Nei vari articoli che si trovano in rete si sente spesso
citare il discorso del cambio lira/euro e di come questo abbia estremamente
penalizzato l’Italia ed avvantaggiato, guarda caso, la Germania.
Per capire bene il forte aiuto che (a prescindere da
tanti altri che verranno trattati in successivi approfondimenti) ha permesso
alla Germania di acquisire un significativo vantaggio competitivo nei nostri
confronti, bisogna fare un passo indietro, tornando allo SME (Sistema Monetario
Europeo), che trovate più specificatamente descritto cliccando ad esempio su http://it.wikipedia.org/wiki/Sistema_monetario_europeo
Qui mi limito a farne una rapida sintesi solo per meglio
comprendere lo scenario: nel marzo 1979 è entrato appunto in vigore tale
sistema monetario al quale vi partecipavano le monete di Germania, Francia,
Italia, Danimarca, Paesi Bassi e Lussemburgo.
Era un sistema a cambi fissi (quindi decisi
dall’uomo) con una limitata flessibilità dei tassi di cambio; ciò
significava che la fluttuazione delle monete c’era ma era limitata da bande di
oscillazione. Le varie valute erano “agganciate” tra di loro tramite un
rapporto di cambio con l’ecu (sostituito poi dall’euro).
La lira rimase nello SME fino al 1992, quando due
formidabili attacchi speculativi da parte di George Soros ci
costrinsero, assieme alla sterlina, ad uscire; la lira vi rientrerà comunque
nuovamente il 25 novembre 1996.
Ricordo che il 1º gennaio 1999 entrò in vigore l’euro, il cui tasso di cambio
irrevocabile con la lira fu fissato a 1936,27
lire per 1 euro. Da quel momento la
lira rimase in vigore solo come “espressione non decimale dell’euro”,
anche se monete e banconote continuavano ad essere denominate in lire. Per
tutte le forme di pagamento “non-fisiche” (trasferimenti elettronici, titoli,
etc.) invece, da quella data si adottò solo l’euro. Il 1999 fu anche l’ultimo anno in cui
la zecca coniò ed
emise le monete, per la comune circolazione, denominate in lire.
Il 1º gennaio 2002,
con l’entrata in circolazione delle monete e banconote in euro, si aprì una fase di doppia
circolazione che poi si chiuse con un progressivo ritiro dal mercato di tutte
le lire.
Se analizziamo questo file pdf che può essere semplicemente
scaricato cliccando su http://www.mediasalles.it/ybk04nat/Ecu.pdf
troviamo in evidenza, in sole quattro pagine, diverse tabelle da cui si nota
l’evoluzione dei tassi di cambio tra le varie valute (lira, marco, etc..)
dapprima con l’ecu e poi con l’euro.
Andiamo per gradi: a pagina 1 troviamo che nel 12/1989 c’era
un rapporto di 1.511,3 lire per 1 ecu.
Sempre nel medesimo mese/anno servivano 2,0125 marchi
tedeschi per “acquistare” (uso le virgolette in quanto l’ecu era una moneta
virtuale) 1 ecu.
Visto che 1 ecu = 2,0125 marchi = 1.511,3 lire si evince che
1 marco = circa 751 lire.
Guardando i vari anni successivi troviamo un progressivo,
seppur contenuto, apprezzamento del marco tedesco nei confronti dell’ecu
(tradotto significa che bastavano meno marchi per “acquistare” 1 ecu) e
contemporaneamente un progressivo e significativo deprezzamento della lira sempre
nei confronti dell’ecu (servivano un numero sempre maggiore di lire per
“acquistare” un ecu).
Fino ad arrivare nel 1999, anno in cui è stata
fissata in modo irrevocabile la parità con l’euro utilizzando un
rapporto di cambio di 989,99 lire per un marco.
Con un semplice esempio numerico cercherò di far capire come
questi cambi “pilotati”, a prescindere da investimenti in ricerca e sviluppo e
produttività (che sono i cavalli di battaglia di chi sostiene che la Germania
abbia acquisito il suo vantaggio competitivo tutto da sola), abbiano comportato
una significativa penalizzazione dell’Italia nei confronti della Germania.
I protagonisti dell’esempio sono:
Mr Euro che vive nel magico
paese chiamato “Eurolandia”;
l’ impresa italiana;
l’impresa tedesca.
Mr Euro a dicembre 1989 si trova a disposizione 100.000 ecu;
decide pertanto di investire l’equivalente di 50.000 ecu creando un’impresa in
Italia e 50.000 ecu creando un’analoga struttura in Germania. Le due imprese
sono strutturate in maniera identica e producono lo stesso prodotto;
inoltre hanno la medesima marginalità ovvero, rispetto ai costi,
riescono ad applicare una maggiorazione del 20 % che costituisce il loro
margine (per semplicità lo chiameremo “utile”; mi perdonino i “puristi”
dell’economia aziendale).
Visto il cambio 1 ecu = 2,0125 marchi, il nostro Mr Euro
inizia il proprio investimento a fine 1989 in Germania investendo 100.625
marchi (l’equivalente appunto di 50.000 ecu). Tale denaro viene investito
producendo ricavi annui per 120.750 marchi (ovvero il 20 % in più dei 100.625
marchi investiti).
Mr Euro decide di tenere gli utili in Germania (pari a
20.125 marchi, differenza tra 120.750 marchi di ricavi e 100.625 marchi di
costi) e di reinvestire nuovamente i 100.625 marchi. Per semplicità ipotizziamo
un tasso d’inflazione pari a zero (ovviamente la medesima ipotesi verrà fatto
anche per l’impresa italiana).
Alla fine del secondo anno si troverà pertanto con ulteriori
utili per altri 20.125 marchi (che sommati ai precedenti fanno 40.250 marchi) e
di nuovo si troverà i 100.625 euro, pronti per essere investiti per un
ulteriore anno.
E così va avanti di anno in anno, sempre con gli stessi
volumi annui e con la stessa marginalità sino ad arrivare al decimo anno; alla
fine del decimo (è ormai dicembre 1999) il nostro Mr Euro si trova pertanto a
disposizione i 100.625 marchi che aveva all’inizio più gli utili dei 10 anni
ovvero 201.250 marchi (20.125 marchi * 10 anni) per un totale di 301.875
marchi; il nostro Mr Euro che, come detto poc’anzi, vive nel magico mondo di
“Eurolandia”, decide di chiudere l’azienda tedesca e portare a casa quanto
investito più ovviamente gli utili, ovvero i 301.875 marchi; in quel momento Mr
Euro scopre che il cambio è 1 euro (ex ecu) = 1,95583 marchi e pertanto si
porta a casa la bellezza di 154.346,24
euro (ex ecu).
Nel dicembre 1989 il nostro Mr Euro aveva però investito
anche l’equivalente di 50.000 ecu in un’industria italiana che produceva il medesimo
prodotto e con la medesima marginalità e struttura dei costi.
Visto il cambio 1 ecu = 1.511,3 lire, il nostro Mr Euro
inizia il proprio investimento a fine 1989 in Italia investendo più di 75
milioni di vecchie lire, per la precisione 75.565.000 lire (l’equivalente di
50.000 ecu); tale denaro viene investito producendo ricavi per 90.678.000 lire
(ovvero il 20 % in più dei 75.565.000 di lire investiti).
Mr Euro, come fatto con l’impresa tedesca, decide di tenere
gli utili in Italia (pari a 15.113.000 di lire ovvero 90.678.000 – 75.565.000)
e di reinvestire nuovamente i 75.565.000 di lire. Per semplicità ipotizziamo un
tasso d’inflazione pari a zero (ovvero la stessa ipotesi fatta per l’azienda
tedesca).
Alla fine del secondo anno si troverà pertanto con ulteriori
utili per altri 15.113.000 di lire (che sommati ai precedenti fanno 30.226.000
di lire) e di nuovo si troverà i 75.565.000 di lire iniziali; e così va avanti
di anno in anno, sempre con gli stessi volumi annui e con la stessa marginalità
sino ad arrivare al decimo anno; alla fine del decimo (è ormai dicembre 1999)
il nostro Mr Euro si troverà pertanto a disposizione i 75.565.000 di lire che
aveva all’inizio più gli utili dei 10 anni ovvero 151.130.000 di lire
(15.113.000 lire * 10 anni) per un totale di 226.695.000 di lire; il nostro Mr
Euro che come detto poc’anzi vive nel magico mondo di “Eurolandia”, decide di
chiudere l’azienda italiana e portare a casa quanto investito più ovviamente
gli utili, ovvero i 226.695.000 di lire; in quel momento Mr Euro scopre che il
cambio è 1 euro (ex ecu) = 1936,27 lire e pertanto si porta a casa la bellezza
di 117.078,20 euro (ex ecu).
Mr Euro si accorge che, pur avendo investito in due aziende identiche,
con lo stesso grado di tecnologia, frutto dei medesimi
investimenti in ricerca e sviluppo, due imprese con la stessa
marginalità, con lo stesso volume d’affari, con il medesimo
livello d’inflazione (per semplicità ipotizzato a zero; qualcuno potrebbe
evidenziare che i tassi d’inflazione in Germania e Italia erano e sono tutt’ora
diversi e che ciò sfalsa l’esempio numerico; rispondo che è vero che sono stati
e sono diversi ma ciò non sfalsa l’esempio, semmai, se considerati, “amplifica”
il risultato finale), alla fine dei dieci anni si trova con una differenza tra
l’industria tedesca e quella italiana di ben 37.268,04 euro (ex ecu) pari a
154.346,24 euro (ex ecu) meno 117.078,20 euro (ex ecu).
Mr Euro all’inizio non capisce il perché della differenza;
pensa che gli italiani lo abbiano “fregato” ma poi razionalmente apprende che
tutto ciò è avvenuto unicamente per via del cambio; mentre il marco si era
leggermente apprezzato nei confronti dell’euro (ex ecu) passando da 2,0125
marchi per 1 ecu a 1,95583 marchi per un euro (ex ecu), la lira si era molto
svalutata (infatti era passata da 1.511,3 lire per 1 ecu a 1.936,27 per 1
euro).
Spero che questo esempio, pur con le semplificazioni
adottate, abbia messo in luce il grande potere del cambio e come “manovrare
un cambio”, prima con lo sme e poi con l’euro, abbia dato una significativa
“mazzata” all’Italia, avvantaggiando pertanto la Germania.
Tornando all’esempio e vedendola da un’altra angolazione,
troviamo un’ impresa italiana con all’inizio i suoi 50.000 ecu che alla fine
dei 10 anni sono diventati 117.078,20 euro (ex ecu); in termini matematici,
questa azienda ha avuto un rendimento medio annuo (in regime di
interesse composto) del suo investimento pari a circa l’ 8,88 %.
E quella tedesca invece? Con i suoi 50.000 ecu che alla fine
dei 10 anni sono diventati 154.346,24 euro (ex ecu), significa un rendimento
medio annuo di circa l’ 11,93 %.
11,93 % – 8,88 % = 3,05 % di differenza sulla redditività annua
a favore (che strano) dell’impresa tedesca.
Nell’esempio da me fatto, seppur con tutte le
semplificazioni del caso, possiamo veramente affermare che l’azienda
tedesca è riuscita a “vincere la “sfida” sulla concorrente italiana perché è
stata più brava? Perché ha investito in ricerca e sviluppo? Perché è stata più
produttiva?
Al lettore lascio questa “difficile” risposta.
Purtroppo al popolo italiano bisogna raccontare la
“storiella” che gli italiani non hanno investito / non stanno investendo
sufficientemente in “ricerca e sviluppo” e che non sono abbastanza produttivi…
Occhi aperti quindi!
Michele Belluco
Fonte: visto su STAMPA LIBERA del 17 novembre 2013
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