martedì 26 novembre 2013

SARDEGNA IN GINOCCHIO PER LE ALLUVIONI, È UNA VECCHIA STORIA




“La mancata realizzazione delle opere, che forse avrebbero potuto in larga misura evitare queste conseguenze così disastrose, è un fatto che si perpetua da anni, per non dire da secoli in riferimento al comportamento dei poteri centrali nei confronti della Sardegna”. Quelle riportate sono le dichiarazioni del Presidente della regione sarda Mario Mellis dopo il tragico nubifragio sulla Sardegna nell’ottobre del 1986; all’epoca la procura della Repubblica di Cagliari lavorava sull’ipotesi preliminare di reato di inondazione colposa e omicidio colposo plurimo.

Tutti sanno che gli egiziani quando esondava il Nilo facevano festa, da qualche decennio invece il rigonfiamento di un torrente crea angoscia, se non terrore. Non sarà che abbiamo costruito troppo vicino agli argini? Che la manutenzione è l’unica parte di bilancio dove, se si taglia, nessuna lobby fa le barricate? Che avendo resi abitabili i seminterrati, prima o poi, bisognerà fare i conti con l’acqua che sale? Che quando si cementificano i fiumi bisogna prevedere un’area di espansione che rimanga tale anche nei decenni successivi? Come mai un evento meteorologico estremo non ha mai comportato l’allagamento delle ville a Porto Cervo o dei Parioli a Roma? Nell’ultimo mezzo secolo i problemi sembrano sempre gli stessi, la differenza è che nel 1986 il colpevole era il governo centrale, ora sembra invece essere individuato nel riscaldamento globale.

Torniamo all’eccezionale nubifragio che in questi giorni ha colpito la Sardegna causando 16 morti: è davvero un evento meteorologico mai visto da millenni, come qualcuno ha affermato? Per rispondere basta tornare, ad esempio all’autunno del 1951, quando dobbiamo credere che la temperatura del mare e la concentrazione di anidride carbonica fosse molto minore dell’attuale.


Per avere una descrizione dell’evento migliore di quanto potrei fare in poche righe, basta leggere la ricostruzione scritta alcuni anni fa (clicca qui). Proprio nello stesso giorno in cui il governo stava decidendo gli aiuti contro un lungo periodo di siccità iniziato nel 1950, cominciò una fase piovosa in cui ci furono picchi giornalieri mostruosi come i 1431mm a Sicca d’Erba (Arzana) , quantità 2-3 volte maggiori ai valori veramente eccezionali di questi giorni. Sparirono ponti, strade, due paesi come Gairo ed Osini. Una narrazione dell’evento si può rileggere nei libri della scrittrice sarda Giovanna Mulas. Fortunatamente i morti furono solo 5, ma all’epoca poche persone viaggiavano in auto e vivevano nei seminterrati.

Ma perché poche persone  ricordano il drammatico e nefasto alluvione sardo del 1951? Perché nelle stesse ore in Sicilia e Calabria, sotto una pioggia impressionante, in quattro giorni caddero circa 1770 mm, ci furono oltre 70 vittime, 4.500 senzatetto, quasi 1.700 abitazioni crollate o rese inabitabili, 67comuni colpiti. Tra le infrastrutture danneggiate, 26 ponti crollati e 77 acquedotti lesionati (leggi qui). Il 14 novembre dello stesso anno avvenne, l’ormai leggendario, alluvione del Polesine, che causò ben 84 morti. Dopo solo 2 anni, il 21 ottobre 1953, la Calabria fu nuovamente colpita da un evento estremo che causò circa 100 morti. Eppure oggi molti ci dicono che decenni fa il clima era “paradisiaco” rispetto i giorni nostri.

Va pure ricordato che 20 anni fa, come potete verificare alla slide 8 , in Corsica, esattamente a Bavello, tra il 31 ottobre ed il 1 novembre, caddero 920 mm (leggi qui). Non si può non restare sorpresi vedendo che un ponte, costruito solo due anni fa a poche decine di chilometri a sud di Bavello, crolla per una precipitazione che è all’incirca la metà di quella che solo 18 anni prima era stata misurata. Una curiosità rimane: con quali dati si è costruito?

Potrei annoiare ricordando le alluvioni nei paesi di Quartu e Quartucciu nel 1881 e del  5 ottobre 1899 con 25 morti , in cui l’acqua raggiunse l’altezza di 2.30 m dal suolo; ci dovrebbero ancora essere delle lapidi sulle mura delle chiese a ricordarlo. Con effetti molto meno estesi dell’alluvione del 1951, che si stima interessò 8mila kmq di territorio, ben 1/3 della superficie dell’intera Sardegna, un altro evento estremo si ebbe nel 1930 e devastò Uta, nel novembre 1939 fu distrutta una parte del quartiere Sant’Avendrace a Cagliari,  nel 1946 molti danni ebbero Elmas e Sestu con crollo di un ponte ed interruzione di strade.

In questi anni, purtroppo, le persone interessate alle vicende del cambiamento climatico, sono risultate divise tra quelli “certi” che in questi ultimi anni il clima sia peggiorato di molto a causa delle emissioni dei combustibili fossili e quelli più “scettici” che credono che i disastri come quelli attuali ci siano sempre stati. Questi ultimi credono ad esempio che l’efficienza sia una scelta che va certamente perseguita ma con percorsi realistici e non obbligati per paura.

Partendo da questi due punti di vista diversi, si affrontano i disastri naturali causati dall’atmosfera in due diversi modi: regolando opportunamente la composizione dell’aria per tornare a vivere nel “paradiso terrestre” di qualche decennio/secolo fa, oppure operando nelle infrastrutture e nei modi di vivere affinché si riducano progressivamente gli effetti degli eventi climatici.

La prima modalità è nota come “mitigazione”: la sua concezione nasce durante la Guerra fredda, periodo in cui anche l’atmosfera doveva essere “comandata” in modo da poter essere utile in battaglia. Dopo la caduta del muro di Berlino invece, “normalizzare” l’atmosfera diventa un problema ecologico da poter affrontare attraverso il solo mercato, ad esempio con l’Emission trading system (il Sistema di commercio delle emissioni di anidride carbonica adottato dall’Unione Europea).

La seconda modalità è nota come “adattamento”, è quella applicata dall’uomo da quando è comparso sulla Terra: se c’è la siccità si scavano pozzi e si costruiscono acquedotti, per evitare inondazioni si regolamenta il flusso delle acque dei fiumi, se fa freddo si trova il modo di scaldarsi, etc. Inoltre si cerca progressivamente di fare la stessa cosa utilizzando sempre meno energia e materia.

La politica e l’ideologia verde, fino a pochissimi anni fa, ha utilizzato questa divisione spaventando le persone e “forzando” in tal modo l’imbocco della strada della sola “mitigazione”: la firma del protocollo di Kyoto è stato uno degli effetti. Da Prodi, che in campagna elettorale si vantava per essere un Pasdaran di Kyoto, a molti politici del centrodestra, tutti hanno partecipato al carro della mitigazione legiferando e tassando in modo che enormi quantità di denaro pubblico servissero solo a mitigare il clima. Ad esempio abbiamo speso una decina di miliardi di euro l’anno in una tecnologia all’epoca non matura come i pannelli solari, abbiamo così arricchito i cinesi e i tedeschi trasformando il personale delle nostre ditte in “precari” installatori. Gli stessi apparati oggi li compreremmo a circa il 40% del prezzo e con un rendimento molto migliore. Inoltre, per rendere competitivo il costo dell’energia verde, nel prossimo decennio pagheremo le bollette nettamente più care d’Europa, ciò con un beneficio ecologico insignificante per la quantità di emissioni di gas serra a livello globale, mentre i nostri competitor economici continuano ad aumentarle. Per correttezza occorre anche scrivere che, in realtà, la diminuzione delle emissioni è dovuta più alla crisi che all’azione di mitigazione, è stata più “ecologica” la crisi che il Protocollo di Kyoto.

Purtroppo la coperta è corta; si è deciso di puntare tutto sulla parte mitigazione e di lasciare scoperta la parte adattamento. Tutte le persone sono state persuase che la “green economy” era l’energia rinnovabile, la tecnologia d’idrogeno; ci ripetono ogni giorno tutti i mass-media che per salvare il mondo è indispensabile prolungare il Protocollo di Kyoto.

Se avessimo invece capito che “lavori verdi” veri erano quelli dei contadini, degli ingegneri per migliorare le infrastrutture e treni, degli operai per mantenere puliti i canali, dei falegnami che producevano infissi migliori, di industrie che producono manufatti che durano per tantissimo tempo, etc. investendo la stessa enorme quantità di denaro usata per mitigare il clima, ora sicuramente piangeremo meno morti, avremo fatto lavorare italiani invece dei cinesi, la qualità della vita delle persone sarebbe migliorata e non saremo costretti ad inventare termini, come “bombe d’acqua”, per far apparire nuovi i vecchi ed irrisolti problemi.

Invece su tanti quotidiani, in questi giorni si deve ancora leggere che, per evitare eventi come quello sardo, si sarebbe dovuto trovare un accordo vincolante sulla mitigazione a Varsavia al COP 19. Ma in un periodo di crisi economica profonda come questo, come si può ancora accettare che da venti anni, ogni anno migliaia di esperti si radunino due settimane per trovare un accordo? Sapete dove si sono incontrati quest’anno? In uno stadio.


Fonte: visto su La Bussola Quotidiana del 22 novembre 2013




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