Un amico che lavora al controllo gestione di una
multinazionale mi raccontava della frustrazione nei costi di trasferimento
di certi servizi interni in paesi remoti. Credevo si trattasse solo di sviluppo
software (sono di moda gli indiani) o di call center dove gli operatori in
teoria costano molto meno (i paesi anglofoni vanno in India o estremo oriente;
i Francesi in Africa; gli spagnoli in sudamerica e noi italiani tipicamente in
Romania) e dove vengono affidati i servizi di help desk alla clientela finale o
alla clientela interna: invece anche tutta una serie di servizi di back-office,
gestione amministrativo-contabile, vengono sempre più spostati in paesi con
lingue, culture, abitudini diverse dalle nostre. Quello che ci hanno insegnato
è sempre stato: si fa così per sfruttare un costo del lavoro più basso,
sfruttare economie di scala, e grazie ai servizi avanzati di di telecomunicazioni
(mail, telefono, audio e video conferenze, webmeeting, workgroup, sharepoint
e via dicendo) si lavora come se si fosse tutti nella stessa stanza,
sfruttando competenze, disponibilità di capitale umano che stanno da altre
parti del mondo.
Chi ha esperienza con questa forma di delocalizzazione del
lavoro forse può confermare che molte volte gli inconvenienti sono maggiori
dei presupposti “benefici“: incomprensioni dovute non
soltanto alla lingua ma alla impossibilità di una comunicazione efficace,
immediata, risolutiva come a volte solo la presenza di persona può fare, sono
all’ordine del giorno. Per non parlare delle diversità culturali che rendono
molte volte difficili le ricerche di soluzioni che, nell’ambito di persone
appartenenti alla stessa cultura sarebbero immediati. Soluzioni “alla buona”
che un italiano adotterebbe in cinque minuti sono inconcepibili ad una mente
abituata ad un approccio strutturato come quella di un tedesco; una definizione
poco meno che perfetta delle specifiche di un progetto rende un team abituato
ad eseguire alla perfezione gli ordini incapace di procedere, se non ha questo
approccio nel suo DNA, causando lo stop di tutte le attività, e via dicendo.
Ma, si sa, business is business, e il denaro comanda.
E così, se per uno sviluppatore cinese o un operatore di help desk rumeno pago
3 € all’ora, come faccio a rinunciarvi? (a parte che a queste cifre ci si
sta arrivando anche con ingegneri italiani, ma lasciamo stare). Ma il punto
è che il mio amico che lavora al controllo gestione, non si capacitava dei
costi di trasferimento che gli venivano caricati su un progetto dalla
consociata estera. Avrei voluto dirgli che forse stava cercando nella direzione
sbagliata. Avrei voluto dirgli di leggere
questo post, e vedere il relativo
video, dove si spiega bene quali vantaggi, dal punto di vista fiscale, ha
lo spostare i profitti da un paese all’altro. Che è quello il vero motivo per
cui questa multinazionale delocalizza. Ma per questo amico io sono già un
complottista (“comunista” mi ha definito una volta! A me!).
E ho lasciato perdere. Ma forse, se la gente comincia a
farsi le domande giuste, forse, ripeto, forse, cominciamo ad essere sulla
strada giusta.
Fonte: visto su STAMPA LIBERA del 15
novembre 2013
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