Esistono diversi modi per raccontare la Storia.
Uno è quello cronologico-analitico, che mette in fila le date e i fatti
cercando di creare delle precise connessioni di causa ed effetto e dei
collegamenti sempre più ampi e intrecciati degli eventi. L’altro è quello idealistico-romanzato, che
pur non trascurando l’attinenza ai fatti accaduti cerca di rileggerli in una
chiave più intimistica, soggettiva e coinvolgente. Nel primo metodo prevale l’oggettività, il
distacco freddo e scientifico dai fatti che si stanno narrando, nel secondo la
soggettività, la partecipazione emotiva e febbrile agli eventi nei quali ci si
sente intimamente coinvolti.
Entrambe queste metodologie di narrazione sono speculari e
complementari: non si può essere sufficientemente lucidi, distaccati ed
obiettivi se prima non si è vissuto emotivamente e appassionatamente ciò di cui
si sta parlando, e d’altra parte non si può raccontare con passione e intensità
ciò di cui non si conosce l’esatta evoluzione cronologica dei fatti.
Nel testo che vi propongo oggi, scritto con brillantezza ed
efficacia da Francesco Mazzuoli che mi ha gentilmente concesso la
possibilità di pubblicarlo sul blog, prevale sicuramente il secondo aspetto
della narrazione della Storia: quello romanzato, passionale, emotivamente
coinvolto.
Eppure ad una lettura più attenta del testo noterete che non
manca nulla della rispondenza ai fatti, ai dati e agli eventi di cui
abbiamo tanto discusso in questi mesi. Il racconto, che oltre a ripercorrere i
più importanti fatti degli ultimi trenta anni tenta di prevedere un possibile
epilogo dell’attuale vicenda italiana ed europea, è lucido e obiettivo come
pochi altri. Il processo storico che dalla lenta ma inesorabile distruzione
delle istituzioni democratiche nazionali sta portando in Europa alla nascita di
un Impero Oligarchico e Totalitario, viene minuziosamente analizzato fin
nei minimi dettagli. Un Impero si costruisce o con la brutalità della guerra
o con la costante guerriglia tecnica della burocrazia e della diplomazia,
ma alla fine queste due forme di violenza che spesso coesistono insieme
conducono allo stesso risultato: la sudditanza, la schiavitù, la paralisi
di ogni capacità di reazione, ribellione, rinascita. Siamo italiani, siamo
europei, conosciamo bene quanto fallaci, stantie e dolorose siano tutte le
forme di imperio antidemocratiche che mortificano la partecipazione popolare
e la difesa del bene comune.
Ribelliamoci adesso, prima che sia troppo tardi. Quantomeno
per rispetto dei nostri antenati che hanno sacrificato le loro vite e sono
morti per lasciarci in dote la forma di governo, che per quanto delicata e
infinitamente migliorabile, è quella che meglio si concilia con la nostra
ancestrale idea di Bene e Solidarietà Universale: la Democrazia.
Buona lettura.
LA NASCITA DEL SACRO ROMANO IMPEURO
di Francesco Mazzuoli
...IL 1978 FU UN ANNO FONDAMENTALE PER
LA STORIA ITALIANA.
Con l'omicidio Moro, abilmente orchestrato dai poteri
forti, si chiuse una stagione di politiche di espansione della democrazia e
del benessere nel nostro Paese. Una politica di concessioni democratiche
dettate – sotto l' egida americana – dalla pressione del blocco sovietico e dal
terrore che i partiti che si ispiravano all'ideologia comunista riuscissero a
prendere il potere. Eliminata la scomoda figura di Moro e boicottato il
compromesso storico, le classi dominanti nostrane, alleate al grande capitale
industriale e finanziario internazionale, partirono alla riscossa, scagliando –
esse per davvero – l'attacco al cuore dello Stato.
L'indirizzo economico della società fu orientato in senso
liberistico, in modo da sottrarre ricchezza allo Stato e al lavoro
(la quota salari nel 1976 toccò il suo apice), per trasferirla al
capitale e alle rendite private italiane e straniere, in un momento in
cui il grande capitale si stava sempre più finanziarizzando e reclamava nuovi
mercati internazionali per fare profitto. Ma c'era troppo pubblico, troppa
presenza dello Stato, troppi diritti, troppe tutele: i grandi capitali
pretendevano una deregolamentazione completa. Sui giornali compariva
spesso questa parola: Deregulation. In inglese suonava bene, specie se a
pronunciarla erano Ronald Reagan, che era stato anche attore, o Margareht
Thatcher, che pareva la protagonista di un romanzo di Agatha Christie:
un'inappuntabile signora con, nell'armadio, gli scheletri di diverse famiglie
di operai.
Occorreva tempo, ma l'oligarchia finanziaria voleva
mano libera per poter privatizzare tutto. Voleva arrivare
all'eliminazione delle prestazioni erogate dagli Stati per poterle
privatizzare: voleva l'istruzione, la sanità, il welfare. Nessuno, naturalmente,
parlò mai di oligarchia industriale e finanziaria. Nessuno disse mai di chi
realmente si trattasse. Si chiamavano mercati. Era l'apertura ai
mercati, e si diceva liberalizzare. Sapeva di libertà, mentre le cose
finivano sotto un padrone. Per sostituirsi agli Stati, però, questi nuovi
padroni avevano bisogno che gli stessi non potessero più finanziarsi a tassi
agevolati e in modo indipendente. Ottennero, allora, che gli Stati
rinunciassero alla sovranità monetaria, per devolverla a istituti
privati, non democratici e non elettivi, controllati, direttamente o
indirettamente, non da legittimi governi, ma dagli stessi oligarchi della
finanza.
Fu chiamata, vergognosamente, dottrina delle banche
centrali indipendenti. Ci fu il fatidico divorzio tra Ministero del
Tesoro e Banca d'Italia, causa remota e celata dell'esplosione del debito
pubblico. Ma la colpa fu attribuita alla classe politica corrotta e
sprecona, che finanziava le proprie clientele. Volevano, poi, la libera
circolazione dei capitali e l'eliminazione del rischio di cambio,
propalato come un moltiplicatore non dei pani e dei pesci, ma degli scambi
commerciali. Così, dopo la liberalizzazione del settore bancario e la
successiva creazione di gigantesche banche private – liberate anche da
vincoli prudenziali a tutela dei risparmiatori e lanciate nella speculazione
sfrenata - vennero lo SME, il Trattato di Maastricht, l'Euro,
il Trattato di Lisbona, il Fiscal Compact.
Era stata, finalmente, creata una zona cosiddetta di “libero”
scambio, con una unica moneta, entrambe completamente assoggettate
ai dettami dell'oligarchia finanziaria. Una zona dove le Costituzioni
Democratiche erano state di fatto sovvertite e sostituite dal diritto dei
Trattati; dove i diritti dei cittadini non erano più tutelati e le
prestazioni fondamentali dello Stato non più garantite; dove tutto era in via
di privatizzazione e dove i cittadini, costretti ad aprire un conto in banca,
non potevano nemmeno più disporre liberamente dei contanti. Una zona in cui
Stati, una volta tra i più progrediti al mondo, erano stati colonizzati e
costretti a finanziarsi con moneta straniera, controllata dagli stessi
oligarchi. E dove ormai svolgevano esclusivamente il ruolo di esattori per
il Potere Centrale.
Si era sotto una terribile dittatura, anche se
formalmente la propaganda impiegava il termine democrazia ad ogni piè sospinto.
Giornali, che nel nome e nei contenuti dichiaravano di ispirarsi alle virtù
della Res-Publica, e considerati dai più difensori degli interessi del
popolo, erano i più strenui apologeti dell'Impero. Questa moneta unica,
invocata dai burocrati-sacerdoti della finanza come una divinità
monoteistica, irreversibile come il Giudizio Universale, stava, assieme ai
vincoli dei Trattati, svolgendo egregiamente il ruolo per cui era stata
progettata. Non potendo essere riequilibrate dalla flessibilità del cambio,
infatti, le asimmetrie delle bilance dei pagamenti tra le diverse
province imperiali, imponevano il contenimento dei salari, rendendo soddisfatti
i capitalisti e i rentiers, che non vedevano i propri guadagni erosi dal
mostro medioevale dell'inflazione. E un'altra virtù santa, la
continenza, entrava di forza nel bagaglio dei comportamenti dei cittadini-sudditi,
accusati fino a quel momento, di aver vissuto al di sopra dei propri mezzi.
Inoltre, l'oligarchia centrale stava completando il suo progetto
di annessione, impadronendosi delle industrie migliori dei Paesi
periferici, che impossibilitate dal cambio rigido e sopravvalutato ad
esportare secondo le proprie potenzialità, entravano in una spirale debitoria e
vedevano precipitare i propri corsi azionari. Le industrie ancora in mano
pubblica, invece - alcune veri e propri gioielli, anche se dipinte come
sentine del vizio e dell'inefficienza - ci avrebbero pensato le classi
politiche locali, corrotte e colluse, a liquidarle al Potere Centrale, in
ottemperanza a vincoli di bilancio, che, addirittura, erano stati
trasformati in vincolo costituzionale.
Frattanto, la crisi dei mutui subprime, (cioè
la concessione di prestiti a chi non sarebbe stato in grado di rimborsarli, sui
quali erano stati costruiti prodotti finanziari derivati truffaldini, ammanniti
come sicuri e lucrosi), era esplosa al di là dell'Atlantico. Tale crisi,
importata in Europa grazie alle grandi banche degli oligarchi imperiali, che
speculavano sugli stessi prodotti finanziari, aveva acuito i problemi
strutturali della cosiddetta Eurozona. I paesi membri, non potendo agire
sulla leva del cambio, avevano visto peggiorare tutti gli indicatori economici.
Le banche, che avevano avuto grandi perdite con i derivati e avevano prestato
denaro alla periferia, facevano fatica a riavere indietro i prestiti. Molte
entrarono in crisi di liquidità. Le perdite furono riparate dagli Stati,
che ricapitalizzarono le banche degli oligarchi con denaro pubblico.
Ovviamente, il debito pubblico esplose ovunque. Ma proprio a quel debito
gli oligarchi imputarono l'origine della crisi e dissero che era causato dagli sprechi
delle caste statali.
La propaganda tuonava: si disse che la corruzione
e gli sprechi fossero caratteristiche congenite del pubblico. Bisognava
privatizzare ancora. Gli Stati tassarono ulteriormente i cittadini per
rientrare delle spese sostenute per i salvataggi bancari. Ma la disoccupazione
e il crollo dei salari stavano uccidendo la domanda interna. La
maggior parte delle piccole e medie imprese, entrarono in una grave
crisi e ci fu una moria che de-industrializzò in modo importante il Paese. Ogni
due ore chiudeva un esercizio commerciale. Il gettito fiscale crollò e
ciò favorì ulteriormente il disegno degli oligarchi: le dinamiche di svendita
del patrimonio pubblico e di definitiva colonizzazione degli Stati
venivano accelerate, anche grazie a politiche pro-cicliche che -
in dispregio a qualunque buonsenso - acceleravano la crisi, ma furono chiamate,
con un ossimoro, austerità espansiva.
I cittadini, privati di tutto, erano davvero divenuti
austeri. Continenza e austerità venivano predicate alla gente che si
suicidava. Togliersi la vita era, infatti, all'ordine del giorno. Sètte di
millenaristi percorrevano il Paese. Professori eretici; giudici che
perseguivano ordini cavallereschi deviati; alti magistrati che agitavano la
Costituzione come vessillo. Predicatori di piazza furoreggiavano e riuscirono
perfino ad entrare in Parlamento, dove, però, qualcuno cominciò a dubitare
della loro buona fede. Altri, vox clamantis in deserto, richiamava tutte le
voci protestatarie all'unità di intenti. Ma i bassi personalismi e l'insipienza
del volgo facevano sì che la maggioranza della popolazione vagolasse nelle
tenebre senza sapere a quale partito rivolgersi...
E sopra a tutto, al vertice della piramide imperiale, un progetto
buio di dominio si delineava: i ribelli lo chiamarono mondialismo
e stendeva le sue ali oscure su tutta la Terra. Una casta usurocratica,
che sfidava il potere divino, sognava per sé di accentrare e controllare tutte
le ricchezze e le risorse del pianeta. E il possesso completo dell'Europa era
il banco di prova. La crisi si avvitava e i quartieri generali dell'Impero
temevano per l'ordine pubblico. Poi, una mattina di domenica 28
Aprile 2013, a Roma, davanti a Palazzo Chigi, qualcuno sparò...
Prosegue l'autore...
….Ma il pilota automatico guidava il popolo come la Grazia.
Ad alcuni blasfemi sovvenne anche un dubbio: non sarà quella del Presidente
Napolitano? Proprio nel giorno dell'attentato, dopo mesi di conciliaboli,
fu eletto il Nuovo Governo della provincia, che ancora portava il nome
di Italia. L'Esecutivo fu presentato come Nuovo, ma era solo un'operazione di
facciata: all'interno nessuno dei membri osava mettere in discussione i vecchi Articoli
di Fede e i sacri vincoli di obbedienza al Potere Centrale, primo
fra tutti il vincolo di bilancio. I nuovi luogotenenti, secondo un piano
scaltro quanto prevedibile, finsero di allentare la pressione fiscale: un
espediente per ottenere la tregua sociale necessaria a lavorare in pace alla
missione per la quale erano stati prescelti.
Così il popolo assaggiò, tapino, che cosa fosse la
cornucopia delle mitiche riforme strutturali, che da decenni erano state
prospettate come gli orizzonti di una sfolgorante terra promessa. La Riforma
della Costituzione le avrebbe sancite, immolando sull'altare del profitto
privato il benessere collettivo. Si aprì una fase costituente. La vecchia
Carta del '48, infarcita di tutele obsolete, venne riscritta, in modo che i
livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali
non fossero più garantiti. Il welfare fu largamente privatizzato,
per non gravare in modo insostenibile sul bilancio statale. Ci furono
conseguenze funeste, che abbassarono ulteriormente il tenore di vita degli
abitanti della provincia.
Il lavoro non fu più un diritto, ma una dura
conquista. La disoccupazione, si diceva, nelle economie di mercato è un
fatto fisiologico, che ha un livello naturale. Anche il suicidio per
disoccupazione divenne, così, un fatto naturale. La sanità non fu più un
buco nero dello Stato, che tante ruberie e malversazioni aveva originato,
perché la sua tutela fu affidata ai privati. I costi, però, lievitarono
enormemente, e ammalarsi divenne una calamità per i meno abbienti, che
diventavano sempre più numerosi. L'età della pensione fu rimandata nel
tempo, come un sogno irrealizzabile. Per alcuni, infatti, l'età pensionabile
non arrivò mai, sopraggiungendo prima la morte. Per altri, più fortunati, essa
arrivò, ma non i frutti delle contribuzioni di una vita, che i fondi pensione
avevano bruciato in speculazioni avventate.
Le ultime industrie pubbliche e i beni demaniali
furono svenduti alle oligarchie centrali. In obbedienza al pareggio di
bilancio e alle altre “regole d'oro” del Fiscal Compact, la
riduzione del debito pubblico doveva procedere a tappe forzate. Inoltre, la
crisi aveva ridotto il gettito fiscale. E, se non bastasse, attraverso le agenzie
di rating, nelle mani degli stessi oligarchi, in ogni momento poteva essere
agitato il potere divino e ricattatorio dello Spread, capace di
scatenare emergenze fittizie, alle quali, però, si doveva rispondere in modo
insindacabile. Come già era avvenuto nel 1992, le industrie dello Stato furono
vendute a prezzo di saldo; ma si scrisse che quelle industrie erano
inefficienti e improduttive, e, quando si era potuto, le si era coinvolte
in scandali montati ad arte.
L'Euro fu abbandonato dal Potere Centrale. Sostituito
da nuove divise dai cambi liberamente fluttuanti nell'etere dei mercati. Aveva
esaurito il suo potere alchemico di trasformare i debiti dell'unificazione
germanica in crediti, e le province rivali in popoli conquistati, annessi e
saccheggiati. La svalutazione del cambio favorì, finalmente, le industrie della
provincia, ma ormai esse erano tutte in mano agli oligarchi centrali. Le
popolazioni locali non ottennero alcun sostanziale beneficio: si resero sì
disponibili posizioni lavorative, ma esse erano di basso livello e di
bassissima retribuzione. E il Leviatano della Tassazione riprese, più crudele e
vessatorio che mai. Vanificate le residue speranze in una vita migliore -
promessa rinviata, come in ogni religione o stato totalitario, a data
inverificabile - il popolo cominciò a comprendere di essere stato ingannato. La
rabbia montava.
Il Potere non vedeva l'ora che ciò accadesse e soffiava di
nascosto sul fuoco, come già nel secolo precedente aveva imparato a fare in
quella che si chiamò strategia della tensione. Anche gli ingenui
cominciavano a capire quale ruolo avessero sempre giocato i servizi segreti,
abili a mimetizzarsi tra gli oppositori e a fomentare incidenti e scontri. Ma i
sistemi di controllo dell'Impero oggi erano più raffinati: internet consentiva
di tenere sotto stretta sorveglianza – e alla bisogna ricattare -
praticamente tutta la popolazione e di identificare gli attivisti e i
dissidenti, uno ad uno. Lo Stato di polizia, non solo tributaria,
divenne palese e una Forza di Gendarmeria Europea, chiamata Eurogendfor,
con potere illimitato e totale immunità, nacque dalle ceneri di quelli che una
volta erano corpi militari fedeli alle costituzioni nazionali.
La repressione delle sommosse fu spietata e la sicurezza
divenne il pretesto per un regime ancora più opprimente, che non lasciava più
spazio ad alcuna privacy o libertà personale. I contanti
furono definitivamente aboliti e tutte le transazioni monetarie rese
elettroniche. Ciò consentiva alle banche di lucrare sulle transazioni e al
Potere Centrale di tenere sotto osservazione e aggredire qualunque movimento
finanziario della popolazione. I ribelli, furono dotati di carte prepagate al
limite della sussistenza. La dittatura aveva mostrato il suo vero volto
e ormai tutti lo potevano riconoscere. Ma era tardi.
SCRIVEVA UN ITALIANO:
“La situazione è gravissima e compromessa al punto che
occorrerebbe un fronte comune di tutti gli Italiani. Purtroppo, nel
nostro Paese esiste un limite culturale enorme: l'assenza del concetto di
bene comune. "Extra ecclesia nulla salus", diceva S. Agostino. E l'Italiano
vive all'interno della sua ecclesia, famiglia o conventicola, dove entra o
per diritto di nascita o per cooptazione, e poco gli cale che il suo orticello,
il suo "particulare", si trovi nel Lazio, in Italia, in Europa, o nel
mondo. Ecco perché la colonizzazione ha sempre avuto buon gioco nel
nostro sventurato Paese, ecco perché l'Italiano non ha mai fatto una
rivoluzione, ed ecco perché l'Italia non offre - ne offrirà mai - alcuna
resistenza al progetto del mondialismo, che vedrà presto la creazione di un'area
di libero scambio tra Ue e Usa. L'impossibilità di salvare l'Italia è una impossibilità
antropologica. Sulla bandiera dell'Italia, come chiosava Longanesi,
dovrebbe esserci scritto: "Tengo famiglia"”.
E, in effetti, secoli di dominazione, uniti a una
certa mollezza infusa dallo stesso cristianesimo e la sua dottrina
della predestinazione, avevano prodotto un cinismo rassegnato, un fatalismo
atavico, per cui si attendeva sempre l'arrivo di qualcun altro,
di un salvatore o liberatore, vuoi nei panni di un americano in camicia
a fiori, vuoi in quelli di un extraterrestre, proveniente o dagli spazi
siderali, o dalle viscere della Terra, che qualcuno, su internet, sosteneva
essere cava...
Il libro interrompe
qui la narrazione dei fatti.
Ma c'era qualcos'altro: una lettera spiegazzata, nascosta
nel sommario, vergata di suo pugno dall'autore, che somigliava più a un disperato
appello che a una missiva. O forse era semplicemente un monito a futura
memoria a non compiere gli stessi errori. L'autore era un Italiano. Vi
leggo cosa ci ha scritto, perché è indubbio che noi siamo i destinatari.
“Cari Italiani,
questo voglio dirvi: nessuno verrà a salvarci.
Mi rendo conto che quando un popolo è nato schiavo, sa solo immaginarsi un nuovo padrone; ma
è ora di assumerci le nostre responsabilità e governare il nostro Paese da
soli, per la prima volta da Italiani.
In caso contrario, comincerà il Nuovo Medio Evo.
Lo chiameranno Sacro Romano Impeuro. Il Papa che fa professione di
pauperismo lo abbiamo già. Ci insegnerà, dopo la continenza e l'austerità, la
via della decrescita.
Porteremo la nostra croce, vestiti solo di un saio e
scarpe di cartone, biodegradabili. Non perché saremo diventati più spirituali,
ma perché non potremo permetterci altro. Poi, all'improvviso, qualcuno griderà:
“Ecce IMU!”. E andremo tutti a confessarci all'Agenzia delle Entrate.
É ora di ribellarci. Le virtù teologali, che ci
incatenavano, sono svanite: la fede nell'Euro l'abbiamo persa. La speranza
nella Ripresa non l'abbiamo mai avuta. E la carità... siamo finiti a chiederla.”
Fonte: visto su TEMPESTA PERFETTA di venerdì 17 maggio 2013
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