di GIANLUCA MARCHI
Ho fatto un sogno. Io, che non sono mai stato
berlusconiano e che sono uscito dalla direzione de la Padania con 14 cause
per diffamazione intentate dal Cavaliere e dal suo gruppo, stanotte mi sono
risvegliato di colpo come in preda a un incubo: applaudivo Silvio Belrusconi
e gridavo estasiato il suo nome. O mio dio che m’è successo? mi son chiesto in
preda al panico… Così son riuscito a ricostruire quel che avevo oniricamente
immaginato.
Stretto fra la decadenza da senatore, l’interdizione
dai pubblici uffici, gli altri processi pendenti con il rischio di incocciare
in qualche magistrato che se ne impippa dei suoi 77 anni e decide di sbatterlo
per qualche giorno nelle patrie galere, assediato dai falchi che l’hanno
convinto a mandare in crisi il governo Letta, deluso dalle colombe che hanno
cercato di scongiurare il precipizio e ora si stanno dirigendo verso un nuovo gruppo
che potrebbe sostenere un Letta 2, il Cavalier Silvio Berlusconi, classe di
ferro 1936, milanese di nascita e di formazione (nonostante l’ultimo
“tradimento” che l’ha portato a prendere la residenza a Roma) decide di rompere
gli indugi e ribaltare il tavolo.
“Basta – urla nel mio sogno – non gioco più a questa Italia
traditrice e ingrata: essa non mi merita”. Che abbia deciso di ritirarsi alle
Barbados o in un altro luogo dei Caraibi per miliardari attempati in fuga dalla
solita vita e dai problemi giudiziari? No, il Cav non è uno che si arrende: mai
mulà! E dunque? Decide così di ritornare definiticamente a Villa San Martino e
proclamare la Repubblica di Arcore.
Mobilitati tutti i suoi uomini sul territorio, e
allertati anche i leghisti di complemento, il Cavaliere si proclama
presidente della Repubblica di Arcore, comprendente tutti i territori a Sud
delle Alpi e a Nord del Po. Ragiona poi il grande statista: cosa voglia fare il
Sud Tirolo, lasciamolo decidere a loro, tanto quella scatenata della Eva
Klotz ha già in corso il referendum consultivo a cui attribuire valore
legale; la Liguria è un po’ troppo rossa per i miei gusti, ma la annacqueremo
con pensionati milanesi e torinesi da sempre miei fedeli sostenitori; l’Emilia
e la Romagna le lasciamo per il momento all’Italia e potranno unirsi a noi dopo
una radicale disinfestazione dai comunisti; resta il Veneto coi suoi bollori
indipendentisti, ma con un’opera coordinata dal trio Zaia-Galan-Tosi li
convinceremo che da soli non vanno da nessuna parte; infine l’adorata Sardegna:
bisognerà trattare con loro un’autonomia specialissima, purché non mi rompano
più le palle coi vincoli su Villa Certosa. Il resto dell’Italia vada a
prenderselo in quel posto…
Lo so, si tratta solo di un sogno… Ma se Silvio Berlusconi
volesse veramente passare alla storia, e togliersi da dosso tutti i fastidi
giudiziari che lo inseguono, con un colpo d’ala potrebbe fare qualcosa di
veramente rivoluzionario: non sostiene forse che lo spread e la stabilità sono
una pura invenzione? Ebbene, anche l’Italia è un’invenzione, pure venuta assai
male. Quindi potrebbe porre fine a questo pasticciaccio brutto e si
ritroverebbe osannato e venerato da milioni di persone che fino a oggi non
l’hanno mai amato, per non dire odiato. Caro Silvio, dove pensa di andare con
le pitonesse e i poeti mai decollati?
Ci pensi, Cavaliere… poi, però, dopo un paio di annetti,
dovrà godersi la meritata pensione! Mica vorrà fare il dittatore, che
quelli finiscono appesi a testa in giù?
Fonte: visto su L’Indipendenza del 6 ottobre 2013
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