Una veduta di Santa Andrea di Incaffi ai primi del '900
Situato a circa trenta chilometri da Verona in direzione ovest, fra la morena del Garda e quella dell'Adige, nella valle di Caprino, ai piedi del monte Moscal, che lo separa dal lago di Garda, Affi è un Comune di origine medioevale. Anticamente i territori di Affi, Incaffi, Cavaion, Caorsa e Ari erano feudo.dell'abate di S. Zeno di Verona, donde l'antico nome di Castelnuovo dell'Abate, con riferimento, secondo Simeoni, ad un forte o castello di cui si trovano tracce di mura a sud-ovest del Capoluogo(1).
Oggi il piccolo Comune, che conta poco più di un migliaio di abitanti, è interessato ad un grosso svincolo autostradale: quello omonimo sulla «Brennero» dal quale si dipartono moderni collegamenti stradali con la Valpolicella, il Basso e il Medio Lago, il Caprinese ed il Monte Baldo.
La popolazione locale, concentrata soprattutto in Affi, si raggruppa anche intorno ad altri piccoli centri (Caorsa, Coale, Incaffi, Castello) oltreché occupare alcune case sparse su tutto il territorio del Comune. Essa è dedita quasi completamente ad altre attività, ma è vissuta, fino a qualche decennio fa, con redditi sostanzialmente agricoli.
Fenomeno geologicamente interessante, nell'ambito del territorio comunale, il Monte Moscal, un'altura isolata che si eleva sino a 427 m. s.l.m., circondato da molte colline di origine morenica. Appunto verso est - cioè verso il capoluogo - esso presenta pareti strapiombanti mentre ad ovest degrada lentamente verso il Lago di Garda. Il nome di Moscal deriverebbe al monte, secondo alcuni, dal fatto che nelle adiacenti cave di Incaffi si estrae uri calcare ricco di foraminiferi quali l'Operculina complanata e la Lepidociclina elephantina, le quali in sezione somiglierebbero - a detta dei locali - a mosche, appunto.
Ma in diversi documenti d'archivio sono nominati invece per tutto il basso medioevo terre qui giacenti in Monte Scalo, per cui Moscal sarebbe piuttosto contrazione di questo toponimo.
La base del monte è attribuita all'Oligocene mediosuperiore, mentre la parte sovrastante al Miocene inferiore. Oltre alla presenza di rocce del Cenozoico, affiorano alcuni depositi del morenico Riss e di Loess. In vetta al Moscal nella conca di S. Andrea dei cui edifici in questa sede ci occuperemo, una coltre di Loess giallastra tardo-wurmiano, di circa quindici metri, ricopre parzialmente un deposito del morenico rissiano. Da questo monte proviene, così, la pietra bianca di Affi che ha avuto anche in passato larghi impieghi monumentali, conosciuta come doveva essere fin dall'epoca romana.
Le pendici del Moscal, ricche di vegetazione, conservano memorie della presenza dell'uomo risalenti alla preistoria. Proprio nella conca di S. Andrea, qualche anno fa in seguito alla effettuazione di uno scavo per l'impianto di un traliccio di un condotto di alta tensione, è venuta in luce una serie stratigrafica ricca di industrie e la cui tempestiva segnalazione è dovuta al Prof. Mario Pasotti di Garda.
L'immediato intervento, compiuto dalla Sovrintendenza alle Antichità delle Venezie, in collaborazione con la sezione di Preistoria del Museo Civico di Storia Naturale di Verona e grazie al personale interessamento del Gen. Ettore Formento, Capo di Stato Maggiore della FTASE, che ha provveduto ai mezzi ed ai servizi, ha reso possibile uno scavo di saggio, compiuto nella seconda metà del mese di agosto 1970.
Riferiscono Aspes e Fasani come è stato innanzitutto provveduto all' opera di setacciamento del materiale asportato dalle pale meccaniche che ha reso possibile il recupero di una quantità notevole di materiale e successivamente è stato intrapreso un saggio di scavo che ha messo in luce la seguente successione:
a) mura di età probabilmente romana;
b) livello a ciottoli e grossi massi, sterile;
c) livello di sabbie di dilavamente, sterile;
d) livello a ghiaie minute con ciottoli e ceramiche;
e) livello argilloso-terroso con tracce di focolare e ceramiche alla base;
f) livello a ceneri e carboni con alla base un grande focolare.
Ancora Aspes e Fasani precisano che del deposito, che si estendeva ancora per 60 cm al di sotto del livello raggiunto dallo scavo e che presentava vari strati a cenere e carboni (l'abbondante materiale recuperato) in prevalenza ceramico, sembra attribuibile ad una fase mediarecente dell' età del Bronzo (facies di Bar e dell'Isolone)(2)
L'anno successivo, nel corso di altre campagne di scavo - sono sempre Aspes e Fasani che ce ne informano - si provvedeva all' approfondimento dello scavo iniziato esplorando i livelli E ed F su un' area limitata a m 3 x 1,20, ciascuno caratterizzato da un focolare contraddistinto da una struttura in cotto con degli accumuli di pietre che, probabilmente, in origine, delimitavano la superficie dei focolari stessi.
Il focolare del livello inferiore era conservato in maniera del tutto eccezionale ed era rappresentato da un concotto dello spessore di circa 10 cm. con la superficie superiore perfettamente piana e lisciata. Entrambi i focolari erano inoltre caratterizzati da notevoli resti di ceneri e carboni. I due livelli hanno restituito resti ceramici attribuibili alla media età del Bronzo, associati a pochi manufatti silicei tra cui alcune schegge di lavorazione. Fu altresì constatato che il deposito si estendeva ancora, inferiormente al livello F, per circa 40 cm. Inoltre l'estensione dello scavo verso SE, mediante l'apertura di una trincea larga m 5x20, ha permesso di mettere in luce un altro lungo tratto di muro romano con resti di pavimentazione costituiti da un acciottolato regolare sopra al quale sono state raccolte alcune monete mal conservate e non ancora determinate, ma una delle quali è probabilmente riferibile ai Flavii, e resti di ceramica domestica, mentre sotto tale acciottolato sono venuti in luce resti di strutture murarie con tracce di pavimentazione riferibili, sempre secondo Aspes e Fasani, a due capanne e ceramica attribuibile alla tarda età del Bronzo («sensu Iato»)(3)
In vetta al monte Moscal, nei pressi di Incaffi, sorge il complesso di S. Andrea, con chiesa ed edifici annessi, già possesso dell' abbazia di S. Zeno, ceduto ai primi del secolo XIX alla famiglia Bottagisio e quindi passato, una cinquantina d'anni or sono, alla Congregazione dei Padri Stimatini, ed infine, in data recente, ad altri proprietari che hanno intrapreso opere di restauro e valorizzazione.
Il sito è veramente incantevole. Una prosa latina risalente al sec. XVI e dovuta probabilmente o a Paolo Ramusio o al canonico Adamo Fumano e pubblicata in premessa all' edizione giuntina delle opere del celebre medico Gerolamo Fracastoro, il quale aveva a pochi passi da S. Andrea una villa, ben descrive le qualità panoramiche del luogo(4).
Così infatti il brano nella bella traduzione fattane dal Pellegrini:
« ... a mattina, dalla parte dove le radici del colle toccano L’Adige che. Col rapido lungo il Baldo, deflusso dal Tirolo, si gode la vista della lontana città di Verona e degli innumerevoli villaggi sparsi nella sottostante pianura ricca di greggi e di armenti di ogni specie, mentre quando annotta si scorgono i fumanti comignoli che si ergono dai tetti, a sera la facciata (della villa del Fracastoro, n.d.r.) e rivolta verso il Benaco, e gode di una uguale vista per la varietà dei colli che si presentano allo sguardo, ma ancor più incantevoli e gioconda, perché permette di ammirare lo specchio del del lago, mosso e agitato talora da frementi flutti, e di vedere la fortunata penisola di Catullo, mentre da lontano si profilano i navigli a vela, le erranti minuscole barchette dei pescatori, e i numerosi paeselli posti sui ridenti promontori. Guardando in basso, lo spettatore gode la vista di Bardolino, ed ecco le colline che si avvicendano coronate di olivi e di limoni, ecco ancora i boscosi gioghi dei monti sorgenti dalle acque, rallegrati da verdeggianti pascoli. Verso mezzodì, proprio davanti alla casa (sempre del Fracastoro, n.d.r.) una curvatura del terreno, poco rilevata ed allietata da alberi fruttiferi, ripara dai venti, mentre il Baldo, che si drizza verso settentrione, modera ogni rigore della stagione invernale; e così, nel mezzo dell' estate, quando il sole si fa maggiormente sentire, i ricorrenti Etesii mantengono una dolce ventilazione, tanto che non reca noia la canicola, mentre nell'inverno il sito resta quasi sempre soleggiato e le giornate vi scorrono ognora prive di nebbia. Il Benaco, gareggiando con la naturale azione dei lidi marittimi, non gela mai, e toglie ogni rigore all'inverno, mentre apporta ancora altri vantaggi non certo di poco momento, offrendo anche la fortunata pesca delle famose trote e dei carpioni»(5).
Il nucleo più antico del complesso di S. Andrea va identificato nella chiesa e nell' edificio contiguo. La chiesa doveva già esistere nel secolo XI anche se le testimonianze archeologiche di quest' epoca sono assai scarse. Così della chiesa ne rilevava le caratteristiche, agli inizi del secolo scorso, l'Orti Manara:
«Modesto è l'ospizio, e di grandezza proporzionata ad esso la chiesa, che sembra costruzione dell'XI secolo, od in quel torno. Essa è a tre navi. La sua lunghezza fino al coro è di metri 18,50; la nicchia ha la lunghezza di metri 4,10. È larga metri 10,95, alta nella navata di mezzo metri 7,80. Gli archi a pieno centro che dividono le navate, sono quattro sostenuti da pilastri quadrati. Sopra la nicchia dell'altare vedesi una piccola fenestra rotonda. La facciata è semplicissima. La torre del campanile è quadratae".
Più abbondanti sono invece, dal secolo XI in avanti, le testimonianze relative alla chiesa e al complesso, testimonianze riesumate nei tre fondi dell'Archivio di Stato di Verona, nei quali, smembrati, si ritrovano ora i documenti della abazia zenoniana (Ospedale Civico, Orfanotrofio femminile, Abazia di S. Zeno).
Il Mor, riassumendo ed arricchendo precedenti studi in proposito, ci ricorda, anche sulla scorta della toponomastica, come tutta questa zona, tra l'anfiteatro morenico di Rivoli e il Moscal, risulti, già dal secolo VIII, fortemente Iongobardizzata ed organizzata militarmente:
«All'ingresso dell'altipiano, salendo dall'Adige: S. Michele (sopra Cavaion) e di fronte Monte alto di Gaiun (gahagium); a sopraccapo di Affi: Ari e, di fronte, guardante l'Adige, Gaiun; immediatamente a nord di M. Moscal una frazione è chiamata Pertica (che in genere indica i cimiteri longobardi, come a Pavia e a Cividale) distante poco più di tre chilometri da Costermano (Costa Arimannorum), di fronte al quale - a due chilometri - stanno Valdonega e Gazzoli»(7).
«Già da questi dati - sottolinea il Mor - si potrebbe indurre che tutta questa zona, da Affi (Ari) a Costermano e Valdonega sia zona arimanniea, cioè fiscale: ma proprio il documento dell'825 ci avverte che nella località Bestones vi era una casa domini regis, cioè un piccolo centro economico dipendente dalla camera regia. Alle quali notizie va aggiunta l'altra, data dal Canobio e Biancolini, che nella donazione pipiniana a S. Zeno (intorno all'807: C.DV. 1,84) beni regi si trovavano a Moratica, a Bardolino e “la chiesa di S. Andrea nel luogo de Cavi, hora chiamato Incaffi (fraz. di Affi) con ville, campi, prati et con la giurisditione sopra gli habitanti nel modo che haveva esso re": dal che deduciamo che anche la zona di Affi era di pertinenza regias”.
«La ragione di questa organizzazione autonoma - aggiunge ancora il Mor - la troveremo facilmente se teniamo presente l'ipotesi messa avanti da Sartori, e cioè che proprio per la valle del Tasso passante la grande strada di Val d'Adige che, valicato il fiume a Ponton, puntasse su Rivoli o direttamente o facendo il più lungo tratto - ma più dolce - per Affi e Caprino. Non dimentichiamo che in questa zona si accampò Leutari, nella vana attesa del fratello; che qui dovette arrestarsi l'offensiva franca del 590 e che al suo sbocco fu sempre la zona tradizionale dell'acquartieramento degli eserciti imperiali, fino al XIII secolo, tra Lazise, Pastrengo e Pacengo»(9).
Allo stato attuale degli studi non sappiamo se si possa credere al Canobio e al Moscardo circa la donazione pipiniana di S. Andrea a S. Zeno nell'807: i privilegi rilasciati alla celebre abazia prima dell' anno Mille non nominano mai questo possesso accanto ai numerosi altri che essa aveva sia in provincia di Verona sia altrove(10).
Questo è comunque, per completezza di informazione, quanto afferma, nella sua manoscritta Historia di Verona, il Canobio:
«Pipino fece donatione, et la sua offerta a detta chiesa (di S. Zeno) per lo vivere e per lo sostentamento dell' Abate, e de suoi monaci; acciocché potessero attendere alle orationi et ai divini offici. La dote fu questa; la Chiesa di S. Pietro di Moratica con tutto quello che quivi possedea Pipino; la chiesa di S.to Andrea nel luogo dei Cavi; hora chiamato Incaffi, con ville, campi, prati et con la giurisdittione sopra gli abitanti, nel modo che havea esso Re; la chiesa di S. Zeno, edificata da esso Re nella terra di Bardolino, vicino allago, con quanto quivi possedea; diede loro anco il bosco del Mantico.
Oltre a ciò donò diversi vasi di oro, e di argento; gli Evangeli scritti a penna tutti ornati di oro e di gemme pretiose»(11) .
E quasi alla lettera la notizia è ripresa dal Moscardo:
«Pescia Pipino concesse alla chiesa di S. Zeno la chiesa di S. Pietro in Moratica con tutto quello, che quivi possedeva, la chiesa di S. Andrea nel luogo de' Cavi, hora chiamata Cafi con ville, campi, prati et con la giurisditione sopra gli habitanti, la chiesa di S. Zeno da esso edificata nella terra di Bardolino vicino al lago, il Bosco del Mantico, et in oltre molti vasi d'oro, e d'argento, gli Evangeli scritti a mano ornati d'oro, e di gemme pretiose(12).
Il primo documento certo che ricorda S. Andrea fra i possessi di S. Zeno è invece un diploma di Enrico II, re d'Italia, del 1014
(«in Cavi cellam Sancti Andrea cum pertinentiis suis»),
seguito da un diploma di Enrico III del 1047
(«in Cavi cellam Sancti Andrea cum pertinentiis suis»).
Seguono tra gli altri i due diplomi di Federico I del 1163 e di Urbano III del 1187 che ricordano
«curtern Castelli novi cum famulis utriusque sexsus et onmi onore et districtu et redditu cum ecclesie Sancti Andree et ecclesia Sancte Eufemie et Sancti Petri in Affi», vale a dire la nostra chiesa di S. Andrea, una chiesa di S. Eufemia che sorgeva ad essa adiacente, e quella di S. Pietro di Affi, cioè l'attuale parrocchiale di quel centro(13).
Queste dei diplomi sono date che concordano anche con quelle alle quali si può far risalire il perimetro della chiesetta, vistosamente rifatta in vari momenti successivi, ma le cui fiancate sono senz' altro da assegnare al secolo XII, anche per la presenza in esse di monofore strombate, caratteristiche del romanico veronese. Le murature in questione, come del resto quelle successive, sono tutte ottenute con conci di pietra delle vicinissime cave, risultando del tutto assente il laterizio.
Forse, anzi assai probabilmente, anche la spartizione in tre navate dello spazio interno risale al secolo XII, pur se i pilastri divisori saranno poi, nella rifabbrica, rinnovati.
Relativamente alla chiesa di S. Eufemia che è pur nominata dai documenti c'è da aggiungere che ancor oggi, accanto alla chiesa di S. Andrea, si indica il luogo sul quale sarebbe sorto tale edificio e sul quale esiste adesso un capannoncino.
Secondo Raffaello Brenzoni sarebbe tutt'altro che provata l'esistenza in passato della chiesetta di S. Eufemia nella zona tra Incaffi e Caorsa. La notizia data a titolo di cronaca, senza alcuna seria testimonianza, dall' abate Gaiter, in un articoletto di giornale, non troverebbe infatti per il Brenzoni sostegno alcuno in prove documentarie(14).
L'esame da lui compiuto nei volumi delle visite pastorali della seconda metà del secolo XVI, custodito nell'Archivio Storico della Curia vescovile, sarebbe stato negativo:
«Nessun accenno ad una chiesuola dedicata a S. Eufemia mentre è tramandata memoria di varie piccole chiese oltre a quella di S. Andrea ... Probabilmente si trattava di un capitello o di una cappellina rurale in cui era dipinta la Santa»(15).
Ma il Brenzoni non teneva presente che S. Andrea non era chiesa soggetta all'autorità vescovile, e che quindi né a S. Andrea, né a S. Eufemia il vescovo si recava in visita pastorale.
Presso la chiesa di S. Andrea di Incaffi dovette risiedere, fin dai tempi della sua fondazione, una piccola comunità di monaci benedettini, provenienti dalla più grande comunità del monastero veronese di S. Zeno. Tale comunità, su modello di altre sparse anche nello stesso territorio veronese - e si cita qui per tutte l'esempio di S. Maria del Degnano in Fumane - era soggetta ad un priore, scelto di volta in volta dal capitolo di S. Zeno e qui inviato per svolgere le funzioni connesse al suo grado, ivi comprese quelle di amministrare, in maniera sostanzialmente autonoma, i beni patrimoniali di cui la chiesa era provvista, beni in genere terrieri che venivano assegnati per lo sfruttamento a coltivatori per lo più del posto, dietro versamento di un canone di locazione.
Fra le moltissime carte di locazioni che riguardano i possessi di S. Andrea e che sono conservate negli archivi, ricorderemo, fra le prime, quella datata 20 dicembre 1287: con essa Pietro, abate del monastero di S. Zeno, concede per vent' anni ad Albertino di Abramo del fu Mastino da Castelnuovo dell' Abate, contro un buon cappone da consegnarsi ogni anno al Monastero:
«quadam peciam terre arative casalive iuris ecclesiae sancti Andree, que ecclesia est cappella dicti monasterii et dicto monasterio pertinet pleno iure, iacentem in curia et pertinentia Castrinovi predicti ... » (16).
Un documento, abbastanza esplicito in proposito di residenza a S. Andrea di monaci, è quello redatto il 3 agosto 1389 in S. Zeno a Verona laddove è detto che la chiesa e il priorato di S. Andrea di Incaffi in diocesi di Verona
«cum omnibus iuribus, iuriditionibus et pertinenciis suis in temporalibus et spiritualibus»
sono soggetti
«pleno iure et immediate»
all' abate e al capitolo del Monastero di S. Zeno di Verona, e ciò
«tam ex concessionibus et privilegis papalibus et imperialibus eodem monasterio et capitulo concessis»
e come il monastero e il capitolo si avvalgano di questi diritti da così tanto tempo che non vi è memoria d'uomo che possa affermare il contrario, e avendo bisogno dello priorato di priore e di preti che di notte e di giorno recitino l'ufficio divino, tutto ciò premesso, l'abate Iacobello di Pasti nomina priore a S. Andrea frate Guglielmo, prete e monaco di S. Zeno (17).
Analogo documento venne redatto qualche anno appresso, il 28 ottobre 1392. In esso si recita che, essendo la chiesa e il priorato di S. Andrea
«de Hencavio Gardesane» in diocesi di Verona, con ogni suo diritto e fondazione, e pertinenza, sia nella sfera temporale come in quella spirituale, spettante all'abate e al capitolo di S. Zeno di Verona, compreso quello di porre e deporre
«ad beneplacitum voluntatis, presbiteros et priores, rectores et gubernatores in dieta ecclesia et prioratus S. Andree de Hencavio, qui in ipsa ecclesia divinum officium diuturnum et nocturnum faciant et celebrent necnon bona ipsius gubernent et adrninistrent»,
e poiché il beneficio si è reso vacante, volendo provvedere la chiesa e il priorato di un superiore idoneo
«qui in dieta ecclesia possit facere et exercere offitium ecclesiasticum et si qua administranda fuerint administrare»,
considerando essere persona a ciò idonea frate Tomaso prete e monaco del monastero di S. Zeno, Bernardo de Ansoldis de Cremona, vicario dell' abate Pierpaolo Cappelli, si nomina detto frate Tomaso priore di S. Andrea".
La vita comune presso il priorato di S. Andrea dovette cessare nel 1425 quando il monastero di S. Zeno di Verona ebbe a subire i tristi effetti di una grave crisi.
I fatti sono noti: nel 1421 l'abate Pietro Emilei, per una crisi di carattere religioso, rinunciava alla dignità abaziale nelle mani di papa Martino V, il quale conferiva a Marco Emilei il titolo di abate commendatario di S. Zeno.
Questi, che non era un monaco e quindi non viveva in S. Zeno, in data 1 settembre 1421 separava definitivamente la mensa (cioè le rendite) dei monaci da quella abaziale, creando in Sostanza due distinte amministrazioni.
In seguito a questa riforma si cominciò ad eleggere annualmente in S. Zeno un monaco priore, mentre il titolo di abate rimaneva, a vita, al dignitario ecclesiastico che, standosene altrove, godeva di buona parte dei proventi dell' abazia, e che era di volta in volta nominato dal Papa, su segnalazione del governo veneziano(19).
Il documento del 2 gennaio 1425, relativo alla istituzione della mensa dei monaci ed edito anche dal Biancolini, ha un passo che ben chiarisce la nuova situazione venutasi a creare in queste occasioni per la chiesa e il priorato di S. Andrea:
«Insuper predicti monachis et conventui dictus dominus abbas assegnavit et concessit certos redditos ... ; prefasti quoque monachis, et conventui, perpetuo assignando, et concedendo redditus, et affictus eccelesie non curate, seu beneficii manualis S. Andrea de Encavio ad mensam abbatis pertinentes, qui similiter secundum communem estimationem non excedunt summam centum decem librarum denariorum veronensium denariorum, hoc addito, quod teneatur singulis annis in festo S. Andree apostoli mittere unum presbiterum illuc, qui celebret in eadem ecclesia secundum consuetudinem usque ad hodiernum servatam»(20).
S. Andrea divenne da questo momento amministrazione della «mensa» dei monaci, fatto loro obbligo di procurare che ogni anno, nella festa del titolare, un sacerdote salisse alla chiesetta per celebrare la S. Mesa.
Va tuttavia doverosamente rilevato che anche dopo la soppressione del priorato, i monaci a San Zeno ebbe sempre egualmente cura della chiesa e degli edifici annessi: ne sono buona testimonianza i lavori che essi continuarono ad eseguirvi anche nei secoli successivi.
La chiesetta di S. Andrea dovette esser3 ricostruita appunto, a cura e spese dei monaci di S. Zeno, nella seconda metà del secolo XV, a tre navate divise da pilastri quadrangolari.
La nuova costruzione, che è poi quella pervenutaci, era pronta per la consacrazione il 12 febbraio 1503, avvenuta per mano del vicario generale del Vescovo di Verona, come dice un'iscrizione su pergamena, conservata fino al secolo scorso nella chiesa:
«Die XII. feb. M. D. III. in die septuagesimae consecrata fuit eccelsiae et altare majus huius ecclesia S. Andrea per r.mum Antonius Zio, Dei et Apostolicae sedis gratia episcopum colmonensem».
La stessa iscrizione riferiva altresssì che nel 1525 la chiesa di S. Andrea dovette essere «riconciliata»:
«Die X. Mensis Maij M. D. XXV. reconciliata fuit ecclesia S. Andrea in Caffio et denuo consecratum altare in honorem S.ti Andreae per r.mun S. Antonium de Beccharijs Ferrariensem Episcopum Scutarensem in quo quidem altari reconditae sunr plures reliquiae, sed specialiter S. Andrea, S. Proculi, S. Euprepij, S. Ignatij, et S. Apollinaris».
Ed infine concludeva:
«Haec fideliter ex antiquario extracta adhuc vetustatem spirat»(21).
Nell' archivio degli Stimatini ho rintracciato anche la pergamena originale che era stata posta nel 1525 nell'altare, demolito dagli stessi Stimatini quando, non molti decenni fa, divennero proprietari del complesso.
Contiene una dichiarazione del 10 maggio 1525, da parte di Antonio de Beccaris vescovo di Scutari nella quale è detto,
«MO. XXV, die decimo mensis Ego Antonius de Beccariis Episcopus Scutarensis consecravi hoc altare in honorem Sancti Andreae apostoli et reliquias Sanctorum Anfreé, Proculi, Euprepii, Ignatii, et Apollinaris in eo inclusi. Singulis Christi fidelibus hodie unam annum et in die anniversario consecrationis huiusmodi ipsorum visitantibus quadraginta dies de una indulgentia in forma ecclesiae consueta concedens»(22).
In quegli anni si intervenne oltreché su S. Andrea anche sul sacello di S. Eufemia. Un foglio volante dell'archivio di S. Zeno ci dà infatti notizia di un pagamento eseguito al mastro muratore Bonadio, in data 25 agosto 1520 per lavori eseguiti in tale cappella(23).
Nel secolo XVI il complesso di S. Andrea di Incaffi, anche per la presenza nelle sue immmediate vicinanze della casa abitata dall'illustre medico e filosofo Gerolamo Fracastoro, fu meta di visite di illustri personaggi.
Qui infatti Gerolamo Fracastoro si recava tra l'altro a cacciare, nei boschi che allora coronavano e tuttora coronano il monte Moscal e qui, su queste alture, come racconta al veronese Francesco Dalla Torre, in un carme che gli dedica, portava i figli a svagarsi e a studiare: la bella descrizione del paesaggio pastorale si. può leggere nella traduzione italiana curatane da Francesco Pellegrini(24), il quale ci dà anche la traduzione di un altro carme del Nostro, diretto al Cardinal Alessandro Farnese junior - allora abate commendatario di S. Zeno - in accompagnamento del dono di due cani da caccia, allevati ed addestrati sempre sul monte Moscal e sempre, probabilmente, sui terreni del monastero(25).
Del primo carme citato meritano qui di essere riportati almeno questi pochi versi che si riferiscono alla descrizione del paesaggio attorno a S. Andrea:
«Come l'alba s'avanza, ecco ci allieta
Il sol nascente, che in più bella aurora
Non vedi altrove, allor che in nova luce
Ogni cosa s'allegra, e boschi e roccie,
E l' aere stesso fra i dipinti veli
Delle nubi. Ad occaso indi rivolto
Mando un saluto da elevato colle
Al Benàco, nel qual le verdi Ninfe
Cento fiumi riversano e li accoglie
Con ampio seno in poderoso corso
Lo stesso Genitor. Ed ecco i bovi
Che gli alti boschi risonar, muggendo,
Fanno, allietarti la visione, e insieme
Le capre in gregge a pascolar sospinte;
Precede il becco dall'irsuta barba
Con le pendenti tortuose corna,
E lezzo spande dal fetente corpo;
La pastorella con la canna in mano,
E la cintura dei suoi fusi armata,
Segue spronando le più pigre. Intanto,
Dove più fresca della selva è l'ombra
A me vicino i pargoletti chiamo,
Già pronti al culto dei silvestri numi,
Perché portino seco i passatempi
E i libri; quindi la lettura inizia,
Assisi sopra un verdeggiante letto,
Od una pietra, sotto un faggio carco
Di ghiande, o all'ombra d'un castagno irsuto.
Canori augelli, a svolazzare avvezzi
Dei boschi intorno a quelle eccelse fronde,
Allegran l'aere coi gorgheggi loro.
Dan modo l'ombre della fitta selva,
E quelle ancora sui ridenti prati
A passar l'ore pria del pasto. Poscia
Assetati i figlioli, e, forse stanchi,
Già della lunga applicazione il peso
Sentono, e a noia vengon loro i libri,
E Pane, e, insieme colle Muse, i pini
Del gelato Liceo: precorron essi
A provvedere nei lucenti vetri
E l'acqua e il vino, e a ricoprire il desco
Di variopinti fiori; e anch'io mi appresso.
I verdi fichi e le prugnole in tinte
D'altro licor danno alla mensa inizio,
A cui il pollaio, a sufficienza, e l'orto
Concorron dopo. Risuonare intanto
L'aia si sente in reiterati colpi;
Stridon le messi; e, sotto il sol, i forti
Coloni sferzan, di flagelli armati,
Con vece alterna, sul terren le biade,
S'alza il rumor e ne rintrona il suolo,
E le rupi vicine; e strepitando .
Ròtean ne l'aria le spogliate paglie.
Cerere in alto, dall'Olimpo, ammira
E ride lieta ... ».
Del secondo carme sarà il caso di riportare almeno questi versi, sempre rivolti al Cardinal Farnese suo amico, mecenate e protettore:
«Ed io frattanto, Te patrono avendo,
Are a Te sacre istituirò fra questi
Monti d'Incaffi, dove un alto colle
Sua vetta innalza, che mirar concede
Giù dal Benaco l'uniforme specchio,
I verdi olivi sulle rive, e ancora
Di Catullo la patria. Or qui solenne
Un giorno a Te consacrerò, ed i sacri
Riti ad ogni anno rinnovando, il nome
Tuo fisserò per sempre. Allor le rose,
I purpurei giacinti e le violette,
Con le verbene siano date al vecchio;
Di fior corone siano fatte, e un serto
Verde ricinga la canuta chioma,
Mentre, fugando i dolorosi affanni,
Nettare dolce allieterà, di Bacco,
L'ore fugaci dell'età cadente.»
Anche Giorgio Iodoco Bergano, contemporaneo del Fracastoro e che era monaco del monastero di S. Zeno (gli spettava anzi il convento di S. Andrea) canta in un suo poema l'amico medico e il colle di Incaffi(26) e poco dopo Tommaso Becelli in un suo poemetto latino in lode di Costermano e del Benaco, discorre anch' egli degli stessi terni(27).
Agli inizi del secolo XVII il tetto della chiesa, che fino ad allora doveva essere a varie falde, venne ridotto a due falde e ciò per la costruzione, sopra le navate laterali, che erano rimaste fino a quel momento più basse della centrale, di due serie di locali.
In quell'occasione, e precisamente nel 1608 la chiesa fu dotata di affreschi eseguiti da Paolo Ligozzi e fino a poco fa ancora esistenti anche se ampiamente e malamente ridipinti sulle pareti interne e nella volta della nave maggiore del sacello.
Tali affreschi, con santi dell'ordine benedettino sulle pareti laterali pur non avendo grande valore artistico, costituivano tuttavia, un elemento altamente qualificante nell' ambito del complesso. Ma purtroppo una malintesa necessità di riportare l'ambiente alle supposte forme primitive ne decretò la distruzione.
Da una relazione tecnica su tali affreschi redatta il3 marzo 1970 dal restauratore Francesco Pellizzoni e cortesemente trasmessami dall' amico Pierpaolo Cristani, traggo queste notizie: gli affreschi si estendevano nel complesso su una superficie di circa 250 mq. sulle zone degli interpilastri sulle pareti perimetrali, sull' arco trionfale, sugli spicchi dell'abside, forse sul tamburo dell'abside e sul tamburo della navata centrale.
Le condizioni di conservazione erano molto varie, ma si potevano così schematizzare: molte zone di intonaco vuote e spanciate; grandissime zone ridipinte (tutti i fondi delle zone perimetrali, tutte le figure ed i fondi della zona del tamburo centrale, tutte le figure ed i fondi del catino absidale, le figure dell' arco trionfale); un generale offuscamento delle zone basse dovuto a umidità, alterazione delle ridipinture e parziali cadute del colore.
Date le condizioni ed il carattere eminentemente «decorativo» degli affreschi un restauro non avrebbe potuto prescindere da un completo riordino di tutta la superficie frescata e da un ripristino architettonico coordinato con che avesse eseguito il restauro dei dipinti.
Di Paolo Ligozzi si conservava qui, fino a qualche anno fa, quando venne rubata, anche la pala ch'era un tempo sull'altare maggiore del sacello, raffigurante Madonna santi e un monaco offerente.
La pala ostentava anche la seguente iscrizione:
«Hic mihi vos iunxi, coelo me iungite/ vobis o pvero mater, matreq. digne puer/ p. Petrvs Loker. etat sue. 61/ AN. DNI, 1608. 17 maii».
Dal che si deve intendere che il monaco Pietro Loker (l'abazia di S. Zeno era allora abitata da monaci tedeschi) aveva offerto all'età di 61 anni, la pala, e probabilmente anche gli affreschi, assumendosene le spese(28).
Pochi altri lavori vennero eseguiti successivamente dai monaci di S. Zeno: le carte di archivio ci dicono ad esempio come nel 1694 venisse restaurata la scala di accesso alla chiesa (più che di un restauro si trattò probabilmente di un rifacimento) mentre nulla sappiamo circa la costruzione del campanile che pur dovrebbe essere di questi anni(29).
Sul campanile sono comunque o lo erano fino a non molto tempo fa, alcune interessanti campane: una prima (kg. 40), datata 1413, e ricca di fregi e figure; una seconda (kg.20), firmata da certo Rossi di Sandrà e datata 1715, pure ricca di fregi e figure; una terza infine (kg. 10) che non porta né data né fregi.
Anche della costruzione settecentesca del fabbricato con portici, sotto stante la chiesa, ora dall' attuale proprietario pur restaurato, nulla gli archivi ci hanno fatto pervenire.
I diritti di S. Zeno su S. Andrea e pertinenze cessano di essere esercitati con la soppressione della mensa monacale avvenuta in note circostanze nel 1771.
Nella stima delle fabbriche del Monastero di S. Zeno, stesa in data 28 giugno 1771, sono descritte numerosissime pezze di terre tenute a campo o a bosco o a prato con le loro rendite(30).
Successivamente alla demaniazione il complesso sarà acquistato dalla famiglia Bottagisio.
Così infatti il Da Persico nel 1821:
«S. Andrea, antica chiesa de' monaci di S. Zeno, che sin dalla metà del IX secolo la possedevano colla circostante campagna, come si ha da documenti, ora è del signor Jacopo Bottagisio. Sta essa nella pianura, in cui il Moscal distende la cima. La struttura e le parti, l'origine e la memoria di questo tempio, oltre l'amena vista, che s'ha di costassù, delle soggetti valli di Caprino e dell' Adige con tutta quasi la veronese campagna da mattina a mezzodì, e da sera del lago colla bresciana riviera daranno buon pro a chi vi poggi, sia letterato, o antiquario, o semplice ammiratore della natura e del bello. La tavola dell' altar maggiore, e tutta la chiesa, è dipinta a grandi figure da Paolo Ligozzi, al qual fecero i Benedettini esercitar l'arte del suo pennello in più luoghi di loro possedimentos»(31).
I Bottagisio terranno il complesso fino ai primi anni di questo secolo, apportandovi, nel 1862, numerose modifiche.
Furono i Bottagisio appunto che sopraelevando di un piano il fabbricato in fianco alla chiesa, dotandolo di una nuova monumentale scala contenuta in una torretta, imbellettando il tutto con delle merlature di coronamento, tentarono di fargli assumere il romantico aspetto di un maniero. L'operazione ebbe il torto peraltro di occultare nelle nuove fabbriche l'antico campanile, nonché di alterare sensibilmente il rapporto che esisteva fra la modesta fabbrica a lato della chiesa e la chiesa stessa, fino a pochi anni fa così inviluppata in tante sovrastrutture. Un intervento di ripristino degli originari rapporti fra volumi della chiesa e del suo complesso si era quindi imposto con lo smantellamento di tutte le superfetazioni ottocentesche, il che è recentemente avvenuto, anche se con criteri non sempre sottoscrivibili.
Fonte: srs di Pierpaolo Brugnoli da Annuario Storico Zenoniano 1986
NOTE
l). L. SIMEONI.
2). A. ASPES - L. FASANI, S. Andrea di Incaffi (Affi, Prov. di Verona), «Rivista di Scienze Protostoriche», XXV (1970), p. 413.
3). A. ASPES - L. FASANI, S. Andrea di Incaffi (Affi, Prov. di Verona), «Rivista di Scienze Protostoriche», XXVI (1971), p. 474.
4). H. FRACASTORII, Opera omnia, Venezia 1584.
5). F. PELLEGRINI (a cura di), Vita di Girolamo Fracastoro, versione di incerto autore del XVI secolo, Verona 1952, pp. 10-11.
6). G. ORTI MANARA, Intorno alla casa di. Girolamo Fracastoro nella terra di lncaffi, Verona 1842, pp. XI-XII.
7). C. G. MOR, Dalla caduta dell'Impero al Comune, in («Verona e il suo territorio», vol. II, Verona 1964, p. 51.
8). C.G. MOR, Dalla caduta, p. 51.
9). C.G. MOR, Dalla caduta, p. 51.
10). Si veda a tal proposito E. ROSSINI, Giurisdizioni e proprietà fondiarie del monastero di S. Zeno dedotte da documenti pubblici anteriori all'anno Mille, in AA.VV., Studi Zenoniani, Verona 1947, pp. 64-170.
11). L. CANOBIO, Historia di Verona (ms. del secolo XVI della Biblioteca Comunale di Verona, C. 28v. e seg., citato da V. FAINELLI, Codice Diplomatico Veronese, voI. I, Venezia 1940, p. 101.
12). L. MOSCARDO, Historia di Verona, Verona 1668, p. 82.
13). Alcuni dei documenti qui citati sono pubblicati in:
MGH, Heinrici II et Arduini diplomata, Hannoverae et Lipsiae MDCCC, n. 309, pp. 387-389 (1014, 21 maggio);
G.B. BIANCOLINI, Notizie storiche delle chiese di Verona, voI. I, Verona 1749, p. 47 (1014, 21 maggio);
MGH, Heinrici III diplomata, eds. H. Bresslau e P. Kehr, Berolini MCMXXI, n. 203, pp. 263-266 (1047, 8 maggio);
G.B. BIANCOLINI, Notizie storiche ... , voI. V, parte I, Verona 1761, p. 83 (1047, 8 maggio);
MGH, Friderici I diplomata, ed. A. Appelt, Hannoverae 1979, n. 422, pp. 309-311 (1163, 6 dicembre).
Altre citazioni in:
G.B. BIANCOLINI, Notizie storiche ... ,vol. II, Verona 1749, p. 696;
G. B. BIANCOLINI, Notizie storiche ... , voI. I, p. 53;
G.B. BIANCOLINI, Notizie storiche ... , voI. V, parte I, p. 95.
Originali e copie in A.S.V. Orfanotrofio Femminile, pergamene 15(1), 15(2) e 17 (1014, maggio 21); pergamene 15(3)e 17 (a. 1027); pergamene 26,28(1),28(2)',28(3) (1163, 6 dicembre e 1187, 13 ottobre).
14.). «Collettore dell'Adige», anno 1854, n. 79, p. 315.
15). R. BRENZONI, Documenti per la biografia di Gerolamo Fracastoro, «Studi Storici Veronesi», voI. V (1954), pp. 62-83.
16). Archivio di Stato di Verona, (d'ora in poi dire A.S.v.), Orfanotrofio Femminile (d'ora in poi G.F.) reg. 1-2, C. 73v.
17). A.S.v., G.F., reg. 1.15, c. 89.
18). A.S.V., G.P., reg. 1.16, c. 141.
19). Sulle vicende del monastero di S. Zeno ed in particolare sulla sua soppressione, si vedano
M. CARRARA, La biblioteca e il monastero di S. Zeno, Roma 1952;
V. CAVALLARI, Verona e S. Zeno, Verona 1953;
A. DA LISCA, La basilica di S. Zenone, Verona 1940;
G. EDERLE, La basilica di S. Zeno, Verona 1954;
R. FASANARI, Le riforme napoleonicbe a Verona, Verona 1964;
V. FAINELLI, Storia degli ospedali di Verona, Verona 1962 ed ora anche
P. BRUGNOLI e G. MAROSO, L'abazia di S. Zeno e il suo chiostro monumentale in L'abazia e il chiostro di S. Zeno Maggiore in Verona. Un recente intervento di restauro (a cura di P. BRUGNOLI), Verona 1986.
20). G.B. BIANCOLINI, Notizie storiche delle chiese di Verona, voI. I, p. I, Verona 1961, p. 139.
21). Oltreché dall'ORTI MANARA citato l'iscrizione è riportata anche da F. BALESTRA, Privilegia Monasterii S. Zenonis ... , tomo 2, ms. in A.S.V., Abazia di S. Zeno, n. 2, C. 147.
22). Archivio della Congregazione delle Stimmate di Verona, busta «S. Andrea di Incaffi»,
23). A.S.v., Abazia di S. Zeno, busta 30 del vecchio ordinamento, foglio volante.
24). F. PELLEGRINI, Vita, pp. 28-32.
25).F. PELLEGRINI, Vita , pp. 33-38.
26). J.G. BERGANI, Benacus, Verona 1545, p. 35.
27). T. BECELLI, De Laudibus Castri Romani et Benaci, Verona 1579.
28). Liscrizione è riportata anche dall'ORTI citato.
29). F. BALESTRA, Privilegia ... , tomo 3, c. 141.
30). A.S.v., Abazia di S. Zeno, reg. n., Misura e stima delle fabbriche ... , cc. 9-16.
31). G.B. DA PERSICO, Descrizione di Verona e della sua provincia, parte seconda, Verona 1821, pp. 190-191.