D. Sig. Priebke, anni
addietro lei ha dichiarato che non rinnegava il suo passato. Con i suoi cento
anni di età lo pensa ancora?
R. Sì.
D. Cosa intende
esattamente con questo?
R. Che ho scelto di essere me stesso.
D. Quindi ancora oggi
lei si sente nazista.
R. La fedeltà al proprio passato è qualche cosa che ha a che
fare con le nostre convinzioni. Si tratta del mio modo di vedere il mondo, i
miei ideali, quello che per noi tedeschi fu la Weltanschauung e ancora ha a che
fare con il senso dell’amor proprio e dell’onore. La politica è un’altra
questione. Il Nazionalsocialismo è scomparso con la sconfitta, e oggi non
avrebbe comunque nessuna possibilità di tornare.
Erich Priebke in servizio presso l'ambasciata tedesca di Roma
Erich Priebke in servizio presso l'ambasciata tedesca di Roma
D. Della visione del
mondo di cui lei parla fa parte anche l’antisemitismo.
R. Se le sue domande sono mirate a conoscere la verità è
necessario abbandonare i luoghi comuni: criticare non vuol dire che si vuole
distruggere qualcuno. In Germania sin dai primi del Novecento si criticava
apertamente il comportamento degli ebrei. Il fatto che gli ebrei avessero
accumulato nelle loro mani un immenso potere economico e di conseguenza
politico, pur rappresentando una parte in proporzione assolutamente esigua
della popolazione mondiale, era considerato ingiusto. E’ un fatto che ancora
oggi, se prendiamo le mille persone più ricche e potenti del mondo, dobbiamo
constatare che una notevole parte di loro sono ebrei, banchieri o azionisti di
maggioranza di imprese multinazionali. In Germania poi, specialmente dopo la
sconfitta della prima guerra mondiale e l’ingiustizia dei trattati di
Versailles, immigrazioni ebraiche dall’est europeo avevano provocato dei veri
disastri, con l’accumulo di immensi capitali da parte di questi immigrati in
pochi anni, mentre con la repubblica di Weimar la grande maggioranza del popolo
tedesco viveva in forte povertà. In quel clima gli usurai si arricchivano e il
senso di frustrazione nei confronti degli ebrei cresceva.
D. Quella che gli
ebrei abbiano praticato l’usura ammessa dalla loro religione, mentre veniva
proibita ai cristiani, è una vecchi storia. Cosa c’è di vero secondo lei?
R. Infatti non è certo una mia idea. Basta leggere
Shakespeare o Dostoevskij per capire che simili problemi con gli ebrei sono
storicamente effettivamente esistiti, da Venezia a San Pietroburgo. Questo non
vuole assolutamente dire che gli unici usurai all’epoca fossero gli ebrei. Ho
fatto mia una frase del poeta Ezra Pound: ”Tra uno strozzino ebreo e uno
strozzino orfano non vedo nessuna differenza”.
D. Per tutto questo
lei giustifica l’antisemitismo?
R. No, guardi, questo non significa che tra gli ebrei non ci
siano persone perbene. Ripeto, antisemitismo vuol dire odio, odio
indiscriminato. Io anche in questi ultimi anni della mia persecuzione, da
vecchio, privato della libertà ho sempre rifiutato l’odio. Non ho mai voluto
odiare nemmeno chi mi ha odiato. Parlo solo di diritto di critica e ne sto
spiegando i motivi. E le dirò di più: deve considerare che, per loro
particolari motivi religiosi, una grossa parte di ebrei si considerava
superiore a tutti gli altri esseri umani. Si immedesimava nel “Popolo Eletto da
Dio” della Bibbia.
D. Anche Hitler parlava della razza ariana come superiore.
R. Sì, Hitler è caduto anche lui nell’equivoco di rincorrere
questa idea di superiorità. Questa è stata una delle cause di errori senza
ritorno. Tenga conto comunque che un certo razzismo era la normalità in quegli
anni. Non solo a livello di mentalità popolare, ma anche a livello di governi e
addirittura di ordinamenti giuridici. Gli Americani, dopo aver deportato le
popolazioni africane ed essere stati schiavisti, continuavano a essere
razzisti, e di fatto discriminavano i neri. Le prime leggi, definite razziali,
di Hitler non limitavano i diritti degli ebrei più di quanto fossero limitati
quelli dei neri in diversi stati USA. Stessa cosa per le popolazioni dell’India
da parte degli inglesi; e i francesi, che non si sono comportati molto
diversamente con i cosiddetti sudditi delle loro colonie. Non parliamo poi del
trattamento subìto all’epoca dalle minoranze etniche nell’ex URSS.
D. E quindi come sono
andate peggiorando in Germania le cose, secondo lei?
R. Il conflitto si è radicalizzato, è andato crescendo. Gli
ebrei tedeschi, americani, inglesi e l’ebraismo mondiale da un lato, contro la
Germania che stava dall’altro. Naturalmente gli ebrei tedeschi si sono venuti a
trovare in una posizione sempre più difficile. La successiva decisione di
promulgare leggi molto dure resero in Germania la vita veramente difficile agli
ebrei. Poi nel novembre del 1938 un ebreo, un certo Grynszpan, per protesta
contro la Germania uccise in Francia un consigliere della nostra ambasciata,
Ernest von Rath. Ne seguì la famosa “Notte dei cristalli’”. Gruppi di
dimostranti ruppero in tutto il Reich le vetrine dei negozi di proprietà degli
ebrei. Da allora gli ebrei furono considerati solo e soltanto come nemici.
Hitler dopo aver vinto le elezioni, li aveva in un primo tempo incoraggiati in
tutti i modi a lasciare la Germania.
Successivamente, nel clima di forte sospetto nei confronti
degli ebrei tedeschi, causato dalla guerra e di boicottaggio e di aperto conflitto
con le più importanti organizzazioni ebraiche mondiali, li rinchiuse nei lager,
proprio come nemici. Certo per molte famiglie, spesso senza alcuna colpa,
questo fu rovinoso.
D. La colpa quindi di
ciò che gli ebrei hanno subìto secondo lei sarebbe degli ebrei stessi?
R. La colpa è un po’ di tutte le parti. Anche degli alleati
che scatenarono la seconda guerra mondiale contro la Germania, a seguito della
invasione della Polonia, per rivendicare territori dove la forte presenza
tedesca era sottoposta a continue vessazioni. Territori posti dal trattato di
Versailles sotto il controllo del neonato Stato polacco. Contro la Russia di
Stalin e la sua invasione della restante parte della Polonia nessuno mosse un
dito. Anzi, a fine conflitto, ufficialmente nato per difendere proprio
l’indipendenza della Polonia dai tedeschi, fu regalato senza tanti complimenti
tutto l’est europeo, Polonia compresa, a Stalin.
D. Quindi, politica a
parte, lei sposa le teorie storiche revisioniste.
R. Non capisco perfettamente cosa si intenda per
revisionismo. Se parliamo del processo di Norimberga del 1945 allora posso
dirle che fu una cosa incredibile, un grande palcoscenico creato a posta per
disumanizzare di fronte all’opinione pubblica mondiale il popolo tedesco e i suoi
capi. Per infierire sullo sconfitto oramai impossibilitato a difendersi.
D. Su quali basi
afferma questo?
R. Cosa si può dire di un autonominatosi tribunale che
giudica solo i crimini degli sconfitti e non quelli dei vincitori; dove il
vincitore è al tempo stesso pubblica accusa, giudice e parte lesa e dove gli
articoli di reato erano stati appositamente creati successivamente ai fatti
contestati, proprio per condannare in modo retroattivo? Lo stesso presidente
americano Kennedy ha condannato quel processo definendolo una cosa
“disgustosa”, in quanto “si erano violati i princìpi della costituzione
americana per punire un avversario sconfitto”.
D. Se intende dire
che il reato di crimini contro l’umanità con cui si è condannato a Norimberga
non esisteva prima che fosse contestato proprio da quel tribunale
internazionale, c’è da dire in ogni caso che le accuse riguardavano fatti
comunque terribili.
R. A Norimberga i tedeschi furono accusati della strage di
Katyn, poi nel 1990 Gorbaciov ammise che erano stati proprio loro stessi russi
accusatori, ad uccidere i ventimila ufficiali polacchi con un colpo alla nuca
nella foresta di Katyn. Nel 1992 il presidente russo Eltsin produsse anche il
documento originale contenente l’ordine firmato da Stalin. I tedeschi furono
anche accusati di aver fatto sapone con gli ebrei. Campioni di quel sapone
finirono nei musei USA, in Israele e in altri Paesi. Solo nel 1990 un
professore della università di Gerusalemme studiò i campioni dovendo infine
ammettere che si trattava di un imbroglio.
D. Sì, ma i campi di
concentramento non sono un’invenzione dei giudici di Norimberga.
R. In quegli anni terribili di guerra, rinchiudere nei lager
(in italiano sono i campi di concentramento) popolazioni civili che
rappresentavano un pericolo per la sicurezza nazionale era una cosa normale.
Nell’ultimo conflitto mondiale l’hanno fatto sia i russi che gli USA. Questi
ultimi in particolare con i cittadini americani di origine orientale.
D. In America, però,
nei campi di concentramento per le popolazioni di etnia giapponese non c’erano
le camere a gas!
R. Come le ho detto, a Norimberga sono state inventate una
infinità di accuse, Per quanto riguarda quella che nei campi di concentramento
vi fossero camere a gas aspettiamo ancora le prove. Nei campi i detenuti
lavoravano. Molti uscivano dal lager per il lavoro e vi facevano ritorno la
sera. II bisogno di forza lavoro durante la guerra è incompatibile con la
possibilità che allo stesso tempo, in qualche punto del campo, vi fossero file
di persone che andavano alla gasazione. L’attività di una camera a gas è
invasiva nell’ambiente, terribilmente pericolosa anche al suo esterno, mortale.
L’idea di mandare a morte milioni di persone in questo modo, nello stesso luogo
dove altri vivono e lavorano senza che si accorgano di nulla è pazzesca,
difficilmente realizzabile anche sul piano pratico.
D. Ma lei quando ha
sentito parlare per la prima volta del piano di sterminio degli ebrei e delle
camere a gas?
R. La prima volta che ho sentito di cose simili la guerra
era finita, e io mi trovavo in un campo di concentramento inglese, ero insieme
a Walter Rauff. Rimanemmo entrambi allibiti. Non potevamo assolutamente credere
a fatti così orribili: camere a gas per sterminare uomini, donne e bambini. Se
ne parlò con il colonnello Rauff e con gli altri colleghi per giorni.
Nonostante fossimo tutti SS, ognuno al nostro livello con una particolare
posizione nell’apparato nazionalsocialista, mai a nessuno di noi erano giunte
alle orecchie cose simili.
Pensi che anni e anni dopo venni ha sapere che il mio amico
e superiore Walter Rauff, che aveva diviso con me anche qualche pezzo di pane
duro nel campo di concentramento, veniva accusato di essere l’inventore di un
fantomatico autocarro di gasazione. Cose
di questo genere le può pensare solo chi non ha conosciuto Walter Rauff.
D. E tutte le
testimonianze della esistenza delle camere a gas?
R. Nei campi le camere a gas non si sono mai trovate, salvo
quella costruita a guerra finita dagli Americani a Dachau. Testimonianze che si
possono definire affidabili sul piano giudiziario o storico a proposito delle
camere a gas non ce ne sono; a cominciare da quelle di alcuni degli ultimi
comandanti e responsabili dei campi, come per esempio quella del più noto dei
comandanti di Auschwitz , Rudolf Höss. A
parte le grandi contraddizioni della sua testimonianza, prima di deporre a
Norimberga fu torturato e dopo la testimonianza per ordine dei russi gli
tapparono la bocca impiccandolo. Per questi testimoni, ritenuti preziosi dai
vincitori, le violenze fisiche e morali in caso di mancanza di condiscendenza
erano insopportabili; le minacce erano anche di rivalsa sui familiari. So per l’esperienza personale della mia
prigionia e quella dei miei colleghi, come, da parte dei vincitori, venivano
estorte nei campi di concentramento le confessioni ai prigionieri, i quali
spesso non conoscevano nemmeno la lingua inglese. Poi il trattamento riservato
ai prigionieri nei campi russi della Siberia oramai è cosa nota, si doveva
firmare qualunque tipo di confessione richiesta; e basta.
D. Quindi per lei
quei milioni di morti sono un’invenzione.
R. Io ho conosciuto personalmente i lager. L’ultima volta
sono stato a Mauthausen nel maggio del 1944 a interrogare il figlio di
Badoglio, Mario, per ordine di Himmler. Ho girato quel campo in lungo e in
largo per due giorni. C’erano immense cucine in funzione per gli internati e
all’interno anche un bordello per le loro esigenze. Niente camere a gas.
Purtroppo tanta gente è morta nei campi, ma non per una volontà assassina. La
guerra, le condizioni di vita dure, la fame, la mancanza di cure adeguate si
sono risolti spesso in un disastro. Però queste tragedie dei civili erano
all’ordine del giorno non solo nei campi ma in tutta la Germania, soprattutto a
causa dei bombardamenti indiscriminati delle città.
D. Quindi lei
minimizza la tragedia degli ebrei: l’Olocausto?
R. C’è poco da minimizzare: una tragedia è una tragedia. Si
pone semmai un problema di verità storica. I vincitori del secondo conflitto
mondiale avevano interesse a che non si dovesse chiedere conto dei loro
crimini. Avevano raso al suolo intere città tedesche, dove non vi era un solo
soldato, solo per uccidere donne, bambini e vecchi e così fiaccare la volontà
di combattere del loro nemico. Questa sorte è toccata ad Amburgo, Lubecca,
Berlino, Dresda e tante altre città. Approfittavano della superiorità dei loro
bombardieri per uccidere i civili impunemente e con folle spietatezza. Poi è
toccato alla popolazione di Tokyo e infine con le atomiche ai civili di
Nagasaki e Hiroshima. Per questo era necessario inventare dei particolari
crimini commessi dalla Germania e reclamizzarli tanto da presentare i tedeschi
come creature del male e tutte le altre sciocchezze: soggetti da romanzo
dell’orrore su cui Hollywood ha girato centinaia di film.
Del resto da allora il metodo dei vincitori della seconda
guerra mondiale non è molto cambiato: a sentire loro esportano la democrazia
con cosiddette missioni di pace contro le canaglie, descrivono terroristi che
si sono macchiati di atti sempre mostruosi, inenarrabili. Ma in pratica
attaccano soprattutto con l’aviazione chi non si sottomette. Massacrano
militari e civili che non hanno i mezzi per difendersi. Alla fine, tra un
intervento umanitario e l’altro nei vari Paesi, mettono sulle poltrone dei
governi dei burattini che assecondano i loro interessi economici e politici.
D. Ma allora certe
prove inoppugnabili come filmati e fotografie dei lager come le spiega?
R. Quei filmati sono un’ulteriore prova della
falsificazione: Provengono quasi tutti dal campo di Bergen Belsen. Era un campo
dove le autorità tedesche inviavano da altri campi gli internati inabili al
lavoro. Vi era all’interno anche un reparto per convalescenti. Già questo la
dice lunga sulla volontà assassina dei tedeschi. Sembra strano che in tempo di
guerra si sia messo in piedi una struttura per accogliere coloro che invece si
volevano gasare. I bombardamenti alleati nel 1945 hanno lasciato quel campo
senza viveri, acqua e medicinali. Si è diffusa un’epidemia di tifo petecchiale
che ha causato migliaia di malati e morti. Quei filmati risalgono proprio a
quei fatti, quando il campo di accoglienza di Bergen Belsen devastato
dall’epidemia, nell’aprile 1945, era ormai nelle mani degli alleati. Le riprese
furono appositamente girate, per motivi propagandistici, dal regista inglese
Hitchcock, il maestro dell’horror. E’ spaventoso il cinismo, la mancanza di
senso di umanità con cui ancora oggi si specula con quelle immagini. Proiettate
per anni dagli schermi televisivi, con sottofondi musicali angoscianti, si è
ingannato il pubblico associando, con spietata astuzia, quelle scene terribili
alle camere a gas, con cui non avevano invece nulla a che fare. Un falso!
D. II motivo di tutte
queste mistificazioni, secondo lei, sarebbe coprire i propri crimini da parte
dei vincitori?
R. In un primo tempo fu così. Un copione uguale a Norimberga
fu inventato anche dal Generale McArthur in Giappone con il processo di Tokyo.
In quel caso per impiccare si escogitarono altre storie e altri crimini. Per
criminalizzare i giapponesi che avevano subìto la bomba atomica, si inventarono
all’epoca persino accuse di cannibalismo.
D. Perché in un primo
tempo?
R. Perché successivamente la letteratura sull’Olocausto è
servita soprattutto allo stato di Israele per due motivi. Il primo è chiarito
bene da uno scrittore ebreo figlio di deportati: Norman Finkelstein. Nel suo
libro “L’industria dell’Olocausto” spiega come questa industria abbia portato,
attraverso una campagna di rivendicazioni, risarcimenti miliardari nelle casse
di istituzioni ebraiche e in quelle dello stato di Israele. Finkelstein parla
di “un vero e proprio racket di estorsioni”. Per quanto riguarda il secondo
punto, lo scrittore Sergio Romano, che non è certo un revisionista, spiega che,
dopo la “guerra del Libano”, lo stato di Israele ha capito che incrementare ed
enfatizzare la drammaticità della “letteratura sull’Olocausto” gli avrebbe
portato vantaggi nel suo contenzioso territoriale con gli arabi e “una sorta di
semi immunità diplomatica”.
D. In tutto il mondo
si parla dell’Olocausto come sterminio, lei ha dei dubbi o lo nega recisamente?
R. I mezzi di propaganda di chi oggi detiene il potere
globale sono inarginabili. Attraverso una sottocultura storica appositamente
creata e divulgata da televisione e cinematografia, si sono manipolate le
coscienze, lavorando sulle emozioni. In particolare le nuove generazioni, a
cominciare dalla scuola, sono state sottoposte al lavaggio del cervello,
ossessionate con storie macabre per assoggettarne la libertà di giudizio.
Come le ho detto, siamo da quasi 70 anni in attesa delle
prove dei misfatti contestati al popolo tedesco. Gli storici non hanno trovato
un solo documento che riguardasse le camere a gas. Non un ordine scritto, una
relazione o un parere di un’istituzione tedesca, un rapporto degli addetti.
Nulla di nulla.
Nell’assenza di documenti, i giudici di Norimberga hanno
dato per scontato che il progetto che si intitolava “Soluzione finale del
problema ebraico” allo studio nel Reich, che vagliava le possibilità
territoriali di allontanamento degli ebrei dalla Germania e successivamente dai
territori occupati, compreso il possibile trasferimento in Madagascar, fosse un
codice segreto di copertura che significava il loro sterminio. E’ assurdo! In
piena guerra, quando eravamo ancora vincitori sia in Africa che in Russia, gli
ebrei, che erano stati in un primo tempo semplicemente incoraggiati, vennero
poi fino al 1941 spinti in tutti i modi a lasciare autonomamente la Germania.
Solo dopo due anni dall’inizio della guerra cominciarono i provvedimenti
restrittivi della loro libertà.
D. Ammettiamo allora che le prove di cui lei parla vengano
fuori. Parlo di un documento firmato da Hitler o da un altro gerarca. Quale
sarebbe la sua posizione?
R. La mia posizione è di condanna tassativa per fatti del
genere. Tutti gli atti di violenza indiscriminata contro le comunità, senza che
si tenga conto delle effettive responsabilità individuali, sono inaccettabili,
assolutamente da condannare. Quello che è successo agli indiani d’America, ai
kulaki in Russia, agli italiani infoibati in Istria, agli armeni in Turchia, ai
prigionieri tedeschi nei campi di concentramento americani in Germania e in Francia,
così come in quelli russi, i primi lasciati morire di stenti volutamente dal
presidente americano Eisenhower, i secondi da Stalin. Entrambi i capi di Stato
non rispettarono volutamente la convenzione di Ginevra per infierire fino alla
tragedia. Tutti episodi, ripeto, da condannare senza mezzi termini, comprese le
persecuzioni fatte dai tedeschi a danno degli ebrei; che indubbiamente ci sono
state. Quelle reali però, non quelle inventate per propaganda.
D. Lei ammette quindi
la possibilità che queste prove, sfuggite a una eventuale distruzione fatta dai
tedeschi alla fine del conflitto, potrebbero un giorno venir fuori?
R. Le ho già detto che certi fatti vanno condannati in
assoluto. Quindi, se poniamo anche solo per assurdo che un domani si dovessero
trovare prove su queste camere a gas, la condanna di cose così orribili, di chi
le ha volute e di chi le ha usate per uccidere, dovrebbe essere indiscussa e
totale. Vede, in questo senso ho imparato che nella vita le sorprese possono
non finire mai. In questo caso però credo di poterle escludere con certezza,
perché per quasi sessanta anni i documenti tedeschi, sequestrati dai vincitori
della guerra, sono stati esaminati e vagliati da centinaia e centinaia di
studiosi, sicché, ciò che non è emerso finora difficilmente potrà emergere in
futuro.
Per un altro motivo devo poi ritenerlo estremamente
improbabile, e le spiego il perché: a guerra già avanzata, i nostri avversari
avevano cominciato a insinuare sospetti su attività omicide nei Lager. Parlo
della dichiarazione interalleata dei dicembre 1942, in cui si diceva
genericamente di barbari crimini della Germania contro gli ebrei e si prevedeva
la punizione dei colpevoli. Poi, alla fine del 1943, ho saputo che non si
trattava di generica propaganda di guerra, ma che addirittura i nostri nemici
pensavano di fabbricare false prove su questi crimini. La prima notizia la ebbi
dal mio compagno di corso, e grande amico, Capitano Paul Reinicke, che passava
le sue giornate a contatto con il numero due del governo tedesco, il
Reichsmarschall Goering: era il suo capo scorta. L’ultima volta che lo vidi mi
riferì del progetto di vere e proprie falsificazioni. Goering era furibondo per
il fatto che riteneva queste mistificazioni infamanti agli occhi del mondo
intero. Proprio Goering, prima di suicidarsi, contestò violentemente di fronte
al tribunale di Norimberga la produzione di prove falsificate.
Un altro accenno lo ebbi successivamente dal capo della
polizia Ernst Kaltenbrunner, l’uomo che aveva sostituito Heydrich dopo la sua
morte e che fu poi mandato alla forca a seguito del verdetto di Norimberga. Lo
vidi verso la fine della guerra per riferirgli le informazioni raccolte sul
tradimento dei Re Vittorio Emanuele. Mi accennò che i futuri vincitori erano
già all’opera per costruire false prove di crimini di guerra ed altre
efferatezze che avrebbero inventato sui lager a riprova della crudeltà tedesca.
Stavano già mettendosi d’accordo sui particolari di come inscenare uno speciale
giudizio per i vinti.
Soprattutto però ho incontrato nell’agosto 1944 il diretto
collaboratore del generale Kaltenbrunner, il capo della Gestapo, generale
Heinrich Müller. Grazie a lui ero riuscito a frequentare il corso allievi
ufficiali. A lui dovevo molto e lui era affezionato a me. Era venuto a Roma per
risolvere un problema personale del mio comandante, ten. colonnello Herbert
Kappler. In quei giorni la quinta armata americana stava per sfondare a
Cassino, i russi avanzavano verso la Germania. La guerra era già
inesorabilmente persa. Quella sera mi chiese di accompagnarlo in albergo.
Essendoci un minimo di confidenza mi permisi di chiedergli maggiori dettagli
sulla questione. Mi disse che tramite l’attività di spionaggio si aveva avuto
conferma che il nemico, in attesa della vittoria finale, stava tentando di
fabbricare le prove di nostri crimini per mettere in piedi un giudizio
spettacolare di criminalizzazione della Germania una volta sconfitta. Aveva
notizie precise ed era seriamente preoccupato. Sosteneva che di questa gente
non c’era da fidarsi, perché non avevano senso dell’onore né scrupoli. Allora
ero giovane e non diedi il giusto peso alle sue parole, ma le cose poi di fatto
andarono proprio come il generale Müller mi aveva detto. Questi sono gli
uomini, i gerarchi, che secondo quanto oggi si dice avrebbero dovuto pensare e
organizzare lo sterminio degli ebrei con le camere a gas! Lo considererei
ridicolo, se non si trattasse di fatti tragici.
Per questo quando gli americani nel 2003 hanno aggredito
l’Iraq con la scusa che possedeva “armi di distruzione di massa”, con tanto di
falso giuramento di fronte al consiglio di sicurezza dell’ONU del Segretario di
stato Powel, proprio loro che quelle armi erano stati gli unici a usarle in
guerra, io mi sono detto: niente di nuovo!
D. Lei da cittadino
tedesco sa che alcune leggi in Germania, Austria, Francia, Svizzera puniscono
con il carcere chi nega I’Olocausto?
R. Sì, i poteri forti mondiali le hanno imposte e tra poco
le imporranno anche in Italia. L’inganno sta proprio nel far credere alla gente
che chi, per esempio, si oppone al colonialismo israeliano e al sionismo in
Palestina sia antisemita; chi si permette di criticare gli ebrei sia sempre e
comunque antisemita; chi osa chiedere le prove della esistenza di queste camere
a gas nei campi di concentramento, è come se approvasse una idea di sterminio
degli ebrei. Si tratta di una falsificazione vergognosa. Proprio queste leggi
dimostrano la paura che la verità venga a galla. Ovviamente si teme che dopo la
campagna propagandistica fatta di emozioni, gli storici si interroghino sulle
prove, gli studiosi si rendano conto delle mistificazioni. Proprio queste leggi
apriranno gli occhi a chi ancora crede nella libertà di pensiero e nella
importanza della indipendenza nella ricerca storica.
Certo, per quello che ho detto posso essere incriminato, la
mia situazione potrebbe addirittura ancora peggiorare ma dovevo raccontare le
cose come sono realmente state, il coraggio della sincerità era un dovere nei
confronti del mio Paese, un contributo nel compimento dei miei cento anni per
il riscatto e la dignità del mio popolo.
Fonte: Visto su NOCENSURA del 14 ottobre 2013
MARCELLO PEZZETTI, DIRETTORE MUSEO SHOAH: PRIEBKE NON E' MAI STATO NESSUNO, SUO TESTAMENTO
SCONTATO
Marcello Pezzetti
Roma, 11 ott. 2013 - (Adnkronos) –
"In Priebke non
c'è mai niente di nuovo. Non si è mai pentito. Da un punto di vista umano non
era nessuno, tutto quello che ha fatto dal '44 ad oggi è stato il nulla".
Così Marcello Pezzetti all'Adnkronos, storico e direttore
scientifico della fondazione Museo della Shoah di Roma.
"Molti suoi
connazionali hanno fatto una riflessione e un certo tipo percorso - sottolinea
Pezzetti - lui invece nulla, ed è rimasto nessuno. Oggi non è morto nessuno,
l'unica cosa che disgusta è che chi ha ucciso non ha vissuto la sua vita".
E sull'intervista-testamento del boia delle Fosse Ardeatine,
Pezzetti conclude:
"Non è mai stato nessuno né da un punto di vista
sociale, né culturale, né politico. Quello che diceva era tutto scontato, come
lo è il suo testamento".
Fonte: visto su Libero.it
del 11 ottobre 2013
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