giovedì 3 ottobre 2013

BERLUSCONI E IL PATRIOTTISMO ITALIANO CHE PORTA SFIGA




di GILBERTO ONETO

Il patriottismo italiano è davvero irriconoscente con i suoi scherani e mostra la più sistematica ingratitudine per chi  combatte per l’unità dello stivale. Molto probabilmente Cavour era stato avvelenato, e Mazzini cacciato a pedate in esilio. Garibaldi vecchio era stato messo da parte, trattato  da lunatico e – come supremo dileggio – non era stata rispettata la sua volontà di essere cremato su una pira  ma il suo corpo è stato trasformato in un patriottico feticcio.  Vittorio – il quarto “padre della patria” – era stato risparmiato solo perché era troppo grullo perché si potesse infierire su di lui: l’hanno però fatta pagare ai suoi discendenti, altrettanto grulli ma meno “simbolici”.  A Crispi non è andata meglio; anche di peggio è toccato a Mussolini: tutta gente che aveva preservato l’unità e fatto del patriottismo tricolore una sorta di religione laica.

Negli ultimi decenni nessuno ha fatto di più di Silvio Berlusconi per difendere l’italianità e i suoi annessi e connessi.
Quando, nei primi anni Novanta, il baraccone stava scricchiolando per tangentopoli e – soprattutto – per l’avanzata travolgente della Lega, il cavaliere è stato messo lì a salvare la baracca. Come correttamente sosteneva Bossi quando era ancora lucido e libero, Forza Italia (nomen “ignomen”) è sorta per bloccare la Lega, per dirottare l’elettorato moderato che la stava premiando ovunque, per fermare una valanga che per la prima volta avrebbe potuto davvero sbriciolare l’unità geografica risorgimentale. Milano era stata conquistata con il 42% dei voti del primo turno, molte altre città venivano “liberate” (come si diceva allora con ingenuo entusiasmo) e tutto lasciava prevedere una vittoria leghista in Padania e una maggioranza comunista nel Centro-Sud: una bella, salutare, salvifica e provvidenziale spaccatura. Non c’era più il muro di Berlino e non era ancora arrivato l’Euro: poteva funzionare, come stava funzionando in Jugoslavia, Cecoslovacchia e Unione sovietica. Ma ecco uscire dal cappello dell’unità il coniglio di Arcore, in mezzo a uno sventolio di tricolori e grembiulini. Era perfetto: un imprenditore lombardo con le giuste amicizie mediterranee, il paladino del liberismo. Ha promesso la riduzione del peso fiscale, lo smagrimento dello Stato, la lotta alla burocrazia, la crociata dell’efficienza, l’aumento miracolistico dei posti lavoro. In venti e passa anni non è riuscito a fare niente di tutto questo ma ha ampiamente raggiunto l’obiettivo per cui era stato messo lì: fermare la Lega e difendere l’unità dello stivale.

Oggi non serve più: la Lega è ridotta a un cagnotto democristianoide avvinghiato a qualche residuo di potere, privo di ogni pulsione ideale e del tutto innocuo per la tenuta  dell’Italia “una e indivisibile”. Non è certo solo merito del Berlüsca: ci hanno messo molto impegno anche i capataz belleriani.

Il ritornello delle emergenze e il frastuono della crisi economica hanno tolto voce alle istanze liberiste: anche questo è il risultato del “lavoro” congiunto di tanti libertari e liberisti della mutua e della coriacea resistenza  dello statalismo romano e di uno dei pochi esemplari rimasti al mondo di socialismo reale.

Oggi Berlusconi si agita disperato e cerca di evitare il destino che i suoi ingrati confratelli tricolori gli stanno confezionando. Ha perso smalto e lucidità: si  aggira avvinghiato al barboncino Dudù come una vecchia contessa, sbraita e minaccia contro il suo esercito di lacché che lo stanno abbandonando. Avrebbe dovuto fare buon tesoro di quello che è successo a Bossi, scaricato da tutti i famigli che fino a poco prima lo osannavano e slinguazzavano.

Anche taluni di questi ultimi  dovrebbero trarre qualche insegnamento dalla vicenda: aiutare il patriottismo tricolore (anche solo facendo finta di combatterlo) non porta niente di buono. Il partito dell’unità d’Italia è ingeneroso e crudele con i suoi stessi sostenitori, figuriamoci con gli avversari che sono passati dalla sua parte, con quelli che hanno tradito, si sono venduti o si sono arresi.  Non ha mostrato gratitudine per Cavour, Mussolini e oggi Berlusconi, perché dovrebbe trattare meglio qualche collaborazionista con la pochette verde?


Fonte: visto su L’Indipendenza del  2 ottobre 2013

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