lunedì 18 novembre 2013

MONTE DEI PASCHI SPIEGATO A TRAVAGLIO: LA RISERVA FRAZIONARIA È UN CRIMINE



di GIOVANNI BIRINDELLI

La vicenda MPS ha ringalluzzito coloro che ritengono che il problema principale del sistema bancario sia la presenza dei partiti politici negli organi che controllano le banche (generalmente le fondazioni). In un recente articolo, per esempio, Marco Travaglio invita Napolitano a lanciare “un bel monito ai politici perché escano dalle banche (e dalle fondazioni) con le mani alzate e tornino a fare il loro mestiere: che, sulle banche, è quello dell’arbitro, non del giocatore”.

Le ragioni per cui ai partiti politici debba essere impedito con la forza di partecipare al controllo delle banche sono ovvie e non è mia intenzione discuterle. Quello che invece credo che valga la pena discutere è l’idea, che mi sembra implicita nelle parole di Travaglio, secondo cui questo basterebbe perché le banche operino in un sistema di libero mercato. Non è così. Il problema di gran lunga maggiore del sistema bancario non è che i partiti controllano le banche, ma che esse (tutte) operano al di fuori delle regole del libero mercato e quindi che la loro attività, per quanto generalmente legale (cioè rispettosa della ‘legge’ intesa come provvedimento particolare, come strumento di potere), è in gran parte illegittima (cioè viola la legge intesa come principio generale e astratto, come limite al potere). In altri termini, il problema principale del sistema bancario sta nel fatto che lo Stato, grazie all’idea di ‘legge’ oggi prevalente (il positivismo giuridico imposto dalla nostra costituzione), ha concesso alle banche un particolare privilegio: quello di operare in regime di riserva frazionaria. Nel momento in cui si togliesse questo privilegio, i partiti uscirebbero dalle banche alla velocità del fulmine (anche senza il dovuto ricorso alla coercizione) in quanto le banche diventerebbero un’attività imprenditoriale come tutte le altre. Tuttavia, finché non si toglie quel privilegio, che i partiti controllino le banche o meno, i legami fra Stato e banche continueranno a esserci come ci sono sempre stati da quando è stato legalizzato il regime di riserva frazionaria (anche in assenza di controllo delle banche da parte del potere politico) e le banche continueranno a non operare in regime di libero mercato.

Gli effetti economici di questo particolare privilegio sono devastanti ma, visto che i giornalisti sedicenti ‘liberali’ generalmente non sanno cosa sia il libero mercato e quindi non conoscono questi effetti, questi ultimi rimangono sconosciuti a molte persone.

Il regime di riserva frazionaria consente alle banche di creare credito (e quindi denaro) dal nulla. Se Tizio deposita 1.000 euro nella banca A, questa oggi è tenuta a trattenere solo una determinata percentuale (poniamo l’1%, cioè 10 euro) e può prestare il rimanente 99% a Caio. Se Caio deposita questo prestito nella banca B, quest’ultima dovrà, a sua volta, trattenere solo l’1% della somma depositata e potrà prestare a Sempronio il rimanente 99%. E così via fino a che i 1.000 euro iniziali non avranno consentito al sistema bancario nel suo complesso di produrre 99.000 euro di credito (e quindi di denaro) finto, creato dal nulla (senza che cioè alle sue spalle ci sia del risparmio). Questo meccanismo è illegittimo in quanto consiste in appropriazione indebita. Se Tizio prestasse i suoi 1.000 euro alla banca A egli rinuncerebbe alla disponibilità di quei 1.000 euro. Questa disponibilità verrebbe trasferita alla banca A, che dovrebbe compensare Tizio con un tasso d’interesse: in questo caso non ci sarebbe nessun problema. Ma, depositando (e non prestando) i suoi 1.000 euro presso la banca A, Tizio non rinuncia alla loro disponibilità: egli li deposita presso la banca per avere determinati servizi di custodia, di sicurezza, di pagamento, ecc. (oggi egli è addirittura obbligato dallo Stato a depositarli in banca, non potendo pagare in contanti sopra una cifra che sembra destinata a ridursi sempre di più) ma il giorno dopo li può usare per comprare una bicicletta.

Il problema è che, nel momento in cui la banca A presta a Caio il 99% di quei 1.000 euro, essa trasferisce la disponibilità di quei soldi a Caio. Quindi, grazie al meccanismo della riserva frazionaria, Tizio e Caio hanno contemporaneamente la ‘disponibilità’ sugli stessi soldi (più precisamente, Caio ha la disponibilità sul 99% dei soldi di Tizio). Questo significa che se un giorno Caio li usa per comprarsi un paio di sci e il giorno dopo Tizio li vuole usare per comprare una bicicletta (oppure, caso più realistico, se un giorno a seguito del venir meno della fiducia dei vari ‘Tizi’ nella capacità delle banche di restituire loro i soldi depositati, questi si presentano contemporaneamente allo sportello per chiedere i loro 1.000 euro),  Tizio con molta probabilità scoprirà che i suoi soldi non ci sono: la banca A se ne è appropriata per prestarli a Caio e guadagnarci un tasso d’interesse. Quindi, come Jesús Huerta de Soto dimostra ampiamente nel suo capolavoro Money, Bank Credit and Economic Cycles sia sotto il profilo logico-giuridico che sotto quello storico, “un qualunque uso di questo denaro [quello depositato presso le banche e non prestato, n.d.r.], in particolare per fare prestiti, … è un atto di appropriazione indebita”.  In un lontano passato, quando la legge era considerata un principio generale e astratto da scoprire, custodire e difendere (e non un provvedimento particolare da decidere), questo crimine era considerato gravissimo (in alcuni casi veniva punito addirittura con la decapitazione), tant’è che le banche inizialmente lo compivano di nascosto e vergognandosene.
Oggi che la ‘legge’ è diventata la decisione arbitraria del politicamente più forte, il meccanismo della riserva frazionaria non è più un reato: mentre l’appropriazione indebita viene generalmente vietata, alle banche è stato concesso il privilegio di poter commettere questo crimine legalmente.

Il vantaggio che le banche derivano dal crimine della riserva frazionaria (e ancora di più da quello dell’impedimento dell’uso del contante che certi cialtroni auspicano e difendono) è chiaro: esse possono caricare interessi su una montagna di credito generato dal nulla. Gli Stati hanno concesso questo privilegio alle banche in cambio della possibilità (spesso tacita) di poter avere accesso a parte di quella montagna di denaro creato dal nulla per finanziarsi. Gli effetti economici della riserva frazionaria sono quelli della manipolazione monetaria e del credito: un periodo di boom economico seguito necessariamente dalla crisi e, prima o poi, dalla catastrofe. La riserva frazionaria infatti consente di aumentare la quantità di credito disponibile senza aumentare il tasso d’interesse (e quindi di mantenere un tasso d’interesse artificialmente basso): questo segnala la disponibilità di risparmi che in effetti non ci sono. Sulla base di queste informazioni false verranno fatti investimenti sbagliati, sia per quantità che per tipologia. Quando l’errore di queste informazioni si manifesta, il castello di carta crolla, lasciando dietro di se miseria e le macerie di una struttura produttiva de-sviluppata. Questa miseria e queste macerie che saranno tanto peggiori e dureranno tanto più a lungo quanto più a lungo sarà durata la manipolazione monetaria e del credito e quanto più regolamentati sono l’economia in generale e il cosiddetto ‘mercato’ del lavoro in particolare.

La riserva frazionaria, che rende possibile alle banche di svolgere legalmente un’attività criminale molto profittevole, rende così il sistema economico strutturalmente instabile e cioè necessariamente esposto a cicli economici di boom e crisi. È per far fronte a questa instabilità strutturale prodotta dalla riserva frazionaria che è stato necessario istituire le banche centrali (i prestatori di ultima istanza, gli stampatori di denaro che, per evitare il collasso del sistema, potessero andare in soccorso delle banche nei momenti di crisi trasferendo sulla gran parte dei cittadini, mediante la perdita del potere d’acquisto della moneta imposta col corso forzoso e di ciò che ne consegue, il costo di questo salvataggio e cioè del privilegio che lo ha reso necessario). Quindi se un monito sul sistema bancario ci deve essere, ma non da parte di un presidente comunista che di privilegi ne sa qualcosa, ma da parte delle persone intellettualmente libere, è che venga abolito il privilegio della riserva frazionaria. Ristabilendo la distinzione fra prestito (in cui si rinuncia a beni presenti per beni futuri) e deposito (in cui non si rinuncia a beni presenti per beni futuri), occorre:

.        per i depositi, che le banche siano obbligate a mantenere il 100% di liquidità (il che da un lato rende inutili le banche centrali, le quali quindi potrebbero essere chiuse, e, dall’altro, implica che le banche commerciali vengano pagate dai depositanti per i loro servizi di custodia e non che esse corrispondano ai depositanti un tasso d’interesse, per quanto misero);
.        per i prestiti, che le banche ricevano prestiti da privati (pagando un tasso d’interesse) e a loro volta li facciano ad altri (caricando un tasso d’interesse maggiore) come avveniva in origine. Faccio notare che oggi, a seguito della contrazione del credito prodotta dalla crisi e grazie a internet, questa attività comincia ad avvenire di nuovo nei prestiti fra privati attraverso un intermediario (si vedano operatori come Smartika per esempio).
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Riagganciando i prestiti (e quindi gli investimenti) ai risparmi si restaurerebbe un pezzo di legge (si abolirebbe un privilegio) e si eliminerebbe la possibilità stessa delle crisi economiche cicliche come quella che stiamo vivendo. In altre parole si introdurrebbe un pezzo di libero mercato nel settore bancario, libero mercato che oggi non c’è e che non ci sarebbe nemmeno se i partiti uscissero dalle banche. Dico “un pezzo” di libero mercato perché il libero mercato (cioè la sovranità della legge intesa come principio generale e astratto) implica non solo l’abolizione ma l’impossibilità di tutti i privilegi: dal corso forzoso della moneta alla regolamentazione dei ‘mercati’ del lavoro e degli affitti immobiliari; dalla discriminazione fiscale (per esempio la progressività fiscale, la tobin tax, eccetera), alla redistribuzione delle risorse; dalla fissazione arbitraria del tasso d’interesse da parte delle banche centrali alle altre forme di fissazione dei prezzi; dal finanziamento pubblico dei partiti a quello dell’agricoltura, dell’editoria, dello sport, del cinema, del teatro, dell’università, e chi più ne ha più ne metta. Insomma, il libero mercato, implicando l’impossibilità di tutti i privilegi, implica l’impossibilità dell’interventismo economico da parte dello Stato in generale.

Perché l’abolizione di tutti i privilegi sia possibile, occorre passare dalla sovranità dei legislatori (chiunque essi siano) o del ‘popolo’, alla sovranità della legge la quale (non può essere mai ricordato abbastanza spesso), essendo il risultato di un processo spontaneo di selezione culturale di usi e convenzioni, è indipendente dalla volontà di coloro che la devono scoprire e difendere allo stesso modo in cui le regole di una lingua sono indipendenti dalla volontà di un gruppo di linguisti. Il problema non è chi comanda (se la maggioranza di Grillo, di Berlusconi, di Monti o di Bersani), ma l’idea di legge che limita il suo potere: oggi, grazie al positivismo giuridico imposto dalla nostra costituzione totalitaria, il potere politico (chiunque sia a detenerlo) è illimitato e la tragedia è che non c’è nessuno dei candidati in lizza che si ponga il problema di limitarlo. Ma per passare dal socialismo attuale alla società libera, occorrono persone (e anche giornalisti), che, nell’osservare e criticare la realtà che osservano, capiscano la differenza fra leggi e misure; fra potere legislativo (il potere di scoprire e difendere la legge intesa come principio generale e astratto) e potere politico (il potere di decidere un provvedimento particolare: non è il potere politico, ma il potere legislativo che deve fare l’arbitro); fra legittimità e legalità; fra libero mercato e socialismo. Occorrono cioè persone che non cerchino una soluzione ai problemi all’interno della stessa struttura totalitaria che li ha prodotti, ma che abbiano la capacità intellettuale (e il coraggio) di mettere in discussione quella struttura, di guardare a monte, di cercare le cause dei problemi, e non solo di osservare gli effetti.

Queste persone oggi si contano quasi sulle dita di una mano e Marco Travaglio non è una di esse, il che è evidente non solo nel modo in cui affronta i problemi del sistema bancario ma anche quando, sempre in buona compagnia, si scandalizza per il fatto che Berlusconi abbia fatto le sue quaranta e più ‘leggi’ ad personam ma non si scandalizza minimamente per il fatto che le abbia potute fare legalmente (anzi elogia la costituzione che ha reso possibile che ciò avvenisse); oppure quando condanna l’evasione fiscale a priori, cioè senza prima giudicare la legittimità (non la legalità) del sistema fiscale, la quale dipende non solo dal modo in cui sono prelevate le tasse (per esempio se nel rispetto dell’ uguaglianza davanti alla legge o meno, cioè con assenza o meno di disuguaglianza legale) ma anche da ciò che queste finanziano (per esempio il fatto che esse si limitino a finanziare lo Stato minimo o meno, comunque lo si voglia non arbitrariamente definire).


Fonte: visto su L’Indipendenza del  25 febbreaio 2013


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