giovedì 14 novembre 2013

ECCO LA NUOVA LIBIA, RALLEGRATEVI…




In questo inizio di novembre due notiziole riguardanti la Libia sono apparse e scomparse in un battibaleno nei media omologati nazionali.
Una riguardava la conferma del piano italo-libico di controllo delle frontiere in funzione di controllo degli immigrati provenienti dalle frontiere orientali e meridionali (Egitto e Sudan) dello Stato africano, l’altra l’azione dei ribelli berberi che avevano chiuso l’importantissimo terminal gas dell’Eni da Mellitah alla Sicilia. Quest’ultima “nuova”  accompagnata da un commento double-face dell’ad dell’Eni, Scaroni, che da una parte “rassicurava” l’Italia sulle riserve di gas a disposizione e dall’altra, però, paventava almeno aumenti del costo delle forniture energetiche, ormai giunti tra il doppio e il triplo di quelli Usa.


Le due “notiziole” rappresentano – tutt’e due assieme sommate con quanto dall’Italia pagato per la vergognosa partecipazione all’aggressione occidentale alla Libia di Gheddafi, nel 2011 – il bilancio negativo di una politica estera posta al più completo servizio possibile degli atlantici e a tutto saldo negativo per la nazione italiana. 
Il tradimento del patto italiano con la Libia di Gheddafi, firmato appena nel 2010, ci è già costato la perdita della supremazia nazionale nell’eximport e nelle intese commerciali e di concessione di beni contro petrolio con Tripoli, la riduzione della frontiera marina ad un colabrodo di rifugiati che gli schiavisti dell’economia a basso prezzo europea comprano dai negrieri, per lo più arabo-africani, con contorno di immani perdite di vite umane.


Nonostante il silenzio dei media e le loro grancasse pseudoumanitarie e buoniste in omaggio alle cosiddette istituzioni, gli italiani hanno però compreso bene la porcata compiuta dai loro “amici e alleati” ad esclusivo danno della nostra nazione e dei suoi interessi politici ed economici. Ma tant’è: tale coscienza  rimane relegata negli orticelli di individui che hanno da decenni rinnegato il concetto di comunità, di interesse collettivo, di solidarietà e di decoro nazionale.


Visto che parliamo della “Nuova Libia” imposta con le bombe, il sangue e vergognosi assassinii individuali da Usa, Gran Bretagna e Francia in Tripolitania e Cirenaica, diamogli un rapido sguardo.
A due anni dalla “rivoluzione” (sic) e dalle distruzioni belliche – organizzate da Usa e alleati Nato con la benedizione dell’Onu – di intere città e di regresso della Libia da nazione emergente – socialmente e d economicamente – al sottosviluppo e al disordine e all’anarchia, a Tripoli siede un “primo ministro”, Ali Zeidan, tanto senza poteri oltre i confini urbani che è appena stato oggetto, nel mese scorso, ad un sequestro di persona da parte delle milizie armate, sequestro praticamente sottaciuto dai media nazionali di disinformazione.

Ovunque nell’ex Jamahiria (lo “Stato del popolo” creato da Gheddafi), l’illegalità è la norma, le ambasciate e i cittadini stranieri sono obiettivi di attacchi delle milizie rivali, vere e proprie bande di briganti anche soggette ad al Qaida, i confini con gli altri Stati sono fuori da ogni controllo, e varie regioni (come quella “autonoma” di Barqah, nell’est della Cirenaica: non a caso dove esiste l’80 per cento delle riserve accertate di greggio e la gran parte delle condotte e degli impianti di estrazione e raffinazione…) sono di fatto o dichiaratamente indipendenti.  
Ed è proprio per questo che il terminal di Mellitah è attualmente, diciamo così, chiudo: in tutta la regione di Barqah la capacità di distribuzione era di circa 1,25 milioni di barili di petrolio al giorno: da qualche settimana è ridotta al 10 per cento. E il blocco – voluto dalle milizie separatiste per ottenere sia il riconoscimento dell’autonomia regionale che una più congrua percentuale di reddito dallo sfruttamento dell’energia – costa all’economia libica 130 milioni di dollari al giorno.
Il governo di Tripoli – come quello precedente insediato direttamente dagli aggressori occidentali dopo la guerra a Gheddafi – è praticamente fuori gioco. Come fuori gioco è lo strano “parlamento” insediato nella “Nuova Libia” sempre a Tripoli che, scisso fra delegati islamisti e laici è in totale panne. Per non parlare della annunciata ma non iniziata “inchiesta” sulle modalità degli almeno  trentamila libici assassinati nel 2011.

Di fatto, ormai, esistono almeno tre “Libie”. Quella di Tripolitania (ma chiusa nella capitale: già nei sobborghi è anarchia), quella della Cirenaica (Bengasi) e quella del Fezzan. Il governo centrale è un governo fantoccio che non soltanto non riesce a imporre la discussione parlamentare di uno straccio di nuova costituzione, ma non è stato nemmeno in grado di far arruolare più del 20% dei miliziani ribelli sostenuti dall’Occidente nella loro “rivoluzione” nelle forze armate regolari, né di arrestare arresti e torture e assassinii razzisti delle minoranze nere libico-africane, né di “monitorare”, almeno, le decine di campi di prigionia dove ancora giacciono detenuti i fedeli di Gheddafi.


Secondo il Servizio segreto britannico (MI5), il governo “centrale”, al momento controlla solo 20 degli oltre 300 depositi di armamenti sparsi nel Paese. Mentre Mosca ha avvertito che ben 6400 barili di scorie radioattive sono trattenute nella regione di Sabha ora sotto il controllo di milizie fondamentaliste legate ad al Qaida.


Bel risultato per l’Occidente. La sua aggressione – come già accaduto con l’Iraq ma come non è certo accaduto né per l’Afghanistan né sta accadendo per la Siria… – ha ridotto la Jamahiria libica al sottosviluppo, alla destabilizzazione e a diventare culla di tribalismo e fondamentalismo esportato anche nel Mali e nella Nigeria.


Ecco la Nuova Libia d’Occidente. Il regalo di Washington, Londra e Parigi al mediterraneo e all’Italia in particolare.

Di tali “amici” e “alleati” sarà sempre troppo tardi fare a meno.


Fonte: visto su stampa libera del 11 novembre 2013


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