Quando eravamo adolescenti, negli anni novanta, io e la
maggior parte dei miei amici non avevamo il minimo dubbio a proposito della
civiltà occidentale. Era grandiosa, come avrebbe potuto non esserlo?
A differenza dei nostri nonni e addirittura dei nostri
genitori, non pensavamo che il crollo dell’Unione Sovietica fosse stata “la più
grande catastrofe geopolitica del XX secolo”, che fosse stata un disastro.
Per noi era l’inizio di un lungo viaggio. Finalmente,
avremmo rotto il guscio sovietico e ci saremmo affacciati nel Grande Mondo,
fantastico e senza limiti. Finalmente avremmo placato la nostra fame di
sensazioni. “Siamo nati, forse non nel posto giusto, ma certo nel momento
giusto, più o meno.” Questo pensavamo. Difficile crederci oggi, ma persino la
Chiesa Ortodossa, che usciva dalla supervisione comunista, per noi era la
stessa cosa del trionfo dei valori liberali occidentali. La celebrazione del millesimo
anniversario del Battesimo della Russia e il primo concerto degli Scorpions a
Mosca con il loro “vento di cambiamento” erano per noi parte dello stesso
evento storico.
La guerra in Iraq e la dissoluzione della Jugoslavia in
qualche modo, non so come, non le abbiamo notate. Non era solo il fatto che
eravamo giovani e spensierati. Io, per esempio, stavo facendo tirocinio nella
redazione esteri della Komsomolskaja Pravda. Controllavo i dispacci della
Reuter in Inglese, che erano pieni di Izetbegovic, Karadzic and Mladic, ma in
qualche modo non presi sul serio tutti questi avvenimenti. E, naturalmente, la
guerra nei Balcani ai miei occhi non si inseriva in alcuna chiave di lettura
anti occidentale che potesse contestualizzarla. I Croati uccidevano i Serbi, i
Bosniaci uccidevano i Serbi, i Serbi uccidevano tutti, che c’entrava l’America?
Nel 1990 ho votato per i democratici di “Yabloko” sono stato
sulle barricate alla Casa Bianca dalla parte delle forze democratiche, ho
guardato il nuovo Canale e ho ascoltato la Radio “Eco di Mosca”. I nostri primi
articoli giornalistici si riferivano sempre al “mondo civilizzato” e noi
credevamo veramente che quello fosse il mondo civilizzato.
Poi, intorno alla metà degli anni novanta apparvero
nelle nostre fila i primi “euroscettici”, ma per il momento erano
piuttosto una sorte di “avvocato del diavolo”. Io, ad esempio, condividevo una stanza
all’ostello con Petja il comunista e Aresenj il monarchico. I miei amici delle
altre stanze mi salutavano ogni sera dicendomi: “Ciao ciao, torna pure nella
tua gabbia di matti!”.
Il primo colpo serio alla nostra visione del mondo
occidentalista è arrivata con il Kosovo.
E’ stato uno shock: i nostri occhiali rosa sono andati in
frantumi.
Il bombardamento di
Belgrado è stato, per la nostra generazione, quello che gli attacchi dell’11
settembre sono stati per gli Americani.
La nostra visione del mondo è cambiata, ha virato di 180
gradi assieme all’aereo del Primo Ministro Evgenj Primakov che stava sorvolando
l’Atlantico diretto dall’Irlanda agli Stati Uniti e quando giunse la notizia
dell’aggressione Americana ordinò ai piloti di tornare in Russia.
Al tempo non esisteva una massiccia propaganda di stato.
I brillanti ospiti liberali su NTV continuavano a spiegarci
che sganciare bombe su di una grande città Europea … beh, si, forse era
un tantino eccessivo naturalmente… e tuttavia Milosevich era il più gran
bastardo della storia recente, e allora se lo meritava, niente da dire.
I loro spettacoli
satirici “pupazzi” ritraevano l’evento come una bella litigata in un
appartamento comune, dove un condomino ubriaco tormentava “Miss Kosovo” e
nessuno in casa poteva aiutarla, con l’eccezione del suo ammiratore con
addominali scolpiti e la faccia di Bill Clinton. Noi guardavamo, ma non ci
credevamo più. Non era più divertente.
Capivamo già che la Jugoslavia era una dimostrazione di
quello che avrebbe potuto succedere anche a noi in un futuro nemmeno troppo
lontano.
La seconda guerra in Iraq, la separazione finale del Kosovo,
le “primavere arabe”, la Libia, la Siria… tutto questo è stato impressionante,
ma non ci ha più fatto crollare il mondo addosso.
Eravamo disillusi: ormai ai nostri occhi era chiaro cosa
fosse esattamente l’occidente. Ma, nonostante questo, insomma… vivevamo sullo
stesso pianeta…
Il mito della “America cattiva, Europa gentile” aleggiava
ancora. Le paure che la questione del Kosovo aveva destato piano piano si
calmarono. Arrivammo ad un compromesso del genere: “Ok, essere i migliori amici
di questi tizi è impossibile, ma dobbiamo pur sempre lavorarci assieme. Se non
con loro, con chi?”
La carrellata di “rivoluzioni colorate” fino all’ultimo è
sembrata quasi innocua. Ma Euromaidan e la tremenda guerra civile che è seguita
ci ha rivelato la verità: il “processo democratico” (spogliato di ogni regola e
rispetto e lanciato sul territorio nemico) non è un giocattolo geopolitico, ma
una vera e propria arma di distruzione di massa. L’unica arma che può essere
utilizzata contro una potenza nucleare. Il concetto è molto semplice: quando
spingi un bottone e lanci un missile nucleare dall’altra parte dell’oceano te
ne arriva subito indietro uno come risposta. Ma quando inneschi una reazione a
catena di caos in territorio nemico, nessuno ti può rimproverare: “Aggressione?
Quale aggressione? E’ un normale processo democratico! L’eterna aspirazione dei
popoli alla libertà”!”
Abbiamo visto il sangue e i crimini di guerra, i corpi
esanimi di donne e bambini, un intero paese precipitato negli anni ’40 e
il mondo occidentale, quello che noi amavamo tanto, ci assicura che niente di
tutto questo sta realmente succedendo.
La cultura che ci ha portato Jim Morrison, Mark
Knopfler, i Beatles, non vede nulla.
I discendenti di Woodstock, e addirittura quelli che a
Woodstock hanno partecipato in prima persona, quegli hippie che
cantavano All you need is love e che oggi hanno una certa età, non
vedono nulla. Addirittura i compassati tedeschi delle generazioni del
dopoguerra, i baby boomers che si sono dati tanta pena per porre
riparo ai delitti del loro padri non hanno visto nulla.
E’ stato uno schock peggiore che per il Kosovo. Per me è per
migliaia di Russi di mezza età, allevati con il “sogno americano” nelle nostre
teste, il mito del “mondo civilizzato” è collassato completamente. L’orrore è
assordante. Non esiste più alcun “mondo civilizzato”. E non stiamo parlando
dello svanire delle illusioni giovanili. Stiamo parlando della presa di
coscienza di un pericolo mortale. Il genere umano ha smarrito i suoi valori, e
si è trasformato in un covo di predoni: una grande guerra è solo questione di
tempo.
Venti anni fa non siamo stati sconfitti. Ci siamo arresi.
Non abbiamo perso militarmente, ma culturalmente.
Volevamo veramente essere come loro. il rock n roll ha fatto
quello che le testate nucleari non potevano fare. Hollywood è stata più potente
delle minacce e degli ultimatum. Il rombo delle Harley-Davidson durante
la guerra fredda è stato più forte del rombo dei caccia e dei bombardieri.
America, quanto sei stupida! Tutto quello che dovevi fare
era startene buona per venti anni: e noi saremmo stati tuoi, per sempre!
Vent’anni di dieta vegetariana: e sarebbero stati i nostri stessi politici
a smantellare tutto il nostro arsenale nucleare. Ti avrebbero ringraziato per
averli sollevati da un simile peso. In fin dei conti è stata una benedizione
che tu ti sia dimostrata così stupida, America!
Tu non ci conosci nemmeno! Noi stessi, assieme ad altri,
abbiamo protestato contro il Cremlino solo due anni fa. Da allora e grazie a
te, America, il numero di quelli che sono disposti a scendere in piazza è
crollato verticalmente.
Tu blateri cose senza senso sul nostro conto, pensi cose
senza senso, e, come ovvio risultato, metti in fila un errore dietro l’altro.
Eri un paese bellissimo una volta, America.
La tua superiorità morale sull’Europa è stata affermata
dalla prima guerra mondiale e si è rinforzata dopo la seconda. Si, è vero, c’è
stata Hiroshima, c’è stato il Vietnam, il Ku Klux Klan, ed un armadio pieno di
altri scheletri, come succede a qualsiasi impero. Ma per un lungo periodo
quella immondizia non ha raggiunto la massa critica che trasforma il vino in
aceto.
Hai mostrato al mondo come vivere per amore della creatività
e della libertà artistica. Hai trasformato regioni intere in miracoli
economici: la Germania, il Giappone, la Corea del Sud, Singapore… Ma da allora
sei cambiata tanto.
E’ passato molto tempo dall’ultima volta in cui la canzone
scritta da te è stata cantata in tutto il mondo. Stai distruggendo la base
stessa del tuo dominio, la superiorità morale. E quella base ha una
caratteristica molto speciale: non può essere ricostruita.
Hai iniziato a morire
lentamente, America. E se pensi che io lo dica per cattiveria, ti sbagli di
grosso. I grandi cambiamenti di epoca sono sempre accompagnati da tanto sangue,
e il sangue non mi piace. Noi, che abbiamo assistito al tramonto del
nostro impero, potremmo spiegarti cosa stai sbagliando. Ma non lo faremo. Cerca
di arrivarci da sola.
Fonte: http://www.pravoslavie.ru
Fonte: visto su La
Russia.it del 1 ottobre 2014
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