di GILBERTO ONETO
Il patriottismo italiano è davvero irriconoscente con i
suoi scherani e mostra la più sistematica ingratitudine per chi
combatte per l’unità dello stivale. Molto probabilmente Cavour era stato
avvelenato, e Mazzini cacciato a pedate in esilio. Garibaldi vecchio era stato
messo da parte, trattato da lunatico e – come supremo dileggio – non era
stata rispettata la sua volontà di essere cremato su una pira ma il suo
corpo è stato trasformato in un patriottico feticcio. Vittorio – il
quarto “padre della patria” – era stato risparmiato solo perché era troppo
grullo perché si potesse infierire su di lui: l’hanno però fatta pagare ai suoi
discendenti, altrettanto grulli ma meno “simbolici”. A Crispi non è andata meglio; anche di peggio
è toccato a Mussolini: tutta gente che aveva preservato l’unità e fatto del
patriottismo tricolore una sorta di religione laica.
Negli ultimi decenni nessuno ha fatto di più di Silvio
Berlusconi per difendere l’italianità e i suoi annessi e connessi.
Quando, nei primi anni Novanta, il baraccone stava
scricchiolando per tangentopoli e – soprattutto – per l’avanzata travolgente
della Lega, il cavaliere è stato messo lì a salvare la baracca. Come
correttamente sosteneva Bossi quando era ancora lucido e libero, Forza
Italia (nomen “ignomen”) è sorta per bloccare la Lega, per dirottare
l’elettorato moderato che la stava premiando ovunque, per fermare una valanga
che per la prima volta avrebbe potuto davvero sbriciolare l’unità geografica
risorgimentale. Milano era stata conquistata con il 42% dei voti del primo
turno, molte altre città venivano “liberate” (come si diceva allora con ingenuo
entusiasmo) e tutto lasciava prevedere una vittoria leghista in Padania e una
maggioranza comunista nel Centro-Sud: una bella, salutare, salvifica e
provvidenziale spaccatura. Non c’era più il muro di Berlino e non era ancora
arrivato l’Euro: poteva funzionare, come stava funzionando in Jugoslavia, Cecoslovacchia
e Unione sovietica. Ma ecco uscire dal cappello dell’unità il coniglio di
Arcore, in mezzo a uno sventolio di tricolori e grembiulini. Era perfetto: un
imprenditore lombardo con le giuste amicizie mediterranee, il paladino del
liberismo. Ha promesso la riduzione del peso fiscale, lo smagrimento dello
Stato, la lotta alla burocrazia, la crociata dell’efficienza, l’aumento
miracolistico dei posti lavoro. In venti e passa anni non è riuscito a fare
niente di tutto questo ma ha ampiamente raggiunto l’obiettivo per cui era stato
messo lì: fermare la Lega e difendere l’unità dello stivale.
Oggi non serve più: la Lega è ridotta a un cagnotto
democristianoide avvinghiato a qualche residuo di potere, privo di ogni
pulsione ideale e del tutto innocuo per la tenuta dell’Italia “una e
indivisibile”. Non è certo solo merito del Berlüsca: ci hanno messo molto
impegno anche i capataz belleriani.
Il ritornello delle emergenze e il frastuono della
crisi economica hanno tolto voce alle istanze liberiste: anche questo è il
risultato del “lavoro” congiunto di tanti libertari e liberisti della mutua e
della coriacea resistenza dello statalismo romano e di uno dei pochi
esemplari rimasti al mondo di socialismo reale.
Oggi Berlusconi si agita disperato e cerca di evitare il
destino che i suoi ingrati confratelli tricolori gli stanno confezionando.
Ha perso smalto e lucidità: si aggira avvinghiato al barboncino Dudù come
una vecchia contessa, sbraita e minaccia contro il suo esercito di lacché che
lo stanno abbandonando. Avrebbe dovuto fare buon tesoro di quello che è
successo a Bossi, scaricato da tutti i famigli che fino a poco prima lo
osannavano e slinguazzavano.
Anche taluni di questi ultimi dovrebbero trarre
qualche insegnamento dalla vicenda: aiutare il patriottismo tricolore
(anche solo facendo finta di combatterlo) non porta niente di buono. Il partito
dell’unità d’Italia è ingeneroso e crudele con i suoi stessi sostenitori,
figuriamoci con gli avversari che sono passati dalla sua parte, con quelli che
hanno tradito, si sono venduti o si sono arresi. Non ha mostrato
gratitudine per Cavour, Mussolini e oggi Berlusconi, perché dovrebbe trattare
meglio qualche collaborazionista con la pochette verde?
Fonte: visto su L’Indipendenza del 2 ottobre 2013
Nessun commento:
Posta un commento