Cinque aziende su otto chiedono prestiti in banca per
pagare le tasse.
E’ uno degli ultimi risvolti della crisi nel nostro Paese.
In particolare, segnala l’ufficio studi di Unimprese, oltre il 62% delle micro,
piccole e medie imprese italiane e’ stato costretto a ricorrere a un
finanziamento per onorare le scadenze fiscali. E c’e’ l’Imu (imposta municipale unica) in
cima alla lista dei balzelli che hanno spinto gli imprenditori a rivolgersi
agli istituti di credito. Quanto ai settori produttivi, sono gli operatori
turistici (per gli alberghi), le piccole industrie (per i capannoni) e la
grande distribuzione (per i supermercati) quelli maggiormente esposti con le
banche a causa dei versamenti fiscali sugli immobili e, piu’ in generale, per
tutti gli adempimenti con l’Erario.
Oltre 76.200 pmi associate a Unimpresa hanno chiesto
soldi alle banche, nel primo semestre di quest’anno, per rispettare le
scadenze tributarie. Oltre all’Imu, e’ l’Irap l’altra tassa che mette in
difficolta’ gli imprenditori italiani, tenuto conto che l’imposta regionale
sulle attivita’ produttive si paga anche quando i bilanci sono in perdita. Tre,
in particolare, i comparti dell’economia del Paese letteralmente “strozzati”
dal tributo immobiliare. Gli ostacoli maggiori sono stati riscontrati per le
categorie che basano piu’ di altre la loro attivita’ imprenditoriale proprio
sugli immobili. Si tratta degli operatori turistici (con i proprietari di
alberghi in cima alla classifica), delle piccole industrie e delle fabbriche
(per i capannoni) e del comparto della grande distribuzione organizzata (per i
cosiddetti supermercati).
“Tutto cio’ genera un triplo effetto negativo sui conti e
sulle prospettive di crescita delle aziende”, spiega il presidente di
Unimpresa, Paolo Longobardi. “Il primo e’ l’apertura di linee di credito
destinate a coprire le imposizioni fiscali invece di nuovi investimenti, il che
limita la natura stessa dell’attivita’ di impresa. Il secondo problema sorge,
poi, alla chiusura degli esercizi commerciali, quando il valore degli immobili
posti a garanzia dei ‘prestiti fiscali’ va decurtato in proporzione al valore
dell’ipoteca, con una consequenziale riduzione degli attivi di bilancio. Il
terzo ‘guaio’ e’ relativo a eventuali, altri finanziamenti per i quali
l’impresa deve affrontare due ordini di problemi: meno garanzie da presentare
in banca e un rating piu’ alto che fa inevitabilmente impennare i tassi di
interesse”.
“Pur ribadendo una contrarieta’ di fondo a qualsiasi
innalzamento dei tributi, potremmo dare il nostro assenso a un eventuale
scambio fra l’innalzamento dell’aliquota Iva dal 21% al 22% controbilanciato
pero’ da un taglio del cuneo fiscale”, aggiunge Longobardi. Secondo il
presidente di Unimpresa, “l’inasprimento della tassa sui consumi e’ pericoloso
e corre il rischio di frenare le flebili speranze di ripresa economica.
Tuttavia, potrebbe essere considerato il male minore rispetto a un concreto
intervento sulle tasse a carico di aziende e dipendenti. Intervento che avrebbe
un doppio effetto positivo: alleggerire i bilanci delle imprese e aumentare le
disponibilita’ delle famiglie, che potrebbero cosi’ far fronte a un aumento dei
prezzi consequenziale al rialzo dell’Iva”.
Fonte: visto su L’Indipendenza del 25 settembre 2013