“La mancata realizzazione delle opere, che forse avrebbero
potuto in larga misura evitare queste conseguenze così disastrose, è un fatto
che si perpetua da anni, per non dire da secoli in riferimento al comportamento
dei poteri centrali nei confronti della Sardegna”. Quelle riportate sono le
dichiarazioni del Presidente della regione sarda Mario Mellis dopo il
tragico nubifragio sulla Sardegna nell’ottobre del 1986; all’epoca la procura della Repubblica di Cagliari lavorava
sull’ipotesi preliminare di reato di inondazione colposa e omicidio colposo
plurimo.
Tutti sanno che gli egiziani quando esondava il Nilo
facevano festa, da qualche decennio invece il rigonfiamento di un torrente
crea angoscia, se non terrore. Non sarà che abbiamo costruito troppo vicino
agli argini? Che la manutenzione è l’unica parte di bilancio dove, se si
taglia, nessuna lobby fa le barricate? Che avendo resi abitabili i
seminterrati, prima o poi, bisognerà fare i conti con l’acqua che sale? Che
quando si cementificano i fiumi bisogna prevedere un’area di espansione che rimanga
tale anche nei decenni successivi? Come mai un evento meteorologico estremo non
ha mai comportato l’allagamento delle ville a Porto Cervo o dei Parioli a Roma?
Nell’ultimo mezzo secolo i problemi sembrano sempre gli stessi, la differenza è
che nel 1986 il colpevole era il
governo centrale, ora sembra invece essere individuato nel riscaldamento
globale.
Torniamo all’eccezionale nubifragio che in questi giorni
ha colpito la Sardegna causando 16 morti: è davvero un evento meteorologico
mai visto da millenni, come qualcuno ha affermato? Per rispondere basta
tornare, ad esempio all’autunno del 1951,
quando dobbiamo credere che la temperatura del mare e la concentrazione di
anidride carbonica fosse molto minore dell’attuale.
Per avere una descrizione dell’evento migliore di
quanto potrei fare in poche righe, basta leggere la ricostruzione scritta
alcuni anni fa (clicca
qui). Proprio nello stesso giorno in cui il governo stava decidendo gli
aiuti contro un lungo periodo di siccità iniziato nel 1950, cominciò una fase piovosa in cui ci furono picchi giornalieri
mostruosi come i
1431mm a Sicca d’Erba (Arzana) , quantità 2-3 volte maggiori ai valori
veramente eccezionali di questi giorni. Sparirono ponti, strade, due paesi come
Gairo ed
Osini. Una
narrazione dell’evento si può rileggere nei libri della scrittrice sarda
Giovanna Mulas. Fortunatamente i morti furono solo 5, ma all’epoca poche
persone viaggiavano in auto e vivevano nei seminterrati.
Ma perché poche persone ricordano il drammatico e
nefasto alluvione sardo del 1951? Perché nelle stesse ore in Sicilia e
Calabria, sotto una pioggia impressionante, in quattro giorni caddero circa 1770 mm, ci furono oltre 70 vittime,
4.500 senzatetto, quasi 1.700 abitazioni crollate o rese inabitabili, 67comuni
colpiti. Tra le infrastrutture danneggiate, 26 ponti crollati e 77 acquedotti
lesionati (leggi
qui). Il 14 novembre dello stesso anno avvenne, l’ormai leggendario,
alluvione del Polesine, che causò ben 84 morti. Dopo solo 2 anni, il 21 ottobre
1953, la Calabria fu nuovamente colpita da un evento estremo che causò circa
100 morti. Eppure oggi molti ci dicono che decenni fa il clima era
“paradisiaco” rispetto i giorni nostri.
Va pure ricordato che 20 anni fa, come potete
verificare
alla slide 8 , in Corsica, esattamente a Bavello, tra il 31 ottobre ed
il 1 novembre, caddero 920 mm (leggi
qui). Non si può non restare sorpresi vedendo che un ponte, costruito
solo due anni fa a poche decine di chilometri a sud di Bavello, crolla per una
precipitazione che è all’incirca la metà di quella che solo 18 anni prima era
stata misurata. Una curiosità rimane: con quali dati si è costruito?
Potrei annoiare ricordando le alluvioni nei
paesi di Quartu e Quartucciu nel 1881 e del
5 ottobre 1899 con 25 morti , in cui l’acqua raggiunse l’altezza
di 2.30 m dal suolo; ci dovrebbero ancora essere delle lapidi sulle mura delle
chiese a ricordarlo. Con effetti molto meno estesi dell’alluvione del 1951, che
si stima interessò 8mila kmq di territorio, ben 1/3 della superficie
dell’intera Sardegna, un altro evento estremo si ebbe nel 1930 e devastò Uta,
nel novembre 1939 fu distrutta una parte del quartiere Sant’Avendrace a
Cagliari, nel 1946 molti danni ebbero Elmas e Sestu con crollo di un
ponte ed interruzione di strade.
In questi anni, purtroppo, le persone interessate alle vicende
del cambiamento climatico, sono risultate divise tra quelli “certi” che in
questi ultimi anni il clima sia peggiorato di molto a causa delle emissioni dei
combustibili fossili e quelli più “scettici” che credono che i disastri come
quelli attuali ci siano sempre stati. Questi ultimi credono ad esempio che
l’efficienza sia una scelta che va certamente perseguita ma con percorsi
realistici e non obbligati per paura.
Partendo da questi due punti di vista diversi, si
affrontano i disastri naturali causati dall’atmosfera in due diversi modi:
regolando opportunamente la composizione dell’aria per tornare a vivere nel
“paradiso terrestre” di qualche decennio/secolo fa, oppure operando nelle
infrastrutture e nei modi di vivere affinché si riducano progressivamente gli
effetti degli eventi climatici.
La prima modalità è nota come “mitigazione”: la
sua concezione nasce durante la Guerra fredda, periodo in cui anche l’atmosfera
doveva essere “comandata” in modo da poter essere utile in battaglia. Dopo la
caduta del muro di Berlino invece, “normalizzare” l’atmosfera diventa un
problema ecologico da poter affrontare attraverso il solo mercato, ad esempio
con l’Emission trading system (il Sistema di commercio delle emissioni
di anidride carbonica adottato dall’Unione Europea).
La seconda modalità è nota come “adattamento”, è
quella applicata dall’uomo da quando è comparso sulla Terra: se c’è la siccità
si scavano pozzi e si costruiscono acquedotti, per evitare inondazioni si
regolamenta il flusso delle acque dei fiumi, se fa freddo si trova il modo di
scaldarsi, etc. Inoltre si cerca progressivamente di fare la stessa cosa
utilizzando sempre meno energia e materia.
La politica e l’ideologia verde, fino a pochissimi anni
fa, ha utilizzato questa divisione spaventando le persone e “forzando” in
tal modo l’imbocco della strada della sola “mitigazione”: la firma del
protocollo di Kyoto è stato uno degli effetti. Da Prodi, che in campagna
elettorale si vantava per essere un Pasdaran di Kyoto, a molti politici del
centrodestra, tutti hanno partecipato al carro della mitigazione legiferando e
tassando in modo che enormi quantità di denaro pubblico servissero solo a
mitigare il clima. Ad esempio abbiamo speso una decina di miliardi di euro
l’anno in una tecnologia all’epoca non matura come i pannelli solari, abbiamo
così arricchito i cinesi e i tedeschi trasformando il personale delle nostre
ditte in “precari” installatori. Gli stessi apparati oggi li compreremmo a
circa il 40% del prezzo e con un rendimento molto migliore. Inoltre, per
rendere competitivo il costo dell’energia verde, nel prossimo decennio
pagheremo le bollette nettamente più care d’Europa, ciò con un beneficio
ecologico insignificante per la quantità di emissioni di gas serra a livello
globale, mentre i nostri competitor economici continuano ad aumentarle. Per
correttezza occorre anche scrivere che, in realtà, la diminuzione delle
emissioni è dovuta più alla crisi che all’azione di mitigazione, è stata più
“ecologica” la crisi che il Protocollo di Kyoto.
Purtroppo la coperta è corta; si è deciso di puntare
tutto sulla parte mitigazione e di lasciare scoperta la parte adattamento.
Tutte le persone sono state persuase che la “green economy” era l’energia
rinnovabile, la tecnologia d’idrogeno; ci ripetono ogni giorno tutti i
mass-media che per salvare il mondo è indispensabile prolungare il Protocollo
di Kyoto.
Se avessimo invece capito che “lavori verdi” veri erano
quelli dei contadini, degli ingegneri per migliorare le infrastrutture e
treni, degli operai per mantenere puliti i canali, dei falegnami che
producevano infissi migliori, di industrie che producono manufatti che durano
per tantissimo tempo, etc. investendo la stessa enorme quantità di denaro usata
per mitigare il clima, ora sicuramente piangeremo meno morti, avremo fatto
lavorare italiani invece dei cinesi, la qualità della vita delle persone
sarebbe migliorata e non saremo costretti ad inventare termini, come “bombe
d’acqua”, per far apparire nuovi i vecchi ed irrisolti problemi.
Invece su tanti quotidiani, in questi giorni si deve
ancora leggere che, per evitare eventi come quello sardo, si sarebbe dovuto
trovare un accordo vincolante sulla mitigazione a Varsavia al COP 19. Ma in un periodo di crisi
economica profonda come questo, come si può ancora accettare che da venti anni,
ogni anno migliaia di esperti si radunino due settimane per trovare un accordo?
Sapete dove si sono incontrati quest’anno? In uno stadio.
Fonte: visto su La Bussola Quotidiana del 22 novembre 2013
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