La pearà, o piperata termine del dialetto veronese, è una salsa povera o, più propriamente, una salsa semplice.
Non esiste altro piatto che rappresenti la veronesità più della pearà. E d'altro canto la pearà non viene preparata in altre città o regioni se non a Verona e alla sua provincia.
La pearà è una salsa pepata servita assieme al bollito misto. Tuttavia non va considerata un semplice accompagnamento, ma parte integrante del piatto, tanto da comparire nel nome stesso: bollito misto con pearà.
Come tante altre cose, anche questa è legata ad una leggenda la quale narra che, nel 557, fu il cuoco di corte di Alboino, re dei Longobardi, a inventarla perché aveva bisogno di un cibo in grado di ridare forza a Rosmunda, la quale, divenuta forzatamente moglie del re, si stava lasciando morire di fame dopo essere stata costretta a bere dal cranio, trasformato in coppa, del padre Cunimondo re dei Gepidi ucciso in battaglia dallo stesso Alboino.
La prima fonte sicura che abbiamo su questa salsa nel Veronese è effettivamente medievale, seppure non così antica.
Infatti, come riporta lo storico Andrea Brugnoli, in una delle sue pubblicazioni degli “ Studi veronesi” troviamo attestazione dell’uso specifico nel Veronese della piperata intesa come salsa, probabilmente proprio per accompagnare il lesso, tanto che vien citata negli statuti del 1449 del Convivium di Fumane, che prevedono per gli associati un pranzo annuale con paparèle in brodo e carne lessa accompagnata appunto con una piperata: «carnibus manzi bonis et bene fasionatis, pane cocto de frumento, bonovino ac bonis papardelis pro minestris ac bona piperata»