di Dagoberto Bellucci
“Il bolscevismo non è né più né meno che la realizzazione
del programma internazionale contenuto nei Protocolli sionisti, così come
secondo gli stessi Protocolli dovrebbe realizzarsi in tutti gli altri paesi ad
opera di una minoranza rivoluzionaria”
(Henry Ford – “La U.R.S.S. è un prodotto del pangiudaismo” –
da “L’Ebreo Internazionale” Ediz. di “Ar” – Padova 1971).
“Circonderemo il nostro governo di economisti. Questo è
il motivo per cui agli Ebrei si insegna principalmente la scienza
dell’economia. Saremo circondati da migliaia di banchieri, di commercianti e,
cosa ancora più importanti, di milionari, perché in realtà ogni cosa sarà
decisa dal denaro”
(“L’Internazionale
Ebraica – I Protocolli dei Savi Anziani di Sion” – Protocollo nr. 8).
Il marxismo fin dalla sua nascita come concezione filosofica
e progressivamente nella sua prassi criminale rappresenterà il più
virulento attacco contro tutte quelle forze che avevano rappresentato la
Tradizione.
Per comprendere esattamente la pratica sovversiva – insieme
ideologica e politica, sociale ed economica – che una simile teoria
(ammantatasi di “scientificità” e di una indubbia efficacia dialettica che
rovescia i termini della questione sociale facendo esclusivamente leva sugli
istinti primordiali più bassi dell’individuo, in particolar modo attraverso
l’invidia, il risentimento, la rabbia e l’odio materialistico) avrebbe
instillato nelle società europee a partire dalla seconda metà del XIXmo secolo
– raggiungendo il culmine degenerativo attraverso il golpe ebraico di Lenin che
porterà alla nascita di uno Stato ateo e “rivoluzionario”, una centrale d’odio
e di vendetta utilizzata come caposaldo per tutte le fiammate insurrezionali
del Novecento che troveranno nei dirigenti del Cremlino complici interessati –
occorre ripercorrere la storia della guerra occulta, sotterranea, che si svolse
a partire dalla Rivoluzione Francese sul continente europeo e che vedrà
contrapposti da un lato i simboli, le autorità, le forze tradizionali del
Vecchio Continente; dall’altro lato tutti quei fenomeni ed ideologie funzionali
alla loro disintegrazione secondo un piano di progressiva erosione del potere
temporale e spirituale della Chiesa e delle antiche monarchie attraverso un
complotto che si sarebbe servito di volta in volta delle diverse forme assunte
dall’Anti-Tradizione (il nazionalismo “risorgimentale” d’ispirazione liberale,
il socialismo, l’imperialismo colonialista, l’estremismo anarchico, il
bolscevismo unitamente a quelle ideologie moderniste che favorirono il darwinismo,
lo sviluppo della tecnica esasperato in un progressismo dai tratti messianici,
fino all’evoluzione delle scienze psicoanalitiche che tanta parte
avrebbero avuto nelle società moderne di massa e all’avvento
dell’industrializzazione in senso capitalistico dell’ intero mondo occidentale
con le sue conseguenze sociali attraverso l’urbanizzazione selvaggia e quella
che è stata definita come la nazionalizzazione delle masse da autorevoli
storici).
Tale cospirazione occulta era stata preparata minuziosamente
per tutto il Settecento nel segreto delle logge massoniche spuntate come funghi
su tutto il continente europeo dopo la costituzione della Gran Loggia Madre
inglese nel 1717.
L’attività di erosione svolta dall’interno dagli agenti
della setta segreta sarebbe proseguita imperterrita attraverso l’opera di
proselitismo e affiliazione di numerosi esponenti dell’aristocrazia dell’epoca
stoltamente postisi al servizio del nemico.
La Rivoluzione francese al di là di celebrare i suoi
immortali principi di uguaglianza, fraternità e libertà schiuderà i ghetti
ebraici assicurando all’elemento ebreo una parità di diritti civili che, di
fatto, avrebbero reso l’ebreo progressivamente il principale elemento di
dissoluzione di tutte le strutture dell’antico ordinamento dei diversi Stati
del vecchio continente.
Il 27 settembre 1791 i cinquantamila ebrei francesi si
videro riconosciuto il diritto di cittadinanza.
La partecipazione ebraica agli avvenimenti rivoluzionari
francesi rimase sostanzialmente relativa anche se non mancarono esponenti di
primo piano del nuovo Stato sorto dalle idee illuministe e rappresentanti del
nuovo ceto borghese che rapidamente prese d’assalto il potere dichiarando
decaduti i privilegi secolari aristocratici e l’autorità ecclesiastica.
“Il nome più illustre sembra esser stato quello di Marat,
un sefardita la cui famiglia era giunta in Francia attraverso la Sardegna e la
Svizzera; complice inseparabile di Marat inoltre era l’ebreo Pereyra. Nel
complesso però, l’intervento diretto degli ebrei negli eventi della rivoluzione
non è molto manifesto; è soprattutto il carattere di questa rivoluzione che fa
pensare a una loro partecipazione. E le mura dei ghetti furono abbattuti in
tutti i paesi in cui gli “immortali” principi vennero imposti dalle armate di
Napoleone Bonaparte; il quale, come primo console, aveva stipulato un
concordato col Sinedrio ebraico. Il Messia della Rivoluzione venne sconfitto e
relegato a Sant’Elena ma ciò non impedì all’ebraismo europeo di proseguire la
sua opera silenziosa. I Rothschild, proprietari di banche nelle maggiori
capitali europee, erano in grado di ricattare i governi, negando loro i
prestiti o concedendoli, a seconda dell’atteggiamento che essi assumevano nei
confronti del popolo ebraico. La guerra tra la Banca e le Monarchie europee si
riaccese nel 1830 con una rivoluzione che segnò l’insuccesso storico della
Santa Alleanza. Rothschild fu il vero primo ministro di un sovrano che aveva
rinunciato alla formula “per grazia di Dio”, in un regno che sostituì la bandiera
dei gigli d’oro con il vessillo tricolore. Una delle prime misure del nuovo
regno fu di mettere a carico dello Stato le spese del culto giudaico e per
diciotto anni gli ebrei furono veramente les rois de l’epoque per citare il
titolo del libro di Toussenel sul regime orleanista. La rivoluzione del 1848
spazzò via la monarchia, ma restarono gli ebrei; è nota la frase di Proudhon: “la
France n’a fait que changer de Juifs”; analoga all’affermazione di Drumont
secondo cui “come i bari non si siedono mai al tavolo da giuoco senza un re o
due di scorta nella tasca del panciotto, così i Rothschild non si mettono mai
al giuoco senza due o tre statisti ebrei nella manica.” I nuovi assi nella
manica del Banchiere si chiamavano Cremieux e Goudchaux: il primo divenne
membro del governo provvisorio e ministro della giustizia; il secondo ebbe il
ministero delle finanze” (Claudio
Mutti – “Ebraicità ed ebraismo” - introduzione a “L’Internazionale Ebraica – I
Protocolli dei Savi Anziani di Sion” – Ediz. di “Ar” – Padova 1976).
Il motore immobile, occulto, della rivoluzione messo in moto
dalle potenti logge massoniche britanniche avrebbe da allora in avanti attinto
sempre più forza e, di volta in volta a seconda delle prospettive, ottenuto
revisioni e cambi di rotta strategici dall’officina ebraica che si sarebbe
dimostrata particolarmente attenta soprattutto a concentrare i suoi sforzi
sovversivi contro la Russia zarista e l’impero asburgico d’Austria-Ungheria
ultimi baluardi della Tradizione europea.
Le rivoluzioni liberali della metà dell’Ottocento vedranno
una partecipazione diretta dell’elemento ebraico:
“questa volta gli ebrei entrarono nell’arena politica
direttamente, e ben presto assunsero un ruolo dominante, in particolare nei
movimenti liberali. (…) La rivoluzione del 1848 finì per identificarsi con
l’emancipazione ebraica” (Abba Eban – “Storia del popolo ebraico” –
Ediz. “Mondadori” – Milano 1973).
Nel 1844 , cioè quattro anni prima delle insurrezioni
liberali che avrebbero sconvolto l’impero austro-ungarico e la confederazione
tedesca portando alla luce i nuovi nazionalismi d’Ungheria, d’Italia e di
Germania, l’ebreo Benjamin Disraeli, primo ministro della Corona d’Inghilterra
ed elemento di spicco dell’Internazionale occulta ebraica, faceva dire a
Sidonia, personaggio del suo romanzo “Coningsby”:
“Quella possente rivoluzione che si prepara in Germania
si sviluppa sotto l’egida degli Ebrei, che cominciano a monopolizzare le
cattedre professionali”.
Disraeli si riferiva certamente all’azione insurrezionale di
gruppi liberali e repubblicani quali la “Giovane Germania” nata sul modello
della mazziniana “Giovane Italia”.
Anche nel ventiquattresimo capitolo del romanzo “Vita di
Lord George Bentinek” lo stesso Disraeli poteva osservare:
“Se il lettore getta gli occhi sui governi provvisori di
Germania, d’Italia e perfino di Francia formati in questo periodo, egli
riconoscerà in tutti l’elemento ebreo…L’abolizione della proprietà è proclamata
dalle società segrete che formano i governi provvisori…Alla testa di ciascuna
di esse vi sono uomini Ebrei..gli Ebrei vogliono distruggere questa ingrata
cristianità di cui non possono più sopportare la tirannia”.
Conquistate posizioni di rilievo attraverso i nuovi
strumenti dell’informazione – sarà soprattutto tramite la stampa che gli Ebrei
domineranno l’opinione pubblica dei neocostituiti Stati nazionali d’Italia e
Germania – e all’interno dell’amministrazione pubblica l’Internazionale
Ebraica, coadiuvata dalla massoneria, non perderà tempo per sferrare i suoi
attacchi contro l’apparato ecclesiastico e contro gli ultimi residui del potere
aristocratico, largamente corrotto e di fatto sostanzialmente impotente di
fronte ad un processo di trasformazione in senso capitalistico che avrebbe
prodotto in pochi decenni il passaggio definitivo di consegne dall’antica
“aristocrazia del sangue” alla nuova “aristocrazia dell’oro” dei capitani
d’industria, dei banchieri e del mondo della finanza usurocratica.
Il periodo determinante per la conquista di posizioni
privilegiate da parte della nuova casta usuraia sarà la seconda parte
dell’Ottocento momento storico cruciale che da un lato avvierà i processi
d’espansione dei diversi imperialismi europei attraverso l’esperienza delle
avventure coloniali in Africa e Asia mentre dall’altro lato favorirà
l’emersione della cosiddetta “questione sociale” con l’affermazione del
marxismo quale novella utopia messianica, sorta di religione dell’invidia e
dell’odio alimentata in nome del proletariato contro tutte le forme di autorità.
L’esperienza della Comune di Parigi sarà un momento
fondamentale di questa nuova dinamica sociale e di questa realtà storica.
Non irrilevante sottolineare in proposito come la cosiddetta
“rivoluzione” del proletariato parigino del 1870 risparmierà scrupolosamente di
interferire con gli affari e salverà dalla furia popolare le proprietà
immobiliari, all’epoca se ne contavano oltre 450 nella sola capitale francese,
della famiglia dei Rothschild.
Uno storico di eletta ascendenza come Bernard Lazare
riconoscerà:
“E’ Marx che dette l’impulso all’Internazionale col
Manifesto del 1847, redatto da lui e da Engels; non che si possa dire ch’egli
abbia fondato l’Internazionale come una società segreta di cui gli Ebrei furono
i capi, perché parecchie cause determinarono la costituzione
dell’Internazionale; tuttavia Marx fu l’ispiratore del meeting operaio tenuto a
Londra nel 1864, donde uscì l’associazione. Gli Ebrei vi furono numerosi e solo
nel consiglio generale si trova Karl Marx, segretario per la Germania e per la
Russia, e James Cohen, segretario per la Danimarca. Molti Ebrei affiliati
all’Internazionale ebbero la loro parte durante la Comune, ove trovarono altri
correligionari. – (In nota): Neumayer, Fribourg, Loeb, Haltmayer, Lazare,
Armando Levi, Franke, altro Cohen, Ph. Cohen – Quanto l’organizzazione del
partito socialista, gli Ebrei vi contribuirono potentemente: Marx e Lassalle in
Germania, Aaron Libermann e Adler in Austria, Dobrojanu-Gherea in Romania,
Gompers, Kahn e de Lion negli Stati Uniti d’America, ne furono o ne sono ancora
gli iniziatori. Gli Ebrei russi debbono occupare un posto a parte in questo
breve riassunto. I giovani studenti, appena evasi dal ghetto, parteciparono
all’agitazione nichilista; qualcuno, tra i quali donne, sacrificò la vita alla
causa emancipatrice; accanto a questi medici e avvocati ebrei bisogna porre la
massa considerevole dei rifugiati artigiani che hanno fondato a Londra e a New
York importanti agglomerati operai, centri di propaganda socialista e anche comunista,
anarchica (…) In generale gli Ebrei, anche rivoluzionari, hanno conservato lo
spirito ebraico, e se hanno abbandonato ogni religione e ogni fede, hanno però
subito, atavicamente e per via dell’educazione, l’influenza della morale
ebraica. (…) Marx , questo discendente di una serie di rabbini e di dottori,
ereditò tutta la forza logica dei suoi avi; fu un talmudista lucido e chiaro,
che non fu imbarazzato dalle minuzie sciocche della pratica, un talmudista che
fece della sociologia e applicò le sue naturali qualità di esegeta alla critica
dell’economia politica. Fu animato da quel vecchio materialismo ebraico che
sognò perpetuamente di un paradiso realizzato sulla terra e respinse sempre la
lontana e problematica speranza d’un eden dopo la morte; ma non fu solo un
logico, fu un ribelle, un agitatore, un aspro polemista e prese il suo dono di
sarcasmo e di invettiva là ove l’aveva preso Heine: alle sorgenti ebraiche”
(Bernard Lazare – “L’Antisèmitisme” – Paris 1934).
Il socialismo, nella sua versione marxista cioè
internazionalista e materialista, si diffonderà in tutta Europa come un’utopia
millenarista e un nuovo messianismo capace di attrarre tutti i diseredati
attorno al grido di rivolta – “Lavoratori di tutto il mondo unitevi!” -
lanciato dal messia ebreo di Treviri, sorta di novello Spartaco, alias Karl
(Mordechai) Marx. Chi era realmente Karl Marx che la storiografia ufficiale
comunista ha sempre disegnato come “padre del comunismo”, difensore dei diritti
dei lavoratori – particolarmente degli operai – e grande economista del XIXmo
secolo? Riportiamo in proposito un interessante articolo di Giovanni Preziosi
il quale – citando un articolo apparso su “L’osservatore Romano” a firma di un
professore dell’Accademia Ecclesiastica di Pietrogrado, mons. Stanislao
Trzeciak, storico ed esperto di questione ebraica – scrive: “Carlo
Mordechai, che poi si fece chiamare Carlo Marx, era figlio di un avvocato ebreo
originario di Treviri (Germania renana), nacque nel 1818. Nel 1843 si stabilì a
Parigi per studiare economia politica, ma la sua attività rivoluzionaria lo
fece ben presto cacciare da questa città; e nel 1845 si stabilì a Bruxelles
dove, in collaborazione con Engels, riorganizzò la Lega Comunista e pubblicò il
famoso “Manifesto comunista” che è restato il vangelo della dottrina del
partito. Tornato in Germania prese una parte attiva nella rivoluzione del 1848
e fondò a Berlino una società segreta comunista, sui membri della quale egli
aveva diritto di vita e di morte. Per la misteriosa sparizione di diversi di
questi appartenenti alla società, Karl Marx fu condannato a morte dal Tribunale
tedesco ma, aiutato dalla Mano Nascosta, egli riuscì ad evadere in Inghilterra
ove rimase fino alla morte. A Londra redasse il suo libro fondamentale: “Il
Capitale”, sull’interpretazione del
quale anche i suoi seguaci non sono d’accordo: libro pedante, basato su
equivoci pregiudiziali in fatto di diritti e doveri, valori ecc. Privo di ogni
originalità di pensiero, Marx, può ben definirsi un racimolatore
dell’iniziativa altrui. E’ evidente come abbia tratto parte delle sue idee dal
Vidal e dal Pecquere (circa la socializzazione delle miniere e dei trasporti).
Il suo comunismo è quello di Babeuf (contemporaneo di Robespierre) e di Louis
Blanc. I suoi principi internazionali, quelli di Weishaupt, fondatore
dell’illuminismo demagogico alla fine del settecento (abolizione dell’eredità,
matrimonio comunista, adozione di neonati da parte dello Stato). Anche la teoria sul “superfluo del valore” non
è di Marx, perché sette anni prima che egli la pubblicasse, era già stata
espressa, se pur con minore chiarezza, da Owen, demagogo inglese. Esagerato è
quindi l’appellativo che gli è stato donato , soprattutto dai “non iniziati”,
di “padre del comunismo”. Egli imitava, plagiava e colpiva col più profondo
disprezzo colui del quale si era servito. Bakounin, il noto capo anarchico
russo, che lo conosceva bene, disse in una lettera ai “Fratelli dell’Alleanza”
di Spagna nel 1873 (vedi biografia di Bakounin di Marx Nettlau): “La sua vanità
non conosce nessun limite, una vera vanità da ebreo. Questa vanità, oggi già
molto forte, fu grandemente ingrandita dai suoi ammiratori e discepoli. Molto
personale, molto geloso, molto suscettibile e non meno vendicativo, al pari di
Jehova, il dio della sua razza. Marx non ammette che si riconosca un altro Dio
al di fuori di lui stesso…Proudhon, che non si è mai creduto un dio, ma che
indubbiamente era un grande pensatore rivoluzionario, e che ha reso
incalcolabili servizi alla causa e allo sviluppo delle idee socialiste, era
diventato appunto per questo la bestia nera di Karl Marx. (…) Più tardi fu il
Marx stesso a fornire a Bakounin una prova diretta delle menzogne odiose e
perfide delle quali era capace allorché scriveva nella “Neue Zeitung”: “…Per
quanto riguarda la propaganda slava, ci è stato assicurato che George Sand è in
possesso di carte e documenti che compromettono grandemente Michele Bakounin,
il proscritto russo, e che provano che egli altro non è che uno strumento della
Russia, oppure un agente entrato di recente al suo servizio…” In seguito a tali
accuse eccezionalmente gravi, esplicite e pubbliche, gli amici di Bakounin si
rivolsero direttamente a George Sand, ed ottennero una formale smentita. Marx
fu costretto a pubblicarla nel suo stesso giornale. E’ probabile che Marx odiasse Proudhon non
soltanto perché ne era geloso, ma perché Proudhon aveva visto giusto ed aveva
fatto notare che il capitalismo era una montatura kahalica, che doveva essere
combattuta come tale. Anche Proudhon
quindi aveva intravisto il “messianismo” ebraico nell’opera di Marx. Quanto all’Internazionale Rossa proclamata
figlia di Marx, leggiamo queste righe di James Guillaume, socialista svizzero:
“Non è vero che l’internazionale sia stata una creazione di Marx, perché egli rimase completamente fuori dal
lavoro preparatorio che si svolse dal 1862 al 1864. Quando egli entrò nell’Internazionale, questa
era stata già creata dagli operai francesi ed inglesi.”. Il piano di Marx fu sempre di fare
dell’organizzazione operaia lo strumento delle sue vedute personali, che poi
erano quelle kahaliche. Il 9 ottobre 1866 Marx scriveva a Rugelmann (vedi
“L’Internationale et le Pangermanisme” di Laskine): “Gli operai,
particolarmente quelli di Parigi che appartengono ad una classe di operai di
lusso e sono attaccati alle vecchie porcherie, sono ignoranti e chiacchieroni,
pieni di sé e stavano per guastare ogni cosa al Congresso (comunista). Tutto
Marx è in questa lettera che dimostra l’intimo disprezzo per quella classe alla
quale pretendeva comandare. Del reso Marx non amava gli operai e non amava
neppure la sua famiglia da lui resa infelice (una delle sue figlie si suicidò).
Egli non amava nessuno all’infuori di sé stesso. I suoi piani rivoluzionari non erano dettati
dall’amore per il prossimo, ma da un basso spirito egocentristico: erano il mezzo per dominare. Tale fu Mordechai detto Marx, diventato –
grazie al bluff dell’ebraismo internazionale demagogico – il bandierone rosso
sventolato oggi dai vari capi che…se lo danno fraternamente in testa in tutte
le Internazionali. Ironia della sorte:
il bandierone mordechaico in mano di Stalin ha servito a rompere la testa a
quell’altro egocentrista kahalico che è Trotzki. Anche questo è “messianismo”
(Giovanni Preziosi – Articolo “Marx, ovverosia Mordechai: il Santone
Messianico” – da “La Vita Italiana” del 15 Agosto 1934 ripubblicato nella
raccolta “Come il giudaismo ha preparato la guerra” Ediz. “Tumminelli” – Roma
1939).
Le idee di Marx – o per essere esatti le tante idee rubate a
destra e a manca dal Marx nel corso della sua vita – , unitamente all’oro della grande banca ebraica
americana, saranno le armi attraverso le quali l’oligarchia usurai
internazionale abbatterà l’impero russo, l’autocrazia dello zar.
La rivoluzione che si andrà preparando, portata avanti alla
fine dell’Ottocento dai gruppuscoli socialrivoluzionari, anarchici e nichilisti
“russi” – direttamente controllati da agenti della sinagoga ebraica – che
sfoceranno nel tentativo insurrezionale/costituzionale del 1905 e
successivamente nel golpe ebraico leninista del 1917, sarà perciò
essenzialmente un colpo di stato attuato dall’intellighenzia giudaica contro
l’aristocrazia zarista russa.
Le attività dei rivoluzionari socialisti in Russia minarono
qualsiasi tentativo di riforma costituzionale intrapreso dai vertici
monarchici.
La “questione sociale” nella Russia zarista andò sempre più
sommandosi a quella ebraica: furono soprattutto le organizzazioni ebraiche
occidentali, a cominciare dall’Alleanza Israelitica Universale del massone
ebreo Cremieux fino all’attività d’interferenza del B’nai B’rith, a sospingere i loro correligionari russi verso
l’attività estremista nelle organizzazioni d’ispirazione socialista che diventeranno
rapidamente ricettacoli per tutta l’attività sovversiva e terroristica
anti-zarista di turbe di Ebrei accomunati dall’odio contro l’autorità centrale.
Nella sua opera sulla “Storia dell’Antisemitismo” ecco come
lo storico ebreo Leon Poliakov descrive la situazione russa nella seconda metà
dell’Ottocento:
“Fin dal 1862 l’ideologo slavofilo Ivan Aksakov si era
levato contro l’emancipazione degli Ebrei, e nel 1867 tornava alla carica
parafrasando (è un particolare degno di nota) la famosa formula di Marx: “Qui
non si tratta” scriveva “di emancipare gli Ebrei, ma di emancipare la
popolazione russa dagli Ebrei, di liberare dal giogo ebraico gli uomini russi
del sud-ovest.”. Poco dopo Aksakov
trovava un valido alleato nella persona di Jacob Brafman. Questo convertito,
professore di ebraico presso il seminario ortodosso di Minsk, era l’esperto del
Santo Sinodo per i problemi della missione tra gli Ebrei. Dal 1867 aveva
cominciato a pubblicare sul “Corriere di Vilna” articoli sulla vita e i costumi
delle comunità ebraiche che gli avrebbero fornito in seguito materia per i due
grossi volumi, con relative fonti documentarie: “Il libro del Kahal” e “Le
confraternite ebraiche locali e universali”, usciti nel 1869. (…) Nel “Libro del Kahal” egli pretendeva di
rivelare “i procedimenti e i mezzi di cui si servono gli Ebrei, malgrado le
leggi che limitano i loro diritti civili nei paesi in cui risiedono, per
allontanare gli individui delle altre religioni dal commercio e dall’industria
e concentrare nelle loro mani tutti i capitali e tutti gli immobili”. (…)
Rivelazioni ancora più sorprendenti faceva Brafman ne “Le confraternite
ebraiche locali e universali”. “Le confraternite” – annunciava – “sono per così
dire le arterie della società ebraica (…) esse uniscono tutti gli Ebrei
dispersi sulla terra in un unico corpo potente e invincibile”. I “Kahals” di
tutto il mondo erano a loro volta sottoposti a una direzione centrale: questa
direzione installata in Francia, terra della rivoluzione, non era altro che
l’Alleanza Israelita Universale (secondo un emulo di Brafman, questa alleanza
“vecchia quanto il mondo”, fu il “vero motore del cataclisma del 1789”). Dal 1871 il governatore generale di Kiev, il
principe Dondukov-Korsakov, si basava su questa rivelazione per richiamare
l’attenzione di Alessandro II sul pericolo rappresentato dall’Alleanza e per
chiedere un rafforzamento della legislazione antiebraica. Man mano che il
movimento rivoluzionario si sviluppava e si moltiplicavano gli attentati terroristici,
l’inquietudine che afferrava le sfere dirigenti le portava a prestare orecchio,
con crescente attenzione, a tali deliri” (Lèon Poliakov – “Storia
dell’antisemitismo – (IV) L’Europa suicida , 1880-1933”– Ediz. “La Nuova
Italia”- Firenze 1990).
Non di deliri si trattava ma di dati di fatto incontestabili
che progressivamente avrebbero trovato una loro conferma proprio dagli
avvenimenti storici che dall’inizio del Novecento e fino alla svolta
rivoluzionaria del 1917 avrebbero precipitato la nazione russa in un caos senza
precedenti e nell’anarchia più assoluta dai quali sarebbe sorta infine l’URSS,
lo Stato ispirato dalle idee marxiste-leniniste sottomesso al giogo di una
minoranza di ebrei fanatici che avrebbero dato forma ad un regime criminale che
si sarebbe imposto mediante la progressiva soppressione di qualunque autorità,
legge e ordinamento per imporre la loro dittatura in nome e per conto del
“proletariato”.
L’URSS sarà soprattutto un laboratorio sociale, il primo di
una lunga tragica serie che vedrà cadere sotto l’ideologia marxista
intere nazioni e comunità, nel quale i pianificatori dell’oligarchia sovietica
adotteranno tutti i sistemi e le forme di abbrutimento e disintegrazione
individualistica con l’obiettivo di sradicamento di qualsivoglia retaggio
ideale, culturale, spirituale precedente.
Ciò che avverrà nella Russia sovietica sarà sostanzialmente
un esperimento di assoggettamento, annichilimento e disintegrazione di un
intero popolo, la sistematica distruzione di tutti i vincoli (familiari e
sociali) che formavano l’unità nazionale russa pre-rivoluzionaria,
l’edificazione di uno stato-tiranno, di un moderno Leviatano all’interno del
quale ( negli immensi spazi delle steppe siberiane e caucasiche, nell’Asia
centrale sconfinata ) gli apprendisti stregoni dell’intellighenzia bolscevica
avrebbero tentato, come novelli alchimisti talmudici, di creare un “uomo-nuovo”
percepito esclusivamente come cavia da laboratorio e carne da macello da
immolare sull’altare dell’utopia rivoluzionaria.
Scriverà Julius Evola:
“Un’antica leggenda, che già molto prima della
rivoluzione circolava fra i contadini russi, annunciava la venuta di un tempo,
in cui avrebbe regnato una “Bestia senza nome” – senza nome, perché sarebbe
composta da una moltitudine innumerevole. (…) La verità centrale del
bolscevismo è: disintegrazione dell’individuo. Il nuovo vangelo, che esso
proclama, è l’ “uomo collettivo”, l’ “uomo-folla”, l’elemento impersonale di un
ente plurimo, titanico, poliartico, arimanico, che “non ha nome” come non ha
capo. La potenza ed il diritto assoluto spettano a quest’ente: a lui l’impero
del futuro. (…) L’ideale superpersonale del bolscevismo è concepito come una
combinazione puramente quantitativa di individui-parti-di-massa nel più vasto
ed omogeneo conglomerato possibile. Mentre
la credenza precedente era che la via verso una più alta umanità universale
risiedeva nella perfezione della personalità umana, il bolscevismo si è dato a
mostrare che la vera via della salvazione conduce, attraverso l’annichilimento
dell’individuo, in un “uomo-massa” organizzato dall’esterno” (Julius Evola – “Il ciclo si chiude –
Americanismo e bolscevismo 1929-1969”– Ediz. a cura della Fondazione Julius
Evola – Roma 1991).
La cosiddetta “rivoluzione d’ottobre” dell’ala bolscevica
leninista sarà la definitiva affermazione della dittatura (degli ebrei) sul
proletariato russo assoggettato alle volontà ed ai diktat di un’avanguardia
rivoluzionaria di elementi ebrei fatti appositamente rientrare nella Russia
zarista per applicare le teorie socialiste di Marx attraverso lo strumento
della violenza politica, del terrore di Stato indiscriminato.
Ciò che avverrà in Russia nell’autunno 1917 non sarà
nient’altro che un vero e proprio golpe ebraico con il quale una minoranza fanaticamente
inquadrata dalle parole d’ordine del socialismo massimalista, l’ala bolscevica
del Partito socialista, si impadronirà del potere – in nome del proletariato e
dei lavoratori – eliminando progressivamente tutte le altre formazioni
politiche appartenenti alla Sinistra Rivoluzionaria russa (menscevichi,
anarchici ecc.) peraltro massicciamente rappresentate all’interno di quella
nuova istituzione , il Soviet, che appartiene in tutto e per tutto alla
tradizione talmudica.
“Il Soviet non è un’istituzione russa ma ebrea
(scrive Henry Ford in “L’Ebreo Internazionale” – Ediz. di “Ar” – Padova 1971); non rappresenta neanche un’invenzione
moderna degli ebrei della Russia, né una nuova idea politica di Lenin o di
Trotzky, ma è di origine arcaico-ebrea. E’ una forma di organizzazione che,
dopo la conquista della Palestina ad opera dei Romani, fu adottata dagli ebrei
per mantenere il loro particolare sistema di vita razziale e nazionale. Il
bolscevismo moderno riconosciuto ora come la semplice scorza esteriore di un
colpo di Stato, lungamente e accuratamente preparato allo scopo di assicurare
il predominio di una razza determinata, adottò immediatamente la forma
amministrativa dei soviet, per la semplice ragione che gli ebrei di tutte le
nazionalità che cooperano all’insediamento del bolscevismo in Russia erano
tutti educati e allevati sotto la forma e la struttura del soviet. Il soviet si
cita nei “Protocolli” col suo antico nome ebreo di “kahal”. Nella tesi 17.a è detto: “In questi giorni i
nostri fratelli si vedono obbligati a denunciare gli apostati che si oppongono
al “kahal”. Quando avvenga il nostro regno tutti i sudditi dovranno servire lo
Stato in ugual maniera.” Tutti coloro che conoscono la vita attuale degli ebrei
sanno perfettamente che cosa significano queste denunce per apostasia. La
durezza delle persecuzioni alle quali si espongono gli ebrei convertiti o i
figli di una famiglia ortodossa che si sposino con non ebrei, non hanno punto
di paragone nel resto dell’umanità.”
Il giudaismo si sarebbe imposto immediatamente come il
principale motore della rivoluzione, divenendone la sua anima, il suo artefice,
il massimo fattore dirigente.
Lenin lavorerà per la sinagoga, gli Ebrei diventeranno con
la Rivoluzione gli autentici padrone della Russia sovietica.
La rivoluzione bolscevica avrà effetti disastrosi sulla
società russa senza incidere e, come presenta oramai da decenni una interessata
propaganda, senza ottenere alcun reale miglioramento della disastrata economia
russa.
Come sarà evidente fin dai primi mesi del governo
rivoluzionario emersero immediatamente l’incapacità dei dirigenti bolscevichi e
la loro irresponsabilità di fronte alle problematiche di natura sociale ed
economica emerse nel corso della guerra.
Per frenare il malcontento montante e il caos che andava
dilagando in tutto il paese ricorrerà al terrore pianificando la strategia
dello stragismo di classe (che in realtà nascondeva il più vasto piano per lo
sradicamento come “controrivoluzionarie” di tutte quelle ‘tendenze’ e di tutti
quei settori della società che si opponeva alla dittatura della minoranza
bolscevica leninista).
Nel dicembre 1917, poco più di un mese dopo la presa del
potere, Leningrado è in preda alla più totale anarchia. In un congresso che
passerà alla storia, nella seduta notturna che si svolgerà tra il 25 ed il 26
ottobre 1917, il Congresso panrusso dei soviet aveva proclamato il “Consiglio
dei Commissari del popolo”: da quel momento il termine “commissario” avrebbe
sostituito il “borghese” “ministro”.
Ufficialmente il bolscevismo deteneva il potere ma nella
realtà ovunque regnavano il caos e l’anarchia. Dappertutto si formavano
‘soviet’, ovunque si proclamavano nuove autorità, sempre in nome e per conto
della rivoluzione si pretendeva di organizzare il nuovo Stato.
A guidare le masse in
quei giorni caotici di novembre-dicembre 1917 erano i militari ammutinati che
si erano legati alle parole d’ordine della rivoluzione, gli anarchici, i
disertori, soprattutto i delinquenti ai quali la rivoluzione aveva aperto
gentilmente le porte.
Ognuno scorazzava indisturbato ripetendo gli slogan che
Lenin aveva loro inculcato quando aveva innalzato il grido di rivolta in nome
di tutti gli oppressi.
I marinai di Kronstadt cominciarono per primi: dopo essersi
ammutinati a bordo delle loro unità avevano preso gli ufficiali scaraventandoli
dritti in mare finendoli poi a colpi di baionetta.
Il terrore e l’anarchia generarono nuovi mostri: a
Pietroburgo due ex ministri del governo provvisorio liberale di Kerensky sono
raggiunti da una folla inferocita nei loro letti d’ospedale e linciati dalla
plebaglia.
Lo Stato è a pezzi, l’autorità è stata distrutta dal furore
bolscevico, ovunque regna l’anarchia e la situazione rischia di contagiare
perfino i più stretti collaboratori di Lenin che si lasciano andare allo
sconforto o a deliranti iniziative personali.
All’Istituto Smolny, sede del nuovo governo bolscevico, non
fu facile prendere decisioni. Il commissario alle finanze ordina la chiusura
delle banche e farnetica ordini per l’abolizione del denaro. Il suo collega
alla giustizia nomina giudici i primi operai che gli capitano sotto mano. Il
consiglio di guerra finisce per nominare comandante supremo di un esercito di
11 milioni di uomini un ex tenente zarista tal Krylenko.
La fede nella rivoluzione sembra vacillare anche nei più
intimi collaboratori del gran capo Lenin. Elisarov, cognato di Lenin, confida a
Salomon:
“Qui sono
diventati tutti pazzi, compreso il capo. Siamo alla vigilia di un fiasco. Questa
follia non potrà durare a lungo. Faremo ancora qualche sciocchezza e viltà ,
poi correremo all’estero a rileggerci Marx perché probabilmente non l’abbiamo
capito”.
Prendere in mano le redini della rivoluzione, con polso
fermo e implacabile. Questa la soluzione. E sarà Lenin che deciderà di
instaurare il “terrore rosso”: nascerà nel dicembre 1917 la Cereswytiainaja
Komissija, la Ceka, primo organismo di polizia e repressione delle “attività
contro-rivoluzionarie”, il braccio armato della Rivoluzione che – nel corso
degli anni – assumerà successivamente la dizione di Ghepeù, NKVD finendo infine
i suoi giorni, tutt’altro che gloriosi, con il nome di KGB.
Cosa abbiano rappresentato tutte queste sigle – di
fatto si trattava sempre dello stesso apparato poliziesco che cambiava
semplicemente nome – per la popolazione russa è facile immaginarlo: terrore,
repressione, morte.
A guidare la macchina di terrore, repressione e morte
dell’URSS saranno elementi ebrei che costituiranno il nerbo del neonato
apparato statale sovietico, occuperanno in massa i principali posti all’interno
del Soviet supremo, dentro ai diversi Commissariati politici, nelle
organizzazioni preposte alla salvaguardia della rivoluzione.
“Pare che Lenin (scrive Claudio Mutti in “Ebraicità e
Ebraismo”, op. cit.), “l’asceta incorruttibile dell’idea pura”, si rendesse
conto soltanto negli ultimi giorni della sua esistenza di aver lavorato per
Israele e di aver contribuito a realizzare un programma che, probabilmente non
era il suo. Infatti, più che l’opera di Lenin e dei mugiki russi, la
rivoluzione bolscevica fu , “in gran parte, un’opera del pensiero ebreo, del
malcontento ebreo, dei piani ebrei, lo scopo dei quali era di creare un nuovo
ordine nel mondo. Ciò che per mezzo del pensiero ebreo, del malcontento ebreo,
dei piani ebrei fu così straordinariamente realizzato in Russia dovrà, per
mezzo della forza d’animo ebrea diventare realtà in altri paesi”. Così scriveva
il 10 settembre 1920 “The American Hebrew” , il più importante organo ebraico
degli Stati Uniti. E il “Times” di Londra dichiarava, il 29 marzo 1919, che
“dei venti o trenta commissari che dirigono l’apparato centrale del partito
bolscevico non meno del 75% sono ebrei; tra gli ufficiali minori il numero
degli ebrei è stragrande”. E l’ebreo M. Cohen così confermava sul “Kommunist”
di Kharkov (12 aprile 1919): “Si può dire, senza esagerazione, che la grande
rivoluzione socialista russa è stata opera degli ebrei, e che gli ebrei non
soltanto hanno guidato questo evento, ma hanno preso interamente nelle loro
mani la causa dei Sovieti”. E l’ebreo A.S. Rappaport: “Gli Ebrei in Russia,
nella loro unanimità, sono i responsabili della rivoluzione bolscevica”.
Il numero di appartenenti alla razza autoproclamatasi
“eletta” nelle fila del partito bolscevico all’avvento della Rivoluzione sarà
preponderante. La rivoluzione, che aveva goduto del sostegno dell’alta banca
ebraica internazionale, aveva decretato l’affermazione di un regime
sostanzialmente ebraico.
Scriverà a proposito dei finanziamenti ebraici ai
rivoluzionari bolscevichi Carlo Alberto Roncioni:
“…la classe dirigente industriale e finanziaria in
Inghilterra e Stati Uniti è composta prevalentemente di appartenenti alla razza
ebraica e parimenti l’aristocrazia burocratica dell’Unione Sovietica, che
organizza e dirige la produzione industriale (compravendita di beni e servizi
come il lavoro umano) è composta di appartenenti alla razza ebraica. Un
documento molto importante in proposito è stato fornito dalla Polizia Segreta Americana:
Secret Service “Documentation”, Parigi 6 marzo 1920; da questo documento
risulta:
a) Nel Febbraio 1916 si seppe per la prima
volta che una Rivoluzione era stata fomentata in Russia. Si scoprì che le
persone e ditte qui sotto erano impegnate per tale opera rivoluzionari:
1) Jackob Schiff (personalmente), ebreo;
2) Banca Kuhn Loeb and C. ebrea, con Jackob Schiff
ebreo e Jerome I. Hanauer, ebreo;
3) Guggenheim, ebreo;
4) Max Breitung, ebreo.
Non v’è dubbio che la rivoluzione russa, scoppiata un
anno dopo tale formazione, fu lanciata e fomentata da influenze spiccatamente
ebraiche. Difatti nell’aprile 1918 Jackob Schiff ebbe a dichiarare
pubblicamente che grazie al suo appoggio finanziario la rivoluzione russa era
riuscita;
b) Nella primavera del 1917 Jackob Schiff
cominciò ad accomanditare Trotzky, ebreo, per fare in Russia la rivoluzione: il
giornale di New York, “Forward”, gazzetta ebrea bolsceviva quotidiana, versò
anch’essa un contributo per tale scopo. Contemporaneamente a Stoccolma l’ebreo
Max Warburg accomanditava la ditta Trotzky & C. , casa ebraica; tale
società era ugualmente accomanditatata dal sindaco Westfaliano-Renano, impresa
ebraica, nonché di un altro ebreo Olaf Aschberg della “Nya Banken” di
Stoccolma” e dall’ebreo Givotovsky, la cui figlia ha sposato Trotzky. Così furono stabilite le relazioni fra gli
ebrei multimilionari e gli ebrei proletari;
c) Nell’ottobre 1917 ebbe luogo in Russia
la rivoluzione sociale, in virtù della quale certe organizzazioni di sovieti
presero la direzione del popolo russo. In quei sovieti spiccarono i seguenti
individui, tutti ebrei meno Lenin (il quale però figlio di una donna di razza
ebrea…quindi a tutti gli effetti Ebreo secondo la legge ebraica che
riconosce come di discendenza ebraica la linea patrilineare ndr): Ecco i loro nomi di guerra, e tra parentesi,
quelli di famiglia: Lenin (Ulianov); Stekov (Nakhames); Larin (Lurge); Martinov
(Zibar); Zwiesdin (Weinstein); Lapinsky (Loewensohn); Trotsky (Braunstein);
Mortov (Zederbaum); Bohrin (Nathansohn); Kamenev (Rosenfeld); Suchanov (Gimel);
Sagersky (Krohmann); Sointzev (Bleichmann); Garin (Garfeld); Gorev (Goldmann);
Axelrod (Orthodox); Cernomorsky (Tschernomordkin); Maklakowsky (Rosenblum);
Meschkowsky (Goldberg); Abramowic (Rein); Urisky (Radomilsky); Granetzky
(Fuertenberg); Bogdanov (Silberstein); Riazanov (Goldenbach); Piatnitzky
(Ziwin); Glasunov (Schultze); Zinoviev (Apfelbaum); Dan (Guerevic); Parvus
(Goldfandt detto anche Helphand)” (Carlo Alberto Roncioni – “Il potere
occulto” – Ediz. “Sentinella d’Italia” – Monfalcone 1974).
La preponderanza, asfittica, dell’elemento ebraico ai
vertici del partito bolscevico e dello Stato sovietico sarebbe immediatamente
stata sottolineata soprattutto dai dispacci dei servizi segreti occidentali e
dalle informazioni provenienti dalle ambasciate dei paesi occidentali a Mosca.
Altre informazioni sulla effettiva realtà sociale e militare
dell’URSS e sulla divisione dei poteri all’interno dei nuovi apparati
dell’amministrazione sovietica venivano comunicate al resto del mondo dai
fuoriusciti russi, dagli ambienti aristocratici filo-monarchici in fuga verso
le capitali occidentali, da organizzazioni di nazionalisti russi che
mantenevano tutte costanti legami con il loro paese e, fino a quando ancora fu
possibile, aperte vie di comunicazione attraverso le quali far circolare le
notizie.
Giovanni Preziosi, su “La Vita Italiana” del 15 gennaio
1921, poteva a proposito della situazione interna sovietica sottoporre ai suoi
lettori questa illuminante documentazione:
“Un interessante opuscolo dal titolo “Chi governa in
Russia?”, edito a New York nel 1920 dall’Associazione “Unità della Russia”, dà
un elenco completo del personale che dirige i vari reparti del governo dei
Sovieti. L’elenco redatto accuratamente
sulle basi offerte dagli organi ufficiali bolscevichi, reca la prova
indiscutibile della preponderanza ebraica in tutti i rami del governo dei
dittatori di Mosca. In Russia su 503
funzionari dello Stato, 406 sono israeliti; 29 soltanto sono russi. Ci sono,
per verità, 34 lettoni, 12 tedeschi, 12 armeni ecc. Inoltre, tra 42 giornalisti che dirigono
l’opinione pubblica, uno solo è russo: Massimo Gorki. Sui 22 membri del Consiglio dei commissari del
popolo, non si contano che 3 russi soltanto: Lenin, Cicerin e Mondelstam. Gli
altri membri sono: 17 israeliti e 2 armeni. Il Commissariato di guerra, diretto
da Trotzky, comprende 43 membri: 34 sono israeliti, 8 lettoni, 1 tedesco, non
un solo russo. Il Commissariato dell’interno, diretto dall’israelita Apfelbaum
(Zinovieff) è composta da 64 membri tra i quali 2 russi, 45 israeliti, 11
lettoni, 3 armeni, 2 tedeschi e 1 polacco. Il Comitato per gli Esteri, diretto da
Cicerin, che vi rappresenta da solo l’elemento russo, è composto di 17
membri; gli altri 16 sono: 13 israeliti, 1 armeno, 1 lettone, 1
tedesco. Il Commissariato delle finanze è costituito da 30 membri, dei
quali 26 sono israeliti, 2 russi, 1 lettone e 1 polacco. Il Commissariato della
giustizia comprende 19 membri , tra i quali Steinberg e Trotzky. Non un solo
tra essi è russo: 18 sono israeliti ed 1 armeno. Il Commissariato dell’igiene
si compone di 5 membri: 4 israeliti ed 1 tedesco. Non un solo russo. Il
Commissariato della pubblica istruzione comprende 53 membri, tra i quali: 2
russi, 44 israeliti, 3 finnici, 2 tedeschi, 1 lettone e 1 ungherese. Il
Commissariato dell’assistenza sociale è costituito da 6 membri, tutti ebrei. Il
Commissariato della ricostruzione della città di Jaroslaw ha due membri:
israeliti entrambi. I delegati della Croce Rossa bolscevica sono 8, tutti e
otto israeliti. Tra i 23 commissari provinciali, 21 sono ebrei, uno russo ed un
lettone. La Commissione d’inchiesta sull’amministrazione dell’impero russo è
composta di 5 ebrei e 2 russi. La Commissione d’inchiesta sull’assassinio di
Nicola II contava dieci membri: 7 ebrei, 2 russi, 1 armeno. Il Consiglio
supremo dell’economia generale, diretto da un russo, il Rykoff, è costituito da
56 membri: 45 israeliti, 5 russi, 3 tedeschi, 2 lettoni, 1 armeno. L’ufficio
del primo Soviet degli operai e soldati di Mosca, conta 23 membri: non un solo
russo, ma 19 israeliti, 3 lettoni, 1 armeno. Il Comitato esecutivo centrale del
4° Congresso panrusso dei sovieti degli operai, dell’esercito rosso, dei
contadini e dei cosacchi, era composto da 34 membri: 33 israeliti ed 1 russo.
Il Comitato del 5° Congresso degli stessi Sovieti, comprendeva 62 membri: 43
ebrei, 6 russi, 6 lettoni, 2 armeni, 1 tedesco, 1 ceco e gli altre tre oriundi
rispettivamente della Georgia, dell’Imeret e del Karaim. Il Comitato centrale
del partito socialista operaio è composto di 12 membri: tra i quali 9 israeliti
e 3 russi. Tale il personale governativo della Russia di oggi (1920). Ma
l’influenza ebraica si estende anche nei partiti che pretendono di
rappresentare l’opposizione. L’ufficio centrale del partito comunista del
popolo, è composto da 55 israeliti e di un russo. Il Comitato centrale del
partito socialdemocratico dei lavoratori, è composto di 11 membri tutti ebrei.
Il Comitato centrale del partito socialista rivoluzionario della destra, conta
14 israeliti ed 1 russo. Il Comitato centrale del partito socialista
(rivoluzionario) di sinistra, conta 10 israeliti e 2 russi. Il Comitato degli
anarchici di Mosca comprende 5 membri: 4 ebrei ed 1 russo. Il Comitato centrale
del partito comunista di Polonia, conta 12 membri tutti ebrei. Si può dunque
concludere, a rigor di logica, che lo Stato russo è governato da ebrei”
(Giovanni Preziosi – articolo “Chi governa la Russia?” – da “La Vita Italiana”
del 15 gennaio 1921 ripubblicato nella raccolta “Giudaismo bolscevismo
plutocrazia massoneria” , Ediz. “Hohenstaufen” – 1944).
Lo Stato sovietico si presentava sulla ribalta
internazionale come un apparato rivoluzionario, un autentico anti-Stato che
intendeva – in conformità con le idee propugnate da Lenin e propagandate dalla
Terza Internazionale – esportare ovunque sovversione, anarchia, caos e lottare
per l’instaurazione della dittatura del proletario su scala planetaria.
I neocostituiti partiti comunisti che aderirono alla nuova
internazionale diretta dal Cremlino, autentica centrale sovversiva e centro del
terrore bolscevico, adottarono immediatamente le parole d’ordine della
rivoluzione moscovita: la violenza politica come mezzo di lotta, la guerra
civile come metodo per la conquista rivoluzionaria dello Stato, la
disintegrazione di tutte le strutture della società borghese come necessità per
l’edificazione del socialismo.
Erano queste le speranze, e le utopie, che ispirarono Lenin
ed i leader bolscevichi nei primi mesi successivi alla presa del potere e fino
al 1921-22. Quelli furono gli anni decisivi che sancirono la definitiva
sconfitta dei movimenti rivoluzionari comunisti in Italia, Ungheria e
soprattutto Germania. Grandi erano state le aspettative bolsceviche per
l’evoluzione delle situazioni a Budapest, Roma e particolarmente a Berlino e
nelle altre zone della neonata repubblica di Weimar.
Uno degli obiettivi principali sui quali puntava la
strategia leninista era la presa del potere rivoluzionaria in Germania.
Le condizioni per la conquista comunista della Germania
erano mature ma la reazione delle forze armate leali alla repubblica e delle
diverse organizzazioni nazionalpatriottiche, armatesi in corpi franchi e
squadre d’assalto, disintegrarono sul nascere tutti i tentativi insurrezionali
rossi.
“Il marzo e l’aprile del 1919 (ha scritto lo storico
tedesco Ernst Nolte in “Nazionalsocialismo e bolscevismo – La guerra civile
europea 1917-1945”– Ediz. “Rizzoli” – Milano 1996) costituirono in Russia il
primo culmine della speranza nella rivoluzione mondiale imminente. Per Lenin la
nascita del partito comunista di Germania con i suoi capi famosi e
universalmente noti come Liebknecht, Rosa Luxemburg, Clara Zetkin e Franz
Mehring” significava già di fatto l’inizio della nuova Internazionale, quella
comunista, e il congresso di fondazione riunitosi a Mosca ai primi di marzo era
per lui solo una sorta di formale realizzazione. (…) I manifesti e gli appelli rivolti a tutto il
mondo da questa piccola assemblea di cinquantuno delegati per lo più russi
erano pervasi da un tale fuoco e da una tale forza entusiastica che nessuna
proclamazione di vittoria degli alleati e nessun progetto ottimistico di Wilson
poteva reggere il confronto. Nelle “Direttive dell’Internazionale Comunista”
redatte da Bucharin leggiamo: “E’ nata una nuova epoca. L’epoca della
dissoluzione del capitalismo, della sua intima disgregazione, l’epoca della
rivoluzione comunista del proletariato…Essa deve spezzare il dominio del
capitale, rendere impossibili le guerre, annullare i confini degli Stati,
trasformare tutto il mondo in una comunità che lavori per sé, realizzare la
fratellanza e la liberazione dei popoli” (…) Queste speranze e queste
previsioni fiduciose raggiunsero tuttavia il loro punto più alto nell’appello
del 1° maggio che il comitato esecutivo rivolse ai comunisti bavaresi,
cosciente che accanto alla Repubblica sovietica russa vi erano già quella
ungherese e quella bavarese: “La tempesta comincia. L’incendio della
rivoluzione proletaria divampa con forza inarrestabile in tutta Europa. Si
avvicina il momento che i nostri precursori e maestri hanno atteso…il sogno dei
migliori rappresentanti dell’umanità diventa realtà…Scocca l’ora dei nostri
oppressori. Il 1° maggio 1919 deve diventare il giorno dell’attacco, il giorno
della rivoluzione proletaria in tutta Europa.. Nel 1919 è nata la grande Internazionale
comunista. Nel 1920 nascerà la grande Repubblica sovietica internazionale”.
Utopie e propaganda, menzogne raccontate a sé stessi ed ai
propri sventurati compagni d’avventura. Un’avventura che sarebbe durata oltre
settant’anni incendiando tutti i continenti e seminando ovunque morte e terrore
in nome di un’ideologia che si nutriva quotidianamente di un odio cieco e di
una atavica spinta vendicativa: si tratta dello stesso odio e dello stesso
spirito vendicativo che hanno accompagnato per secoli il giudaismo nei
confronti delle società goyim = non ebraiche, di fronte a tutto ciò che non è
ebraico, a qualunque istituzione difforme da quelle appositamente create dalla
nazione ebrea. Eppure anche se queste parole d’ordine rivoluzionarie e
sovversive trovarono interessate orecchie e ancor più interessati nuclei di
agitatori professionisti , anche questi ebrei come i loro correligionari di
Mosca, tra i vertici dirigenti del neonato KPD tedesco e tra quelli della Lega
di Spartaco era evidente che si trattava di pura propaganda e di un bluff
abilmente giocato da Lenin e dalla sua cricca ebrea al potere per promuovere la
rivoluzione.
Scrive lo stesso Nolte:
“Un osservatore scettico avrebbe ritenuto molto più
verosimile che il 1919 potesse significare la fine della Repubblica sovietica.
Nella Russia meridionale l’armata dei volontari del generale Denikin,
appoggiata dagli alleati e in particolare dal ministro inglese della guerra
Winston Churchill con molto materiale e missioni militari, era avanzata sensibilmente
verso il nord. In Siberia l’ammiraglio Kolcàk aveva rovesciato il governo dei
partiti e le sue truppe, a cui si erano uniti i cecoslovacchi, alla fine di
aprile erano davanti a Samara e non lontano da Simbirsk. Nelle vecchie province
baltiche continuavano a combattere ancora le truppe tedesche e l’esercito dei
Paesi Baltici sia contro i bolscevichi che contro i lettoni e gli estoni
borghesi-nazionalisti. Pietrogrado continuava a essere minacciata. Al nord
truppe alleate si trovavano ancora a Arkhangel’sk e si sforzavano di insediare
un regime russo sotto la guida di un socialrivoluzionario. La regione rossa non
era ancora più grande del granducato di Mosca al tempo di Pietro il Grande e
soffriva terribilmente la fame perché era separata dalle più importanti regioni
dove veniva prodotto il grano e non poteva fornire ai suoi contadini prodotti
industriali, tanto che Lenin fu costretto a inviare squadre di requisizione di
operai dalle città nei villaggi dove esse cercarono di unirsi ai poveri dei
villaggi in una razzia senza pietà contro i kulaki. Una guerra di classe
interna si svolgeva quindi parallelamente alla guerra civile esterna, e questo
era l’elemento caratteristico e senza precedenti poiché nella storia moderna
non era ancora mai accaduto che un capo di governo definisse grandi gruppi
della popolazione con espressioni come “i cani e i porci della borghesia
morente” o “i ragni” e i “parassiti” contro cui doveva essere condotta una
lotta spietata.”
Era iniziata la guerra civile europea.
Una contrapposizione radicale che avrebbe diviso su opposte
barricate e opposti fronti il fior fiore della gioventù europea ed avrebbe
portato allo scatenamento del secondo conflitto mondiale combattuto dal regime
comunista sovietico al fianco delle demoplutocrazie occidentali contro l’Europa
dell’Ordine Nuovo delle Rivoluzioni Nazionali.
Un abbraccio inevitabile quello tra bolscevichi e
plutocrazia: fondamentalmente si trattò della conferma del ruolo di alleato e
complice che il comunismo sovietico dimostrò di svolgere in maniera eccellente
nei confronti delle democrazie del capitalismo occidentale (specialmente Gran
Bretagna e Stati Uniti) con le quali si svilupparono ampi trattati commerciali
con scambi economici ai massimi livelli progressivamente estesi e sviluppatisi
fino al crollo dell’URSS all’inizio degli anni Novanta del secolo.
“I contatti per motivi d’affari sono esistiti anche in
periodi di forte antagonismo ideologico: i capitalisti americani, per
tutto il periodo 1920-30 , si sono recati in Russia per svolgervi attività
commerciali su una base puramente individuale. E i crediti, questa chiave del
commercio estero dell’URSS e costante della sua politica estera, non le sono
mai venuti a mancare, in particolare dalla Germania. Anche nei periodi di scontro
ideologico e militare, diretto o tra paesi satelliti (NATO-Patto di Varsavia,
blocco di Berlino, guerra di Corea, Vietnam, crisi dei missili a Cuba, Angola)
i sovietici hanno sempre continuato ad avere relazioni commerciali e a cercare
crediti” (Charles Levinson – “Vodka-Cola” – Ediz. “Vallecchi” , Firenze
1978).
Ciò sarà possibile perché dietro alla maschera ideologica
l’Unione Sovietica nascondeva la realtà di un capitalismo di Stato burocratico
e collettivista ai massimi livelli.
Un capitalismo peraltro straccione, incapace di far fronte
autonomamente alle richieste di autosufficienza alimentare, di risolvere la
penuria alimentare che per diversi periodi, a ondate, ha contrassegnato la
storia sovietica come evidenzieranno chiaramente le grandi carestie che
colpiranno vaste zone dell’impero rosso nei primi anni Venti e, in maniera
drammatica, agli inizi del decennio successivo.
Un capitalismo di Stato che dipendeva pesantemente anche sul
piano militare dagli aiuti dell’Occidente ai quali ricorse immediatamente
Stalin nell’estate 1941 dopo che la Germania nazionalsocialista aveva lanciato
l’operazione Barbarossa con la quale Hitler si riprometteva di schiacciare
definitivamente la centrale terroristica sovietica.
“Per la Russia in pericolo quindi, i rifornimenti
occidentali dovevano essere celeri, continui e proporzionati al dispendio.
(scrive Piero Sella in “L’Occidente contro l’Europa” – Ediz. de “L’Uomo Libero”
– Milano 1984) In tutte le conferenze alleate il tema centrale fu quello di
aiutare la Russia e di concordare i modi più validi per farlo. Gli americani
erano assai ben disposti e la loro produzione industriale sovrabbondante.
Scrive il generale Deane, capo della missione militare statunitense a Mosca:
“Negli USA c’erano migliaia di rappresentanti sovietici, i quali potevano
visitare le nostre fabbriche, frequentare le nostre scuole e presenziare al
collaudo degli aerei e delle armi…Mettevamo le nostre invenzioni nel campo
elettronico e negli altri campi a disposizione dei russi. .. Non ci siamo mai
lasciati sfuggire un’occasione per dare ai russi aerei, materiali ed
informazioni che a parer nostro potessero essere utili per le loro operazioni
belliche.” (…) Nel settembre ’41 Harriman e Lord Beaverbrook sono a Mosca per
prendere nota delle necessità sovietiche; li accompagna un primo credito di un
miliardo di dollari. Il presidente Roosvelt, in una sua lettera del 7 marzo
1942, stabilisce che le spedizioni alla Russia debbano avere la precedenza
assoluta, non solo nei confronti degli alleati, ma, persino, sulle forze armate
USA. Nel corso del conflitto, si mossero
per la Russia dai porti americani 2.660 navi che portarono a destinazione oltre
venti milioni di tonnellate di armamenti e rifornimenti. Di queste navi solo 77
furono affondate. Notevole fu anche la quantità di rifornimenti che prese il
via dai porti inglesi. Churchill riferisce la spedizione di migliaia di aerei e
di carri armati. (…) Dagli Stati Uniti giunsero ai sovietici 13.303 carri
armati e autoblindo, 8.212 cannoni, 2.328 trattori per artiglieria, 11.000
carri ferroviari, 427.284 automezzi di ogni tipo, in prevalenza autocarri.
Kruscev, a proposito di questi ultimi, dice: “Provate ad immaginare come
avremmo potuto avanzare da Stalingrado a Berlino senza questi mezzi. Le nostre
perdite sarebbero state enormi perché non avremmo avuto possibilità di
manovra.”
La congiuntura bellica aveva favorito la sinergia
sovietico-statunitense che all’indomani della seconda guerra mondiale porterà
al condominio planetario tra le due superpotenze.
Il mondo bipolare da allora e fino alla fine degli anni
Ottanta avrebbe vissuto sotto la dittatura dei due imperialismi contrapposti
eppure complici della spartizione globale a seguito della guerra di aggressione
scatenata dall’Internazionale Ebraica contro l’Europa dell’Ordine Nuovo.
Il periodo compreso tra la metà degli anni Trenta e la metà
degli anni Quaranta sarà dunque gravido di conseguenza nefaste per il Vecchio
Continente e provocherà inevitabili terremoti nelle relazioni internazionali
che ridisegneranno la carta geopolitica del potere mondiale con particolari
conseguenze soprattutto per l’Europa divisa ed occupata da eserciti stranieri
ed annessa quale sorta di colonia alle mire strategiche di Stati Uniti e URSS.
Questa fase coincide, all’interno dell’Unione Sovietica, con
la riorganizzazione in senso nazionalista della nomenklatura raccoltasi, dopo
la morte di Lenin (1924), attorno al nuovo dittatore del Cremlino, il georgiano
Joseph Stalin.
“La campagna di eliminazione della “opposizione di
sinistra” in URSS raggiunge la sua massima intensità negli anni 1936-38.
(scrive Maurizio Lattanzio in “Stalinismo ed Ebraismo” – Ediz. “Barbarossa” –
Saluzzo, 1986) Questa “purga” non deve però essere attribuita al presunto antigiudaismo
di Stalin, cioè all’avversione spirituale ed etica nei confronti dell’essenza
profonda e dei tratti qualificanti che caratterizzano la natura ebraica, né
alla sua volontà di spezzare i legami che uniscono i trotskisti alla
plutocrazia occidentale. Essa va invece ricollegata all’esigenza di sopprimere
una tendenza politico-ideologica che, avendo elaborato una diversa
interpretazione del pensiero marxiano, ne aveva dedotto moduli di gestione del
potere sovietico opposti a quelli staliniani, qualificandosi quindi come
fazione rivale di Stalin all’interno del partito comunista. Stalin, benché
ebreo, comprende che le garanzie di sopravvivenza del marxismo sono
inscindibilmente legate alla realizzazione del “socialismo in un solo paese”,
cioè alla nascita di una forma di nazionalcomunismo radicato nelle profonde
correnti storiche del panslavismo, nel quadro di una concezione autoritaria,
burocratica e centralizzatrice dello Stato. (…) Stalin, alias Joseph
Vissarionovitch Djugashvili, è un ebreo circondato da ebrei. Il nome di Stalin,
Djugashvili, significa in georgiano “figlio di israelita”; “chvili”= figlio e
“Djuga”= israelita. La famiglia Djugashvili, di religione cristiano-ortodossa,
discende dal Caucaso, convertita all’inizio del XIX secolo. La moglie di
Stalin, Raissa Kaganovitch, è un’ebrea il cui padre, Lazarus, è vice-segretario
del partito comunista, Commissario del popolo per l’industria pesante e membro
dell’Ufficio Politico. Quanto ai cognati di Stalin, Michael Kaganovitch è
Commissario del popolo per l’industria bellica e membro del Comitato centrale
del partito, Aaron è amministratore per gli approvvigionamenti di Kiev, Sergio
è dirigente dell’industria tessile e Boris di quella dei rifornimenti per
l’esercito. Inoltre la moglie di Molotov, numero due del Cremlino, l’ebrea
Scemciuchina Karp, permetterà alla Russia staliniana di continuare a coltivare
– nonostante l’eliminazione dei “quadri” trotskisti – ottimi rapporti con i
plutocrati della famiglia Karp. “Le grandi fornitura americane all’URSS –
scrive Giovanni Preziosi – nel 1928, forniture di navi, armi, macchine utensili
ecc. passarono tutte attraverso le mani della famiglia Karp. La Scemciuchina
Molotov-Karp è rimasta sempre in ottimi rapporti con i finanzieri ebrei di New
York: Jacob Schiff, Warburg e Kahan, le cui strette relazioni con l’ebreo
Maiski, ambasciatore sovietico a Londra, sono state parecchie volte rilevate
dalla stampa.”
E difatti non crediamo affatto alle ricostruzioni, anche
quelle su pretese basi ‘storiche’, che vorrebbero identificare l’ultima fase
dello stalinismo con l’affermazione di una presunta politica “antisemitica”
diretta allo “sterminio” dell’intellighenzia ebraica sovietica.
Stalin non aderirà mai a posizioni antigiudaiche organiche
né l’eliminazione dei trotzkisti prima e neppure la cosiddetta cospirazione dei
medici “scoperto” nel gennaio 1953 assumeranno i tratti di una posizione
stalinista riconducibile all’antigiudaismo.
Le misure repressive assunte dal massimo dirigente del
Cremlino rispondono invece a semplici valutazioni contingenti della politica
sovietica relative al soddisfacimento di equilibri di potere
geopolitico-strategici su scala internazionale che determineranno la posizione
anti-sionista, non antigiudaica, di Stalin.
“Ciò è dimostrato – scrive Maurizio Lattanzio – dal
fatto che, nel corso dell’esperienza staliniana, fino al 1949, gli esponenti
ebrei installati al potere nell’Europa orientale dai carri armati dell’Armata
Rossa, non saranno nemmeno sfiorati da qualsivoglia forma di persecuzione o di
atteggiamento persecutorio. In Cecoslovacchia i primi arresti dei capi sionisti
risalgono proprio al 1949, mentre il processo Slansky sarà tenuto nel 1952. La
Cecoslovacchia sarà inoltre il canale privilegiato attraverso il quale
fluiranno – nel 1948 – gli aiuti sovietici all’ebraismo che, dopo aver occupato
la Palestina, si avvierà a consolidare in Medio Oriente la sua base operativa
da cui sprigionare una sanguinaria prassi di aggressione e genocidio nei
confronti del popolo palestinese. (…) In Romania Ana Pauker Robinson è
destituita nel 1952, anno in cui, tra l’altro, la “Jewish Chronicle” del 22
febbraio può ancora scrivere che “…gli ebrei romeni contribuiscono ora in ogni
ramo dell’industria statale, commercio, agricoltura, educazione esercito. Gli
ebrei in campo economico continuano a progredire sempre maggiormente (…) Anche
in Ungheria, secondo il dott. Bela Fabian, ex membro del parlamento ungherese,
“la campagna antisionista (in Ungheria) comincia nel 1949” (dichiarazione
dell’ufficio informazioni ucraino del marzo 1951). Le vittime di questa
campagna, uccisi o epurati, sono Zoltan Vas, ministro della pianificazione,
Gyula Decsi, ministro della giustizia, Timarand, assistente alla segreteria di
Stato, Peter Habor, capo della polizia segreta, Csapa, capo del dipartimento
economico della polizia segreta, J. Szebersky, capo sezione internazionale del
ministero delle finanze, Istvan Szirmay, direttore del sistema radioattiva. (…)
In Germania orientale la “purga” antisionista prende avvio alla fine del 1952,
e precisamente il 30 dicembre, giorno in cui si diffonde la notizia che il
governo di Pankow sta eliminando il suo ufficio informazioni, a capo del quale
è l’ebreo Gerhard Eisler, mentre al dipartimento stampa è l’ebreo Albert
Norden. (…) Perché in Polonia si manifestino i segnali di una riscossa
antisionista bisogna attendere addirittura la fine del 1953. Infatti, tra i
satelliti dell’URSS, probabilmente la Polonia rappresenta il paese più
massicciamente e sistematicamente egemonizzato e ‘colonizzato’ dall’elemento
ebraico. (…)
L’antisionismo sovietico è dunque solo la risposta
sovietica alla politica israeliana di allineamento con gli USA. Sono misure di
carattere reattivo, le quali non derivano omogeneamente dalla radicale ripulsa
nei confronti dell’universo spirituale e religioso, culturale ed etico che
definisce i profili ontologici dell’ebraismo.”
Stalin non potrà assumere posizioni antiebraiche perché
nelle sue vene scorreva sangue giudeo – ed il richiamo del ‘sangue’, quindi
della razza, sarà sempre predominante nell’elemento ebraico - oltre ai rapporti
matrimoniali con femmine di eletta ascendenza e ad una pluritrentennale
solidarietà di ‘razza’ nei confronti degli elementi ebrei che dal 1919 al 1949
lo affiancheranno o coadiuveranno nell’esercizio del potere diventato, a
partire dalla seconda metà degli anni Venti, assoluto e totalitario.
Tra gli ebrei che otterranno posizioni rilevanti di potere
all’ombra del dittatore sovietico ne troviamo infatti parecchi che manterranno
o aumenteranno le loro posizioni all’interno della nomenclatura anche dopo
l’inizio della politica anti-sionista (1949) e fino ed oltre la scomparsa del
dittatore sovietico (1953).
Tra costoro figurano:
a) Laurenti Pavlovich Beria, potente capo
della polizia segreta nel 1938, poi membro del Politburo nel 1946 e infine
presidente del Consiglio dei Ministri e Ministro dell’Interno nel 1953 prima
della sua destituzione;
b) Lev Z. Mekhlis, già capo del
dipartimento politico dell’Armata Rossa. Ministro delle dogane ed editore della
‘Pravda’, membro del Comitato Centrale del partito fino alla sua morte nel
1953;
c) Solomon Lozovski, Direttore del servizio
informazioni durante la seconda guerra mondiale diventerà ministro degli Esteri
nel 1951;
d) A.M. Jacobson, membro del Presidium del
Soviet Supremo nel 1951;
e) Eugene Varga (alias Weissfeld) ,
consigliere economico di Stalin. Sarà l’inviato del Cremlino per l’Ungheria dal
1952;
f) Ilya Ehremburg, capo della propaganda
sovietica e vice-presidente del Consiglio della pace mondiale, organismo
promosso dal Cremlino;
g) Anatoli Josifovich Lavrentiev (alias
Lipmann), Ministro degli Esteri dal 1949 al 1951. Successivamente ha capitanato
le missioni diplomatiche sovietiche in Iugoslavia, Bulgaria e Cecoslovacchia
(1951), in Romania (1952) e in Persia (1953);
h) P.A, Judin, Ministro delle costruzioni
dell’industria pesante (1951);
i) I.A. Levine, vice-ministro dei lavori
pubblici nel 1950; l) A.M. Kirchestein, Presidente del Presidium
nel 1951;
m) Paval Judin, editore del giornale del
Cominform nel 1951 successivamente viene nominato membro del Comitato Centrale
(1952) quindi inviato del Cremlino in Bulgaria e Germania Orientale (1953);
n) Maxim Litvinov (alias Wallach), diplomatico
sovietico;
o) Peter Levitsky, capo del Consiglio delle
nazionalità (1951);
p) Semyon Yakovlevich Fomin, Ministro
dell’industria macchine da costruzione (1951);
q) Ivan Isidorevich Nossenko, vice-ministro
dei trasporti navali (1951), nominato ministro dei trasporti ed industria
pesante nell’estate 1953;
r) N. Yakovliev, capo del dipartimento
scolastico del Comitato Centrale del partito nel 1952; s) Mark Spivak,
Ministro dell’agricoltura ucraina nel 1954;
t) Georgi F. Alexandrov, Ministro della
Cultura nel 1954.
Il “Jewish Chronicle” esultante in data 6 aprile 1951 poteva
scrivere affermando che “molti ebrei russi hanno meritato il premio Stalin”.
In modo analogo David Zaslanvsky, editore ebreo della
‘Pravda’ , poteva rassicurare la stampa canadese e statunitense affermando che
“gli Ebrei in Russia possono svilupparsi economicamente e culturalmente secondo
la loro scelta e desiderio” ( dal “Daily People’s World”, Los Angeles , USA, 29
Ottobre 1951).
Rueben Falber sulla gazzetta ebraica “Jewish Clarion” poteva
scrivere nel febbraio 1952: “E’ assurdo affermare che gli ebrei nell’URSS sono
stati imbavagliati per il fatto che coloro che vivono a Mosca non trovino alcun
giornale yiddish e non hanno alcun teatro yiddish.
Gli Ebrei, alla pari di tutti i cittadini sovietici, hanno
larga possibilità di esprimersi e di servirsi di ogni tipo di giornale della
repubblica dove risiedono. In quelle zone dove ci sono forti gruppi di ebrei
che parlano yiddish, come Minsk o Birobidjian, ci sono teatri yiddish”.
Ricordiamo qui brevemente, in rapida sequenza, alcuni tra i
principali esponenti della nomenclatura sovietica di eletta ascendenza alcuni
già citati altri successivi alla destalinizzazione avviata da Nikita Kruscev
nel 1956:
Yuri Andropov (1914-1984): dirigente, Capo del KGB
sovietico, più tardi dittatore supremo dell’Unione Sovietica.
Jacob Sverdlov: primo Presidente dell’Unione
Sovietica. Sverdlov ordinò il massacro della famiglia dello Zar – donne e
bambini compresi – nella città di Ekaterinburg (chiamata così dopo la morte di
Caterina la Grande). Nel 1924, tale città cambiò il nome, assumendo quello di
Sverdlovsk in onore del feroce assassino.
Jacob Yurovsky: comandante della Polizia Segreta
sovietica. Yurovsky comandò la squadra della morte che eseguì l’ordine di
Sverdlov di sterminare la famiglia dello Zar, incluso il colpire con la
baionetta a morte le sue figlie. La casa degli lpatyev, nella cui cantina
avvenne il massacro, rimase intatta fino al 1977, quando il capo del Partito
Comunista locale, Boris Eltsin, ordinò che fosse demolita, affinché non
divenisse un sacrario del sentimento antiebraico.
Lazar Moiseyevich Kaganovic : principale massacratore
di Stalin, ordinò lo sterminio di milioni di persone e la distruzione di
tantissimi monumenti cristiani e chiese, inclusa la grande Cattedrale di Cristo
Redentore. Stando in piedi nella breccia di questo luogo sacro, Kaganovich
proclamò: “La Madre Russia è caduta. Noi le abbiamo strappato i suoi lembi..”.
Mikhail Kaganovich: deputato, Commissario
dell’industria pesante, supervisore al lavoro degli schiavi, fratello di Lazar
Moiseyevich.
Rosa Kaganovich: amante di Stalin; sorella di Lazar e
Mikhail.
Paulina Zhemchuzina: membro del Comitato Centrale del
Partito Comunista e moglie del Ministro degli Esteri sovietico Míchajlovic
Molotov.
Olga Bronstein: ufficiale della CEKA, la Polizia
Segreta sovietica, sorella di Trotsky e moglie di Kamenev.
Genrikh Yagoda: Capo della Polizia Segreta sovietica,
straordinario assassino di massa.
Romain Rolland: poeta e vincitore del Premio Nobel,
scrisse un inno di encomio a Yagoda.
Matvei Berman e Naftaly Frenkel: fondatori del
sistema dei campi di morte detti Gulag.
Lev Inzhir: Commissario per il trasferimento nei
campi di sterminio sovietici e responsabile dell’amministrazione degli stessi.
Boris Berman:
ufficiale esecutivo della Polizia Segreta sovietica e fratello di Matvei. K.
V Pauker: Capo delle operazioni, nonché membro importante della NKVD, la
Polizia Segreta sovietica.
Firin, Rappoport, Kogan e Zhuk: Commissari nei campi
della morte e per il lavoro degli schiavi; essi diressero l’uccisione in massa
dei lavoratori durante la costruzione dei Canale Mar Bianco-Mar Baltico.
M. I. Gay: Comandante della Polizia Segreta
sovietica.
Slutsky e Shpiegelglas: anch’essi Comandanti della
Polizia Segreta sovietica.
Isaac Babel: importante ufficiale della Polizia
Segreta sovietica.
Leiba Lazarevich Feldbin (Aleksandr Orlov):
Comandante dell’Armata Rossa e ufficiale della Polizia Segreta. Feldbin ricoprì
inoltre la carica di Capo della Sicurezza durante la Guerra Civile spagnola.
Diresse il massacro dei sacerdoti cattolici e dei contadini spagnoli.
Yona Yakir: Generale dell’Armata Rossa e membro del
Comitato Centrale del Partito Comunista.
Dimitri Shmidt: Generale dell’Armata Rossa.
Yakov (“Yankel”) Kreiser: Generale dell’Armata Rossa.
Miron Vovsi: Generale dell’Armata Rossa.
David Dragunsky: Generale dell’Armata Rossa ed
“eroe”dell’Unione Sovietica.
Grigori Shtern: Generale dell’Armata Rossa.
Mikhail Chazkelevich: Generale dell’Armata Rossa.
Shimon Kirvoshein: Generale dell’Armata Rossa.
Arseni Raskin: Vicecomandante dell’Armata Rossa.
Haim Fomin: Comandante di Brest-Litovsk, dell’Armata
Rossa.
Almeno cento Generali sovietici erano ebrei .
Molti Generali che non erano ebbero però spesso mogli ebree.
Fra questi il Maresciallo Clem Efremovic Voroshilov
(1881-1969),
il Maresciallo Nicolaj Aleksandro Bulganin (1875-1975),
il Maresciallo Peresypkin e
il Generale Pavel Sudoplatov.
La moglie ebrea come «polizza di assicurazione» si estese a
membri del Politburo come Andrei Andreyev e Leonid Brezhnev (1906- 1982).
Sergei Eisenstein: Direttore della propaganda
comunista. Egli girò un film che dipinse i contadini cristiani (i cosiddetti
«kulaki») come orrendi parassiti a caccia dì denaro. I «kulaki, furono quindi
massacrati .
Julius Rosenwald:
fondatore del «K.O.M.Z.E.T.», la Commissione per la sistemazione degli ebrei
comunisti sulla terra rapinata ai cristiani assassinati in Ucraina.
Rosenwald era un finanziere ebreo-americano.
Uya Erenburg (1891-1967): Ministro della Propaganda
sovietica disseminatore di materiale d’odio antitedesco fin dagli anni ’30.
Erenburg istigò gli stupri dell’Armata Rossa e l’assassinio in massa dei civili
tedeschi. Riferendosi alle donne tedesche, Erenburg esultò per l’avanzata delle
truppe dell’Armata Rossa e disse: “Quelle
streghe bionde sono nei guai”. Erenburg scrisse. fra l’altro, in un
volantino indirizzato alle truppe sovietiche:”[...] i tedeschi non sono esseri umani[...]. Niente ci dà tanta gioia come i cadaveri tedeschi”. Goldberg
afferma che Erenburg, “[..] provò sempre
antipatia per i tedeschi[..]. Ora che c’era una guerra contro di loro mise
in atto il suo vecchio pregiudizio”.
Un’altra pubblicazione distribuita all’Armata Rossa, quando
i soldati si avvicinavano a Danzica, fu così descritta da uno storico: «Furono
lasciati cadere dagli aerei sulle truppe milioni di volantini contenenti un
discorso propagandistico composto da IIya Erenburge firmato da Stalin: “Soldati dell’Armata Rossa! Uccidete i
tedeschi! Uccidete tutti i tedeschi! Uccidete!
Uccidete! Uccidete!”
Il comando sovietico ammise che Erenburg perseguiva lo
sterminio di tutto il popolo tedesco.
Erenburg vinse
inoltre l’Ordine di Lenin e il Premio Stalin,e volle che i suoi scritti fossero
conservati al Museo israeliano dell’Olocausto Yad Vashem.
Appaiono quindi inesistenti i presunti ‘contrasti’ tra
sovietismo e giudaismo.
Infine sottolineiamo la particolare ‘predisposizione’
ontologico-razziale dell’anima slava alla ‘recezione’ dell’ideologia marxista.
Scrive in proposito Pino Rauti:
“In realtà il marxismo ha trovato nell’Europa orientale,
ha trovato nella razza slava, il terreno fertile per quella che definiremmo la
sua “trasmutazione politica”: arsa al fuoco di una realtà prevista, essa si è
“condensata” ad oriente nell’aggressività di genti che anelavano da tempo ad un
nuovo tentativo espansionista” (Pino Rauti – “Le idee che mossero il mondo”
– Edizioni “Europa” – Roma 1980).
Una delle più spietate critiche al modello di Stato
sovietico ed alla sua evoluzione storica, ed una testimonianza autorevolissima
proveniente da un ex comunista che aveva preso contatti diretti con gli
ambienti sovietici nei primi anni venti, immediatamente dopo la rivoluzione,
inneggiando ai soviet, sarà quella tracciata sulle pagine della sua rivista,
“La Verità”, da Nicola Bombacci.
Bombacci, già fondatore del Partito Comunista d’Italia nel
congresso scissionista dell’ala massimalista del socialismo italiano svoltosi a
Livorno nel gennaio 1921, era stato per tutti gli anni Venti il principale
responsabile della politica commerciale del suo partito in direzione di Mosca.
Certamente fu tra i comunisti italiani uno dei maggiori conoscitori della
realtà sovietica. Aveva fatto parte della delegazione italiana che si era
incontrata con i sovietici nel marzo 1920.
Nella sua veste di parlamentare del PSI, prima della
scissione di Livorno, aveva inoltre presentato nel dicembre 1919 un progetto
per la costituzione in Italia dei soviet dei lavoratori.
Per questi e altri motivi l’articolo che pubblicherà sulla
sua rivista sarà una attenta disamina di venti anni di potere bolscevico nella
Russia dove verrà messa in luce la sinergia esistente tra URSS e democrazie
occidentali sottolineando come solo attraverso l’appoggio finanziario ed
economico dell’alta banca plutocratica d’Occidente (particolarmente degli
istituti di credito anglo-franco-statunitensi) lo stato sovietico poteva ancora
reggersi in piedi:
“Quando i rivoluzionari disinteressati, gli idealisti, le
nazioni proletarie si sono illuse di poter salutare nel colpo di stato di Lenin
l’alba di un giorno più giusto ed umano per tutti i condannati alla dura fatica
del lavoro, chi ha gridato al crucifige, chi ha innalzato il filo spinato, chi
ha mandato in aiuto di Denikin, di Wrangel e di Kolciak , soldati, armi e
rifornimenti? Le grandi nazioni democratiche: Francia e Inghilterra. Perché,
ora che questa illusione è caduta, che le anime oneste di ogni fede e di ogni
principio politico non vedono nel caos dell’URSS che un centro di rapina, di
sangue e di disordine nazionale ed internazionale, queste stesse nazioni
democratiche hanno capovolto la loro politica e si sono rese le vere
responsabili morali e materiali del perpetuarsi del terrore bolscevico? La
ragione è una sola, fredda, volgare, ma reale: l’interesse, il denaro,
l’affare. (…) La Francia, l’Inghilterra, l’America capitalista, quando hanno
vista spenta, per confessione dello stesso Lenin, nel 1923-24, la possibilità
di un esperimento comunista, per il mancato estendersi della rivoluzione
bolscevica nei paesi occidentali, hanno abbandonato al loro destino le armate
dei generali zaristi aiutate perché dovevano soprattutto proteggere i loro
pozzi di petrolio, hanno tolto il filo spinato, e si sono gettate a corpo morto
nell’affare. E’ così che sono sorti i piani quinquennali, gli stabilimenti
colossali, l’industrializzazione del suolo e del sottosuolo. (…) Noi
proclamiamo con onesta coscienza che la Russia staliniana bolscevica è divenuta
una colonia del capitalismo massonico-ebraico internazionale…” (Nicola
Bombacci – articolo “Il ventennale della rivoluzione russa e il patto
antibolscevico di Roma (Rilievi e contraddizioni)” da “La Verità”, Anno II, Nr.
5, Novembre 1937 cit. in Guglielmo Salotti – “Nicola Bombacci da Mosca a Salò”
- Ediz. “Bonacci” – Roma, 1986).
Benito Mussolini, duce del Fascismo italiano, aveva messo
già in guardia sulla deriva borghese e capitalistica del movimento bolscevico riconoscendo
nell’esperimento sovietico nient’altro che la costituzione di un
super-capitalismo di Stato in quanto, per Marx, lo Stato rappresentava “il
comitato d’affari della borghesia” e pertanto era possibile constatare come “Per
uno di quei paradossi che sono abbastanza frequenti nella storia, la
rivoluzione russa si è risolta nell’impreveduta e imprevedibile apoteosi del
capitalismo che è diventato un capitalismo di Stato. Lo Stato socialista è,
infatti, uno Stato capitalista all’ennesima potenza” (Benito Mussolini –
“Contro il bolscevismo” – citazione del 22 giugno 1928; da “Mussolini contro il
mito di demos” – Ediz. “Sentinella d’Italia” – Monfalcone 1983).
Da qualunque parte lo si voglia guardare il rapporto di
filiazione ideologica, politica, economica, sociale, filosofica, culturale del
marxismo dalle ideologie illuministico-massoniche della Rivoluzione madre
borghese degli Immortali Principii appare nitidissimo.
Nato dall’alveolo borghese, figlio degenere di cotanta
immondizia ideologica fondata sugli immortali principii dell’89, il bolscevismo
– con tutta la sua carica rivoluzionaria incendiaria che scatenerà i sentimenti
dell’invidia sociale, dell’odio di classe e quelli della violenza politica
pianificata e sistematica – non poteva che ritornare nell’alveolo borghese che
lo aveva concepito e finire, come giustamente accadrà, sconfitto dal libero
mercato, dai fast food e dal coca-colonialismo occidentale statunitense
crollando miseramente dopo 74 anni di misfatti indicibili e terminando infine
nel dimenticatoio della storia mondiale. Un fallimento, un grande inganno, una
menzogna colossale, una aberrazione politica, un’utopia sociale questo e mille
altre cose ancora fu il comunismo. Soprattutto esso rappresentò una sezione del
piano di dominio planetario dell’Internazionale Ebraica.
Riportiamo per completezza anche la postilla apposta
dallo stesso Preziosi alla fine dell’articolo in questione:
“Va bene per Marx ebreo che si chiamava Mordechai, ma e
Lassalle come si chiamava? Il cognome autentico di Lassalle era Talmi; la
famiglia dal villaggio di Loslau (Slesia), donde proveniva, si chiamava
“Loslauer”, come i nostri ebrei si chiamano, ad esempio, Veneziano ecc.; in
dialetto i Talmi si chiamavano Losl oppure Lasl. Il padre del rivoluzionario
divenuto ricco negoziante di seta, per snobismo ebraico, cambiò il Lasl in
Lassalle…Sono note le avventure galanti del Ferdinando Lassalle che morì in
duello per una di tali avventure.”
Fonte: visto su
Django del 15 aprile 2013-10-19
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