioni che sostenevano la lotta di classe)
e il fervore con cui i patrioti tricolori brandiscono l’italianità contro
“lo straniero”.
Per queste ragioni un movimento indipendentista non può
che essere anche decisamente contrario a ogni forma di immigrazione massiccia,
di invasione e di spaesamento.
Cosa ha fino a qui fatto la Lega?
Non ha delineato con chiarezza il pericolo
anti-identitario dell’immigrazione foresta, e quando lo ha fatto non si è
comportata diversamente dai movimenti di estrema destra: la lotta allo
straniero viene fatta in difesa dell’italianità, spesso stigmatizzando le parti
più evidenti delle differenze antropologiche degli immigrati. Sono combattuti
in quanto “diversi” e non in quanto strumenti di disgregazione identitaria: da
qui anche certe prese di posizione religiose che riguardano l’aggressività
islamica ma che poco c’entrano con il processo immigratorio più generale.
Le posizioni sono confuse, non segnate da precisi confini
ideologici: si fa distinzione fra immigrati buoni e cattivi, fra chi lavora e
chi delinque, fra regolari e clandestini. Tutte cose che generano confusione,
che “democristianizzano” il dibattito e non turbano il comodo tran-tran degli
eletti, ma che non servono a stigmatizzare l’effetto devastante
dell’immigrazione tout court. In questo si inseriscono taluni
atteggiamenti di compiacimento vanesio nell’esibizione del militante magrebino
o del negretto in camicia verde, che fanno il paio con la sventatezza con cui
si pretende una fioritura di padanità da un presidente di Regione albanese o da
una portavoce italiana.
Ma è soprattutto sul piano dello studio del problema,
e della derivante incisività di informazione che la Lega è carente. Non ha un
centro studi che si occupi dell’immigrazione, dei numeri, delle statistiche e
dei dati, non riesce a fare controinformazione documentata, non riesce a
ribattere alle menzogne immigrazioniste se non con slogan. Il solo che tenta
una operazione di documentazione sistematica è Pellegrin di Radio Padania:
nessuno dei tanti zerbinotti superpagati che se ne stanno a ciondolare in
Parlamento o nei Consigli regionali ha mai neppure tentato di dare vita a
un’operazione del genere, di diventare “l’esperto” leghista di immigrazione.
Una vergogna!
È una vergogna che i soli dati in circolazione li dia la
Caritas, che fa parte del circo di quelli che sull’immigrazione campano e
lucrano, oppure la Fondazione Moressa. A essere dettagliatamente informata e a
informare sull’immigrazione, sui costi, i numeri, i dati giudiziari e tutto il
resto dovrebbe essere proprio la Lega.
Perché stupirsi? Non ha neppure uno straccio di
centro studi che si occupi di identità, di malefatte del centralismo, di
analisi giuridica del cammino indipendentista, o di federalismo. Questo spiega
molte cose.
Fonte: srs di Gilberto Oneto da L’Indipendenza del 20 ottobre 2013
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