«Matteo Renzi è un mentitore pericoloso», taglia corto Pino Cabras su “Megachip”.
«Ha illuso milioni di elettori
con la narrazione del Rottamatore, ma ha rottamato solo chi gli si opponeva,
imbarcando ogni genere di boss e sotto-boss nella sua scalata».
Una lunga sequenza di menzogne: aveva «dichiarato solennemente di non voler andare a Palazzo Chigi senza
legittimazione popolare», mentre ora – abbattendo Letta – disegna il nuovo
scenario «con un Parlamento eletto con
una legge incostituzionale», peraltro peggiorata con l’aiuto del Cavaliere,
«con il quale – altra bugia per prendere
i voti – diceva che non si potevano mai fare accordi».
Il nuovo capo del Pd tradisce sistematicamente chi gli ha dato
fiducia?
«Certo, Renzi ha un disegno.
Ma questo disegno non è nelle mani di alcuno che gli abbia dato fiducia dal
basso. È nelle mani dei veri potenti che detengono le cambiali politiche che
Renzi ha firmato durante la fase ascendente della sua parabola». E gli
“azionisti” di Renzi non sono soltanto italiani.
Quando negli anni ‘80 Michael Ledeen varcava l’ingresso del dipartimento
di Stato, ricorda Franco Fracassi su “Popoff”, chiunque avesse dimestichezza
con il potere di
Washington sapeva che si trattava di una finta: quello, per lo storico di Los
Angeles, rappresentava solo un impiego di facciata, per nascondere il suo reale
lavoro. E cioè: consulente strategico
per la Cia e per la Casa Bianca.
«Ledeen è stato la mente della
strategia aggressiva nella Guerra Fredda di Ronald Reagan, è stato la mente
degli squadroni della morte in Nicaragua, è stato consulente del Sismi negli
anni della Strategia della tensione, è stato una delle menti della guerra al terrore promossa dall’amministrazione
Bush, oltre che teorico della guerra all’Iraq e della potenziale guerra all’Iran, è stato uno dei consulenti del
ministero degli Esteri israeliano. Oggi – aggiunge Fracassi – Michael Ledeen
è una delle menti della politica estera del segretario del Partito
democratico Matteo Renzi».
Forse è stato anche per garantirsi la futura collaborazione di Ledeen che l’allora presidente della
Provincia di Firenze si recò nel 2007 al dipartimento di Stato Usa «per un
inspiegabile tour».
Non è un caso, continua Fracassi, che il segretario di Stato Usa John Kerry
abbia più volte espresso giudizi favorevoli nei confronti di Renzi. Ma sono principalmente i neocon ad appoggiare
Renzi dagli Stati Uniti.
Secondo il “New York Post”,
ammiratori del sindaco di Firenze sarebbero gli ambienti della destra
repubblicana, legati alle lobby che lavorano per Israele e per l’Arabia Saudita.
«In questa direzione vanno
anche il guru economico di Renzi, Yoram Gutgeld, e il suo principale consulente
politico, Marco
Carrai, entrambi molti vicini a Israele». Carrai,
scrive Fracassi, ha addirittura propri interessi in Israele, dove si occupa di
venture capital e nuove tecnologie.
«Infine, anche il suppoter renziano Marco Bernabè
ha forti legami con Tel Aviv, attraverso il fondo speculativo Wadi Ventures». Suo
padre, Franco Bernabè, fino a pochi anni fa è stato «arcigno custode delle dorsali telefoniche mediterranee che collegano
l’Italia a Israele».
Forse aveva ragione l’ultimo cassiere dei Ds, Ugo Sposetti, quando disse: «Dietro
i finanziamenti milionari a Renzi c’è Israele e la destra americana». O perfino Massimo D’Alema, che definì Renzi il
terminale di «quei poteri forti che
vogliono liquidare la sinistra».
Dietro Renzi, continua Fracassi, ci sono anche i poteri forti
economici, a partire dalla Morgan
Stanley, una delle banche d’affari
responsabile della crisi mondiale
«Davide Serra entrò in Morgan Stanley
nel 2001, e fece subito carriera, scalando posizioni su posizioni, in un
quinquennio che lo condusse a diventare direttore generale e capo degli
analisti bancari».
Una carriera, quella del giovane broker italiano, punteggiata di
premi e riconoscimenti per le sue abilità di valutazione dei mercati. «In quegli anni trascorsi dentro il gruppo
statunitense, Serra iniziò a frequentare anche i grandi nomi del mondo bancario
italiano, da Matteo Arpe (che ancora
era in Capitalia) ad Alessandro Profumo
(Unicredit), passando per l’allora gran capo di Intesa-San Paolo Corrado
Passera».
Nel 2006 Serra decise tuttavia che era il momento di spiccare il
volo. E con il francese Eric Halet
lanciò Algebris Investments.
Già
nel primo anno Algebris passò da circa 700 milioni a quasi due miliardi di
dollari gestiti.
L’anno successivo Serra,
con il suo hedge fund, lanciò l’attacco al colosso bancario olandese Abn Amro, compiendo la più importante
scalata bancaria d’ogni tempo.
Poi fu il turno del banchiere francese Antoine Bernheim a essere fatto fuori da Serra dalla presidenza di Generali, permettendo al rampante
finanziere di mettere un piede in Mediobanca.
Definito dall’ex segretario Pd Pier
Luigi Bersani «il bandito delle
Cayman», Serra oggi ha
quarantatré anni, vive nel più lussuoso quartiere di Londra (Mayfair), fa
miliardi a palate scommettendo sui ribassi in Borsa (ovvero sulla crisi) ed è «il
principale consulente finanziario di Renzi, nonché suo grande raccoglietore di denaro, attraverso cene
organizzate da Algebris e dalla sua
fondazione Metropolis».
E così, nell’ultimo anno il gotha dell’industria e della finanza italiane
si è schierato dalla parte di Renzi. A cominciare da Fedele Confalonieri che, riferendosi al sindaco di Firenze, disse:
«Non saranno i Fini, i Casini e gli
altri leader già presenti sulla scena politica a succedere a Berlusconi, sarà un giovane».
Poi venne Carlo De Benedetti,
con il suo potentissimo gruppo editoriale Espresso-Repubblica («I partiti hanno perduto il contatto con la
gente, lui invece quel contatto ce l’ha»).
E ancora, Diego Della Valle,
il numero uno di Vodafone Vittorio Colao,
il fondatore di Luxottica Leonardo Del
Vecchio e l’amministratore delegato Andrea
Guerra, il
presidente di Pirelli Marco Tronchetti
Provera con la moglie Afef, l’ex direttore di Canale 5 Giorgio Gori, il patron di Eataly Oscar Farinetti, Francesco
Gaetano Caltagirone, Cesare Romiti, Martina Mondadori, Barbara
Berlusconi, il
banchiere Claudio Costamagna, il
numero uno di Assolombarda Gianfelice
Rocca, il patron di Lega Coop Giuliano
Poletti, Patrizio Bertelli di
Prada e Fabrizio Palenzona di
Unicredit.
Fracassi cita anche il Monte
dei Paschi di Siena, collegato al leader del Pd attraverso il controllo
della Fondazione Montepaschi gestita dal renziano sindaco di Siena Bruno Valentini.
Con Renzi anche l’amministratore delegato di Mediobanca, Albert Nagel, erede di Cuccia
nell’istituto di credito. «Proprio sul giornale controllato da Mediobanca, il
“Corriere della Sera”, da sempre schierato dalla parte dei poteri forti, è
arrivato lo scoop su Monti e Napolitano, sui governi tecnici.
Il “Corriere” ha ripreso alcuni passaggi dell’ultimo libro di Alan Friedman, altro uomo Rcs. Lo scoop
ha colpito a fondo il governo Letta e aperto la strada di Palazzo Chigi a
Renzi».
Fracassi conclude citando il defunto segretario del Psi, Bettino Craxi, che diceva: «Guarda come
si muove il “Corriere” e capirai dove si va a parare nella politica».
Gad Lerner, recentemente,
ha detto: «Non troverete alla Leopolda(1)
i portavoce del movimento degli
sfrattati, né le mille voci del Quinto Stato dei precari all’italiana. Lui
(Renzi) vuole impersonare una storia di successo. Gli sfigati non fanno
audience».
Ormai è tardi per tutto: il Pd – già in coma, da anni – si è
completamente arreso all’ex Rottamatore. «Dove
mai andrà il “voto utile” in mano a Renzi? In quale manovra di palazzo, in
quale strategia dell’alta finanza verrebbe bruciato? In quale menzogna da
Piano di rinascita democratica?», si domanda Pino Cabras. «Ogni complicità
con il nuovo Sovversore dall’alto diventa intollerabile ogni minuto di più».
Fine della cosiddetta sinistra italiana.
Fuori tempo massimo, ora, «in tanti saranno costretti ad aprire gli
occhi, e a comprendere la differenza fra militanti e militonti. Ma hanno
riflessi troppo lenti. La riscossa – a trent’anni dalla morte di Enrico
Berlinguer – passerà da altre parti».
Fonte: visto su LIBRE del 14 febbraio 2014
1 - LEOPOLDA - E’ così
che Matteo Renzi si è inventato la
Leopolda, un contenitore politicamente trasversale che, in quattro anni, lo
ha portato al vertice del Pd prima e a Palazzo Chigi subito dopo. Ogni edizione
della Leopolda è stata organizzata e studiata a seconda del momento politico e
per centrare obiettivi precisi .
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