di GILBERTO ONETO
Nei giorni in cui la Catalogna festeggia la sua giornata
nazionale, la Diada, con una straordinaria catena umana per richiedere
l’autodeterminazione, i relitti di quello che è stato il più grande partito
indipendentista d’Europa si dedicano ad alcune audaci imprese autonomiste. Bossi
annuncia la sua candidatura alla Segreteria federale, giusto per portare una
ventata di novità e di pulizia. Il suo quasi dimissionario successore, già
ammaliato dai fasti dell’Expò, impegna tutto il suo ardore combattivo in
un’altra gloriosa tenzone secessionista: portare le Olimpiadi a Milano.
Il sindaco monocolore leghista di Arona gorgheggia tronfio l’Inno di Mameli.
Infine (ma solo provvisoriamente) a Bolzano viene presentato il simbolo
congiunto “Forza Alto Adige-Lega Nord- Team Autonomie” per le prossime
elezioni provinciali. La capolista sarà la consigliera leghista Elena
Artioli, fondatrice del geniale e rivoluzionario Team Autonomie.
La boutade è stata presentata alla stampa dalla deputata
superberlusconiana Michaela Biancofiore: il simbolo è una piccola
meraviglia che gli elettori apprezzeranno estasiati. La Lega non si è alleata
né con la Svp, né tanto meno con il partito indipendentista di Eva Klotz,
come forse qualche illuso sognatore avrebbe sperato (e come avrebbe dovuto
essere per un partito davvero indipendentista) ma con la peggior greppia
terron-patriottica, sotto il neologismo giacobino e fascista di “Alto Adige”,
per la conservazione dell’occupazione del Tirolo, legittimando con una moscia
pennellata di autonomismo di facciata il patriottico meridionalume
rappresentato dalla Biancofiore. Il Segretario federale della Lega – in
fregola olimpionica – ha evidentemente avallato questa infamia.
Tutte queste miserie sono avvenute mentre Eva Klotz va
avanti sul suo progetto di referendum per l’autodeterminazione, e mentre i
catalani danno un’altra spallata ai camerati iberici della Biancofiore. La loro
catena umana è il coerente passo in un entusiasmante crescendo di iniziative
sul cammino della libertà: viene dopo decenni di lotte, di impegno, di lavoro,
di penetrazione nella società, di costruzione di identità culturale e di
creazione di consenso. Per farlo i catalanisti hanno impiegato tutti gli
strumenti più adatti: la propaganda spiccia, la ricerca storica, la diffusione
di notizie, le elezioni e anche – con intelligenza – il controllo delle
amministrazioni locali a tutti i livelli. Non hanno fatto Miss Catalunya,
neppure il giro ciclistico, la banca, il circo e le altre belinate e porcherie
con cui è stato lordato il padanesimo.
I primi a utilizzare l’immagine della catena umana per la
libertà erano stati i paesi baltici nel 1989: in pochi anni avevano
raggiunto i loro obiettivi. La “via catalana” dell’11 settembre può essere uno
degli ultimi decisivi atti nel processo di emancipazione. In Padania si è fatto
l’esatto contrario: si è organizzata la catena, si è proclamata l’indipendenza
e poi – un passo indietro alla volta – si è rinunciato a tutto, passando per il
governo nazionale, a quello regionale, alle alleanze più mortifere, fino
all’inutile esercizio dell’amministrazione locale.
È la gagliarda marcia del gambero verde, che porta un
nuovo elemento nel già rigoglioso acquario leghista. Sul Po, quel lontano
settembre del 1996, c’era ben più di un milione di persone, forse più di quanti
ne abbiano radunati assieme baltici e catalani. Era gente che ci credeva, piena
di entusiasmo, di energia e di speranza. Chi c’è stato ritiene un ricordo
sfolgorante e commovente di quel giorno in cui la libertà sembrava a portata di
mano. Oggi, diciassette anni dopo, siamo all’Expò, a Tosi, alla Biancofiore. Il
Signore stramaledica chi ci ha portati a questo.
Fonte: visto su L’Indipendenza del 22 settembre 2013
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