domenica 10 novembre 2013

GIUSTIZIA: SE NON CREDETE A BERLUSCONI SULLA GIUSTIZIA, CREDETE ALMENO A DOMENICI, EX SINDACO ROSSO DI FIRENZE MACIULLATO INGIUSTAMENTE DA PM E GIORNALI



La migliore documentazione dell’improrogabilità di una riforma della giustizia in Italia, probabilmente, non arriva dai berluscones né da un Silvio Scaglia qualunque, ma da Leonardo Domenici, predecessore di Matteo Renzi sulla poltrona di sindaco di Firenze e oggi eurodeputato di sinistra, alle spalle tutta una carriera di totale osservanza “rossa”: dal Pci al Pd passando per Pds e Ds.

INCATENATO DAVANTI ALL’ESPRESSO.




Come racconta in una lettera imperdibile inviata al Corriere della Sera, Domenici nel 2008, quando era appunto sindaco di Firenze, finì maciullato nel perverso meccanismo mediatico-giudiziario che abbiamo imparato a conoscere molto bene. Forse a qualcuno sono rimaste impresse nella mente le foto di lui incatenato per protesta sotto la sede del gruppo editoriale L’Espresso, gesto disperato che all’epoca – ricorda l’esponente democratico nella lettera al Corriere – gli fece ottenere «un po’ di attenzione» e «qualche attestato di stima e un po’ di solidarietà» (per altro «sottotraccia»), ma nulla più. E infatti quell’inchiesta costerà a Domenici, nemmeno indagato, altri cinque anni di calvario.

IL CASO.
L’indagine, scrive l’ex sindaco, verteva «sulla urbanizzazione dell’area di Castello, situata ai confini della periferia nord della città e proprietà della società assicuratrice Fondiaria, controllata dalla famiglia Ligresti».
A novembre 2008 scattarono le perquisizioni e i sequestri, ovviamente con tutto il clamore mediatico possibile: gli inquirenti sospettavano un giro di favori&corruzione che, finalmente smascherato, avrebbe dovuto sollevare il coperchio sulla solita nuova Tangentopoli.
 Ricostruisce Domenici: «Il clima si fa subito molto pesante. Dalla Procura fanno sapere che si sta propagando un “incendio”. Molti giornali (soprattutto alcuni quotidiani e settimanali) vedono in questa inchiesta una delle prove più significative del malgoverno che alberga nelle giunte locali di centrosinistra. Il sottoscritto (allora sindaco di Firenze e presidente nazionale dei Comuni italiani) diventa oggetto di un attacco mediatico molto violento, pur non essendo indagato né tanto meno, in seguito, imputato. Intanto, fioccano intercettazioni. Sulla base di una di queste, in cui vengo registrato anch’io, un autorevole settimanale giunge a scrivere che le mie parole “testimoniano un male che va oltre la corruzione addebitata ai due assessori di Palazzo Vecchio in rapporti troppo intimi con Salvatore Ligresti”».

ASSOLUZIONI.
Ebbene, nel marzo di quest’anno si è concluso il processo, «con l’assoluzione di tutti gli imputati dalla accusa di corruzione», aggiunge l’ex sindaco. Qualcuno se n’era accorto? No. Infatti – si legge nella lettera – adesso che «sono state rese note le motivazioni della sentenza», Domenici ha deciso di impugnare carta e penna per esprimere pubblicamente il «senso di profonda amarezza per le sofferenze gratuite cui, in questa lunga vicenda, sono stati sottoposti imputati e non imputati» e «la sproporzione fra il rilievo mediatico (molto ampio) dato all’inchiesta e quello (molto più limitato) della conclusione del processo e, appunto, delle motivazioni della sentenza».

ESISTE UN PROBLEMA.
Ma soprattutto Domenici ha voluto rendere la sua testimonianza al Corriere per denunciare che «esiste comunque un problema che va affrontato e riguarda il malfunzionamento del nostro sistema giudiziario, la snervante lunghezza di processi che si svuotano di contenuto e alterano l’applicazione del principio di giustizia, l’impatto politico-mediatico delle inchieste e il ruolo del pubblico ministero». Urge dunque una riforma. Lo dimostrano assai bene le stesse motivazioni della sentenza del “caso Domenici”, dove si riconosce – spiega sempre l’ex sindaco – «la correttezza dell’operato dell’amministrazione comunale» e si svolgono «interessanti considerazioni su questioni delicate e rilevanti (per esempio, l’uso delle intercettazioni nelle inchieste e il riconoscimento della autonomia della sfera politico-amministrativa, sottoposta in ultima istanza al giudizio della sovranità popolare)».


Fonte: Visto su TEMPI del  6 novembre 2013
Link: http://www.tempi.it/se-non-credete-a-berlusconi-sulla-giustizia-credete-almeno-a-domenici-ex-sindaco-rosso-di-firenze-maciullato-ingiustamente-da-pm-e-giornali#.Un6gP5E4-uW





L’EX SINDACO (PD) DI FIRENZE CI RACCONTA COSA SIGNIFICHI ESSERE «SCHIACCIATI» DAL CIRCO MEDIATICO GIUDIZIARIO. PER CINQUE ANNI




Intervista a Leonardo Domenici che fu vittima dell’uso «”disinvolto” del materiale d’inchiesta da parte di magistrati e giornalisti» e fu additato dall’Espresso come esempio di connubio tra affari e politica


«Il circo mediatico-giudiziario è un meccanismo che ti schiaccia», spiega Leonardo Domenici a tempi.it: «Quando mi sono trovato dentro, ho avuto la consapevolezza di non avere i mezzi per uscirne». Per dieci anni Domenici è stato sindaco di Firenze. Nel 2008, un anno prima di passare il testimone a Matteo Renzi, alcuni componenti della sua giunta di centrosinistra furono accusati dai magistrati di aver elargito favori alla famiglia Ligresti. Benché il sindaco non fosse stato imputato di nulla, alcune sue conversazioni finirono sull’Espresso. A quelle accuse mediatiche, Domenici rispose con un «gesto di protesta clamoroso», incatenandosi all’entrata della sede del settimanale della famiglia De Benedetti, «per difendermi e per difendere chi si è trovato nella mia condizione, e attirare l’attenzione sull’uso “disinvolto” del materiale d’inchiesta da parte di magistrati e giornalisti».

Il processo di primo grado ha portato all’assoluzione di tutti gli imputati. A cosa sono servite le sue conversazioni intercettate?
A niente. Le intercettazioni che mi riguardano non avevano a che fare con i capi d’accusa. Erano materiale che faceva da corollario all’inchiesta. Tuttavia alcune di quelle conversazioni furono utilizzate dall’Espresso come esempio negativo del connubio tra affari e politica.

Quindi servirono soltanto ad orchestrare una campagna mediatica. Qual è l’effetto più deleterio di questi comportamenti mediatico-giudiziari?
L’alterazione del principio di giustizia. I tempi dei processi in Italia sono lunghissimi. Si è dovuto aspettare cinque anni per una sentenza di assoluzione. Purtroppo quando arriva la sentenza non ha lo stesso risalto del putiferio mediatico scatenatosi all’inzio dell’inchiesta. È come quando consegnano un avviso di garanzia: se le parole hanno un senso, vorrebbe garantire l’indagato, eppure, nei fatti, è propagandato dai media come se si trattasse di una condanna.

Il rapporto fra magistrati e giornalisti come dovrebbe essere regolato?
Bisogna porre fina a ogni rapporto distorto fra magistratura e sistema mediatico. Credo che a questo fenomeno debba rispondere non soltanto la politica ma anche il mondo della cultura, delle università, che dovrebbe riflettere sulle soluzioni. Io mi auguro che si parta dal principio di giustizia. Per quanto riguarda i media, l’obiettivo non dovrebbe essere soltanto quello di tutelare il soggetto che produce informazione, il giornalista, le cui garanzie non possono soverchiare quelle degli oggetti delle loro inchieste.

Il malfunzionamento della giustizia e le relazioni inappropriate fra media e magistrati sono frutto dell’inadeguatezza delle leggi o del comportamento di singoli pm, giudici e giornalisti?
Entrambe le cose. C’è un problema che riguarda la responsabilità e la deontologia, alle quali alcuni giornalisti e alcuni magistrati vengono meno. Per quanto riguarda la magistratura in generale – il pm, che secondo la Costituzione è un giudice e non l’avvocato dell’accusa – ha assunto in questi anni un ruolo pubblico che va ben al di là delle proprie funzioni. E ciò è andato a discapito delle garanzie della difesa.

Come si dovrebbero tutelare il diritto a un equo processo e le garanzie della difesa?
Occorrerebbe almeno una forma di separazione delle carriere fra magistratura giudicante e requirente, tutelando, con specifiche norme, i togati dalle intereferenze dell’esecutivo. Non penso che sia un problema. Poi, bisognerebbe attuare l’uguaglianza fra difesa e pm, equilibrando il ruolo del magistrato requirente con quello della controparte difensiva. Da ultimo bisognerebbe risolvere una volta per tutte il problema della nota debolezza del Giudice per le indagini preliminari nei confronti del Pm.


Fonte: visto su TEMPI del 9 novembre 2013










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