In quaranta anni di carriera mi sono dedicato alla scuola e
all’animazione sociale per i primi 25. Poi, visto le vicissitudini del mio paese,
l’Italia, ho dovuto ri-inventarmi nel settore privato. Sono stato pubblicitario e da una dozzina
d’anni sono un pubblicitario disertore, uno a cui non piace condizionare la
gente al consumismo, ma che per mestiere ha conosciuto molte tecnicuzze che vi
convincono a desiderare quello che non vi serve.
Un minuto sulle sei
principali reti italiane costa quanto lo stipendio di tutta la vita di una
maestra; ciascun italiano, al termine di una vita ha pagato indirettamente
(nascosto nel prezzo delle merci) il costo di una discreta casa.
Oggi, per mestiere, aiuto le organizzazioni della decrescita
(enti, associazioni, movimenti ed aziende dell’altra economia come contadini
bio, artigiani del riciclo, installatori solari…) a comunicare senza marketing.
Questi imprenditori scommettono la vita per sviluppare forme sostenibili di
economia. Li conosco bene, li stimo, vedo che fanno molto sul serio; sono forme
di economia che reggono discretamente alla crisi e, tra tutte le forme di
investimento per creare un posto di lavoro, quasi sempre sono la più economica
in rapporto ai risultati.
Tuttavia occorre restare guardinghi: «economia» e
«sostenibilità» sono parole trabocchetto, ci sta dentro tutto e il contrario di
tutto.
Serge Latouche
sostiene che «sviluppo sostenibile» è un ossimoro perché non possono davvero
convivere contemporaneamente la crescita industrialista e la sostenibilità
ambientale.
A dimostrazione di questa tesi ricorda i mille esempi in cui
orribili delitti ambientali, che hanno prodotto scempi inenarrabili e migliaia
di morti, sono stati perpetrati da brand che nel marketing vantavano e
promuovevano lo sviluppo sostenibile, spesso con finanziamenti o permessi di
natura ecologica da parte dei governi e degli organismi sovranazionali. Invece
la decrescita felice, o serena, o la semplicità volontaria… nella tesi di
Latouche, non sono ossimori. (…)
L’ossimoro è una
delle forme più potenti per aggirare le difese della vostra mente, perché
prende due categorie che la mente conosce già, ad esempio giovinezza e
vecchiaia, e le combina ad esempio dicendo che quel ragazzo è già vecchio, o
che quell’adulto è un bambino… Quando su un gelato freddo metti una marmellata
calda si aprono le papille gustative e l’olfatto. Davanti all’ossimoro accade
una cosa simile, la mente apre le difese; può entrarci il male del marketing o
il bene della poesia. Come pubblicitario ed ecologista dovrei dar ragione a
Latouche, ma in termini di arte e poesia dovrei dire il contrario, l’ossimoro vero
è quello che fa fare uno scarto mentale evolutivo, sovverte le categorie del
pensiero e genera nuovi modi di vedere le cose. Nuovi frames, nuove cornici
mentali, ciò che Latouche chiama “ricontestualizzazioni”.
Sappiamo tutti che questa è la cosa più importante. Fa la
stessa cosa che può fare un insegnante quando vuole intuire, di un dato
concetto, quale competenza a monte è stata condizionata dal marketing, quale
immaginario artificiale è stato indotto. Semplice. Digita la parola su Google e guarda le
immagini che escono. Sarà forse empirico, sarà euristico, eppure funziona.
Anzi, forse proprio per questo funziona.
Ecco quello che succede digitando sviluppo sostenibile (…)
Tre cerchi si intersecano: sociale, ambientale ed economico. Tre aggettivi: di
cosa? Di sviluppo, naturalmente. Allora facciamo la stessa operazione googlando
«sviluppo». Ecco ciò che esce. Un sacco di diagrammi e frecce economiche che
salgono; c’è anche qualche pianta, qualche pianeta Terra, ma purtroppo se li
cliccate finite quasi sempre nel green washing di qualche corporation. Somiglia
a quando digitate «Crescita» o «Progresso»: frecce e grafici che raccontano un
aumento, quasi sempre economico. Anzi, lo promettono, perché sono intrise di
quell’ideologia sviluppista del secondo novecento, quella che diceva che
l’economia gira se produciamo e consumiamo di più. Ancora oggi molta gente la
pensa così: il
senso comune è un prodotto artificiale indotto dal marketing, e più in generale
dai media di massa quindi: sei più ricco se spendi, l’economia gira se
sprechiamo risorse, sei autorevole se ti indebiti, ecc. (…)
Così dev’essere, la questione non è solo economica ed ecologica,
è anche psicologica e culturale: abbiamo bisogni indotti, abbiamo inferiori
sensibilità, ci sentiamo meno belli, siamo perennemente inappagati. Noi
pubblicitari sappiamo esattamente come funziona questo meccanismo: sappiamo
come farti sentire a disagio col bellissimo vestito dell’anno scorso, farti
sentire ammirabile se giri con un Suv da 8 Km/litro, farti sentire una cattiva
mamma se non propini al bimbo l’ultima chimicaglia alimentare…. Fior di
miliardi sono spesi per convincervi, tanto li pagate voi: sono una percentuale
parassitaria nascosta nel costo delle merci. Il marketing allunga la filiera
perché fa parte della filiera. Ecco perché marketing e filiera corta non vanno
d’accordo. Ecco perché se lasciamo l’insegnante solo, a far da unico baluardo
culturale davanti a questa potenza di colonizzazione dell’immaginario dei
bambini, è una formica che combatte contro un elefante.
Di tutto quel che c’è nel carrello, poco resta nel vostro
corpo; ma quel poco diventa ciccia, mentre la pubblicità vi impone di essere
magri. Schizofrenia indotta: è un ottimo affare; ma non per voi che pagate due
volte, per ingrassare e per dimagrire, mentre anche il diagramma
dell’autocompiacimento crolla a zero. Il resto di tutti quei chili di merce è
tutta roba che finisce in pattumiera.
Già dagli anni ’80 nelle scuole si cercava di correre ai
ripari. Le
tre R, forse le avete imparate alle elementari: Riusare, Ridurre, Riciclare.
Questo ha permesso in pochi decenni di passare alla raccolta differenziata in
tutta Europa. In Italia meno, in molte zone c’è ancora una lotta contro
la mafia che gestisce le discariche e/o contro i politici corrotti che vogliono
fare altri inceneritori (…).
Negli anni ’80 quando le municipalità stavano passando dalla
raccolta generica di rifiuti alla raccolta differenziata, sono stati spesi
molti soldi in pubblicità (quello che allora si chiamava «marketing sociale»)
con esiti scarsissimi; quando invece sono venuti nelle scuole gli animatori a
lavorare coi bambini, i bambini hanno sensibilizzato le famiglie e rapidamente
i comportamenti sono cambiati (…).
Le tre R però non bastavano. Hanno cominciato a nascere
delle quarte R, diverse in diversi contesti: ricomprare, ripensare, riparare, rispettare… La questione è che le
famose 3 R sono subordinate alla motivazione, alla coscienza, ad aspetti
psicologici e sociologici. Il rifiuto, prima che un sacchetto di materia da
conferire in qualche bidone, è un luogo della mente; c’entra col rimosso.
Questa è una parte importante della sfida per l’educatore. Si slitta subito
verso il rifiutare: cos’è lo sporco e il pulito, il nuovo e il vecchio, e
ancora: il conservabile, l’utile, il bello…; in definitiva, cosa accogliamo e
respingiamo negli spazi sempre più pieni della nostra casa, metafora del nostro
corpo e della nostra mente sempre più intasati.
Veniamo
programmati per essere persone di plastica tutte uguali, che si differenziano
per qualche abito esteriore. (…) Più siamo omologati esteriormente, più la
nostra parte singolare resta inespressa, nascosta, quindi potenzialmente
repressa e nevrotica. Purtroppo
la capiscono assai meno molti politici e giornalisti. I marketer la
capiscono meglio di tutti, ma in malafede. Per fortuna non ci lasciamo
programmare troppo, e funziona sempre meno via via che i personal media
prendono posto ai media di massa.
Le tre o le 4 R non ci bastano se non ci poniamo il problema
di che cosa sente e desidera, di che abitudini prende un bambino che cresce nel
consumismo. Quante volte avete messo il bambino piccolo nel carrello? Per lui è
uno spasso, a voi va meglio perché va in trance e non fa troppe bizze per
comprare qualcosa. Naviga in un paesaggio di merci, in un universo di merci,
nel carrello assieme alle merci; lui piccolino, in un’età in cui sente che le
cose hanno un’anima, le scatole diventano quasi dei fratellini. Ovvio: impara
che anche lui è una merce. Da grande cercherà di essere il brand di se stesso
per «posizionarsi» sul mercato della visibilità. Le merci viste da un bambino
sugli scaffali sono magiche, divine. Non hanno una storia né nel prima
(processo di produzione) né nel dopo (pattumiera…). Sono fuori dal tempo,
perché non ci sono stagioni. Sono fuori dallo spazio: è indifferente che quel
frutto venga dall’Australia o da dietro casa. Nascono dal nulla: il pollo nasce
già incellophanato per partenogenesi nel banco frigo; è proprio inconcepibile
pensare che sia mai stato un animale vivente, di quelli che ti guardano negli
occhi, fanno la cacca, vorresti toccare ma scappano…
Un bambino che mangia junk food davanti alla Tv:
c’è una sinergia profonda tra la Gdo (grande distribuzione organizzata) e
televisione. Il consumo è legato al condizionamento della Tv (e diminuisce via
via che subentra internet). La Tv è molto meno potente di pochi anni
fa, ma è ancora piuttosto pervasiva; il condizionamento non nasce solo dalla
pubblicità, tant’è che colpisce anche in paesi dove la pubblicità per
l’infanzia è regolata.
DEPRIVA IL BAMBINO DI CINQUE ABILITÀ.
Uno, la possibilità di diventare anche emittente: riceviamo
moltissimi input (un’overdose quotidiana di stimoli, dati, informazioni…) ma
degli output che vogliamo emettere non frega niente a nessuno.
Due, la capacità di affinare i sensi. Due quelli
diversi dalla vista: senza di essi non esiste il piacere delle cose materiali.
Consumiamo molta merce pessima perché non discerniamo le qualità; anche quando
consumiamo cose buone (cibo, tessili, arredi…) spesso lo facciamo senza
assaporare, senza discernere… senza piacere: ma che razza di edonismo è? Per
godere la differenza tra una mela bio e una industriale bella ma insipida,
occorre ri-imparare a sentire.
Tre, l’empowerment. La sensazione di poter agire sul
mondo è indispensabile per la democrazia. Senza di essa capita di decidere in
modo rapsodico e distratto, ad esempio ci si comporta col voto come se fosse un
telecomando. È il vecchio ma ancora attualissimo concetto di empowerment, che
nell’era di internet e della democrazia dal basso torna centrale. Il contrario
di empowerment è la marginalizzazione, l’impotenza, la sensazione che quello
che dici non interessa a nessuno (…)
Quattro, la capacità di star soli in silenzio. Poi
c’è il problema della capacità di stare da solo. Esposti al flusso potente
dell’informazione abbiamo tutti paura del silenzio, della pausa, del
rallentamento: eccitati e drogati dall’accelerazione appena rallentiamo il
vortice delle emozioni e si calmano le acque, vediamo cosa viene a galla;
spesso non vogliamo vederlo. Abbiamo panico, dobbiamo riempire, saturare, la
nostra agenda diventa bulimica. Ma questo impedisce di far progetti a lungo
termine e spesso ci porta a scelte superficiali, effimere, senza la capacità di
ascoltare nel profondo le nostre istanze psichiche.
Cinque, la capacità di pensare insieme. Ci ricordiamo
di essere stati animali sociali solo quando qualche riduzionista dice che ci
serve un bel maschio alfa per rimetterci tutti in riga. No, parliamo di
tutt’altro, è vero che abbiamo anche sensibilità collettive, è vero che
tuttavia educhiamo principalmente quelle individuali. Qualsiasi insegnante
conosce l’effetto pigmalione, quando il bambino si adegua inconsciamente alle
aspettative, quando diventa motivato o indisciplinato semplicemente perché tu
ti aspetti che diventi motivato o indisciplinato. Anche i pubblicitari
conoscono benissimo questo meccanismo: tutti comunichiamo reciprocamente tempi,
motivazioni, rabbia, gioia, dolore, ansia, passione, stanchezza, entusiasmo…
tutti con tutti. Ma se il bambino non sviluppa competenze sociali, sarà poco
abile, più solitario o gregario.
Morale: Servono altre erre. Ecco che le 3 o 4 R non
bastano, servono più item. Latouche ne elenca 8 che secondo me sono molto
interessanti per la scuola, perché mettono insieme sia gli aspetti
specificamente ecosistemici che quelli psicologici e sociali delle condotte e
delle motivazioni quotidiani.
Eccole.
Propongo di chiudere sulle ultime due:
7. Rivalutare.
Restituire dignità ai valori umani. L’altruismo contro egoismo, la cooperazione
vs la concorrenza, il piacere del tempo libero vs ossessione del lavoro, la
vita sociale vs consumo effimero e individuale, il locale contro il globale, il
bello contro l’efficiente, il ragionevole vs razionale…
8 Ricontestualizzare.
Vedere da un altro punto di vista il contesto concettuale ed emozionale di
alcune situazioni, per mutarne il senso. Esempio: «scarsità e abbondanza» in
economia fondano l’immaginario economico. L’economia attuale trasforma
l’abbondanza naturale in scarsità, creando artificialmente mancanza e bisogno.
Ricontestualizzare questo concetti significa mutarne il senso.
Credo che il lavoro da fare oggi sia proprio sul senso
imprevisto dei contesti che conosciamo. Non è a caso che molti dei contenuti
che vi propongo risalgono agli anni ’70 e ’80, nell’era della tecnologia
analogica, prima della moda neonozionistica e pseudo-aziendalistica che colpì
la scuola (almeno quella di noi italiani) dalla fine degli anni ’80. C’entra
colla nuova era digitale. Oggi il bambino fa esperienza di prodigi virtuali e
si impossessa di formidabili protesi tecnologiche; noi diciamo che è bello, che
è cognitivamente evolutivo, ma solo a un patto. Solo se non coincide con la deprivazione
dell’esperienza fisica, materiale, concreta, corporea. Altrimenti avremmo mezzo
bambino genio e l’altra metà con handicap sensoriale.
Un bambino «intero», tanto più ha esperienze virtuali,
quanto più ha bisogno di correre, toccare, danzare, manipolare, sporcarsi,
urlare, sudare… il bambino per essere adeguato ad alti livelli tecnologici ha
bisogno di esperienze primitive.
Evitiamo di tenerlo in un mezzo banale, poco digitale e
poco analogico, cioè con pochi massimi tecnologici e pochi minimi tecnologici.
Piuttosto andiamo contemporaneamente ai due estremi, esageriamo. È meglio.
(L’articolo completo è su http://www.geronimi.it
: si tratta in realtà di una relazione preparata per un convegno internazionale
riconosciuto dall’Unesco e promosso dall’università svizzera, http://www.supsi.ch/dfa e www.globaleducation.ch)
AGGIORNAMENTO
È andata proprio bene.
L’altro ieri, 20 ottobre, ho avuto
l’onore di aprire con un mio intervento la quinta giornata di studio dedicata
all’educazione allo sviluppo sostenibile.
Ho trovato un pubblico numeroso,
attento, molto preparato.
Buona organizzazione, giornalisti attenti,
interessante corredo di banchetti e tavoli delle associazioni…
Scaricate pure tutto qui:
Programma
- Testo
della prolusione - Slides
della prolusione - Altre slides
sullo scenario usate venerdì per il gruppo di genitori e cittadini e sabato
pomeriggio per il laboratorio.
Non vorrei sembrarvi poco patriottico ma devo
confessare che a pochi Km dal confine (io che sono nato a Luino) mi sono
sentito davvero all’estero, soprattutto per la grinta e l’entusiasmo di un
corpo docente. Difficilmente riesco a paragonarlo con quello bastonato,
deleggittimato e marginalizzato che c’è da questa parte.
Il paradosso
(bellissimo, almeno per me) è che grandissimo interesse hanno suscitato le cose
che facevamo noi italiani negli anni 80 e ‘90; era prima della desertificazione
culturale, della “scuola-azienda” e del neonozionismo. La scuola attiva, la scuola nella natura, i
gruppi di lavoro, la ricerca-azione… basta fare un metro oltre i nostri augusti
confini e voilà, sono cose attualissime. Noi ce le siamo lasciate rubare da
questi ministri inetti e politici cialtroni? la scusa era far cassa, la verità
è che la cultura è un antidoto al consumismo e alla TV-spazzatura e
conseguentemente al bancomat miliardario della pubblicità.
La cultura era
l’unico competitor al berlusconismo. Pretendere che il Governo-azienda
favorisse la scuola sarebbe stato come pretendere che la Nokia favorisse la
Samsung.
E adesso che quel mondo si è estinto colla stessa velocità con cui è
nato?
Beh, come ebbi a scrivere quando arrivò la riforma Moratti, per tagliare
un albero basta mezz’ora ma per farlo rinascere occorre mezzo secolo. Fortuna
che quell’albero prima di cascare ha fatto milioni di semi.
Coltiviamoli tutti,
mi raccomando, con pazienza e amore.
E anche un po’ di grinta, per favore.
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post del 14 ottobre
SABATO 20 OTTOBRE
Locarno
Educazione allo Sviluppo Sostenibile
Programma
. Volantino
. Mezzi pubblici .
Archivio anni
precedenti .
Conferenza
popolare il giorno precedente.
Io avrò l’onore di aprirla; poi il pomeriggio condurrò un
laboratorio operativo con un gruppo ristretto di insegnanti (per questo occorre
iscriversi con un po’ di anticipo). Continuate a leggere se vi interessano i
contenuti.
Sviluppo sostenibile o decrescita?
Per prima cosa non
potrò che accennare alla definizione “sviluppo sostenibile“: dopo pochi
anni è già radicalmente da rivedere; lo farò con garbo, perchè l’iniziativa
gode del riconoscimento dell’UNESCO quale “attività del decennio per
l’educazione allo sviluppo sostenibile in Svizzera”, ma lo farò.
Non credo alle
“parole abracadabra”, che basta dirle per diventare buoni: si prestano a
strumentalizzazioni, fraintendimenti e scorciatoie. Non credo neanche alle
“parole bandiera” (la decrescita per me è un formidabile meme, Dio ci scampi da
considerarla un’ideologia).
Quando si comincia a parlare di parole, il discorso verbale
per sua natura tende a prendere la mano, e siccome la questione è seria
preferisco passare alle questioni operative, al che fare. C’è in ballo il
futuro di questa generazione di cittadini europei, credo che non ci si debba
più solo chiedere “come produrre facendo meno danno” ma “come essere pronti
culturalmente, tecnicamente e spiritualmente ad affrontare gli shock
dell’ecologia e dell’economia”.
Dal testo del volantino ai genitori
(la sera prima faccio una conferenza popolare interattiva
coi genitori di Locarno; ingresso libero)
Per lasciare ai nostri figli un mondo ancora vivibile
occorre uscire dalla filosofia dello spreco, la quale si basa su modelli e
valori che si apprendono.
Vorremmo tutti educare i giovani alla
sobrietà, alla moderazione, alla qualità dei beni durevoli e ad uno stile di
vita più semplice, dove la qualità vale più della quantità, le relazioni
valgono più delle ostentazioni, l’essere più dell’avere.
Come può farlo la
nostra generazione di adulti iperconsumatori cresciuta ai tempi della crescita?
Il marketing e la reperibilità facile di ogni merce ci hanno abituato a
scegliere come se noi stessi fossimo bambini e a volte non siamo, davanti ai
nostri figli, l’esempio coerente che vorremmo essere.
Parlargli di sobrietà e
di moderazione, in quelle età esuberanti e avide di stimoli, può apparire
terribilmente pedante e moralistico; la pratica invece è eccitante, avventurosa,
intensa, ma bisogna farne esperienza. Aiutarli non è facile, ma è avvincente.
Come consumare meno aumentando i piaceri della vita? Come risvegliare i sensi,
il corpo, gli scambi umani senza aprire il portafoglio? Come sentirsi appagati
col carrello semivuoto?
In ogni cambio epocale i giovani imparano molto dal
carattere con cui gli adulti affrontano la transizione; ora si presenta
un’ottima occasione per essere genitori “abbastanza buoni”.
Dalla presentazione del laboratorio ristretto per
insegnanti
Il Marketing non si limita ad allevarci come consumatori.
Ci illude che ogni relazione, emozione, estetica, appartenenza… passi dal
portafoglio, abbia un brand e comporti il sacrificio di materia ed energia.
Il relatore inviterà a considerare che ciò non solo è
molto depressivo e antiecologico, è anche molto disabilitante: questo
depowerment ci disarma davanti all’ideologia sviluppista e consumista; più che
consumatori diventiamo il bene consumabile, al punto di pensare a noi stessi
come a un prodotto da standardizzare nel mercato della visibilità.
La scuola è l’istituzione che può fornire gli anticorpi?
Per decolonizzare l’immaginario occorre che relazioni, emozioni, estetiche ed
appartenenze siano gratis , passino prevalentemente dai beni comuni, abbiano narrazioni
condivisibili e siano facilitate da un mediatore adulto istituzionale e
pubblico, in grado di riequilibrare le gerarchie dei valori umani.
le iscrizioni
chiudono il 14 ottobre
Fonte: visto su MARCO CEROMINI STOLL
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