Vent’anni di giravolte per cercare sempre un nuovo nome. Il
federalismo, la secessione, la devolution, il federalismo fiscale. La nuova
vecchia Lega di Maroni, ora, sventola lo slogan della macroregione europeo, in
cui i lombardi dovrebbero sedere al tavolo coi bavaresi. Ecco l’ultima “svolta”
del gattopardismo padano.
Dopo il federalismo, la secessione, la devolution e ancora
il federalismo (questa volta fiscale), tutte battaglie tentate ma perse, la
parolina magica della nuova vecchia Lega di Roberto Maroni, tornata tra le
braccia di Silvio Berlusconi, è diventata “EuroRegione”. Il chiodo a cui
appendere alleanze scabrose per la base, la giustificazione buona per digerire qualsiasi
compromesso pur di conquistare il Pirellone e fare filotto in Padania:
Piemonte, Veneto e Lombardia tutte in mano al Carroccio. Padroni in casa
propria, il sogno di una vita. “Ci alleeremmo anche con il diavolo pur di
ottenere il posto di Formigoni”, si giustifica un pezzo grosso padano,
schivando le proteste dei militanti.
La scorsa estate l’Ft e il Wall Street
Journal hanno parlato di un’Italia divisa in due, rilanciando la divisione tra
un nord agganciato all’Europa carolingia (comprendente il cilindrone che va
dalla Padania fino alla Toscana) e un sud formato Grecia. Una pericolosa
miniatura del dualismo che sta spappolando eurolandia. Due anni prima era stato
l’Economist a parlare di inevitabile separazione, chiamando il Meridione poco
elegantemente “bordello”. “Forse che il mondo finanziario inglese e americano è
diventato leghista? O più semplicemente sta prendendo atto di una situazione
che da noi non è politicamente corretto descrivere…?”, si è chiesto pensoso,
Gilberto Oneto, intellettuale leghista eretico, sulle pagine di Libero.
In fondo la storia del Carroccio oscilla tra il
vagheggiare l’Europa in chiave anti italiana, approdo mitico per una Padania
sgobbona e produttiva nata contro “Roma ladrona” e lavativa, e il combattere la
Bruxelles dei tecnocrati, anti democratica, giacobina e plutocratica. Bossi
parlava spesso di “Unione Sovietica europea” nei suoi comizi. Nel 2005 la
definì addirittura Forcolandia: la Commissione stava studiando l’istituzione di
una Super Procura giudiziaria e lui, sornione: “Non sarò certo io a consegnare
un operaio della Bovisa o un cittadino di Arcore a una Forcolandia ex
comunista…
Ma è solo con l’elezione a segretario di Maroni che
la dimensione macroregionale acquista una sua centralità nella propaganda
leghista. Sostiene l’ex delfino: “noi non siamo una forza anti europea ma neo
europea”, che pesca nel pensiero autonomista dei Gianfranco Miglio e nel
federalismo integrale di un Guy Héraud e di un Denis de Rougemont, che
guardarono con attenzione ai primi passi della Lega e alla sua idea di Europa
dei popoli. “La più autentica vocazione dell’Europa - scriveva Rougemont ―
consiste nell’unire i suoi popoli secondo la loro vera indole, che è quella
della diversità”.
Su questo fondale si muove tutta la strategia
maroniana di questi mesi, l’EuroRegione del nord (Lombardia, Piemonte, Friuli e
Veneto) come paravento per trattenere il 75% delle tasse dei cittadini sul
territorio. Surrogato di una secessione impossibile. “Se fossimo
autosufficienti e potessimo trattenere le risorse finanziarie – va dicendo ai
suoi il segretario - risolveremmo tutti i problemi dei pagamenti. Gli
investimenti, il taglio dell’Irap e il sostegno alle nostre imprese. L’Europa
già le riconosce: la macroregione è il modello che vogliamo sviluppare nei
prossimi tempi”.
Quando parlano di Euro Regione, la nuova eldorado, i
leghisti intendono la cosiddetta macroregione Alpina varata la scorsa estate a
Bad Ragaz, Svizzera interna, tra territori appartenenti a Italia, Svizzera,
Austria, Germania e Francia. Una grande area tra le più ricche ed
industrializzate del pianeta, dove vivono 70 milioni di cittadini e sono
insediate le principali realtà industriali del vecchio continente. Stiamo
parlando di regioni che vanno dalla cosiddetta Padania leghista alla Baviera,
passando per Carinzia, Provenza e Rhone-Alpes. Chiaro l’intento: avviare
politiche comuni e collaborazioni sovranazionali su temi di area vasta come
energia e ambiente, mobilità e trasporti, mercato del lavoro e competitività
delle imprese per orientare la programmazione 2014-2020 dell’Unione europea. Il
principio ispiratore è quello dei Gect, i gruppi europei di cooperazione
territoriale, che dal 2006 possiedono personalità giuridica direttamente applicabile
in tutti i 27 stati membri. Bruxelles infatti stanzia parecchi miliardi di euro
per quei territori capaci di presentare progetti transfrontalieri.
I governatori verdi Luca Zaia e Roberto Cota ne sono
entusiasti. Roberto Maroni e Andrea Gibelli, fino ad un mese fa vice Formigoni
al Pirellone, ne stanno facendo una bandiera. La nuova frontiera
dell’autonomismo padano. Alla firma in Svizzera non è voluto mancare nemmeno
Umberto Bossi, che ha salutato l’accordo come uno dei più grandi risultati nel
cammino verso la formazione della tanto agognata Europa dei popoli. Quasi a
suggellare la presa che il vecchio Senatur, fresco neo candidato in Parlamento,
continua ad esercitare sulla sua creatura passata di mano al delfino di una
vita.
Al summit di Bad Ragaz è seguito a settembre quello
di Poschiavo (sempre in Svizzera) e a ottobre quello di Innsbruk. Prossima
tappa: Milano. La data è ancora da fissare ma i leghisti sperano di ospitare
tutti al Pirellone espugnato. Ad ogni incontro ci sono commissioni e gruppi di
lavoro dedicati alla governance e alle strategie della macroregione sul modello
di realtà già esistenti come l’Euroregio Germania occidentale-Olanda;
l’eurometropole Lille-Kortrijk-Tournai o la comunità di lavoro Norte
(Portogallo)- Galizia (Spagna).
“Più la crisi erode quote di sovranità nazionale, più
nuove entità territoriali come le Euroregioni faranno da contraltare all’Ue,
imponendo regole per uno sviluppo basato sulla centralità di cittadini e
imprese”, spiega il politologo d’area Stefano Bruno Galli. “La territorialità,
unico elemento non intaccato, anzi consolidato dalla globalizzazione, s’impone
così come nuovo soggetto della politica, come unità omogenea e organica dal
punto di vista economico e produttivo. È questa la nuova Europa su base macroregionale
di cui la Padania è uno dei motori, come ha rilevato anche il Financial
Times”.
Se prima la Lega separava identità e spazio socio economico, adesso la
prospettiva neo europeista unifica i due aspetti. Europa dei popoli e delle
imprese alleate contro l’Europa dei tecnocrati e della finanza di cui Mario
Monti è l’emissario italiano. Ecco la traduzione spicciola che ne fanno i
leghisti nostrani alla vigilia del voto.
“Non c’è dubbio che gli Stati nazionali siano in
dissoluzione in tutto il mondo. Sarà probabilmente una Europa delle Grandi
Regioni a scontare la dissoluzione degli Stati”, spiega un attento osservatore
come Piero Bassetti, primo presidente della Regione Lombardia e autonomista
convinto. Ma resta un malinteso di fondo. Prima Bossi e adesso Maroni si
servono del territorio per dividere. “La Lega in questo modo non interpreta la
questione settentrionale. Ne fa solo una questione di introversione, di difesa
dagli immigrati e di revanchismo anti tecnocratico e anti romano, declinando la
questione locale in termini di localismo.” Altro è lo spirito di regioni come
la Baviera o il Rhone-Alpes che partecipano al progetto macroregionale con
approccio glocal, cioè locale ma nella globalità”. Valorizzando i legami
transfrontalieri per sviluppare al meglio progetti comuni, non antagonisti con
i rispettivi stati centrali o nella logica strumentale del “padroni a casa
nostra” leghista. Sempre più un paravento per rilanciare ossessioni infrante
come la mitica secessione (o almeno il federalismo), e per coprire nuovi e
vecchi gattopardismi…
Fonte: Visto su LINKIETSA del 9 gennaio 2013
Link: http://www.linkiesta.it/macroregione-euroregione-secessione-federalismo-lega-nord#ixzz2iSCPJjz8
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