sabato 23 novembre 2013

GLOBALIZZAZIONE: UN MITO AL CAPOLINEA




Un amico che lavora al controllo gestione di una multinazionale mi raccontava della frustrazione nei costi di trasferimento di certi servizi interni in paesi remoti. Credevo si trattasse solo di sviluppo software (sono di moda gli indiani) o di call center dove gli operatori in teoria costano molto meno (i paesi anglofoni vanno in India o estremo oriente; i Francesi in Africa; gli spagnoli in sudamerica e noi italiani tipicamente in Romania) e dove vengono affidati i servizi di help desk alla clientela finale o alla clientela interna: invece anche tutta una serie di servizi di back-office, gestione amministrativo-contabile, vengono sempre più spostati in paesi con lingue, culture, abitudini diverse dalle nostre. Quello che ci hanno insegnato è sempre stato: si fa così per sfruttare un costo del lavoro più basso, sfruttare economie di scala, e grazie ai servizi avanzati di di telecomunicazioni (mail, telefono, audio e video conferenze, webmeeting, workgroup, sharepoint e via dicendo) si lavora come se si fosse tutti nella stessa stanza, sfruttando competenze, disponibilità di capitale umano che stanno da altre parti del mondo.

Chi ha esperienza con questa forma di delocalizzazione del lavoro forse può confermare che molte volte gli inconvenienti sono maggiori dei presupposti “benefici“: incomprensioni dovute non soltanto alla lingua ma alla impossibilità di una comunicazione efficace, immediata, risolutiva come a volte solo la presenza di persona può fare, sono all’ordine del giorno. Per non parlare delle diversità culturali che rendono molte volte difficili le ricerche di soluzioni che, nell’ambito di persone appartenenti alla stessa cultura sarebbero immediati. Soluzioni “alla buona” che un italiano adotterebbe in cinque minuti sono inconcepibili ad una mente abituata ad un approccio strutturato come quella di un tedesco; una definizione poco meno che perfetta delle specifiche di un progetto rende un team abituato ad eseguire alla perfezione gli ordini incapace di procedere, se non ha questo approccio nel suo DNA, causando lo stop di tutte le attività, e via dicendo.

Ma, si sa, business is business, e il denaro comanda. E così, se per uno sviluppatore cinese o un operatore di help desk rumeno pago 3 € all’ora, come faccio a rinunciarvi? (a parte che a queste cifre ci si sta arrivando anche con ingegneri italiani, ma lasciamo stare). Ma il punto è che il mio amico che lavora al controllo gestione, non si capacitava dei costi di trasferimento che gli venivano caricati su un progetto dalla consociata estera. Avrei voluto dirgli che forse stava cercando nella direzione sbagliata. Avrei voluto dirgli di leggere questo post, e vedere il relativo video, dove si spiega bene quali vantaggi, dal punto di vista fiscale, ha lo spostare i profitti da un paese all’altro. Che è quello il vero motivo per cui questa multinazionale delocalizza. Ma per questo amico io sono già un complottista (“comunista” mi ha definito una volta! A me!).

E ho lasciato perdere. Ma forse, se la gente comincia a farsi le domande giuste, forse, ripeto, forse, cominciamo ad essere sulla strada giusta.


Fonte: visto su STAMPA LIBERA  del  15 novembre 2013


Nessun commento: