all’articolo sotto mainstream si evincono le seguenti cose:
Finto valore. Le banche
partecipanti a Banca d’Italia SpA vogliono rivalutare le loro azioni nella SpA
demolendo finalmente la parvenza di natura di istituto pubblico della stessa e
delle sue partecipanti, voluta da Mussolini nel 1936. Da dove trarranno questo
valore?
Finti indipendenti. Il
Comitato riunitosi per discuterne è costituito da nientepopodimeno che il
paracadutato greco Papademos che all’epoca fu “atterrato” a premier greco per
conto delle banche creditrici per soffocare qualsiasi rigurgito di democrazia
in Grecia quando il premier dell’epoca volle indire, non sia mai!, addirittura
un referendum.
Falsi amici. Saccomanni
vuole trasformare la nostra obbrobriosamente privatizzata banca centrale, “di
concerto con la BCE”, in “public company con azionariato diffuso” che
contrariamente al falso amico linguistico non è società pubblica bensì
esattamente il contrario, “banca privata quotata in borsa con azionariato
diffuso”. Chiunque avrà i mezzi potrà
comprarne dei pezzetti. Conoscendo il giochetto vari prestanome compreranno
pezzetti per i soliti (ig)noti. Il sofisma sui giornali sarà quello d’impiegare
l’espressione inglese per indurre il lettore distratto a pensare che la
staranno rendendo “pubblica”.
Finto default. Il
presidente dell’ABI Patuelli, incarico occupato prima di lui da Mussari come
premio delle sue gesta nell’operazione “finto default” MPS, che tanto piacere
ha fatto ai Rotschilds, ha chiesto a luglio “il superamento della
«inammissibile» legge del governo Berlusconi del 2005, «che puntava a
nazionalizzare l’azionariato della Banca d’Italia»”. Per chi ancora non avesse
capito la principale ragione del suo siluramento (finto puttaniere?). A
proposito, il firmatario della legge, Tremonti, dov’è?
Finta norma (ma
presupposti veri). Vorrei sapere dove esattamente e in quale norma sta
scritto che le BC non possono essere nazionalizzate, ma la forma della frase è
interessante: presuppone, per una volta, che le BC d’Europa siano tutte private
e che non sia auspicabile nazionalizzarle. Interesting n’est-ce pas?
Finti debiti. Si noti
regalia a MPS quando come ho detto sopra è un “finto default” esattamente come
i “finti debiti” delle banche. Finti, o semplicemente trasferimenti travestiti.
I debiti, quelli veri, rimangono a noi. Come la bad company. La good company,
con tutti i suoi cespiti, volatilizzata. Il tutto a beneficio dei franco-rotti
di BNP Paribas/AXA di cui tutta la provincia di Siena diventerà la
colonia.
Falsi utili. Inoltre
qualcuno mi spieghi di quali riserve si parla come frutto “dell’attività tipica
[della banca centrale] che è quella di battere moneta.” Sicuramente somme
falsi rispetto a tutta la rendita monetaria delle BC.
Finte liberazioni e finte
proprietà. Last but not least, sibillina la frase sulle riserve auree, che
ne presuppone la proprietà a Bankitalia – e qua finisce la famosa disputa tra
Tremonti e Trichet sulla proprietà delle riserve auree – una banca
privata presto quotata in borsa, riserve auree “nella disponibilità
dell’Eurosistema”. Per gli italiani che non lo sapevano, adesso sanno che le
riserve auree italiane non sono più nostre, ma delle BC europee. Avevamo
già avuto un furto di gran parte del nostro oro alla “finta liberazione”, un
furto fisico, ma adesso ve n’è il suggello giuridico.
N. Forcheri 24/9/2013
Fonte: http://www.ilmessaggero.it/ECONOMIA/bankitalia_quote_partecipazione_capitale/notizie/328710.shtml
BANKITALIA, VIA ALLA
STIMA DELLE QUOTE COMITATO DI ESPERTI AL LAVORO
La Banca d’Italia dà il via alla valutazione delle quote nel
proprio capitale: un comitato di esperti di alto livello, appena
nominato, si è riunito oggi stesso per dare inizio a un processo che, nei
desideri delle banche azioniste, rafforzerebbe il loro patrimonio alleggerendo
la necessità di andare sul mercato per aumentare il proprio capitale.
Via Nazionale – si legge in una nota – ha dato incarico a
Franco Gallo, giurista ed ex presidente della Corte costituzionale, Lucas
Papademos, ex vicepresidente della Bce ed ex premier greco, e Andrea Sironi,
rettore dell’Università Bocconi, di effettuare «una valutazione delle quote di
partecipazione al proprio capitale». Pochi i dettagli emersi dalla prima
riunione, cui erano presenti il governatore Ignazio Visco, il direttore
generale Salvatore Rossi e il vice direttoregenerale Fabio Panetta.
Tuttavia due settimane fa lo stesso Rossi aveva spiegato che
il valore del capitale dovrebbe essere quantificato «sperabilmente entro
questo mese». Il dossier tocca anche il ministro dell’Economia (ed ex direttore
generale di Bankitalia) Fabrizio Saccomanni, che quest’estate ha aperto a una
riforma dell’assetto azionario di Via Nazionale da realizzare «di concerto» con
la Banca centrale europea. Obiettivo primario, estendere la platea dei
partecipanti al capitale in modo di rendere la banca centrale una vera ‘public
company’ ad azionariato più diffuso rispetto all’assetto attuale, divenuto
più concentrato a seguito delle fusioni e acquisizioni avvenute nel tempo
fra gli istituti di credito azionisti. Il presidente dell’Abi, Antonio
Patuelli, lo scorso luglio aveva chiesto il superamento della «inammissibile»
legge del governo Berlusconi del 2005, «che puntava a nazionalizzare
l’azionariato della Banca d’Italia».
La Bce e le banche centrali da sempre chiudono a qualsiasi
ipotesi di nazionalizzazione: nello statuto della Bce, che regola anche gli
istituti nazionali, è vietata qualunque forma di «finanziamento monetario»
agli Stati. Ma il punto nodale è che le banche azioniste puntano invece
chiaramente ad adeguare il valore delle loro quote in Bankitalia in modo da
rafforzare il proprio bilancio. Pesano i vincoli di Basilea 3, c’è la pressante
revisione degli attivi bancari europei che la Bce, prima di assumere
la vigilanza unica, si appresta a fare in autunno portando a galla eventuali
‘buchi’. E ci sono onerosi aumenti di capitale da fare che potrebbero
persino comportare un intervento pubblico, come quello chiesto dall’Europa al
Montepaschi da 2,5 miliardi di euro. Certo è che, rispetto a un capitale
formalmente quantificato in appena 156.000 euro (valutazione del 1936), oggi
circolano valutazioni miliardarie. Come quella del capogruppo del Pdl alla
Camera, Renato Brunetta, che propone di rivalutare il capitale fino a
25 miliardi (stimando in 22,6 miliardi le riserve auree) in un’operazione che
assicurerebbe allo Stato quattro miliardi in imposte sulle plusvalenze pagate
dalle banche. Rossi ha contestato anche l’idea di sommare il capitale
alle riserve, essendo queste «state accumulate dalla banca centrale attraverso
la sua attività tipica che è quella di battere moneta».
Sullo sfondo del dossier, poi, ci sono gli appetiti sulle
riserve auree di Bankitalia. Ma la posizione dell’istituto è sempre stata
chiara. L’oro – è il ragionamento – è il presidio ultimo di fiducia verso
l’Italia e verso l’Europa, che non può essere nella disponibilità di altri che
l’Eurosistema.
Fonte: visto su STAMPA LIBERA del 24 settembre 2013
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