Tre notizie, ieri, mi hanno infastidito: la prima, è
che i capigruppo delle varie “gang” politiche che affollano la Camera hanno
l’abitudine di bruciare i loro conti, onde evitare che le prove delle loro
malefatte possano finire sotto la lente di qualche controllore; la seconda, è
che tra i parassiti che imperversano in Parlamento, ce n’è sempre qualcuno che
infila un qualche emendamento tra le leggi in discussione per mantenere intatti
i privilegi che essi stessi si sono concessi. Stavolta è toccato ai vitalizi
dei consiglieri regionali; terzo, che l’inutile “Garante della privacy”
(l’ennesimo boiardo di Stato mantenuto coi soldi dei contribuenti) ha dato il
via libera all’Agenzia delle Entrate affinché possa ficcanasare a suo piacere i
nostri conti correnti.
Nonostante questo, più tutto il pregresso del caso, siamo
ancora costretti a subire le prediche di trinariciuti del calibro della
Gabanelli e di Santoro, che non perdono occasione per mettere sotto inchiesta
l’evasione fiscale, ovvero l’ultimo baluardo di resistenza pacifica – per dirla
con le parole di Charles Adams – che rimane ai vessati di questa penisola,
sottoposti ad un’infernale pressione contributiva che rasenta, ormai,
l’esproprio totale. In Italia, ahimè, lo Stato tassatore e canaglia gode di
grandi consensi ed ha assoldato un esercito di locuste improduttive, quelle che
– non casualmente – ritengono doveroso ed opportuno aumentare i controlli
tributari. Vi sono scherani del Leviatano dappertutto: nelle università, nella
“società incivile e clientelare”, nei media, tra le caste varie della politica
e della sotto-politica, ma finanche tra quelli che si son messi in testa di
fermare il declino. Tutti odiano gli evasori, ma tutti lo sono (seppur in modi
differenti), per il semplice fatto che a nessuno piace vedersi espropriare gran
parte del frutto del proprio lavoro.
Nonostante non vi sia politico, o un suo lacché, che
non dica che le imposte vanno abbassate (slogan ritriti di cui abusa pure
Monti), la lezione di Laffer che con aliquote più basse si aumenta il gettito
fiscale, in questa landa libico-mediterranea non è mai stata applicata, perché
non è mai stata imparata, dato che il taglio delle spese pubbliche non è
gradito ai frequentatori dei Palazzi. Al contrario, i diritti del contribuente
italiano sono violati vergognosamente e di continuo, persino quando sono stati
promulgati dallo Stato stesso sotto forma di leggi e statuti. Inoltre,
Equitalia è il braccio armato di chi ha in animo solo di distruggere la
ricchezza, anziché produrla.
Accettare passivamente la violenza dello Stato tassatore
significa legittimare una condizione di schiavitù a cui sono sottoposti i cittadini,
troppo spesso condizionati da slogan – falsi e tendenziosi – tipo quell’infame
“pagare tutti per pagare meno”. Vi ricordo, senza timor di smentita, cosa
insegna la prassi: se tutti pagassero il dovuto, è certezza matematica che il
maggior gettito si tradurrebbe in maggiori spese da parte degli apparati
pubblici, sempre pronti a sprecare denari per alimentare consenso e clientele.
La cura del governo dei tecnici ne è la riprova: nonostante un aumento ferale
delle gabelle, il debito pubblico è cresciuto di 90 miliardi di euro in un
anno! Se analizzate la serie storica relativa all’aumento della spesa pubblica,
e la confrontate con quella afferente la pressione fiscale, ve ne convincerete.
Lo Stato massimo ha indottrinato ben bene i suoi sudditi
ad odiare l’evasore fiscale, i paradisi fiscali, gli esportatori di
capitali, facendoli passare per dei furfantelli che rubano a qualcun altro. A
me non pare che chi vuol tenere per sé ciò che ha onestamente guadagnato sia un
mariuolo. Semmai, il malfattore è chi pretende da lui i tre quarti del suo
fatturato, per poi andarselo a spendere in videopoker o a puttane. E’, insomma,
doveroso coltivare nell’opinione pubblica un senso di avversione all’invadenza
governativa e all’interventismo (finalmente non regge più nemmeno la balla che
senza tasse i servizi non esisterebbero), nonché il rifiuto dell’esercizio
indiscriminato e irresponsabile del potere fiscale. Anche perché – e questo
forse non è ancora ben chiaro a tutti – il 99% delle rivoluzioni ha preso avvio
da una rivolta fiscale.
Rassegnatevi però o voi che votate e sperate nell’urna:
qui da noi, non aspettatevi alcun ribaltamento per via elettorale. Bisogna fare
da soli. Quanti più saremo a difendere i diritti del nostro portafoglio tanto
più avremo davanti un futuro roseo. La Catalogna ha accelerato la sua
rivoluzione secessionista perché la crisi ha fatto da detonatore e la
resistenza fiscale – oltre all’appartenenza ad una comunità – è qualcosa di più
che una minaccia. Anche i fiamminghi, che anelano l’indipendenza, ne han piene
le tasche di mantenere i valloni. Gianni Rodari non sbaglia quando sostiene
“che è inutile parlare di libertà ad uno schiavo che pensa di essere un uomo
libero”, e che non sa che l’alternativa alla ribellione è pagare in silenzio,
senza lamentarsi troppo della corda che si stringe al nostro collo. Lo ribadirò
fino alla noia: “Non esiste alcuna libertà politica senza libertà economica”.
Se non la pensate così, mettetevi in fila fin dal 30 novembre prossimo, dato
che c’è da versare il 96% dell’acconto Irpef del 2013.
Come diceva Barry Goldwater “l’estremismo, nella difesa
della libertà, non è un vizio. La moderazione, nel perseguimento della
giustizia, non è una virtù”. Per chi ti punta una pistola in faccia intimandoti
“o la borsa o la vita” non può esserci rispetto. Senza la convinzione e il
coraggio di resistere al Fisco (come insegnava anche quel buon uomo di Gandhi),
senza l’orgoglio di dire sul muso ai ladroni di Stato che “evadere
le tasse è un dovere morale” , non resta – per chi rimarrà in Italia –
che la sopraffazione, l’agonia, la decadenza e l’umiliazione.
Fonte: visto su L’Indipendenza del 17 novembre 2012
Nessun commento:
Posta un commento