lunedì 31 ottobre 2011

SE UN GIORNO MI VEDRAI VECCHIO…


Una stupenda lettera di un padre per il figlio


Se un giorno mi vedrai vecchio: se mi sporco quando mangio e non riesco a vestirmi … abbi pazienza, ricorda il tempo che ho trascorso ad insegnartelo.

Se quando parlo con te ripeto sempre le stesse cose … non mi interrompere … ascoltami, quando eri piccolo dovevo raccontarti ogni sera la stessa storia finche’ non ti addormentavi.

Quando non voglio lavarmi non biasimarmi e non farmi vergognare … ricordati quando dovevo correrti dietro inventando delle scuse perche’ non volevi fare il bagno.

Quando vedi la mia ignoranza per le nuove tecnologie, dammi il tempo necessario e non guardarmi con quel sorrisetto ironico ho avuto tutta la pazienza per insegnarti l’abc; quando ad un certo punto non riesco a ricordare o perdo il filo del discorso … dammi il tempo necessario per ricordare e se non ci riesco non ti innervosire ….. la cosa piu’ importante non e’ quello che dico ma il mio bisogno di essere con te ed averti li che mi ascolti.

Quando le mie gambe stanche non mi consentono di tenere il tuo passo non trattarmi come fossi un peso, vieni verso di me con le tue mani forti nello stesso modo con cui io l’ho fatto con te quando muovevi i tuoi primi passi.

Quando dico che vorrei essere morto … non arrabbiarti un giorno comprenderai che cosa mi spinge a dirlo. Cerca di capire che alla mia età non si vive, si sopravvive.

Un giorno scoprirai che nonostante i miei errori ho sempre voluto il meglio per te che ho tentato di spianarti la strada. Dammi un po’ del tuo tempo, dammi un po’ della tua pazienza, dammi una spalla su cui poggiare la testa allo stesso modo in cui io l’ho fatto per te.

Aiutami a camminare, aiutami a finire i miei giorni con amore e pazienza in cambio io ti darò un sorriso e l’immenso amore che ho sempre avuto per te.

Ti amo figlio mio.

sabato 29 ottobre 2011

EUGENIO BENETAZZO: MANIFESTO ECONOMICO PER L'ITALIA

In questi ultimi tre anni ho avuto il privilegio di poter visitare tutte le regioni italiane, tranne ancora la Sardegna, di conoscere con approfondimento le problematiche e le peculiarità legate al territorio, di confrontarmi con forze sociali ed organizzazioni produttive, di ricevere un determinato feedback da studenti universitari, pensionati, lavoratori occasionali, di essere invitato in qualità di relatore da enti locali ed istituti scolastici superiori, così facendo ho cumulato un bagaglio di proposte, di modifiche, di migliorie, di cambiamenti da attuare nel nostro paese sulla base delle aspettative e desideri di milioni di italiani.  


Molti lettori che mi seguono attraverso il mio portale sulla rete o il mio canale di videoinformazione su YouTube mi hanno più volte invitato a redigere una sorta di formulario, di vademecum, di proposta non politica ma di politica economica volta al rilancio del nostro paese e di quelle potenzialità ancora inespresse per ragioni che abbiamo affrontato fino a prima.  
Studiando in profondità il modello economico di altri paesi e i loro punti di forza, ho sviluppato quello che ho definito il "Manifesto Economico per l'Italia" ovvero un programma di interventi di portata economica rilevante con lo scopo di dare al nostro paese quella marcia in più che dovrebbe avere.


Non si tratta di un programma politico che necessiterebbe di maggior approfondimento e di soluzioni per determinate aree strategiche del paese (energia, previdenza, sanità, immigrazione, giustizia, trasporti, difesa), ma di un insieme di riforme sul piano economico facilmente e velocemente implementabili da qualsiasi forza di governo con lo scopo di generare sia nuove voci di entrata sia di contenere il costo dell'amministrazione pubblica.

Rappresentanza popolare: abbattimento coatto del 75 % degli emolumenti e compensi ad europarlamentari, parlamentari, consiglieri regionali e comunali; congelamento ed abolizione delle pensioni di anzianità legislativa con effetto retroattivo; dimezzamento del numero dei parlamentari, dei consiglieri regionali e comunali (indennità corrisposte solo sulla effettiva presenza nelle attività consiliari).


Accorpamento amministrativo: i Comuni continueranno a mantenere la loro identità geografica, ma vi sarà un unico apparato amministrativo, sindaco e giunta compresi, per  comprensori urbani con un bacino di 25.000 abitanti.  Abolizione di tutte le province in qualità di enti amministrativi, fatta eccezione per le aree metropolitane.

Sovranità monetaria: istituzione di Banca Stato Italia, ente pubblico interamente detenuto dal Ministero del Tesoro, autorizzato dal Parlamento ad emettere moneta in nome e per conto della popolazione italiana a fronte di esigenze e finalità di natura socioeconomica o di investimenti infrastrutturali. Abbandono dell'euro, con il ripristino della nuova lira italiana  e conseguente definizione di un sistema monetario a doppia circolazione valutaria. Tasso di sconto ed offerta monetaria, entrambe variabili macroeconomiche stabilite esclusivamente dal Ministero del Tesoro e dal Ministero delle Finanze in accordo con le linee guida della Politica Sociale per il Paese.

Tassazione della prostituzione: istituzione di un'aliquota unica con regolamentazione della figura professionale e dei relativi obblighi ed adempimenti sia fiscali che sanitari. 

Embargo commerciale:  istituzione di dazi doganali di sbarramento all’ingresso per i prodotti confezionati, assemblati e realizzati al di fuori dell'Unione Europea, in particolar modo per quelli alimentari.

Abolizione delle tariffe minime:  per i liberi professionisti iscritti agli Albi Professionali.

Tassazione della Salute: istituzione della Tassa sulla Salute che colpisce inversamente il reddito dei contribuenti in rapporto a determinate abitudini alimentari e stili di vita (alcol, fumo, droga, abuso di grassi animali e vita sedentaria).

Nuova fiscalità diffusa: detrazione integrale dall'imponibile di tutte le spese ordinarie e straordinarie riguardanti l'amministrazione e la gestione della casa, la fruizione di un mezzo di trasporto (auto e motocicli), oltre a qualsiasi prestazione medica privata. Detassazione degli utili aziendali reinvestiti per l'ammodernamento o l'ampliamento delle linee produttive e/o il miglioramento delle competenze delle risorse umane.

Mutuo sociale: istituzione del Mutuo Sociale per l’acquisto integrale della prima casa. L’immobile che si è deciso di acquistare viene acquisito e diviene proprietà dell’Istituto del Mutuo Sociale S.p.A. (holding immobiliare integralmente a capitale pubblico). Le rate mensili vengono calcolate applicando un tasso fisso di cortesia in relazione alla durata ed alla capacità di rimborso di ogni contribuente. Al termine del periodo di ammortamento l’immobile viene trasferito d’ufficio in proprietà al contribuente senza l’applicazione di alcun onere o tassa. 

No tax area: individuazione e definizione delle no tax area (distretti industriali) nelle seguenti regioni: Sicilia, Sardegna, Calabria, Campania, Puglia, Basilicata, Molise con totale esenzione del pagamento di imposte dirette per un arco di tempo di 25 anni ad aziende con insediamenti industriali con più di 250 dipendenti assunti a tempo indeterminato.



Fonte: srs di Eugenio Benetazzo, postato il  il 28/10/2011

UN GIORNO, QUANDO I MIEI FIGLI SARANNO ABBASTANZA GRANDI...


Un giorno, quando i miei figli saranno abbastanza grandi... per capire la logica che motiva le madri, gli dirò:
Ti ho amato abbastanza, da chiederti dove andavi, con chi e a che ora saresti tornato a casa.
Ti ho amato abbastanza, da insistere perché risparmiassi il denaro per comperarti una bicicletta anche se noi, tuoi genitori, avremmo potuto comperartene una.
Ti ho amato abbastanza, da tacere e lasciarti scoprire che il tu nuovo e migliore amico
era un matto.
Ti ho amato abbastanza da darti fastidio e starti addosso, per due ore, mentre mettevi in ordine la tua stanza, un lavoro che avrebbe preso a me solo 15 minuti.
Ti ho amato abbastanza da lasciarti intravedere nei miei occhi, la mia collera, delusione e lacrime.  Anche i figli devono capire che non siamo perfette.
Ti ho amato abbastanza da lasciare che ti prendessi la responsabilità delle tue azioni, anche se spezzo le punizioni mi spezzavano il cuore.
Però, soprattutto, ti ho amato abbastanza da dirti “NO” anche se sapevo che mi avresti odiata per questo..
Queste sono state le battaglie più difficili per me.
Però sono contenta per averle vinte,  perché alla fine hai vinto anche tu.
E un giorno o l’altro, quando i tuoi figli siano sufficientemente grandi per capire la logica che motiva i genitori, tu gli dirai:
“Ti ho amato abbastanza da fare tutto quello che ho fatto per te”!!!

venerdì 28 ottobre 2011

CESARE BATTISTI - L’ULTIMO CAFFÈ A GIAZZA, VERITÀ E LEGGENDA SI UNISCONO IN UN RACCONTO D’ALTRI TEMPI.

Verona, Palazzi Scaligeri:  Monumento a Cesare Battisti


CESARE BATTISTI, IRREDENTISTA E MARTIRE DELLA PATRIA, IN UN EPISODIO DEL PAESE CIMBRO DELLA LESSINIA. VERITÀ E LEGGENDA SI UNISCONO IN UN RACCONTO D’ALTRI TEMPI.

QUELLA CALDA SERA DEL UGLIO 1916
Agli occhi di Elena dovette presentarsi così, con i suoi capelli arruffati e quel pizzetto da moschettiere che bene si addice a un tenente dell’esercito. Forse Elena, con il suo sguardo di bambina, ancora inconsapevole e ingenuo, ne rimase affascinata e un po’ intimorita. Cesare Battisti era lì, davanti a lei, con un aspetto stanco e provato, a chiedere un pasto caldo e un luogo sicuro in cui trascorrere la notte insieme alla sua scorta.
I gestori Stefano e Rosa Nordera lo avrebbero accolto nella propria locanda, lungo il torrente che scendendo dalla Valle di Revolto attraversa il piccolo paese di Giazza. Sarà stata una tipica sera di luglio quando Battisti dopo l’operazione fallita sul monte Corno contro gli Austriaci bevve il suo caffè, forse l’ultimo. Il giorno dopo sarebbe ripartito, risalendo le valli che, senza saperlo, lo avrebbero portato a incontrare un destino spietato. Il destino di chi lotta per un’ideale, con audacia e convinzione, fino alla morte.

“Ho vissuto abbastanza e ho ottenuto abbastanza perché possa dire che la mia vita è stata spesa bene. Con i miei quarantadue anni ho raggiunto quello che molti uomini non raggiungono con la lunga vita. “
Queste le parole di un uomo imprigionato nella città che gli aveva dato i natali, Trento. Queste le parole di chi è consapevole della propria fine. Solo due giorni dopo l’arresto, alle 16.30 del 12 luglio del 1916 fu resa pubblica la sentenza: l’Austria condannava alla forca il tenente degli Alpini del Battaglione Vicenza, con l’accusa di alto tradimento.

UN EROE INCOMPRESO
Il Battisti insieme socialista, irredentista e nazionalista, da molti contemporanei etichettato come uomo “senza patria”, in realtà si sentiva esule dalla patria a cui ambiva: l’Italia. Battisti lottava per la liberazione del cosiddetto Welschtirol (Tirolo italiano), gridando Austria delenda.
«Ogni aspirazione all’autonomia di una minoranza nazionale di uno Stato di altra nazionalità rappresenta un irredentismo in nuce» (Claus Gatterer).
L’irredentismo era un prodotto della rivoluzione francese e del Risorgimento italiano, e proprio l’ideale nazionale che ardeva nel cuore del martire trentino conservava ancora lo spirito risorgimentale, forse l’ultima avvisaglia di un ideale che ormai si era trasformato nei cinquant’anni che separarono l’Unità dalla Grande Guerra.
Già agli inizi del Novecento il mito nazionale aveva seguito traiettorie lontane dalla tradizione risorgimentale, che portarono alla formazione di movimenti nazionalisti dichiaratamente antidemocratici, che accettarono del Risorgimento soltanto la nascita dello Stato unitario.

Al binomio unità e libertà si cominciò a sostituire quello di unità e potenza, che avrebbe raggiunto la sua massima espressione con il Fascismo. E proprio la guerra del ‘15-’18 avrebbe costituito il ponte tra il vecchio e il nuovo nazionalismo.  Nelle trincee si sarebbero intrecciate le diverse sfaccettature dell’ideale nazionale italiano, per la prima volta vissuto collettivamente.
A un Cesare Battisti pervaso dall’ideale di libertà e di convivenza tra nazioni diverse si affiancava un Alfredo Rocco, conservatore e futuro autore del codice fascista.
Ma proprio nelle trincee ai sentimenti più disparati, quasi schizofrenici, si sovrapposero soprattutto quelli di chi partecipò alla guerra senza capirla: alla rassegnazione e alla preoccupazione si accompagnava un forte sentimento di dovere patriottico, verso la terra natia. Nelle lettere dei soldati si parla di grande famiglia d’Italia, della Madre Patria come madre biologica. Ma anche i più convinti combattenti dovettero vacillare di fronte agli orrori della guerra.

Così Giorgio Lo Cascio ammise: “italianamente e militarmente la guerra mi piace ma come uomo mi fa orrore, e come lui Giacomo Morpurgo: certo quando la gridavamo, quando la chiedevamo eccitati, esultati, frementi, non si pensava precisamente agli aspetti giornalieri della guerra: ne vedevamo la gloria luminosa, ma non la paziente opera quotidiana.”
Alla fine di questa tragedia fu l’immagine dell’Italia potente propugnata dai nazional-socialisti a uscirne vincente. Essi si appropriarono dell’ideale di nazione e con esso dell’immagine di Battisti, che sarebbe divenuto da lì a poco icona fascista, per essere poi dimenticato.

GIAZZA, TERRA DI CONFINE
L’assurdità della guerra e la fragilità dei sentimenti nazionali che, non essendo dati naturali e spontanei ma indotti da una pedagogia patriottica, spesso sono travisati, si palesano proprio in quella terra di confine quale è stata a lungo Giazza. Qui una gente né italiana né austriaca fu costretta a combattere per una nazione che l’aveva ospitata per secoli, ma contro un’altra per la quale il sentimento non era affatto di ostilità. Paradossi.
Come ha riportato Antonia Stringher, durante la Grande Guerra, cimbri e austriaci, abituati ai rapporti di buon vicinato, «alla sera, terminate le azioni belliche della giornata, al di là dei reticoli che li dividevano, si parlavano e fumavano in compagnia un toscano come normali amici». E fu proprio Giazza a ospitare l’italiano senza patria. Eppure di questo episodio nessuno ne ha mai parlato.
Diceva Voltaire “che la storia è il racconto di fatti ritenuti veri, al contrario della favola, che è invece il racconto di fatti ritenuti falsi”.
Se allora le favole edificano l’uomo e la memoria alimenta le favole e crea identità, quella di Battisti a Giazza è solo storia inventata oppure storia dimenticata?

CURIOSITÀ
Oggi la locanda della famiglia Nordera si chiama Pizzeria Cimbra e due anni dopo l’apertura, nel 1989, il proprietario Rino Lucchi ricevette una visita curiosa: si presentarono due donne, tra cui Elena, che gli raccontarono l’episodio di Cesare Battisti a Giazza. Sembra che Elena al tempo conservasse ancora la tazzina da cui l’eroe trentino bevve il caffè.

Cesare Battisti, classe 1870, è stato un personaggio molto controverso. Allo scoppio della Grande Guerra scese nelle piazze italiane incitando all’intervento a fianco dell’Intesa. Nel 1915 si arruolò nell’esercito nazionale, prima come semplice alpino, poi ottenendo gradi maggiori, fino a quello di tenente. Durante la Strafexpedition (dal 14 maggio 1916), Battisti difese eroicamente il Passo Buole (Le Termopili d’Italia). Fu poi sul Pasubio e sul monte Corno (oggi Corno Battisti) a fianco dei suoi soldati. Il 10 luglio fu arrestato e trasferito a Trento, dove ricevette la sentenza finale da parte degli Austriaci.
Il suo martirio è documentato fotograficamente:  

Fonte: srs di Giovanna Tondini; da Pantheon di ottobre 2011

giovedì 27 ottobre 2011

KATE FRETTI, IL DOLORE IMMENSO DELLA FIDANZATA DI SIMONCELLI


Kate Fretti,  ventidue anni, di Bagnatica, provincia di Bergamo fidanzata di Marco Simoncelli da 5 anni

"Dimenticare non si può, posso solo conviverci con questo dolore. Oggi sono andata nella nostra casa, ho provato a dirgli che mi aveva detto che non ci saremmo mai lasciati, e invece si è sbagliato.
Ci ho provato a dirglielo, e ho pensato che magari mi succede come in Ghost, lo avete visto il film? Penso che magari quando sarai pronto fai così... che mi dia un segnale per continuare...
Tutti dicono che sono giovane, ma non sono fortunata: ho ancora settant'anni davanti prima di raggiungerlo, è lunga".

IL PASSATO È PASSATO, MA LASCIA SEMPRE LE SUE IMPRONTE SUL FUTUR0

Immagine  di somebodytellsme.  Link:  http://www.pbase.com/somebodytellsme

IL  PASSATO È PASSATO, MA LASCIA SEMPRE LE SUE IMPRONTE SUL FUTURO

mercoledì 26 ottobre 2011

IL TESTAMENTO POLITICO DI MUAMMAR GHEDDAFI, LEADER DELLA RIVOLUZIONE: RICORDI DELLA MIA VITA

  
(Tradotto dal Professor Sam Hamod - Information Clearing House)

5 aprile 2011

In nome di Allah, il Benevolo, il Misericordioso ...

Per 40 anni, o magari di più, non ricordo, ho fatto tutto il possibile per dare alla gente case, ospedali, scuole, e quando aveva fame, gli ho dato da mangiare convertendo anche il deserto di Bengasi in terra coltivata.

Ho resistito agli attacchi di quel cowboy di nome Reagan, anche quando uccise mia figlia, orfana adottata, mentre in realtà cercando di uccidere me, tolse la vita a quella povera ragazza innocente.

Successivamente aiutai i miei fratelli e le mie sorelle d’Africa soccorrendo economicamente l'Unione africana, ho fatto tutto quello che potevo per aiutare la gente a capire il concetto di vera democrazia in cui i comitati popolari guidavano il nostro paese; ma non era mai abbastanza, qualcuno me lo disse, tra loro persino alcuni che possedevano case con dieci camere, nuovi vestiti e mobili, non erano mai soddisfatti, così egoisti che volevano di più, dicendo agli statunitensi e ad altri visitatori, che avevano bisogno di "democrazia" e "libertà", senza rendersi conto che era un sistema crudele, dove il cane più grande mangia gli altri.

Ma quelle parole piacevano, e non si resero mai conto che negli Stati Uniti, non c’erano medicine gratuite, né ospedali gratuiti, nessun alloggio gratuito, senza l’istruzione gratuita o pasti gratuiti, tranne quando le persone devono chiedere l'elemosina formando lunghe file per ottenere un zuppa; no, non era importante quello che facevo, per alcuni non era mai abbastanza.

Altri invece, sapevano che ero il figlio di Gamal Abdel Nasser, l'unico vero leader arabo e musulmano che abbiamo avuto dai tempi di Saladino, che rivendicò il Canale di Suez per il suo popolo come io rivendicai la Libia per il mio; sono stati i suoi passi quelli che ho provato a seguire per mantenere il mio popolo libero dalla dominazione coloniale,  dai ladri che volevano derubarci.

Adesso la maggiore forza nella storia militare mi attacca; il mio figliuolo africano, Obama, vuole uccidermi, togliere la libertà al nostro paese, prendere le nostre case gratuite, la nostra medicina gratuita, la nostra istruzione gratuita, il nostro cibo gratuito e sostituirli con il saccheggio in stile statunitense, chiamato "capitalismo",  ma tutti noi del Terzo Mondo sappiamo cosa significa: significa che le corporazioni governano i paesi, governano il mondo, e la gente soffre, quindi non mi rimangono alternative, devo resistere.

E se Allah vuole, morirò seguendo la sua via, la via che ha arricchito il nostro paese con terra coltivabile, cibo e salute e ci ha permesso di aiutare anche i nostri fratelli e sorelle africani ed arabi a lavorare con noi nella Jamahiriya libica.

Non voglio morire, ma se succede, per salvare questo paese, il mio popolo e tutte le migliaia che sono i miei figli, così sia.

Che questo testamento sia la mia voce di fronte al mondo: che ho combattuto contro gli attacchi dei crociati della NATO, che ho combattuto contro la crudeltà, contro il tradimento, che ho combattuto l'Occidente e le sue ambizioni coloniali, e che sono rimasto con i miei fratelli africani, i miei veri fratelli arabi e musulmani, come un faro di luce, quando gli altri stavano costruendo castelli.

Ho vissuto in una casa modesta ed in una tenda. Non ho mai dimenticato la mia gioventù a Sirte, non spesi follemente il nostro tesoro nazionale, e, come Saladino, il nostro grande leader musulmano che riscattò Gerusalemme all'Islam, presi poco per me ....

In Occidente, alcuni mi hanno chiamato "pazzo",  "demente",  però conoscono la verità, ma continuano a mentire;  sanno che il nostro paese è indipendente e libero, che non è in mani coloniali, che la mia visione, il mio percorso è, ed è stato chiaro per il mio popolo:  lotterò fino al mio ultimo respiro per mantenerci liberi, che Allah Onnipotente ci aiuti a rimanere fedeli e liberi.

Colonnello Muammar Gheddafi, 5 aprile 2011



IL TESTAMENTO DI GHEDDAFI




IN NOME DI DIO CLEMENTE E MISERICORDIOSO
Questo è il mio testamento, di  Mouammar Bin Mohammed Bin Abdessalam Bin Humaïd Bin Aboumeniar Bin du Naïl Al Fohsi Al Kadhafi.
Io testimonio che non vi è altro Dio che Hallah e che Maometto è il suo Profeta

Le mie ultime volontà sono:
      Che io non sia lavato alla mia morte e che sia interrato secondo il rito Islamico ed i suoi insegnamenti, con i vestiti che portavo al momento della mia morte.
      Che sia interrato nel cimitero di Sirte, a lato della mia Famiglia e della mia Tribù
- Che i miei familiari siano ben trattati, soprattutto le donne ed i bambini.
- Che il Popolo Libico salvaguardi la propria identità, le sue realizzazioni, la sua storia e l’immagine degli antenati e dei suoi eroi, e che non sia attaccato  in nell’essenza di Uomini Liberi. 
      Che continui la resistenza a tutte le aggressioni straniere subite dalla Jamahiriya, oggi, domani e sempre.
      Che si convincano gli uomini liberi della Jamahiriya che noi avremo potuto realizzare, con la nostra causa, una vita migliore, stabile e sicura. Noi abbiamo avuto tante proposte in merito, ma noi abbiamo scelto d’essere al fronte per dovere ed onore. E anche se noi non vinciamo oggi, noi offriamo una lezione alle generazioni future perché esse possano vincere, poiché la Nazione è scelto l’onore ed il vendersi sarebbe stato un tradimento che la Storia testimonierà e giudicherà
Che sia trasmesso il mio saluto ad ogni membro della mia famiglia ed ai fedeli della Jamahiriya, nonché ai fedeli che ovunque nel mondo ci hanno sostenuti con il loro cuore. 
Che la pace sia con voi tutti.

Mouammar El Kadhafi
Sirte, 17/10/2011


martedì 25 ottobre 2011

UN POPOLO DISTRUTTO. LA SCOMPARSA DEL SUD.


L'ESODO DAL SUD CONTINUA.  Laureati, diplomati, professionisti, artigiani. Chi può va altrove, soprattutto i giovani. Il Sud Italia si sta spopolando. Rimangono i vecchi, e le nuove generazioni fuggono, soprattutto in Europa.  Giovani che “lasciano una terra che non offre possibilità di lavoro per cercare sbocchi occupazionali in altri luoghi.

Nella UE l'Italia è seconda solo alla Romania per numero di emigrati. E' un esodo che viene ormai dato per scontato, al pari di un fenomeno naturale, come le grandi emigrazioni di fine '800 per le Americhe. Mafie e partiti, delinquenza e soldi pubblici distribuiti a fini elettorali stanno trasformando il Sud in un deserto. Senza i giovani non è possibile alcun futuro.

In dieci anni, circa 600.000 persone sono partite dalle regioni meridionali con destinazione centro e nord Italia. Nel solo 2009 il dato si attesta a 109.000.
Sono  dati che  riguardano il presente,  ma il futuro, nella condizione attuale, sembra essere, anzi, sarà  ancor più fosco.

lunedì 24 ottobre 2011

EUGENIO BENETAZZO: NOTTE GUERRIERA


Quando avevo sedici anni ogni martedì notte tra le 22:00 e le 23:30 andava in onda un seguitissimo programma musicale su Radio Abano Network denominato “ Notte Guerriera” in studio a far girare i piatti (dischi in vinile) c'era l'allora notissimo dee jay emergente Moka, uno tra i primi in Italia ad imporre la musica techno nelle discoteche di tendenza italiane. Il mio sogno a distanza di tanti anni sarebbe quello di sentire parlare ancora tra i giovani ragazzi di una “notte guerriera”, quella che ci vorrebbe in questo paese per svegliarlo dal torpore che lo ha ormai ingessato e condannato ad un lento ed inesorabile declino verso la povertà endemica e il disagio sociale.

I media nazionali sono oggi indaffarati a commentare e analizzare i fatti di cronaca avvenuti recentemente a Roma, condannando la protesta e l'escalation di violenza che abbiamo visto tutti alla televisione. Lungi dal giustificare quanto accaduto, ma credete veramente di poter fare le famose riforme in Italia senza provocare analoghe situazioni di protesta e malcontento oppure assistere in tutto il paese ad una notte guerriera ? Questa  nazione si basa su un conservatorismo quasi medioevale per cui il vecchio e l'anziano prevarranno sempre sul nuovo e sul giovane. Per chi non lo sapesse ancora e vivesse in un mondo di favole, rane magiche e folletti volanti, in Italia fare le riforme significa togliere privilegi e benefits a milioni di italiani.

In un paese con 19 milioni di pensionati e 4 milioni di dipendenti pubblici la medicina da ingoiare per consentire alla popolazione di potere avere ancora una qualche sorta di speranza ed un futuro meno grigio e cupo consiste in licenziamenti coatti per il settore pubblico, riduzione dei tetti pensionistici, allungamento dell'età pensionabile (soprattutto per le donne), aumento della tassazione indiretta, abbattimento brutale dei costi di rappresentanza popolare, diminuzione dei servizi di assistenza e previdenza sanitaria, eliminazione di quasi tutti gli ammortizzatori sociali a cui gli italiani sono sempre stati abituati e su cui hanno sempre potuto contare ad ogni sentore di malcontento popolare. E chi se la prende la voglia e la responsabilità di andare davanti al paese e dire: “Signori, the party is over, la festa è finita”.

Altro che sommosse e scontri a Roma, assisteremmo allora ad una vera e propria notte guerriera su tutto il territorio italiano con una escalation di violenza e paura che nemmeno durante gli anni di piombo abbiamo visto. Gli italiani sono stati sempre troppo viziati ed accontentati contro ogni logica razionale da qualsiasi esecutivo che pur di non generare  malcontento popolare ha sempre assecondato ogni desiderio. Al momento tornare indietro e limitare il protezionismo sociale che ha garantito benessere e prosperità (tuttavia a costi economici elevatissimi scaricati sulle future generazioni) avrà conseguenze nefaste per l'intera popolazione. Di certo chi ha risorse e disponibilità finanziarie metterà in cantiere l'idea di andarsene quanto prima in un altro paese per vivere più serenamente.

Quanto sta accadendo oggi con il solito nauseante conteggio sulle probabilità di vittoria elettorale con questa o quella alleanza politica, trasmette la sensazione che molto presto questa notte guerriera arriverà quanto prima. Guardatevi che cosa succede in Grecia per le strade attraverso i canali di informazioni indipendente su YouTube oppure guardatevi il film “Diario di un saccheggio” che racconta l'escalation di violenza sociale che ha colpito l'Argentina dieci anni or sono durante il suo crack. Il futuro che ci aspetta non è poi cosi tanto torbido o indefinito. L'unica salvezza, si fa per dire, sarà l'instaurazione di un governo tecnico imposto dall'alto, che metta prima le mani nelle tasche dei piccoli risparmiatori e dopo inizi la ristrutturazione forzata dell'amministrazione pubblica potendo contare sull'esercito nelle piazze e lungo le strade per gestire e contenere l'escaltion di violenza sociale durante una notte guerriera.


Fonte: srs di  Eugenio Benetazzo  postato il 19/10/2011


domenica 23 ottobre 2011

VALENTINO ROSSI DICE ADDIO A MARCO SIMONCELLI


Erano amici, campioni, uniti dalla  stessa  passione, Valentino Rossi e Marco Simoncelli

Il destino ha voluto che sia stata proprio la moto di Valentino Rossi, e quella di Edward, ad incrociare il cammino della Honda di Marco e lo scontro è stato fatale.

Valentino Rossi saluta il suo amico Sic scrivendogli:

«Il Sic per me era come un fratello minore, tanto duro in pista come dolce nella vita.  Ancora non posso crederci, mi mancherà un sacco»

[Valentino Rossi]


SUPER MARCO SIMONCELLI

IL RISORGIMENTO VISTO DA UN'IRLANDESE


Patrick Keyes O’Clery, irlandese, aveva 18 anni quando nel 1867 si arruolò tra gli Zuavi per difendere il Papa: partecipò alla battaglia di Mentana dall’altra parte, ossia contro i garibaldini.  
A 21 anni, nel 1870, è nel selvaggio West americano a caccia di bisonti.   Ma, appreso che l’esercito italiano si prepara a invadere lo Stato Pontificio, torna a precipizio: il 17 settembre ‘70 è a Roma di nuovo. E’ filtrato tra le linee italiane con due compagni, un nobile inglese e un certo Tracy, futuro deputato del Congresso Usa. In tempo per partecipare, contro i Bersaglieri, ai fatti di Porta Pia.  
Tornato in Inghilterra ed eletto parlamentare, si batterà per l’autonomia dell’lrlanda. Nel 1880 abbandona la politica per dedicarsi all’avvocatura. Morirà nel 1913, avendo lasciato due volumi sulla storia dell’unificazione italiana.

L’opera, che le edizioni Ares di Milano manderanno in libreria alla fine di agosto (Patrick K. O’Clery, La Rivoluzione Italiana. Come fu fatta l’unità della nazione). Opera stupefacente degna del suo avventuroso autore, dovrebbe essere letta nelle scuole italiane: e non solo come esempio di revisionismo storico precoce e antidoto alla mitologia del Risorgimento. Vedere l’Italia con l’occhio di uno straniero di cultura anglosassone - allora il centro culturale e politico del mondo - risulterà salutare.

 A proposito del brigantaggio del Sud, stroncato in anni spietati dal Regno d’Italia, O’Clery riporta voci di dibattiti parlamentari a Torino. Il deputato Ferrari, liberale, che nel novembre 1862 grida in aula: 
"Potete chiamarli briganti, ma combattono sotto la loro bandiera nazionale; potete chiamarli briganti, ma i padri di quei briganti hanno riportato due volte i Borboni sul trono di Napoli. ---- E’ possibile, come il governo vuol far credere, che 1500 uomini comandati da due o tre vagabondi tengano testa a un esercito regolare di 120 mila uomini? Ho visto una città di 5 mila abitanti completamente distrutta e non dai briganti" (Ferrari allude a Pontelandolfo, paese raso al suolo dal regio esercito il 13 agosto 1861).  

O’Clery riferisce i dubbi di Massimo D’Azeglio (non certo un reazionario) che nel 1861 si domanda come mai  "al sud del Tronto"  sono necessari "sessanta battaglioni e sembra non bastino":
"Deve esserci stato qualche errore; e bisogna cangiare atti e principii e sapere dai Napoletani, una volta per tutte, se ci vogliono o no… agli Italiani che, rimanendo italiani, non volessero unirsi a noi, credo non abbiamo diritto di dare delle archibugiate"

Persino Nino Bixio, autore dell’eccidio di Bronte, nel ‘63 proclamò in Parlamento: 
"Un sistema di sangue è stato stabilito nel Mezzogiorno. C’è l’Italia là, signori, e se volete che l’Italia si compia, bisogna farla con la giustizia, e non con l’effusione di sangue".  

O’Clery non manca di registrare giudizi internazionali sulla repressione. Disraeli, alla Camera dei Comuni, nel 1863: 
"Desidero sapere in base a quale principio discutiamo sulle condizioni della Polonia e non ci è permesso discutere su quelle del Meridione italiano. E’ vero che in un Paese gl’insorti sono chiamati briganti e nell’altro patrioti, ma non ho appreso in questo dibattito alcun’altra differenza tra i due movimenti".

Q’Clery fornisce alcune cifre. Tra il maggio 1861 e il febbraio 1863, l’esercito italiano ha catturato "con le armi" e perciò fucilato 1038 rivoltosi; ne ha uccisi in combattimento 2.413; presi prigionieri 2.768.
Inoltre; "Secondo Bonham, console inglese a Napoli, sistematicamente favorevole ai piemontesi, c’erano almeno 20 mila prigionieri politici nelle carceri napoletane", ma secondo altre stime 80 mila.  I più - indovinate - in attesa di giudizio, o addirittura del primo interrogatorio, "senza sapere di cosa fossero accusati", in celle sovraffollate: testimonianza di Lord Henry Lennox, un turista di rango che nel 1863 visitò appunto le prigioni di Napoli. 

Altro esempio: la politica finanziaria del neonato Regno d’Italia.  Non vi stupirà sapere che l’Italia anche allora covava un deficit mostruoso.  
O’Clery fornisce dati precisi di bilancio. Ma basterà un suo dato: il deficit del Regno nel 1866 fu di 800 milioni di lire, "Cifra pari alla metà delle entrate della Gran Bretagna e Irlanda", ossia del Paese allora più ricco d’Europa. Deficit coperto da "prestiti e ipoteche sui beni nazionali, vendita di beni demaniali e istituzione di monopoli", ovviamente coperti da stranieri, prodromo e causa della durevole dipendenza italiana da interessi finanziari estranei. 

"Altra grande risorsa fu la rapina ai danni della Chiesa", la confisca dei beni e degli ordini religiosi, "che nel solo 1867 fruttò 600 milioni".
La condizione della Chiesa nel Regno viene così riassunta dal nostro irlandese: 
"Esilio e arresto di vescovi; proibizione di pubblicare le encicliche papali; detenzione di preti e sorveglianza della loro predicazione; soppressione di capitoli e benefici e incameramento dei beni; chiusura di seminari; leva obbligatoria per i seminaristi; rimozione delle immagini religiose sulle vie e divieto di processioni".

Se il lettore d’oggi troverà in questo riassunto qualche tratto anacronisticamente sovietico, non è tutto. Leggendo O’Clery, finirà per chiedersi se i cronici mali italiani che siamo abituati a considerare "retaggi borbonici" (ottusità amministrativa, inefficienza e improvvisazione, centralismo autoritario) o persino "fascisti" (tracotanza guerrafondaia) non sarebbero invece da ribattezzare savoiardi o piemontesi. 

L’enorme deficit del regno, scrive O’Clery, è dovuto alle spese per mantenere "il più grande esercito d’Europa" e formare "una marina imponente per numero e qualità", nel tentativo di "recitare il ruolo di grande potenza".

Quel costoso esercito fù come noto sconfitto dagli austriaci a Custoza, per l’insipienza dell’ "eroe" Lamarmora (ma anche Garibaldi, che proclamò di prendere Monaco "in quindici giorni", fu bloccato in Trentino da pochi jaeger).

L’enorme flotta corazzata subì a Lissa la nota umiliante sconfitta, contro navi di legno. Poteva mancare il ricorso all’iniqua pressione fiscale?  
Non mancò. "Nel Regno delle Due Sicilie la tassazione era, nel 1859, di 14 franchi a testa. Nel 1866, sotto il nuovo regime, le tasse erano salite fino a 28 franchi a testa, il doppio di quanto pagava l’ “oppresso” popolo napoletano prima che Garibaldi venisse a liberarlo"La tassa sul macinato, bersaglio polemico dei patrioti mazziniani quando l’applicava il governo pontificio, "fù più che raddoppiata ed estesa a tutte le granaglie, perfino alle castagne". 

Causa la fiscalità, vi stupirà sapere che fu necessario organizzare "la lotta all’evasione"?
Fu organizzata, e manovrata dai militari. I contribuenti in arretrato subivano "perquisizioni domiciliari" e durante queste "visite", che evidentemente duravano giorni e notti, avevano l’obbligo di cedere ai soldati "i letti migliori" nelle loro case. 
Ciò non impedì che il Regno restasse sempre in pericolo d’insolvenza. Tanto che i titoli del debito pubblico italiano "si vendono a 33 punti sotto il loro valore nominale", al contrario del debito napoletano; che "fino al 1866 era così solido, che i suoi titoli si ponevano al disopra del nominale".

Si dirà il prezzo fu alto, ma almeno il Sud fu raggiunto dalla modernità, i piemontesi portarono un’amministrazione più razionale; saranno stati ottusi, ma erano incorruttibili 
No. "La contabilità pubblica si trovava in condizione spaventosa, ordini di pagamento non autorizzati apparivano continuamente nei registri della Corte dei Conti",  e il caos favoriva "malversazioni di ogni genere". 
O’Clery cita: "Nel 1865 il ricevitore generale delle imposte a Palermo fuggi con 70 mila franchi; a Torino fu scoperta una stamperia di tagliandi del debito pubblico e un impiegato delle Finanze, processato per ciò fu assolto ... L’anno 1866 portò alla luce le frodi degli impiegati incaricati della vendita dei beni ecclesiastici; a Napoli un alto ufficiale di polizia fu arrestato per essersi appropriato di fondi destinati ai pubblici servizi. Casi simili se ne possono citare all’infinito", conclude O’Clery: e chissà perché, noi spettatori di Tangentopoli, siamo inclini a credergli sulla parola. 

Ma almeno, uno stato militaresco, mise ordine nel disordine pubblico del Meridione? Stroncò la mafia?
Serafico, O’Clery dà la parola alla Guida della Sicilia una guida turistica per inglesi, scritta da un certo Murray, che metteva in guardia: "Le strade siciliane non sono più sicure come al tempo del governo borbonico, il quale, pur con tutti i suoi errori ebbe il merito di rendere le sue strade sicure come quelle del Nord Europa".
Piacerebbe non crederci, attribuire questi racconti all’animo papalino e "reazionario dello storico". Purtroppo, qualcosa lo impedisce. L’Italia vista dagli occhi di O’­Clery ci appare sinistramente familiare. Per noi lettori del Duemila, l’effetto è un déjà vu.


Fonte: srs di Maurizio Blondet;  da UN POPOLO DISTRUTTO