di GIOVANNI BIRINDELLI
La vicenda MPS ha ringalluzzito coloro che ritengono che
il problema principale del sistema bancario sia la presenza dei partiti
politici negli organi che controllano le banche (generalmente le fondazioni).
In un recente
articolo, per esempio, Marco
Travaglio invita Napolitano a lanciare “un bel monito ai politici perché
escano dalle banche (e dalle fondazioni) con le mani alzate e tornino a fare il
loro mestiere: che, sulle banche, è quello dell’arbitro, non del giocatore”.
Le ragioni per cui ai partiti politici debba essere
impedito con la forza di partecipare al controllo delle banche sono ovvie e
non è mia intenzione discuterle. Quello che invece credo che valga la pena
discutere è l’idea, che mi sembra implicita nelle parole di Travaglio, secondo
cui questo basterebbe perché le banche operino in un sistema di libero mercato.
Non è così. Il problema di gran lunga maggiore del sistema bancario non è che i
partiti controllano le banche, ma che esse (tutte) operano al di fuori
delle regole del libero mercato e quindi che la loro attività, per quanto
generalmente legale (cioè rispettosa della ‘legge’ intesa come provvedimento
particolare, come strumento di potere), è in gran parte illegittima (cioè viola
la legge intesa come principio generale e astratto, come limite al potere). In
altri termini, il problema principale del sistema bancario sta nel fatto che lo
Stato, grazie all’idea di ‘legge’ oggi prevalente (il positivismo giuridico
imposto dalla nostra costituzione), ha concesso alle banche un particolare
privilegio: quello di operare in regime di riserva frazionaria.
Nel momento in cui si togliesse questo privilegio, i partiti uscirebbero dalle
banche alla velocità del fulmine (anche senza il dovuto ricorso alla
coercizione) in quanto le banche diventerebbero un’attività imprenditoriale
come tutte le altre. Tuttavia, finché non si toglie quel privilegio, che i
partiti controllino le banche o meno, i legami fra Stato e banche continueranno
a esserci come ci sono sempre stati da quando è stato legalizzato il regime di
riserva frazionaria (anche in assenza di controllo delle banche da parte del
potere politico) e le banche continueranno a non operare in regime di
libero mercato.
Gli effetti economici di questo particolare privilegio
sono devastanti ma, visto che i giornalisti sedicenti ‘liberali’
generalmente non sanno cosa sia il libero mercato e quindi non conoscono questi
effetti, questi ultimi rimangono sconosciuti a molte persone.
Il regime di riserva frazionaria consente alle banche di
creare credito (e quindi denaro) dal nulla. Se Tizio deposita 1.000 euro
nella banca A, questa oggi è tenuta a trattenere solo una determinata
percentuale (poniamo l’1%, cioè 10 euro) e può prestare il rimanente 99% a
Caio. Se Caio deposita questo prestito nella banca B, quest’ultima dovrà, a sua
volta, trattenere solo l’1% della somma depositata e potrà prestare a Sempronio
il rimanente 99%. E così via fino a che i 1.000 euro iniziali non avranno
consentito al sistema bancario nel suo complesso di produrre 99.000 euro di
credito (e quindi di denaro) finto, creato dal nulla (senza che cioè alle sue
spalle ci sia del risparmio). Questo meccanismo è illegittimo in quanto
consiste in appropriazione indebita. Se Tizio prestasse i suoi
1.000 euro alla banca A egli rinuncerebbe alla disponibilità di quei 1.000
euro. Questa disponibilità verrebbe trasferita alla banca A, che dovrebbe
compensare Tizio con un tasso d’interesse: in questo caso non ci sarebbe nessun
problema. Ma, depositando (e non prestando) i suoi 1.000 euro
presso la banca A, Tizio non rinuncia alla loro disponibilità: egli li
deposita presso la banca per avere determinati servizi di custodia, di
sicurezza, di pagamento, ecc. (oggi egli è addirittura obbligato dallo
Stato a depositarli in banca, non potendo pagare in contanti sopra una cifra
che sembra destinata a ridursi sempre di più) ma il giorno dopo li può usare
per comprare una bicicletta.
Il problema è che, nel momento in cui la banca A presta a
Caio il 99% di quei 1.000 euro, essa trasferisce la disponibilità di quei
soldi a Caio. Quindi, grazie al meccanismo della riserva frazionaria, Tizio e
Caio hanno contemporaneamente la ‘disponibilità’ sugli stessi soldi (più
precisamente, Caio ha la disponibilità sul 99% dei soldi di Tizio). Questo
significa che se un giorno Caio li usa per comprarsi un paio di sci e il giorno
dopo Tizio li vuole usare per comprare una bicicletta (oppure, caso più
realistico, se un giorno a seguito del venir meno della fiducia dei vari ‘Tizi’
nella capacità delle banche di restituire loro i soldi depositati, questi si
presentano contemporaneamente allo sportello per chiedere i loro 1.000 euro), Tizio con molta probabilità scoprirà che i
suoi soldi non ci sono: la banca A se ne è appropriata per prestarli a Caio e
guadagnarci un tasso d’interesse. Quindi, come Jesús Huerta de Soto dimostra
ampiamente nel suo capolavoro Money, Bank Credit and Economic Cycles sia
sotto il profilo logico-giuridico che sotto quello storico, “un qualunque uso
di questo denaro [quello depositato presso le banche e non prestato, n.d.r.],
in particolare per fare prestiti, … è un atto di appropriazione indebita”.
In un lontano passato, quando la legge era considerata un principio
generale e astratto da scoprire, custodire e difendere (e non un provvedimento
particolare da decidere), questo crimine era considerato gravissimo (in alcuni
casi veniva punito addirittura con la decapitazione), tant’è che le banche
inizialmente lo compivano di nascosto e vergognandosene.
Oggi che la ‘legge’ è
diventata la decisione arbitraria del politicamente più forte, il
meccanismo della riserva frazionaria non è più un reato: mentre
l’appropriazione indebita viene generalmente vietata, alle banche è stato
concesso il privilegio di poter commettere questo crimine legalmente.
Il vantaggio che le banche derivano dal crimine della
riserva frazionaria (e ancora di più da quello dell’impedimento dell’uso
del contante che certi cialtroni auspicano e difendono) è chiaro: esse possono
caricare interessi su una montagna di credito generato dal nulla. Gli Stati hanno
concesso questo privilegio alle banche in cambio della possibilità (spesso
tacita) di poter avere accesso a parte di quella montagna di denaro creato dal
nulla per finanziarsi. Gli effetti economici della riserva frazionaria
sono quelli della manipolazione monetaria e del credito: un periodo di boom
economico seguito necessariamente dalla crisi e, prima o poi, dalla
catastrofe. La riserva frazionaria infatti consente di aumentare la quantità di
credito disponibile senza aumentare il tasso d’interesse (e quindi di mantenere
un tasso d’interesse artificialmente basso): questo segnala la disponibilità di
risparmi che in effetti non ci sono. Sulla base di queste informazioni false
verranno fatti investimenti sbagliati, sia per quantità che per tipologia. Quando
l’errore di queste informazioni si manifesta, il castello di carta crolla,
lasciando dietro di se miseria e le macerie di una struttura produttiva
de-sviluppata. Questa miseria e queste macerie che saranno tanto peggiori e
dureranno tanto più a lungo quanto più a lungo sarà durata la manipolazione
monetaria e del credito e quanto più regolamentati sono l’economia in generale
e il cosiddetto ‘mercato’ del lavoro in particolare.
La riserva frazionaria, che rende possibile alle banche
di svolgere legalmente un’attività criminale molto profittevole, rende così
il sistema economico strutturalmente instabile e cioè necessariamente esposto a
cicli economici di boom e crisi. È per far fronte a questa instabilità strutturale
prodotta dalla riserva frazionaria che è stato necessario istituire le banche
centrali (i prestatori di ultima istanza, gli stampatori di denaro che, per
evitare il collasso del sistema, potessero andare in soccorso delle banche nei
momenti di crisi trasferendo sulla gran parte dei cittadini, mediante la
perdita del potere d’acquisto della moneta imposta col corso forzoso e di ciò
che ne consegue, il costo di questo salvataggio e cioè del privilegio che lo ha
reso necessario). Quindi se un monito sul sistema bancario ci deve essere, ma
non da parte di un presidente comunista che di privilegi ne
sa qualcosa, ma da parte delle persone intellettualmente libere, è che
venga abolito il privilegio della riserva frazionaria. Ristabilendo la
distinzione fra prestito (in cui si rinuncia a beni presenti per beni futuri) e
deposito (in cui non si rinuncia a beni presenti per beni futuri), occorre:
.
per i depositi, che le banche siano
obbligate a mantenere il 100% di liquidità (il che da un lato rende inutili le
banche centrali, le quali quindi potrebbero essere chiuse, e, dall’altro,
implica che le banche commerciali vengano pagate dai depositanti per i loro
servizi di custodia e non che esse corrispondano ai depositanti un tasso
d’interesse, per quanto misero);
.
per i prestiti, che le banche ricevano
prestiti da privati (pagando un tasso d’interesse) e a loro volta li facciano
ad altri (caricando un tasso d’interesse maggiore) come avveniva in origine.
Faccio notare che oggi, a seguito della contrazione del credito prodotta dalla
crisi e grazie a internet, questa attività comincia ad avvenire di nuovo nei
prestiti fra privati attraverso un intermediario (si vedano operatori come Smartika per esempio).
.
Riagganciando i prestiti (e quindi gli investimenti) ai
risparmi si restaurerebbe un pezzo di legge (si abolirebbe un privilegio) e
si eliminerebbe la possibilità stessa delle crisi economiche cicliche come
quella che stiamo vivendo. In altre parole si introdurrebbe un pezzo di libero
mercato nel settore bancario, libero mercato che oggi non c’è e che non ci
sarebbe nemmeno se i partiti uscissero dalle banche. Dico “un pezzo” di libero
mercato perché il libero mercato (cioè la sovranità della legge intesa come
principio generale e astratto) implica non solo l’abolizione ma l’impossibilità
di tutti i privilegi: dal corso forzoso della moneta alla
regolamentazione dei ‘mercati’ del lavoro e degli affitti immobiliari; dalla
discriminazione fiscale (per esempio la progressività fiscale, la tobin tax,
eccetera), alla redistribuzione delle risorse; dalla fissazione arbitraria del
tasso d’interesse da parte delle banche centrali alle altre forme di fissazione
dei prezzi; dal finanziamento pubblico dei partiti a quello dell’agricoltura,
dell’editoria, dello sport, del cinema, del teatro, dell’università, e chi più
ne ha più ne metta. Insomma, il libero mercato, implicando l’impossibilità di
tutti i privilegi, implica l’impossibilità dell’interventismo economico da
parte dello Stato in generale.
Perché l’abolizione di tutti i privilegi sia possibile,
occorre passare dalla sovranità dei legislatori (chiunque essi siano) o del
‘popolo’, alla sovranità della legge la quale (non può essere mai ricordato abbastanza
spesso), essendo il risultato di un processo spontaneo di selezione culturale
di usi e convenzioni, è indipendente dalla volontà di coloro che la devono
scoprire e difendere allo stesso modo in cui le regole di una lingua sono
indipendenti dalla volontà di un gruppo di linguisti. Il problema non è chi
comanda (se la maggioranza di Grillo, di Berlusconi, di Monti o di Bersani), ma
l’idea di legge che limita il suo potere: oggi, grazie al positivismo giuridico
imposto dalla nostra costituzione totalitaria, il potere politico (chiunque sia
a detenerlo) è illimitato e la tragedia è che non c’è nessuno dei candidati in
lizza che si ponga il problema di limitarlo. Ma per passare dal socialismo
attuale alla società libera, occorrono persone (e anche giornalisti), che,
nell’osservare e criticare la realtà che osservano, capiscano la differenza fra
leggi e misure; fra potere legislativo (il potere di scoprire e difendere la
legge intesa come principio generale e astratto) e potere politico (il potere
di decidere un provvedimento particolare: non è il potere politico, ma il
potere legislativo che deve fare l’arbitro); fra legittimità e legalità;
fra libero mercato e socialismo. Occorrono cioè persone che non cerchino una
soluzione ai problemi all’interno della stessa struttura totalitaria che li ha
prodotti, ma che abbiano la capacità intellettuale (e il coraggio) di mettere
in discussione quella struttura, di guardare a monte, di cercare le cause dei
problemi, e non solo di osservare gli effetti.
Queste persone oggi si contano quasi sulle dita di una
mano e Marco Travaglio non è una di esse, il che è evidente non solo nel
modo in cui affronta i problemi del sistema bancario ma anche quando, sempre in
buona compagnia, si scandalizza per il fatto che Berlusconi abbia fatto
le sue quaranta e più ‘leggi’ ad personam ma non si scandalizza
minimamente per il fatto che le abbia potute fare legalmente (anzi
elogia la costituzione che ha reso possibile che ciò avvenisse); oppure quando
condanna l’evasione fiscale a priori, cioè senza prima giudicare la
legittimità (non la legalità) del sistema fiscale, la quale dipende non solo
dal modo in cui sono prelevate le tasse (per esempio se nel rispetto dell’
uguaglianza davanti alla legge o meno, cioè con assenza o meno di disuguaglianza
legale) ma anche da ciò che queste finanziano (per esempio il fatto che esse si
limitino a finanziare lo Stato minimo o meno, comunque lo si voglia non
arbitrariamente definire).
Fonte: visto su L’Indipendenza del 25 febbreaio 2013
Nessun commento:
Posta un commento