L’avvocato Carlo
Taormina è stato condannato a pagare 10.000 euro di danni per una frase
pronunciata durante una trasmissione radiofonica. A comminarla è stato il
giudice del lavoro di Bergamo, Monica
Bertoncini.
Una notizia anomala, che crea pure un precedente nebuloso.
Intanto non è chiaro per quale motivo sia stato messo in mezzo un giudice del
lavoro, visto che non sussiste un caso di mobbing o di licenziamento per
ingiusta causa. Proprio per questo non si capisce chi sia davvero la parte
lesa.
Andiamo con ordine: durante la trasmissione “La Zanzara”, condotta da Giuseppe Cruciani e David Parenzo, l’avvocato Taormina
aveva definito i gay insopportabili, fastidiosi e contro natura, sottolineando
che non ne avrebbe mai assunto uno per farlo lavorare nel proprio studio.
Attenzione però: non ha licenziato un gay solo a causa della sua omosessualità.
Ha semplicemente formulato un’ipotesi, esprimendo un’opinione.
Taormina quindi è stato condannato per un reato d’opinione,
tipico dei paesi autoritari. Ma neppure per diffamazione, ma da un giudice del
lavoro. Dovrà pagare 10.000 euro.
A chi?
Al gay che ha licenziato? No, perché non esiste. La parte
lesa è “Avvocatura per i diritti Lgbt –
Rete Lenford”, una delle tante associazioni gay-friendly che strizzano
l’occhio alla sinistra, ma che forse proprio per questo si dimenticano di
quelle libertà individuali che dovrebbero far parte del loro patrimonio e dei
loro ideali. Associazioni che chiedono e rivendicano spesso giusti diritti, ma
pretendono di farlo cancellando la libertà di opinione e mettendo bavagli.
Appurato che iniziative giudiziarie di questo tipo sono
utili anche a fare arricchire tali associazioni, grazie a giudici compiacenti
che gli danno ragione e condannano i malcapitati querelati, proviamo ad
analizzare quali sarà il reale impatto della sentenza del giudice del lavoro:
1) Taormina continuerà a non voler assumere gay, essendo
questo il suo orientamento. E probabilmente non ne assumerà mai qualcuno.
Semplicemente, d’ora in poi eviterà di dirlo in pubblico. Non a caso si
chiamano “reati di opinione”.
2) L’omofobia vera o presunta continuerà a esistere. I gay
potrebbero continuare a essere discriminati all’interno del mondo del lavoro,
ma se non sono appoggiati dall’associazionismo di sinistra non ne caveranno un
ragno dal buco. Mentre i gay vengono discriminati, ardite associazioni lgbt
chiedono risarcimenti danni a personaggi pubblici che parlano in radio ma non è
dimostrato che facciano veramente ciò che dicono. A meno che la Rete Lenford e
il giudice del lavoro di Bergamo non abbiano le prove che Taormina abbia
discriminato omosessuali sul posto del lavoro.
3) Si può ipotizzare che un gay che dichiari di non voler
assumere eterosessuali non verrebbe mai querelato né condannato, perché certe
discriminazioni vere o presunte non smuovono il magico mondo
dell’associazionismo
4) Un datore di lavoro che non assume gay o li discrimina
sul posto di lavoro, ma evita di dirlo in radio, continuerà a passare
inosservato e ad apparire come una persona di larghe vedute.
Ci sono poi risvolti “tecnici”.
Ad ipotizzarli
è il sito Horsemoon Post, secondo cui Taormina potrà chiedere il
risarcimento per dolo o colpa grave. Il giudice del lavoro di Bergamo non solo
non ha tenuto conto dell’articolo 21 della Costituzione italiana, ma ha del
tutto frainteso il concetto di discriminazione.
A questo punto poco importa se Taormina abbia agito con
scienza e coscienza per tendere un trappolone alla magistratura usando i gay
come “cavallo di Troia”, come ipotizzato dall’Horsemoon Post, oppure se abbia
espresso una sua reale opinione, discutibile e antipatica finché si vuole, e
solo ora s’è accorto di poter diventare il paladino della libertà di opinione.
Quello che conta è che questa sentenza potrebbe fare storia, con implicazioni
pesanti anche su quella che è la responsabilità civile dei magistrati.
Fonte: visto su QELSI QUOTIDIANI del 8 agosto 2014
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