Il Ministero della Salute sospende la somministrazione
dell'anticoncezionale Depo-Provera
perché accusato di aver limitato le nascite tra gli ebrei giunti dall'Etiopia.
di Michele Giorgio - Il Manifesto
Gerusalemme, 30 gennaio 2013, Nena News - «Non siamo in
grado di dire quanto le donne (ebree) etiopi fossero consapevoli degli effetti
del Depo Provera ma per noi la lettera diffusa dal ministero della salute,
volta a fermare la somministrazione di quel farmaco, è un importante
riconoscimento di ciò che è accaduto». Misura le parole Marc Grey, portavoce
dell'Associazione per i Diritti Civili in Israele (Acri), rispondendo al
manifesto.
La vicenda è delicata ma è finalmente venuta alla luce. Anzi
è riemersa perché in passato si era già parlato del drastico calo del tasso di
natalità tra le falasha, le donne ebree giunte dall'Etiopia, a molte delle
quali per anni è stato iniettato, forse a loro insaputa, il Depo Provera,
un anticoncezionale molto efficace ma con gravi effetti collaterali, a
cominciare dall'osteoporosi.
La vicenda è pubblica grazie all'impegno di Acri, grazie ad
un'inchiesta del giornalista Gal Gabbay conduttore del programma
televisivo Vacuum e soprattutto alla denuncia fatta già nel 2008 da Rachel
Mangoli, responsabile a Bnei Braq (Tel Aviv), di un asilo per bambini
falasha, che negli ultimi tre anni ha registrato solo un nuovo arrivo. Mangoli
non si è arresa di fronte alle reticenze del sistema sanitario e assieme
all'associazione «Woman to Woman» di Haifa ha portato sino in fondo la sua
battaglia.
Mangoli chiese spiegazioni all'ambulatorio di Bnei Braq che
assiste 55 famiglie etiopiche e scoprì che i suoi responsabili avevano avuto
istruzioni di somministrare iniezioni di Depo Provera alle falasha in età
fertile. Per quale motivo? Nessuno lo dice ma a mezza bocca tutti parlano di
«razzismo» nei confronti degli ebrei neri. «Si tratta di ridurre la
natalità in un gruppo che è nero e per lo più povero», ha commentato Hedva
Eyal, che ha condotto le indagini per conto di «Womam to Woman». Un
giudizio che pochi osano smentire, specie dopo la decisione presa da Ron Gamzu,
direttore generale del ministero, finito sotto accusa, di ordinare a quattro
organizzazioni sanitarie di base l'interruzione del programma di
somministrazione del Depo Provera.
Questa storia, che fa venire la pelle d'oca, non comincia in
Israele ma proprio in Etiopia, nei campi di accoglimento per i Falasha che si
preparavano a partire per Israele. Alcune donne hanno riferito al giornalista
Gal Gabbai che dei responsabili dei programmi di assistenza a Gondar avevano
condizionato la consegna del biglietto aereo per Tel Aviv alla somministrazione
del farmaco, alcune di loro, a causa anche di problemi di lingua, avevano capito
di doversi vaccinare prima di partire per Israele. Una delle intervistate,
Amawaish Alane, ha riferito: «Non volevamo quella iniezione ma ci risposero
che in quel caso non ci avrebbero fatto partire per Israele e sospeso il
programma di assistenza medica».
I responsabili del ministero della salute e delle agenzie
ebraiche di sostegno agli immigrati negano che il Depo Provera sia stato
somministrato con la forza o con l'inganno. L'American Jewish Joint
Distribution Committee (Ajjdc), che gestisce i servizi sanitati in Etiopia a
favore dei falasha che intendono trasferirsi in Israele, ha negato seccamente
che il farmaco sia stato somministrato contro la volontà delle donne. Il
ministero della salute e i responsabili dell'Ajjdc non hanno spiegato però il perché
del calo del 20% (qualcuno parla addirtittura del 50%) del tasso di natalità
tra i falasha in questi ultimi anni e perché i medici evitano di iniettare il
farmaco a donne ebree appartenenti ad altre comunità. Senza contare le
dichiarazioni dell'impiegato di un ambulatorio pubblico secondo il quale le
ebree etiopi farebbero fatica a «comprendere» anche le cose più elementari.
La frustrazione è enorme nella comunità falasha (120mila
persone), già consapevole di essere al punto più basso della piramide sociale
in Israele e costretta ad ingoiare gravi discriminazioni. Anni fa i falasha
scoprirono che il sangue che donavano veniva sistematicamente gettato via.
Fonte: visto su http://nena-news.globalist.itdrl del 30 gennaio 2013
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