In questo inizio di novembre due notiziole riguardanti la
Libia sono apparse e scomparse in un battibaleno nei media omologati nazionali.
Una riguardava la conferma del piano italo-libico di controllo
delle frontiere in funzione di controllo degli immigrati provenienti dalle
frontiere orientali e meridionali (Egitto e Sudan) dello Stato africano,
l’altra l’azione dei ribelli berberi che avevano chiuso l’importantissimo
terminal gas dell’Eni da Mellitah alla Sicilia. Quest’ultima “nuova”
accompagnata da un commento double-face dell’ad dell’Eni, Scaroni, che da
una parte “rassicurava” l’Italia sulle riserve di gas a disposizione e
dall’altra, però, paventava almeno aumenti del costo delle forniture energetiche,
ormai giunti tra il doppio e il triplo di quelli Usa.
Le due “notiziole” rappresentano – tutt’e due assieme
sommate con quanto dall’Italia pagato per la vergognosa partecipazione
all’aggressione occidentale alla Libia di Gheddafi, nel 2011 – il bilancio
negativo di una politica estera posta al più completo servizio possibile degli
atlantici e a tutto saldo negativo per la nazione italiana.
Il tradimento del
patto italiano con la Libia di Gheddafi, firmato appena nel 2010, ci è già
costato la perdita della supremazia nazionale nell’eximport e nelle intese
commerciali e di concessione di beni contro petrolio con Tripoli, la riduzione
della frontiera marina ad un colabrodo di rifugiati che gli schiavisti
dell’economia a basso prezzo europea comprano dai negrieri, per lo più
arabo-africani, con contorno di immani perdite di vite umane.
Nonostante il silenzio dei media e le loro grancasse
pseudoumanitarie e buoniste in omaggio alle cosiddette istituzioni, gli
italiani hanno però compreso bene la porcata compiuta dai loro “amici e
alleati” ad esclusivo danno della nostra nazione e dei suoi interessi politici
ed economici. Ma tant’è: tale coscienza rimane relegata negli orticelli
di individui che hanno da decenni rinnegato il concetto di comunità, di
interesse collettivo, di solidarietà e di decoro nazionale.
Visto che parliamo della “Nuova Libia” imposta con le bombe,
il sangue e vergognosi assassinii individuali da Usa, Gran Bretagna e Francia
in Tripolitania e Cirenaica, diamogli un rapido sguardo.
A due anni dalla “rivoluzione” (sic) e dalle distruzioni
belliche – organizzate da Usa e alleati Nato con la benedizione dell’Onu – di
intere città e di regresso della Libia da nazione emergente – socialmente e d
economicamente – al sottosviluppo e al disordine e all’anarchia, a Tripoli
siede un “primo ministro”, Ali Zeidan, tanto senza poteri oltre i confini
urbani che è appena stato oggetto, nel mese scorso, ad un sequestro di persona
da parte delle milizie armate, sequestro praticamente sottaciuto dai media
nazionali di disinformazione.
Ovunque nell’ex Jamahiria (lo “Stato del popolo” creato da
Gheddafi), l’illegalità è la norma, le ambasciate e i cittadini stranieri sono
obiettivi di attacchi delle milizie rivali, vere e proprie bande di briganti anche
soggette ad al Qaida, i confini con gli altri Stati sono fuori da ogni
controllo, e varie regioni (come quella “autonoma” di Barqah, nell’est della
Cirenaica: non a caso dove esiste l’80 per cento delle riserve accertate di
greggio e la gran parte delle condotte e degli impianti di estrazione e
raffinazione…) sono di fatto o dichiaratamente indipendenti.
Ed è proprio per questo che il terminal di Mellitah è
attualmente, diciamo così, chiudo: in tutta la regione di Barqah la capacità di
distribuzione era di circa 1,25 milioni di barili di petrolio al giorno: da
qualche settimana è ridotta al 10 per cento. E il blocco – voluto dalle milizie
separatiste per ottenere sia il riconoscimento dell’autonomia regionale che una
più congrua percentuale di reddito dallo sfruttamento dell’energia – costa
all’economia libica 130 milioni di dollari al giorno.
Il governo di Tripoli – come quello precedente insediato
direttamente dagli aggressori occidentali dopo la guerra a Gheddafi – è
praticamente fuori gioco. Come fuori gioco è lo strano “parlamento” insediato
nella “Nuova Libia” sempre a Tripoli che, scisso fra delegati islamisti e laici
è in totale panne. Per non parlare della annunciata ma non iniziata “inchiesta”
sulle modalità degli almeno trentamila libici assassinati nel 2011.
Di fatto, ormai, esistono almeno tre “Libie”. Quella di
Tripolitania (ma chiusa nella capitale: già nei sobborghi è anarchia), quella
della Cirenaica (Bengasi) e quella del Fezzan. Il governo centrale è un governo
fantoccio che non soltanto non riesce a imporre la discussione parlamentare di
uno straccio di nuova costituzione, ma non è stato nemmeno in grado di far
arruolare più del 20% dei miliziani ribelli sostenuti dall’Occidente nella loro
“rivoluzione” nelle forze armate regolari, né di arrestare arresti e torture e
assassinii razzisti delle minoranze nere libico-africane, né di “monitorare”,
almeno, le decine di campi di prigionia dove ancora giacciono detenuti i fedeli
di Gheddafi.
Secondo il Servizio segreto britannico (MI5), il governo
“centrale”, al momento controlla solo 20 degli oltre 300 depositi di armamenti
sparsi nel Paese. Mentre Mosca ha avvertito che ben 6400 barili di scorie
radioattive sono trattenute nella regione di Sabha ora sotto il controllo di
milizie fondamentaliste legate ad al Qaida.
Bel risultato per l’Occidente. La sua aggressione – come già
accaduto con l’Iraq ma come non è certo accaduto né per l’Afghanistan né sta
accadendo per la Siria… – ha ridotto la Jamahiria libica al sottosviluppo, alla
destabilizzazione e a diventare culla di tribalismo e fondamentalismo esportato
anche nel Mali e nella Nigeria.
Ecco la Nuova Libia d’Occidente. Il regalo di Washington,
Londra e Parigi al mediterraneo e all’Italia in particolare.
Di tali “amici” e “alleati” sarà sempre troppo tardi fare a
meno.
Fonte: visto su stampa libera del 11 novembre 2013
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