martedì 31 luglio 2018

TENETELO BENE IN MENTE



Tenetelo bene a mente. 
L'obiettivo del mondialismo e dei suoi agenti non è integrare i migranti, ma disintegrare i cittadini. 
Non è rendere i migranti come noi, ma noi come i migranti: senza diritti, sradicati, con salari da fame. 
È questa la funzione dell'immigrazione di massa.

(Diego Fusaro)


domenica 29 luglio 2018

I CRISTIANI DI SIRIA E LA CECITÀ DELL’OCCIDENTE





La Siria era e rimane una terra ricca di spiritualità, nonostante il lungo conflitto che continua a tormentarla. Una domanda sorge spontanea: come hanno vissuto la guerra i cristiani di Siria? In questa intervista (seconda puntata del nostro dialogo-approfondimento sul conflitto nel Paese arabo) il reporter di guerra Fulvio Scaglione ci racconta la vita e le sofferenze di una comunità antichissima, che abita quelle terre da due millenni.

  
D: In questi anni c’è stata nella guerra siriana anche una forte persecuzione anticristiana. Com’è il rapporto fra cristiani e musulmani che vivono fianco a fianco?

R:Se si guarda al Medio Oriente in generale, la Siria era quasi un’oasi dal punto di vista dei rapporti interreligiosi. C’erano decine di gruppi diversi che comunque convivevano e andavano avanti. Adesso i rapporti fra cristiani e musulmani sono improntati a grande comprensione, tolleranza e stima reciproche. I cristiani hanno sicuramente fatto tanti punti durante questi anni della guerraperché, avendo una maggiore esperienza e capacità nell’intervento umanitario e caritativo, hanno oggettivamente fatto tanto e per tutti: porte aperte, nel senso che anche tanti musulmani hanno goduto dell’accoglienza nei tempi difficili.

Quindi, a livello di gerarchie, c’è sicuramente una grande disponibilità all’intesa, il che non vuol dire che non ci siano poi dei problemi sul terreno. Per fare un esempio, ad Aleppo, ma non solo lì, molti cristiani sono scappati e nei quartieri cristiani sono arrivati a vivere molti musulmani, molti più musulmani di prima. Questo, detto così, non sembra niente. Però in una situazione come quella del Medio Oriente, dove le comunità hanno un fortissimo ruolo, cominciare a incrinarle non è una cosa piacevole; è una cosa che i cristiani non vivono bene e che molti musulmani vivono come una sorta di occupazione, perché nei quartieri cristiani si vive bene, sono di solito quartieri più calmi, più ordinati.


 

La cattedrale di Sant’Elia ad Aleppo


Comunque, certe tensioni sono passate ma non sono dimenticate. È ovvio che, comunque la si giri, anche se quella siriana non è stata una guerra di religione, chi ammazzava tanta gente innocente erano dei musulmani o sedicenti musulmani. Loro, quelli dell’Isis e di altri gruppi jihadisti, si considerano dei buoni musulmani, anzi i migliori musulmani.

Quindi è un’esperienza che ha in ogni caso lasciato un segno. Dovranno essere molto in gamba le rispettive gerarchie, perché questa cosa ha lasciato delle cicatrici profondissime nel Paese in tutti i sensi. Non è così semplice. Anche se, ripeto, c’è un grande sforzo da parte degli esponenti delle chiese cristiane e dell’islam siriano per superare questi traumi.

D: A proposito di gerarchie, proprio gli alti prelati cristiani di Siria in questi anni hanno parlato molto contro il coro mediatico, dicendo cose che spesso a noi, abituati a una certa narrazione del conflitto siriano, sembravano strane. Si sono schierati a volte apertamente a sostegno di Assad…

R:… ma certo, senza se e senza ma. Nessuno di loro ritiene che il sistema siriano sia perfetto o non sia migliorabile, questo assolutamente no. Però Assad è comunque il presidente dei siriani e loro sono siriani. Bisogna poi tenere presenti alcune questioni. Punto primo: lo spirito nazionale siriano. Noi siamo abituati a parlare di sciiti, sunniti, eccetera, ma in Siria c’è un forte spirito nazionale.

Punto secondo: mentre noi ci siamo raccontati un po’ di balle, i siriani hanno visto che sono arrivati a combattere settanta-ottantamila stranieri, tunisini, egiziani, europei, e di altre nazionalità. Per loro è un’invasione, non è una guerra civile. Nel momento in cui arrivano dall’estero settanta-ottantamila mercenari, fanatici e ideologizzati ma mercenari, bombardamenti americani, bombardamenti israeliani, i turchi, loro non la vivono come una guerra civile, loro la vivono come un’aggressione internazionale contro il loro Paese.

In ogni caso quando gli esponenti delle chiese cristiane dicono che, prima della guerra, la Siria rispetto allo standard del Medio Oriente era un’oasi di convivenza religiosahanno ragione, non mentono, dicono una cosa giusta, sacrosanta. Quindi non c’è da stupirsi.


Gregorio III patriarca di Damasco


Poi qui stiamo parlando di fanatismo sterminatore alla Al-Baghdadi, ci siamo solo noi [occidentali n.d.r.] che sono sette anni che andiamo avanti con questa storia della rivolta democratica. La rivolta democratica è durata due settimane. Gli altri sei anni e cinquanta settimane sono stati semplicemente una guerra di terrorismo finanziata dall’esternocontro un Paese che non era in guerra con nessuno. È inutile che ce la raccontiamo. Quindi non c’è assolutamente da stupirsi che i cristiani stiano dalla parte di Assad e del suo governo. È assolutamente normale. Siamo noi che non siamo normali, siamo noi che non abbiamo avuto uno sguardo obiettivo nei confronti di questa crisi. Anzi, abbiamo avuto uno sguardo molto di parte.

Inoltre, non dimentichiamo che molti cristiani siriani hanno preso le armi contro i jihadisti. Ci sono dei posti come Sednaya che hanno una storia significativa. A Sednaya c’è un grande monastero ortodosso: è un villaggio in montagna dove c’è questo centro religioso molto antico e dove la componente cristiana è maggioritaria. Gli abitanti si sono autotassati, hanno comprato le armi, hanno costruito delle difese intorno al loro villaggio e al monastero e quando si sono presentati i miliziani di Al-Nusra gli hanno sparato addosso e hanno avuto anche dei morti.


 

Il convento di Sednaya


Su questa questione dei cristiani poi c’è qualche bello spirito anche in ambito cattolico che pontifica a vanvera e dice che i cristiani fanno così perché Assad ha dato loro dei privilegi. Innanzitutto i cristiani non godono di nessun privilegio rispetto alle altre confessioni religiose, men che meno nei confronti dei musulmani. Punto secondo: in Medio Oriente è così. In Medio Oriente la comunità, qualunque sia, sciita, cristiana, ortodossa, cristiana cattolica, non esiste se non ha una proiezione esterna. Deve avere una proiezione nella vita della società, che vuol dire scuole, ospedali, attività. Per avere questo è ovvio che in qualche modo si deve avere un rapporto con il potere politico. Ma questo vale per tutto il Medio Oriente. Forse i cristiani copti in Egitto non hanno un rapporto politico con Al-Sisi? È così dappertutto. Quindi questa obiezione è ridicola. Terza cosa: in un Paese come l’Italia che ha addirittura il Concordato che certifica i rapporti fra Stato e Chiesa, accusare i cristiani del Medio Oriente di avere una relazione politica con chi comanda fa veramente ridere. È normale, è così. Dev’essere così.


D: Quindi in definitiva cos’è che manca nella comprensione da parte di noi occidentali di quello che è successo in Siria in questi sette anni?

R: Manca tutto, è il nostro atteggiamento generale che è patetico. Guarda questa cosa degli attacchi chimici: erano tutti lì con la mano sulla bocca [si riferisce alla campagna sui social in cui alcuni personaggi pubblici si facevano ritrarre con la mano davanti alla bocca per protestare contro un presunto attacco chimico compiuto dal governo siriano, n.d.r.] e adesso il primo rapporto degli ispettori dell’OPAC è negativo. Quindi questi, i vari Saviano e compagnia bella, sapevano già tutto, erano già assolutamente certi dell’attacco mentre gli ispettori, che sono degli specialisti nel campo e hanno ricevuto nel 2013 il premio Nobel per la loro attività contro le armi chimiche, dopo mesi di indagini ancora non hanno trovato nulla? È chiaro: c’è una colossale opera di propaganda.

Fax news.....La campagna social contro i presunti attacchi chimici


Inoltre, la nostra civiltà vive costantemente il cosiddetto tradimento dei chierici, cioè gli intellettuali e i giornalisti possono raccontarcela come vogliono ma alla fine dicono tutti quello che il potere vuole che loro dicano. Finisce sempre così. Credono di fare delle grandi battaglie ma alla fine sono manovrati e strumentalizzati. Nel 2011 si arrivava sull’onda delle primavere arabe e allora sembrava che anche in Siria dovesse succedere qualcosa… Certo, c’erano delle ragioni per protestare contro il governo di Assad, c’erano ragioni di insoddisfazione, ma se nessuno avesse messo il becco nella crisi siriana, come sarebbe finita?Sarebbe finita probabilmente come in Egitto e nessuno ha pensato che bisognava fare la guerra per la democrazia in Egitto. Perché in Egitto no e in Siria sì? Perché in Siria c’erano degli altri interessi: infatti abbiamo visto affluire i miliardi dai Paesi del Golfo, decine di migliaia di combattenti chissà come… Qui crediamo ancora che sia stata una cosa spontanea, ci raccontiamo che circolava la voce su Internet e allora settanta-ottantamila persone raccolte in mezzo mondo, ai quali non fregava niente dei palestinesi e di nessuna causa più o meno democratica del Medio Oriente, di colpo volevano portare la libertà in Siria… Come si fa a credere a queste stronzate?

Ma lo si vede in tutto. Si fanno tante storie sulla libertà di stampa in Turchia e si sono santificati quei giornalisti che sono stati messi in galera e poi sono scappati in Germania, ma non si dice mai perché erano finiti in galera. Quei giornalisti turchi non sono finiti in galera per l’astratta libertà di stampa, ma perché hanno rivelato e denunciato che Erdogan forniva le armi all’Isis. Questo però non viene detto mai. Erdogan, finché dava le armi all’Isis, nessuno l’ha criticato. Abbiamo cominciato dopo a scoprire che era antidemocratico… È tutto così.

E noi abbiamo questo mito della democrazia, dietro cui nascondiamo tutte le porcherie che ci piace fare. Ma il Medio Oriente non è nato ieri, il Medio Oriente e il mondo islamico in particolare hanno una storia più che millenaria. Non ci viene il pensiero del perché in tutto questo tempo loro non hanno avuto neanche una filosofia della democrazia o una discussione sulla democrazia? Sporadicamente qui e là personalità ne hanno parlato, ma non c’è un dibattito collettivo su questo tema nella loro storia. Forse perché non gli interessa o forse perché per la loro tradizione, cultura, realtà non è il sistema migliore. Perché l’alternativa è pensare che sono tutti cretini, sono 500 milioni di cretini e hanno bisogno che arriviamo noi e gli diciamo “oh, c’è la democrazia”, “ah, già è vero”. Come si fa a pensare così? Come è possibile? Però gli stupidi vanno appresso a questa cosa. Poi ci sono quelli intelligenti, che non sono in buona fede, che aderiscono a un progetto politico folle, demenziale, che produce solo disastri. Perché in Afghanistan è un disastro, in Iraq è stato un disastro, in Libia è stato un disastro, in Siria è stato un disastro. Questo progetto non produce altro che casini, però qualcuno ci crede. Ma non ci si può credere in buona fede, se ci credi in buona fede sei veramente uno scemo.


Fonte: da Giornale  L’Ora del  23 luglio 2018 



martedì 24 luglio 2018

COIMPO, UNA STORIA VENETA DI FANGHI TOSSICI SVERSATI NELLE CAMPAGNE



Veneti che tradiscono la loro terra. Un girone dell’inferno solo per loro.



 La trasformazione di una latteria sociale del Rodigino in un impianto di trattamento. La tragedia del settembre 2014: quattro morti, uccisi dalle esalazioni. I segreti della vasca D. 



La ricerca della verità e dei colpevoli di Gianni Belloni 


Gli inizi della storia

Era la latteria sociale di Cà Emoun pugno di case perse nella pianura sconfinata tra Adria e Rovigo. Mauro Luiseha il fiuto per gli affari e dal trasporto latte, a metà degli anni '80, si converte alla gestione dei fanghi di depurazione. In questa operazione è aiutato da un nuovo socio con più esperienza e con le spalle più grosse: Gianni Pagnindi Noventa Padovana.

Il procedimento è semplice: dopo la stabilizzazione e il trattamento, i fanghi vengono distribuiti nei campi. Nasce così, nel 1984, la Coimpospecializzata nel trattamento nei fanghi da depurazione.

Gli affari vanno bene, i fanghi arrivano da tutta Italia e anche dall'estero stando alle dichiarazioni degli abitanti che annotano le targhe dei camion in arrivo. Ma gli odori sono forti e pungenti.

Le proteste e i malumori degli abitanti si concretizzano nella costituzione di un comitato e in una raccolta di firme. Qualcuno ricorda ancora gli appostamenti notturni presso i cancelli della Coimpo per scoprire che cosa succedesse all'interno e che cosa trasportassero i tanti camion in arrivo. Ma la mobilitazione dei cittadini ha vita breve. Luise appare come un uomo potente. La Coimpo sponsorizza diverse manifestazioni compresa la locale squadra di calcio. La gente si acquatta in silenzio.

Gli affari proseguono a gonfie vele. Nel 2006 la Coimpo ottiene di gestire 99mila tonnellate annue di rifiuti. Entrano in società anche le figlie dei due fondatori. Nel frattempo Mauro Luise acquista una tenuta in Romania, La Fazenda, e lì si trasferisce, ma continua ad esercitare un controllo ferreo sull'azienda.

Nel 2010 è costituita la Agribiofert, un'azienda gemella della Coimpo. Produce correttivo calcico con gli stessi fanghi in arrivo. La mossa è astuta: le legislazione e il controllo sui fanghi si è inasprita, mentre “i correttivi vanno dappertutto” come sottolinea Mauro Luise in un corso di una riunione.

“Prima dell'incidente...comunque...non so come posso dire...eravamo un'azienda...numero uno quasi, su quello che era il nostro...” Gianni Pagnin ricorda così i bei tempi andati con un interlocutore ignoto. Nel 2015 la Coimpo si è fermata a 3,3 milioni, mentre mancano i dati della ditta gemella, la Agribiofert, ma nel 2014, malgrado la chiusura per due mesi a causa dell' ”incidente”, il gruppo Coimpo fattura oltre 12 milioni e mezzo di euro.

La tragedia del 2014

L'incidente di cui accennava Pagnin avviene il 22 settembre del 2014 quando una nube di acido solfidrico e di anidride solforosa uscita dalla vasca D dell'impianto uccide per asfissia tre operai e l'autista del camion che stava scaricando l'acido nella vasca.

Questi i nomi dei morti: Nicolò Bellato, 28 anni, Paolo Valesella, 53 anni, Marco Berti, 47 anni, Giuseppe Baldan, 48 anni.

Sarà il processo in corso a Rovigo a stabilire quanto è successo quella maledetta domenica del 22 settembre 2014. Fatto sta che il camionista veneziano Giuseppe Baldan ha svuotato, nella vasca D, una cisterna di acido solforico.

La procedura sarebbe stata accelerata rispetto alle procedure. La nube venefica che si è sprigionata ha provocato lo svenimento del camionista. Due operai della Coimpo, accorsi con un pick up per assistere Baldan, sono rimasti asfissiati.

Un altro operaio, Massimo Grotto, che stava lavorando nelle vicinanze della vasca D è stato soccorso da Rossano Stocco - titolare della Agribiofert e uomo di fiducia del duo Pagnin-Luise - che ha indossato per tempo una maschera antigas. Un altro operaio, Paolo Valesella, è morto nel tentativo di fuggire. Il suo corpo è stato ritrovato a 300 metri dal punto dell’incidente.

La tragedia sconvolge un po' tutti. Ma il sindaco di Adria, Massimo Barbujani, nell'occasione ricorda la generosità dell'amministratore della Coimpo, Mauro Luise, nel sostegno alle iniziative del paese.

L'uscita sembra un po' fuori luogo. Con la morte dei quattro poveri cristi di quello che accade nel grande stabilimento perso nella campagna cominciano ad interessarsi un po' tutti: magistrati, giornalisti, la commissione parlamentare sul ciclo dei rifiuti che accorre pochi giorni dopo per un sopralluogo.

Fino all'arresto, il 10 dicembre del 2017, dei vertici della Coimpo e dell'azienda gemella Agribiofert: il padovano Gianni Pagnininsieme al socio polesano Mauro Luise. Agli arresti domiciliari sono finite le figlie Glenda LuiseAlessia Pagnin– entrambe nel consiglio d'amministrazione della Coimpo -, Rossano Stocco, dipendente, e Mario Crepaldi, il factotum dell'impianto.

Si comincia così a dire a gran voce quello che molti nel rodigino sussurravano e pochi – uno sparuto ed impaurito comitato dei residenti oltre al locale circolo di Legambiente – provarono negli anni a denunciare.

Le voci verranno confermate da un corposo dossier del 2016 del Corpo forestale dello Stato che certifica, dopo lunghe indagini, che i fanghi di origine civile ed industriale, solidi e liquidi “non venivano scaricati nelle preposte aree di stoccaggio per poi essere avviati alle lavorazioni bensì venivano riversati direttamente all’interno delle vasche destinate a contenere i fanghi già lavorati; da qui i fanghi venivano subito prelevati ed avviati allo spandimento sui terreni agricoli”.

In definitiva i rifiuti che entravano nell'impianto uscivano tal quali senza aver subito le operazioni di trattamento previste. La Coimpo era un ricettacolo di tutto lo strumentario dei trafficanti di rifiuti: giro bolla, falsificazioni dei pesi, manomissione delle analisi e delle certificazioni, mischiamento dei diversi rifiuti per far perderne la tracciabilità, smaltimenti clandestini.

I carabinieri forestali hanno documentato, con appostamenti, intercettazioni telefoniche ed ambientali, minuziose ricostruzioni documentali, tra il 2014 e il 2016 una quantità impressionante di reati ambientali.

E non solo.

Guarda che andavo a casa, e che sono uno che il mal di testa non sa neanche cosa vuol dire, ma sentivo in gola (bestemmia) a l’altro dicevo, ciò deficiente (bestemmia) digli qualcosa quando vai là in ufficio (bestemmia) vuoi che muoia sopra il trattore…”.

E poi “è una cosa impossibile arare… toglie il fiato”. 

Ecco cosa si provava a spargere il “correttivo calcico” della Coimpo nei campi. Secondo le analisi degli inquirenti i fanghi sversati sui terreni del Polesine “non erano esenti da sostanze tossiche e nocive e/o persistenti e/o bioaccumulabili in concentrazioni dannose per il terreno, per le culture, per gli animali, per l’uomo, per l’ambiente in generale”.




L'inchiesta

Le conclusioni del rapporto confezionato dai carabinieri forestali sono relative a 377 ettari in provincia di Rovigo, una piccola parte dei terreni dove la Coimpo negli anni ha distribuito “fertilizzante”. Altre aree interessate dagli sversamenti si trovano certamente in Polesine, ma anche nel padovano e nel veneziano, oltre che in Toscana, dove la Coimpo ha operato su 800 ettari di terreni agricoli tra Pisa e Firenze.

Il dato che suscita le maggiori preoccupazioni è quello che riguarda la presenza di Pcb,policlorobifenili,una sostanza dalla carica inquinante simile alla diossina che non si scioglie in acqua e in grado di passare, concentrando la sua carica tossica, nella catena alimentare dalle piante agli animali, all’uomo.

Almeno in tre casi il valore del Pcb è risultato di 0,10mg/kg rispetto a un valore limite di 0,06 mg/kg. Le procedure per la caratterizzazione e per l’eventuale bonifica delle aree contaminate sono solo ai primi passi. E gli esperti si aspettano che nuove analisi effettuate a livelli più profondi del terreno facciano emergere risultati ancora peggiori.

Il chiodo fisso dei responsabili della Coimpo era quello di trovare la terra vicino all'impianto dove poter scaricare i fanghi liberando così le vasche e poter ricevere altri rifiuti

E' una manna che fino a che c'è c'è”avrebbe confidato uno dei proprietari, Luigi Marchetti, ad un operatore della Coimpo. 
Faremo qua, un pastrocchio come al solito” racconta Mauro Luisespiegando agli operatori le operazioni di spargimento dei fanghi in un campo. 

I proprietari dei terreni erano pagati tramite l’affitto dei terreni – in alcuni casi anche il triplo della media degli affitti – e beneficiavano anche di altre regalie.

Secondo gli inquirenti, “la corresponsione di canoni elevatissimi e di altre utilità sembra dunque costituire il prezzo corrisposto per comprare la complicità dei proprietari dei terreni”. Molti dei campi in questione sono coltivati a mais ed erba medica e destinati a mangime per gli allevamenti.

I segreti della vasca D

Nel 2016 l'impianto cessa la produzione: già il primo arresto di Gianni Pagnin, avvenuto quell'anno, in seguito ad un'inchiesta analoga della procura fiorentina, aveva definitivamente azzerato le possibilità di un proseguimento dell'attività.

Da allora rimane drammaticamente aperto il dramma delle bonifiche di centinaia e centinaia di ettari avvelenati dai fanghi. I principali imputati non hanno usufruito del rito abbreviato che avrebbe comportato il farsi carico delle bonifiche e del ripristino del sito.

A Rovigo sono in corso due procedimenti: uno ancora allo stato nascente sulla rete di collusioni che hanno protetto le malefatte della Coimpo e un altro procedimento, sulla morte delle quattro persone asfissiate dalla nube venefica e su cosa sia effettivamente accaduto attorno alla vasca D il 22 settembre 2014, è in corso di dibattimento presso il tribunale.

Cosa accadeva attorno alla famigerata vasca D?

Dalle intercettazioni: “Non siamo più capaci di andare avanti perché ci brucia la pelle, vai in fondo brucia la pelle, viene qua brucia la pelle” racconta un operaio. 
E poi: “Perché lo sai cosa facevano? Loro mescolavano, facevano le analisi, andavano le analisi alte! Cos'è che facciamo? Butta dentro un camion! Butta dentro una botte di acido, una mescolata e sei a posto, l'acido tira a secco tutto (bestemmia) e dopo non eri più capace di respirare, (impreca) sia lui (Mauro Luise ndr) che anche quello di Padova (Gianni Pagnin ndr) (bestemmia) ci stavano facendo morire tutti, guarda che quel giorno lì (bestemmia) siamo stati fortunati che ci siamo fermati lì...”.

Scrivono gli inquirenti: “un fare caotico e disorganizzato, totalmente difforme da quella che doveva essere la procedura per la produzione del fertilizzante, con cui venivano lavorati i rifiuti e le materi prime all'interno della vasca che ha generato le esalazioni mortali”.

L'obiettivo dei responsabili della Coimpo era quello di “buttare dentro” in vasca D i rifiuti per procedere poi allo smaltimento nei campi del presunto “correttivo calcico”. Per produrlo i nostri hanno evitato di acquistare l'ossido di calcio e l'acido solforico, che sarebbero stati un costo, sostituendoli con la calce risultante dal processo di abbattimento dei fumi della A2A di Brescia, quindi un rifiuto da cui traevano anche un guadagno, che in teoria avrebbero dovuto utilizzare in quantità minima alla fine del processo e che invece costituiva il 30/40% del correttivo. “Quando vengono dentro i soldi le parole non servano a niente” dichiara lapidario un altro operaio.

La teoria dell'errore umano – imputato al camionista che ha effettuato lo scarico dell'acido solforico nella vasca – ha alleggerito la coscienza di molti. Compreso il vicesindaco Federico Simoniche, nel dicembre del 2015, intercedendo sul presidente della Provincia Marco Trombini,che compare nella lista degli indagati, affinché la Coimpo lavori, racconta: “E' successa una cosa non per colpa loro...che esiste una colpa, forse forse è solo colpa di vigilanza non fatta, ma lì c'è una colpa”, e Trombini di rimando “Si – dice – so cos'è successo: errore umano”. Perfetto!”

La storia della Coimpo è anche la storia di una Caporetto amministrativa, un clamoroso fallimento, in parte voluto, della capacità di controllo delle attività produttive da parte della Pubblica amministrazione. Sappiamo che l’amministratore della società era stato già denunciato nel 2005, condannato nel 2009 per attività organizzative di traffico illecito di rifiuti, nonché denunciato ancora nel 2013 dai carabinieri del nucleo ecologico.

Inoltre, prima dell'incidente del 22 settembre 2014 nei confronti della Coimpo, erano state depositate tre notizie di reato (dal 2007 al 2012) e in cinque controlli effettuati erano stati elevati 16 verbali amministrativi. Insomma un curriculum problematico che avrebbe potuto attirare l'attenzione di chi di dovere.

E che fine hanno fatto gli esposti depositate in Procura?Una volta che arrivavano quelle denunce lì...c'era uno che le prendeva e le metteva...” racconta Mauro Luise a proposito di una denuncia per gli odori pestilenziali fatta da un gruppo di cittadini. I vertici della Coimpo potevano contare su una talpa in Procura, tal Vanni Fusaroda poco pensionato.

Secondo gli inquirenti è dimostrata “la capacità di Luise di attorniarsi di pubblici ufficiali, nello specifico soggetti appartenenti o legati in passato alle forze di polizia, ai quali venivano riconosciuti favori”.

Non c'è da stupirsi più di tanto: politici, tecnici, professionisti, forze dell'ordine erano parte di una vera e propria rete “che contemporaneamente garantiva al sodalizio l'ottenimento delle autorizzazioni all'esercizio e parava i possibili inghippi a cui si andava incontro con la gestione truffaldina dei rifiuti”. Da una parte una società locale a loro servizio e dall'altra uno sparuto comitato di cittadini, vessati dagli odori pestilenziali che ammorbavano l'aria, a cui nessuno prestava attenzione.

Uno dei loro santi in paradiso era Giuseppe Boniolo, dipendente della Provincia di Rovigo in forze al settore ambiente, ma pure socio occulto, attraverso familiari, di due società attive nel settore ambientale, la Agrisol srle la Sga srla cui arrivavano in varie forme i finanziamenti da parte dei vertici della Coimpo.  Boniolo riuscì a far ottenere “l'esercizio dell'impianto della Agribiofert correttivi srl[...] in carenza della apposita procedura di Valutazione d'Impatto Ambientale”.

Inoltre Boniolo si prodigò all'autorizzazione relativa alle emissioni in atmosfera ignorando “il fatto che vi potessero essere emissioni diffuse durante le fasi di stoccaggio e lavorazione dei rifiuti e nella loro miscelazione con altre materie quali l'acido solforico”. Esattamente quello che accadde la maledetta mattina del 22 settembre 2014 nella famigerata vasca D.

Poi c'è la folta schiera di tecnici e chimici che si adoperavano per accomodare le analisi dei fanghi. Nel maggio 2016 una nutrita schiera di consulenti suderanno le proverbiali sette camice perché il cosiddetto “correttivo calcico” non risultasse contenere eccessive quantità di mercurio adulterando, alla fine, il campione, con la complicità dei chimici.. perché risultasse a norma. O in un altro episodio in cui il problema è il selenio: “Ce l'ha alto, va fuori limite di parecchio, quasi il doppio.”

Ascolta io faccio un altro campione, adesso lo porto su”...”daAndrea Gattolin”. Gattolin è un loro tecnico di “fiducia”, peccato che il suo laboratorio “Chimicamabiente” di Este non sia accreditato. Anche il problema di avere delle percentuali di azoto nei fanghi troppo alto che gli costringerebbe a sversare minore quantità di fanghi nei campi viene risolto chiedendo al chimico Tiziano Bonatodella LabControl,che “ci sente” di fare “un'altra passata”.

Quando la Provincia inizierà, dopo l'”incidente”, a prendere qualche timido provvedimento nei confronti della Coimpo, Mauro Luise, sospettando un voltafaccia di Boniolo, chiederà l'intervento di Federico Simoni, vicesindaco di Adria, che organizzerà, nel dicembre 2015, un incontro con il presidente della Provincia Marco Trombini. Dopo l'incontro Boniolo verrà trasferito. 
Ma l'impegno del vicesindaco Simoni non si ferma qui. Il nemico dell'azienda si chiama Devis Casetta, consulente del Comitato degli abitanti prima e del Comune di Adria poi, definito da Simoni “un comunista, anarchico di merda”. L'impegno preso da Simoni con Glenda Luise è quello di rimuoverlo o perlomeno “addomesticarlo”.

Senza esito.

Il terremoto politico

La vicenda della Coimpo ha travolto l'amministrazione comunale di Adria. L'ex sindaco Barbujaninon ha mai nascosto la sua amicizia, e la sua solidarietà, con Mauro Luise. Una parte della sua maggioranza ha criticato l'approccio “morbido” dell'amministrazione nei confronti dell'impresa di Cà Emofino a decretare la crisi di giunta. Alle recenti elezioni amministrative è stato eletto sindaco Omar Barbierato, ambientalista e alfiere del rinnovamento e della trasparenza.

Le vasche, fessurate in più punti, della Coimpo sono ancora colme di fanghi, dal contenuto sconosciuto. Nessuno ha idea di chi pagherà la bonifica dell'impianto: la società rumena che aveva rilasciato le fideiussioni necessarie a garantire l'amministrazione in caso di inadempienze è fallita già nel 2014, senza che la Provincia se ne accorgesse.

Secondo il calcolo degli inquirenti, ammontava a circa un milione all'anno “l’ingiusto profitto che i proprietari delle due aziende ottenevano risparmiando sulle lavorazioni interne e riducendo al massimo i costi legati al trasporto dei fanghi”. 
Guadagni che le famiglie Luise e Pagnin avevano investito in Romania nell'acquisto di immobili e di una vasta tenuta e dove architettavano di rifugiarsi quando gli affari, grazie ai controlli più serrati, non riuscivano così bene come nei tempi d'oro.


Fonte: srs di Gianni Belloni, CRONACA, dal Mattino di Padova del 6 luglio 2018 

martedì 17 luglio 2018

IL VULCANO DEL MONTE BALDO: VERITÀ O LEGGENDA




Si dice che in tutte le leggende ci sia un fondo di verità… e per questa, infondata, che riguarda il Monte Baldoesiste perlomeno qualche spiegazione sul perché sia nata.

Dai tempi antichi una convinzione popolare (ancora prima che una vera e propria leggenda) sostiene infatti che il Monte Baldo, che primeggia sulla costa veronese del lago di Garda e anche all’interno, ammiccando verso la Lessinia, sarebbe un vulcano, oggi spento o inattivo.

In questa falsa convinzione, nel tempo, sarebbero caduti anche diversi studiosi, associando la vivace attività sismica attorno al lagoproprio a una ipotetica natura vulcanica del Baldo.

Da ricordare in questo contesto, come spiega Leggende, curiosità e misteri del lago di Garda, vi sono i riferimenti leggendari alla distruzione di antiche città sepolte e sprofondate nel lago(come la prima Toscolano o la prima Garda, ma non solo), devastazioni dovute a terribili movimenti tellurici intervenuti in tempi antichi o più recenti, come dimostrano i due terremoti di Salò nel 1901 e nel 2004, che hanno contribuito a rafforzare questa reputazione particolare della montagna. Ma c’è molto di più.

Il primo a indicare il Baldo come un vulcano fu  Athanasius Kircher che, nel Seicento, ricevendo in visione dei campioni di roccia dal lago, giunse alla conclusione che si trattasse di materiali provenienti da un vulcano: e fu lo stesso Kircher a ipotizzare, in una lettera, che essi venissero dal Baldo, dopo che una grossa palla di fuoco, forse un meteorite, era stata vista cadere di notte proprio nel periodo in cui forti scosse di terremoto attraversavano tutta la zona e il giorno dopo erano stati ritrovati dei frammenti e delle pietre che puzzavano di zolfo.

Duecento anni dopo, nel 1866, in un periodo particolarmente funesto per il Garda veronese sul fronte dei terremoti, che colpirono insistentemente la zona per diversi anni, uno studioso francese ipotizzò che i movimenti tellurici fossero legati alla formazione di un nuovo vulcano che avrebbe avuto come cratere il Baldo, diffondendo così la leggenda. Alcuni giornali dell’epoca arrivarono a descrivere il Monte Baldo come coperto dalla lava e in piena eruzione, pur senza dare riferimenti precisi su chi l’avesse osservato in queste condizioni.

Nell’ottobre del 1899 una nuova eruzione del Baldo guadagnò il proprio posto sui giornali: “Un vulcano del Monte Baldo, tra il lago di Garda e la valle dell’Adige, è scoppiato dopo essere stato silente dal 1810. La risalita della lava ha prosciugato il porto di Navene e il vapore caldo e bianco espulso dal vulcano sta sciogliendo tutta la neve della zona“.

Infine, nel 1911, una giornalista spiegò che un’isola misteriosa era emersa in una sola notte dal fondo del lago di Gardae che l’atollo era ora conteso tra l’Austria, cui apparteneva la parte settentrionale, e l’Italia, che deteneva la parte meridionale. L’incredibile apparizione sarebbe stata dovuta a un’eruzione che avrebbe spinto in alto questa nuova isola, posizionata sul lato italiano della linea di confine a nord del lago, a pochi chilometri dal fronte austriaco, vicino a Riva del Garda.

Di certo, e questo è l’unico fondo di verità che si può trovare a tutta questa storia, a chi lo scruta dalla pianura il Monte Baldo appare come un alto cono(mentre si mostra con altre forme più dolci e arrotondate osservandolo da altre prospettive) e anche per questo la credenza, forse, continua a nutrirsi da molto tempo, tanto che nel mantovano, come spiega nel dettaglio Misteri Morenici, un paese ha addirittura indirettamente ispirato il proprio nome alla natura vulcanica del Baldo… la leggenda così persiste in varie forme.

Verità o leggenda? Il Baldo non è un vulcano ma certe storie sono dure a morire.

E a te, hanno raccontato qualche storia attorno al lago di Garda? Contattami a info@leggendedelgarda.comse vuoi aiutarmi a raccoglierle!


Fonte:  srs di Simona, da Leggende del Garda del  3 luglio 2018 



venerdì 13 luglio 2018

LA NATO HA UCCISO GHEDDAFI PER FERMARE LA CREAZIONE LIBICA DELLA GOLD-BACKED VALUTA





Nonostante la Francia abbia guidato la risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite 1973 per la creazione di una no-fly zone sopra la Libia con l’intento esplicito di proteggere i civili, una delle oltre 3.000 email nuove di Hillary Clinton rilasciate dal Dipartimento dello Stato, contiene  prove schiaccianti delle nazioni occidentali che hanno utilizzano la NATO come strumento per rovesciare il leader libico Muammar Gheddafi
Il rovesciamento della NATO non era per la protezione delle persone, ma invece serviva per contrastare il tentativo di Gheddafi di creare una moneta d’oro africano-backed per competere con il monopolio delle banche centrali occidentali.

Le e-mail indicano l’iniziativa militare francese con la NATO in Libia è stata guidata anche dal desiderio di ottenere l’accesso a una maggiore quota di produzione di petrolio libico, e di minare un piano a lungo termine da Gheddafi a soppiantare la Francia come potenza dominante in Africa.

L’aprile 2011la e-mail, inviata al Segretario di Stato Hillary dal consigliere non ufficiale Sidney Blumenthal con oggetto “cliente della Francia e l’oro di Gheddafi,” rivela le intenzioni degli occidentali predatori.

La politica estera Journal riporta :
L’e-mail individua il presidente francese Nicholas Sarkozycome leader dell’attacco alla Libia con cinque scopi specifici in mente: per ottenere petrolio libico, garantire l’influenza francese nella regione, aumentare la reputazione di Sarkozy a livello nazionale, affermare il potere militare francese, e per prevenire l’influenza di Gheddafi in quello che è considerata “Africa francofona.”

Più sorprendente è la sezione che parla dell’enorme minaccia che le riserve in oro e argento di Gheddafi, stimato in “143 tonnellate di oro, e una quantità simile in argento,” andavano a rivolgere al franco francese (CFA) che circolava come moneta africana prima.
L’e-mail chiarisce che fonti di intelligence indicano l’impulso dietro l’attacco francese alla Libia è stata una mossa calcolata per consolidare una maggiore potenza, con la NATO come strumento di conquista imperialista, non un intervento umanitario, come il pubblico è stato erroneamente indotto a credere.

Secondo l’ e-mail :
Questo oro è stato accumulato prima della ribellione in corso ed è stato destinato ad essere utilizzato per stabilire una valuta panafricana basata sulla libica Dinaro d’oro. Questo piano è stato progettato per fornire ai paesi africani francofoni con una alternativa al franco francese (CFA).

L’evidenza indica che quando l’intelligence francese è venuta a conoscenza di questa iniziativa libica per creare una moneta e di competere con il sistema delle banche centrali occidentali, la decisione di sovvertire il piano attraverso mezzi militari è iniziata.



Fonte: da la verita di Ninco Nanco

mercoledì 11 luglio 2018

IL NOME SEGRETO DI ROMA





Nonostante l'età sei sempre più bella e carica di fascino indescrivibile.  Da un piccolo villaggio sei diventata poleis dilatandoti fino a segnare i confini del mondo antico. Molti millenni hai davanti, auguri e vita eterna! 

Fra i tanti misteri di Roma c'è quello del suo nome
Quando gli storici antichi cominciarono a interrogarsi sulla sua origine e sul significato, si erano già recisi i fili della memoria e le interpretazioni si accumulavano : contraddicendosi; né i moderni sono riusciti a giungere a una conclusione convincente. 

Servio, vissuto tra il quarto e il quinto secolo d.C., sosteneva che derivasse da un nome arcaico del Tevere, Rumon o Rumen, la cui radice era analoga al verbo ruo, scorro; sicché Roma avrebbe significato la Città del Fiume. Ma Servio era il solo a collegare il nome al Tevere, il quale d'altronde era stato chiamato anche Albula per la presenza di argille nel suo letto '. 

Gli storici di lingua greca, ispirandosi a Ellanico di Lesbo, vissuto nel quinto secolo a.C., narravano invece sulla scia dell'Iliade l'arrivo di un gruppo di profughi troiani sulle coste del Lazio dove il loro capo, Enea, avrebbe fondato la città dandole il nome di una delle donne, Rome, che stanca di vagabondare da una terra all'altra aveva convinto le sue compagne a bruciare le navi. 2. 

In un'altra versione della leggenda Rome diventava la figlia di Ascanio e nipote di Enea; e in un'altra si narrava che Rome, una troiana giunta in Italia con alcuni suoi compatrioti, sposò Latino, re degli Aborigeni, ed ebbe tre figli, Romos, Romylos e Telego- che fondarono una città chiamandola col nome della madre 4. 

In questi e altri racconti si riscontra un elemento comune, la derivazione del nome da un'eponima Rome di cui è certo perlomeno l'etimo: rome, che in greco significa forza. È evidente il tentativo dei Greci, che si ritenevano non senza un'eccessiva presunzione i civilizzatori dell'Italia come di altre regioni mediterranee, di considerare Roma una città di origine ellenica. 

La leggenda di Enea fuggiasco da Troia era già nota agli Etruschi fin dal sesto secolo, sicché Ellanico potrebbe averla riscritta con l'epilogo della fondazione di Roma, avendo notato che il suo nome era simile a rome. 

I NOMI DI ROMA 

Un millennio dopo, Servioper restituire Roma giustamente agli italici sosteneva che l'etimo greco non era se non la traduzione del nome originario della città: «Ateìo», scriveva, «asserisce che Roma, prima dell'avvento di evandro, fu a lungo chiamata Valentiae poi Roma con nome greco» 

Secondo una variante a queste leggende, a Enea era succeduto Ascanio che aveva diviso il regno dei Latini in tre parti con i fratelli Romylos e Romos. Ascanio avrebbe fondato Alba e altre città mentre Romos avrebbe dato il proprio nome a Roma. Poi la città rimase disabitata per qualche tempo finché non vi s'insediò un'altra colonia guidata da due gemelli, Romylos e Romos, che la rifondarono con lo stesso nome. 

Vi è infine un terzo gruppo di interpretazioni la cui fondatezza non è da escludere. 
Si congettura che l'abitato del Palatino, il cui primo nucleo centrale risale all'incirca alla fine del secondo millennio a.C., avesse un altro nome, sostituito durante la dominazione etrusca da Ruma, che i Latini avrebbero poi pronunciato Roma. Il passaggio dalla u alla o è spiegabile, secondo alcuni filologi che hanno riconosciuto nell'aggettivo ruminalis, nell'epiteto di Giove Ruminus e nella dea Rumina il nome di Roma, con un vocalismo etrusco che oscura la o in u.

Ma, stabilita la supposta origine etrusca della parola, che cosa mai poteva significare? 
Si è sostenuto che Ruma fosse un gentilizio etrusco, testimoniato da qualche iscrizione la cui interpretazione ha suscitato tuttavia molte discussioni. È certo invece che ruma, con le varianti rumis e rumen, significava sia nel latino arcaico che nell'etrusco, da cui derivava, «poppa». 

Narra a questo proposito Plutarco nella Vita di Romolo: «Sulla rive dell'insenatura sorgeva un fico selvatico che i Romani chiamavano Ruminalis o, come opina la maggioranza degli studiosi, dal nome di Romolo, oppure perché gli armenti usavano ritirarsi a ruminare sotto la sua ombra di mezzodì, o meglio ancora perché i bambini vi furono allattati; e gli antichi latini chiamavano ruma o poppa: oggi ancora chiamano Rumilia una dea che viene invocata durante l'allattamento dei bambini. Ad essa si offrono libagioni d'acqua, e nei sacrifici in suo onore si cospargono le vittime di latte». Se questa fosse l'origine del nome, si potrebbe interpretare ruma, come suggerisce lo Herbig, non soltanto come mammella o petto che offre il nutrimento e la vita ma anche, in senso traslato, come sede delle forze vitali racchiuse nel petto: dunque come «forte», omologo al latino I '(tienila e al greco Rome . 

Questa ipotesi interpretativa spiegherebbe perché venne scelta in epoca storica, come simbolo della città, la lupa di fattura etrusca identico a quello del misterioso dio che la tutelava; mai svelati pubblicamente nonostante che Giovanni Lorenzo Lidoaffermasse nel quinto secolo d.C.: «Impugnata la tromba liturgica, che i Romani chiamavano lituus, Romolo pronunciò il nome della città... Una città ha tre nomi: uno segreto, uno sacrale e uno pubblico. Il nome segreto dì Roma è Amor; quello sacrale Flora e Florens; quello pubblico Roma». 

Che il nome segreto fosse Amor era una tarda e infondata credenza, avallata poi nel medioevo e giunta fino a noi come testimonia Giovanni Pascoli scrivendo nell'Inno a Roma: Risuoni il nome che nessun profano sapea qual fosse, e solo nei misteri segretamente s'inalzò tra gl'inni... Amor! oh! l'invincibile in battaglia! 






È pur vero che la lettura del nome di Roma da destra a sinistra era conosciuta fin dall'antichità, come testimonia un graffito trovato sulla parete di una casa di Pompei, nella via tra le insulare vi e ix della prima regione: sono quattro righe disposte a quadrato, quasi allusioni alla Roma quadrata del Palatino. Le lettere esterne, partendo dall'alto e scendendo verso il basso per poi proseguire a destra e infine verso l'alto, compongono il nome di Roma alternato a quello di Amor in una sequenza dove l'ultima vocale o consonante diventa la prima lettera della parola successiva: ROMAMOROMAMOR.

Ma quel graffito non può rivelare il nome segreto che era tutelato severamente, come attesta Servio ancora nel quinto secolo d.C.: «Nessuno pronuncia il vero nome dell'Urbe, persine nei riti. E così dunque Valerio Sorano, tribuno della plebe, poiché ardì pronunciare questo nome, fu rapito per ordine del Senato e posto in croce, come dicono alcuni storici; secondo altri, per timore del supplizio fuggì e in Sicilia, catturato dal pretore, venne ucciso per ordine del Senato».

Secondo la tradizione romana - riscontrabile oggi ancora in molti Paesi non occidentali - il nome era la formula che esprimeva l'energia di ciò che si nominava. Conoscere il nome era conoscere la cosa, sicché la conoscenza del nome dava le chiavi per poter influire - nel bene e nel male - sulla cosa stessa. 

Conseguentemente i Romani usavano evocare negli assedi il dio che aveva in tutela la città assediata promettendogli un culto pari o maggiore in Roma. «Per questo motivo i Romani», scriveva Servio «vollero che fosse celato il dio nella tutela del quale è Roma, e nelle leggi pontificali si badò bene a non chiamare con i loro nomi gli dei di Roma affinché non potessero essere oggetto di exauguratio. 

Sul Campidoglio vi fu uno scudo consacrato sul quale era scritto: Al Genio della città di Roma, maschio o femmina [Genio Urbis Romae sive mas sive femina]. E i Pontefici così invocavano: Giove Ottimo Massimo, o con qualunque altro nome tu voglia essere chiamato.» 

È impossibile dunque che il nome segreto della città sia pervenuto fino a noi perché chi era autorizzato a conoscerlo non lo avrebbe mai affidato a uno scritto, che poteva cadere nelle mani di un non iniziato provocando un sacrilegio; e se fosse stato trasmesso oralmente fino ad oggi, ipotesi che non si può totalmente escludere, non sarebbe svelato. 

Quanto alla storia del tribuno della plebe giustiziato per aver pronunciato il suo nome, sembra più un ammonimento che una notizia fondata perché era impossibile che il nome arcano potesse essere conosciuto al di fuori di una ristretta cerchia di aristocratici, ovvero di iniziati. 

Oggi si possono proporre soltanto alcune ipotesi non per individuare il dio sive mas sive femina e con lui il nome segreto di Roma, ma per coglierne le manifestazioni o i nomi proposti exotericamente alla venerazione pubblica. 

Ci pone sulla buona strada non tanto l'affermazione di Iido che il nome sacrale era Flora, la Sempiterna Fiorente celebrata alla line di aprile nei Floralia, giochi festosi e sensuali che talvolta sconfinavano durante le notti in spettacoli osceni, quanto il non casuale culto congiunto di Venere Genitrice e di Marte Ultore che la restaurazione religiosa augustea vede come divinità tanto complementari da dedicare loro lo stesso Pantheon. 

Si potrebbero interpretare le due divinità come i due aspetti complementari della ruma, della mammella: Venere esprimerebbe la funzione materna, Marte quella guerriera, virile; sicché non sarebbe del tutto infondato affermare che il nome di Roma, letto da destra a sinistra, alluderebbe al dio padre di Romolo e Remo e difensore della città, mentre la lettura da destra a sinistra alluderebbe a Venere, madre di enea e progenitrice del popolo romano. 

Ma entrambi non sono se non ipostasi della misteriosa divinità androgina cui possono attribuirsi molti nomi, anch'essi pronunciabili ovvero exoterici. 

La si può evocare per esempio come Mater Magna, che nel mito frigio assumeva le sembianze dell'ermafrodito Agdistis o Cibele: o non casualmente Cibele era adorata sul Palatino dov'era stata portata dall'Asia Minore nel 205-204 a.C. 

Oppure può assumere le sembianze del dio purificatore e fecondatore, venerato anticamente sul monte Soratte col nome di Soranus,il Lupo, da sacerdoti sabini chiamati lupi: (il Soranus che Virgilio non causalmente identificava con Apollo, il dio patrono di Augusto. 

Non si sorprenda il lettore di questa proteiforme epifania di divinità, normale in una religione «politeistica» dove, come osservava il cardinal Cusano ne La dotta ignoranza, i nomi dei vari dei non sono esplicazioni e aspetti funzionali di un unico ineffabile nume: nomi tratti in realtà dalla considerazione delle varie relazioni che Egli ha con le creature. Uno ineffabile che non ha un sesso definito, perché «la causa di tutte le cose», spiegava il teologo e filosofo umanista, «ossia Dio, complica in sé il sesso maschile e femminile... 

Anche Valerio Romanosostenendo lo stesso concetto, cantava Giove come onnipotente genitore e genitrice». 

A questa divinità senza nome, sive mas sive femina, Adriano s'ispirò costruendo nel secondo secolo il maestoso tempio di Venere a Roma, lungo 145 metri e largo 100, volendo significare che il nome palese dell'Urbe deificata s'identificava con la forza cosmica di coesione e di vita designata exotericamente con il nome della dea che aveva generato Enea. 

L'imperatore romano alludeva enigmaticamente in un gioco di specchi all'ineffabile realtà che si celava dietro le due immagini. «I templi di Roma e Venere sono della stessa grandezza e alle due divinità si offrivano incensi contemporaneamente» cantava il poeta Prudenzio due secoli dopo: «Urbis Venerisque pari se culmine tollunt Templea: simul geminis adolentur tura deabus».


Fonte: da Luigi Pellini del 20 aprile 2012

lunedì 9 luglio 2018

SEQUESTRO LEGA, NORDIO: "HA RAGIONE SALVINI, È ATTO POLITICO"

Carlo Nordio



L'ex procuratore aggiunto di Venezia che fossero necessari i provvedimenti adottati verso la Lega


"Ha ragione Salvini che parla di atto politico", lo ha dichiarato Carlo Nordio, in un'intervista a QN in cui definisce "pericoloso" il protagonismo di chi indaga. Così l'ex procuratore aggiunto di Venezia ha commentato il sequestro conservativo da 49 milioni di euro disposto dal Tribunale di Genova sui beni della Lega Nord dopo la condanna di Umberto Bossi e l'ex tesoriere Francesco Belsito per i rimborsi elettorali.

"Bisogna andarci cauti con provvedimenti di questo tipo - ha spiegato - che incidono sullo svolgimento della dialettica politica. Vanno adottati solo se strettamente necessari: non mi pare che lo fossero. Così si rischia di alterare il gioco democratico. In questo senso, ha ragione Salvini che parla di atto politico". Più in generale ha poi affermato che "la politica deve recuperare fiducia in se stessa se vuole ristabilire il primato sull'azione giudiziaria, altrimenti restera' subordinata alla magistratura, come succede dal 1993, ovvero da quando è scoppiata Mani Pulite".

Le dichiarazioni di Salvini - Il sequestro di 49 milioni di euro alla Lega è "una follia. L'eventuale erroneo uso da parte del tesoriere della vecchia dirigenza ammonta a poco più di 300mila euro. Giurisprudenza alla mano, una volta condannato in via definitiva doveva restituire quelli. Da 300mila a 48 milioni balla molto...". Così aveva dichiarato in giornata segretario della Lega. "Non abbiamo una lira, da due anni non riceviamo alcun finanziamento pubblico. Se qualcuno ha sbagliato, vadano a chiedere a questo qualcuno e non a noi".  La Lega non si è costituita parte civile nel processo del Tribunale di Genova contro Umberto Bossi e Francesco Belsito da cui è derivato il sequestro di 49 milioni di euro "perché contavamo che in Italia ci fosse giustizia, ci ritenevamo parte lesa".

"Sono sicuro che alla fine ci daranno ragione- ha spiegato Salvini - ma non vorrei che fosse troppo tardi". "Non vorrei - ha aggiunto - che i giudici ci dessero ragione tra un anno o due anni" a elezioni avvenute, quando la Lega ormai non sarà più in grado di operare. 
"È in evidente attacco politico - ha spiegato -. Non è che qualcuno vuole bloccare la Lega perché sta crescendo troppo?". 
"Sui conti della Lega oggi ci sono 30 mila euro - ha sottolineato Salvini - stanno sequestrando soldi che sono stati recuperati da militanti" nelle feste del Carroccio "vendendo salamelle e friggendo patatine". Per Salvini l'iniziativa del Tribunale di Genova è "in perfetto stile fascio comunista e mette fuori legge un partito che rappresenta alcune decine di migliaia di cittadini italiani". "Questo - ha concluso - è un esproprio proletario". 

"Per la scelta politica di un giudice ci sono milioni di persone che rischiano di rimanere senza voce. Sembra di essere su scherzi a parte ma è la realtà. Qui non si parla di toghe rosse ma ultrarosse". 
Lo dice il leader della Lega Nord, Matteo Salvini, a Radio Padania in merito al blocco dei fondi del partito. "E' chiaro - aggiunge - che a Pontida dovremo fare delle scelte importanti ed impegnative". Quello che è successo "neanche in Turchia o in Venezuela. Pensate - continua Salvini - se l'attività del terzo partito nazionale fosse bloccata in Francia o in Germania. È una cosa che quando la racconto ai miei colleghi del parlamento Ue non ci credono. Vediamo se qualcuno avrà la dignità di correggere questo errore", aggiunge.

"Piaccia o non piaccia a questo giudice noi arriveremo a governare. Noi vinceremo e cambieremo l'Italia a partire dal sistema della giustizia che è folle. Siamo trattati peggio dei mafiosi perché facciamo paura". 


Fonte: Da la Presse del 16 settembre 2017 

domenica 8 luglio 2018

COSA NON TORNA SUI 49 MILIONI DI EURO DELLA LEGA




Lega, Franco Bechis svela la vergogna dei magistrati contro la Lega: cosa non torna sui 49 milioni di euro

Una cosa è certa: nessuno, né all' epoca di Umberto Bossi con il suo tesoriere Francesco Belsito, né in quella successiva di Roberto Maroni o in quella ancora attuale di Matteo Salvini si è preso 49 milioni di euro dalle casse della Lega e se li è messi in tasca. 
Per questo è incomprensibile l' accanimento contro la Lega da parte dei magistrati di Genova e ora pure della Corte di Cassazione che considera legittimo sequestrare qualsiasi centesimo giri da quelle parti da qui per non so quanti lustri fino a quando non si raggiungerà quella somma di 49 milioni di euro. 
Eppure secondo le varie sentenze emesse a Genova e Milano Belsito e la famiglia Bossi sono stati riconosciuti colpevoli di avere usato per sé e non per le finalità pubbliche circa un milione di euro proveniente dalle casse della Lega.

La tesi dei magistrati è che visto quel milione (sono contestati anche altri 5 milioni investiti in Tanzania e a Cipro per il reato di riciclaggio) usato in difformità dalle prescrizioni di legge, fra l' altro per comprare vestiti a Bossi, debbono essere ritenuti irregolari tutti i rendiconti della Lega di quegli anni, e quindi illegittimi tutti i finanziamenti ricevuti dallo Stato a rimborso delle spese elettorali. Per questo secondo loro andrebbero recuperati all' erario circa 50 milioni di euro, e se i padri quei soldi non hanno, bisognerà che ci pensino i figli, i nipoti e magari pure i pronipoti: le colpe ricadranno biblicamente sulle spalle delle famiglie leghiste di generazione in generazione.

Con questa idea biblica di giustizia ovviamente nessuno poi potrebbe mai tenere in vita la Lega nemmeno sotto mentite spoglie, perché i vari di livelli di giustizia italiana sembrano in questo momento coalizzati per fare fuori Salvini dal panorama politico.

SENZA PRECEDENTI

È una decisione giudiziaria senza precedenti che mette in discussione il futuro della democrazia e della politica in Italia, perché esorbita non solo dalla logica comune, ma anche da ogni pilastro dello Stato di diritto. Ad esempio mettendo sullo stesso piano ciò che proviene da finanziamenti privati e da finanziamenti pubblici alla Lega. 
Non voglio tediare con riferimenti giuridici che pure hanno un loro peso, ma provo con qualche esempio concreto: se io oggi volessi donare alla Lega mille euro miei, questi verrebbero sequestrati dai magistrati non si capisce bene a quale titolo. 
E a chi oggi storce il naso anche all' interno dei militanti del Movimento 5 stelle, imbarazzato per l' alleanza con un Salvini inseguito da pm e giudici, offro un altro esempio per capirsi: non è vero che il movimento fondato da Beppe Grillo non ha mai ricevuto un euro di finanziamento pubblico, perché ha incassato e incasserà ancora milioni di soldi pubblici attraverso i propri gruppi parlamentari e i gruppi costituiti nei consigli regionali. Con quei soldi hanno pagato iniziative politiche anche sul territorio e ad esempio tutto lo staff di comunicazione che in gran parte proveniva dalla Casaleggio e che ha svolto la sua attività ben oltre le quattro mura delle Camere.

LE DONAZIONI

Tutto consentito dalla normativa esistente, intendiamoci. Ma metti caso che anche da quelle parti ci fosse stato un piccolo Belsito, che quei soldi avesse poco alla volta utilizzato a beneficio del tutto personale. Magari qualche decina di migliaia di euro o poco più. Bene secondo la logica dei magistrati che sono a caccia di Salvini in quel caso il M5s avrebbe dovuto restituire tutti i finanziamenti pubblici ai gruppi consiliari, restituendo milioni di euro. E oggi qualsiasi loro finanziamento all' associazione Rousseau verrebbe sequestrato fino a concorrenza della cifra dovuta. Esattamente quello che sta accadendo con la Lega. 
Quindi questa enormità giudiziaria è un tema che riguarda non Salvini e la Lega, ma tutta la politica e indirettamente tutti i cittadini, perché d' ora in avanti qualsiasi magistrato potrà cancellare dalla competizione elettorale il partito o movimento che gli è venuto a noia.

C' è un modo per sfuggire a questo? Ce ne sono in teoria mille: ad esempio fare transitare eventuali donazioni verso altri soggetti giuridici sulla carta non aggredibili dai magistrati (è quel che sta facendo Salvini con le fondazioni e le associazioni territoriali indipendenti), o magari aprendo conti-sottoscrizione nelle banche di Camera e Senato con causali di volta in volta legati a singole iniziative politiche. Ma davanti all' arbitrarietà giudiziaria non c' è difesa possibile: fanno quello che vogliono comunque.

Anche l' appiglio giuridico è assai flebile, e lo dimostra chiaramente quel che al contrario è avvenuto fra Luigi Lusi, ex tesoriere della Margherita, e i vertici del partito dell' epoca, guidato da Francesco Rutelli. Lì per l' appropriazione indebita è stato perseguito il tesoriere, accusato alla fine di avere sottratto al partito 24 milioni di euro. E i giudici non solo non hanno ritenuto correo il partito stesso, ma hanno con decisione di Cassazione fatto restituire il maltolto alla Margherita, e non all' erario.

RATE SOSPESE

La legge attuale consente di sequestrare per irregolarità gravi al massimo un terzo dei soli fondi provenienti dal 2 per mille Irpef destinati al partito. Ma le irregolarità non sono sindacabili dalla magistratura: debbono essere contestate da una apposita commissione consultiva di revisori delle Camere. Prima di questa legge ce ne era una del governo di Mario Monti, in vigore fra il luglio 2012 e il dicembre 2013: questa in caso di irregolarità gravi di bilancio consentiva la sospensione dell' intera rata del rimborso. Ma anche qui erano i revisori delle Camere a dovere trovare l' irregolarità e segnalarla e la sospensione della rata doveva essere disposta dai presidenti delle Camere. L' avessero fatto, alla Lega non sarebbe stata erogata la rata prevista per quell' anno: 1,6 milioni di euro. In ogni caso quella sanzione è stata abrogata e quindi non esiste più nell' ordinamento italiano. 
In precedenza (legge 1999) solo i presidenti delle Camere potevano contestare irregolarità di bilancio ai partiti (sempre per motivi formali) e sospendere l' erogazione del rimborso fino a quando non fosse stata regolarizzata la mancanza. Sospendere, non revocare. Su queste basi davvero quella dei giudici alla Lega è solo una caccia all' uomo. A Salvini e a questo punto anche al governo di cui fa parte.

di Franco Bechis


Fonte: srs di Franco Bechis, da Libero.it del 5 luglio 2018