martedì 8 ottobre 2013

APPELLO INDIPENDENTISTA A SALVARCI DAL TITANIC-ITALIA




di Gilberto Oneto

La serata di sabato scorso a Cologno al Serio ha dato un interessante spaccato dell’atteggiamento della politica nei confronti della cosiddetta “questione settentrionale”.
Da una parte il variegatissimo e inutilmente litigioso mondo autonomista: la Lega, i partitini veri e quelli virtuali; dall’altra i tre maggiori partiti “italiani” (Pd, Pdl e 5Stelle); in mezzo chi cerca di ragionare, scrivere e proporre soluzioni. Si è parlato senza troppi giri di parole di indipendenza e questo è il primo elemento positivo: l’hanno accettato (non si sa se per opportunismo, furbizia o reale spirito di confronto) anche i partitanti italiani. Si è parlato di soluzioni e proposte concrete e questo è un altro punto incoraggiante. Se ne è parlato in un momento (che dura come un’era geologica) in cui tutti sono presi dai domiciliari di Berlusconi, da sigle fiscali estorsive, da “spread”, da sbarchi, tutte cose che hanno peso ma che sono davvero niente di fronte al problema dei problemi: l’avvenire e le ristrette prospettive di sopravvivenza della comunità di comunità che si chiama Padania, Nord, Settentrione, Eridania o anche – con linguaggio medievale e rinascimentale – Italia. Quella parte di mondo che se ne sta fra le Alpi settentrionali e quelle meridionali, sopra la Linea Gotica o – secondo altri – sopra il mitico Fosso del Chiarone. È un posto che da alcune migliaia di anni è stato uno dei motori della cultura, dell’arte e dell’economia del mondo occidentale e che oggi rischia di sprofondare nella miserabile gora mediterranea, pieno di acciacchi, debiti, derubato e maltrattato.

Dalla serata è emerso con chiarezza che si tratta del problema principale che tutti devono oggi affrontare, della madre (ma anche il padre, anzi il “genitore 1 e 2”) di tutti i problemi. Questa comunità deve nell’immediato futuro decidere se vuole sopravvivere, se avere una speranza di vita o se lasciarsi andare in un fatalistico naufragio che durerà fintanto che ci sarà qualche scorta accumulata e che alla fine porterà all’estinzione. Oggi discutere e decidere quale strada intraprendere per cercare di scamparla è quasi secondario di fronte alla necessità di far comprendere ai padani la drammaticità della loro situazione, di mostrare a chi sta inebetito a ballare sul Titanic che un enorme iceberg sta penetrando nello scafo della nave e che è il momento di calare le scialuppe di salvataggio, i gommoni, i giubbotti e anche le tavole di cucina, salirci su e cercare di andarsene. Non c’è verso di chiudere la falla o di inventarsi costosi raddrizzamenti tipo Isola del Giglio. La nave non può essere rattoppata.
Lo Stato italiano non può essere riformato perché è stato inventato e tenuto in vita proprio per opprimere i cittadini padani e dilapidarne le risorse: smetterà di farlo solo quando queste saranno finite.
 È meglio cercare di prendere il largo finché si hanno ancora energie; lo stato comatoso non permette di remare o nuotare. Per questo oggi non si può che parlare di indipendenza. Per questo ai nostri concittadini ricchi o poveri, di destra o di sinistra, brutti o belli si deve fare capire che non ci sono alternative all’indipendenza dall’Italia.

Come arrivarci: referendum, iniziative regionali, Macroregione, Padania? Avremo tutto il tempo di discuterne quando ci saremo allontanati dal pericolo di venire risucchiati nell’inabissamento del chiattone dello Stato italiano.
Bisogna dirlo ai tanti lettori de L’Intraprendente che magari credono ancora – per tradizione, educazione, o commovente buona fede – che l’Italia sia una buona cosa e non una organizzazione malavitosa da cui difendersi, una tetra prigione da cui evadere o una gigantesca carretta del mare da cui squagliarsela sulla scialuppa dell’indipendenza.

Fonte: visto su L’intraprendente del  7 ottobre 2013

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