Il medico argentino che condusse la rivoluzione cubana organizzò i lager per i dissidenti e gli omosessuali. Questi ultimi furono da lui perseguitati in quanto tali: il “Che” non fu secondo nemmeno ai nazisti.
Ecco un ritratto che Massimo
Caprara, ex segretario di Palmiro Togliatti, ha descritto del
rivoluzionario.
Con la fuga del dittatore Fulgencio Batista e la vittoria di
Fidel Castro, nel 1959, il Comandante militare della rivoluzione, Ernesto “Che”
Guevara, ricevette l’incarico provvisorio di Procuratore militare.
Suo compito è far fuori le resistenze alla rivoluzione.
Lasciamo subito la parola a Massimo Caprara (*), ex segretario particolare di
Palmiro Togliatti:
“Le accuse nei
Tribunali sommari rivolte ai controrivoluzionari vengono accuratamente
selezionate e applicate con severità: ai religiosi, fra i quali l’Arcivescovo
dell’Avana, agli omosessuali, perfino ad adolescenti e bambini”.
Nel 1960 il procuratore militare Guevara illustra a Fidel e
applica un “Piano generale del carcere”, definendone anche la specializzazione.
Tra questi, ci sono quelli dedicati agli omosessuali in quanto tali,
soprattutto attori, ballerini, artisti, anche se hanno partecipato alla
rivoluzione.
Pochi mesi dopo, ai primi di gennaio, si apre a Cuba il
primo “Campo di lavoro correzionale”,
ossia di lavoro forzato. È il Che che lo dispone preventivamente e lo organizza
nella penisola di Guanaha. Poi, sempre quand’era ministro di Castro, approntò e
riempì fino all’orlo quattro lager: oltre a Guanaha, dove trovarono la morte migliaia di avversari, quello di Arco Iris, di Nueva Vida (che spiritoso, il “Che”) e di Capitolo, nella zona di Palos, destinato ai bambini sotto ai dieci anni,
figli degli oppositori a loro volta incarcerati e uccisi, per essere
“rieducati” ai principi del comunismo.
È sempre Guevara a decidere della vita e della morte; può
graziare e condannare senza processo. “Un dettagliato regolamento elaborato
puntigliosamente dal medico argentino – prosegue Caprara, sottolinenado che
Guevara sarebbe legato al giuramento d’Ippocrate – fissa le punizioni corporali
per i dissidenti recidivi e “pericolosi” incarcerati: salire le scale delle
varie prigioni con scarpe zavorrate di piombo; tagliare l’erba con i denti;
essere impiegati nudi nelle “quadrillas” di lavori agricoli; venire immersi nei
pozzi neri”. Sono solo alcune delle sevizie da lui progettate, scrupolosamente
applicate ai dissidenti e agli omosessuali.
Il “Che” guiderà la stagione dei “terrorismo rosso” fino al
1962, quando l’incarico sarà assunto da altri, tra cui il fratello di Fidel,
Raoul Castro. Sulla base del piano del carcere guevarista e delle sue
indicazioni riguardo l’atroce trattamento, nacquero le Umap, Unità Militari per
l’Aiuto alla Produzione (vedi il dossier di Massimo Consoli in queste pagine),
destinati in particolare agli omosessuali.
Degli anni successivi, Caprara scrive: “Sono così organizzate le case di detenzione “Kilo 5,5″ a Pinar del Rio.
Esse contengono celle disciplinari definite “tostadoras”, ossia tostapane,
per il calore che emanano. La prigione “Kilo 7″ è frettolosamente fatta sorgere
a Camaguey: una rissa nata dalla condizioni atroci procurerà la morte di 40
prigionieri. La prigione Boniato comprende celle con le grate chiamate
“tapiades”, nelle quali il poeta Jorge Valls trascorrerà migliaia di giorni di
prigione. Il carcere “Tres Racios de Oriente” include celle soffocanti larghe appena
un metro, alte 1.8 e lunghe 10 metri, chiamate “gavetas”.
La prigione di Santiago “Nueva Vida” ospita 500 adolescenti da rieducare. Quella “Palos”, bambini di dieci anni; quella “Nueva Carceral de la Habana del Est”
ospita omosessuali dichiarati o sospettati (in base a semplici delazioni, ndr).
Ne parla il film su Reinaldo Arenas “Prima che sia notte”, di Julian Schnabel
uscito nel 2000″. Anni dopo alcuni dissidenti scappati negli Usa descriveranno
le condizioni allucinanti riservate ai “corrigendi”, costretti a vivere in
celle di 6 metri per 5 con 22 brandine sovrapposte, in tutto 42 persone in una
cella. Il “Che” lavora con strategia rivolta al futuro Stato dittatoriale.
Nel corso dei due anni passati come responsabile della
Seguridad del Estado, della Sicurezza dello Stato, parecchie migliaia di
persone hanno perduto la vita fino al 1961 nel periodo in cui Guevara era
artefice massimo del sistema segregazionista dell’isola.
Il “Che”, soprannominato “il macellaio del carcere-mattatoio di La Cabana”, si opporrà sempre
con forza alla proposta di sospendere le fucilazioni dei “criminali di guerra”
(in realtà semplici oppositori politici) che pure veniva richiesta da diversi
comunisti cubani. Fidel lo ringrazia pubblicamente con calore per la sua opera
repressiva, generalizzando ancor più i metodi per cui ai propri nuovi
collaboratori.
Secondo Amnesty International, più di 100.000 cubani sono
stati nei campi di lavoro; sono state assassinate da parte del regime circa
17.000 mila persone (accertate), più dei desaparecidos del regime cileno di
Pinochet, più o meno equivalente a quelli dei militari argentini.
La figura del “Che” ricorda da vicino quella del dottor
Mengele, il medico nazista che seviziava i prigionieri col pretesto degli
esperimenti scientifici.
Fonte: visto su Qelsi
del 17 maggio 2014
NESSUNA GLORIA PER IL COMANDANTE GUEVARA
Che Guevara: scomode
verità
Nel 2004 Bernal interpretò il Comandante Guevara ne “I Diari della motocicletta" [...]
Quel film coglieva un momento esaltante della vita del “Che”, che assumeva
tratti eroici addirittura quasi cristiani.
C’è dell’altro, però, nella rocambolesca storia di Ernesto
Guevara [...] E’ una storia che in pochi raccontano e che le stesse
associazioni omosessuali solo a tratti hanno avuto voglia di sottolineare,
perché stona con una certa idea di sinistra militante amica che, ahimè, nella
storia si è spesso scontrata con una realtà di oppressione altrettanto atroce
di quella esercitata dalle dittature di destra.
Con il passaggio di poteri da Batista a Castro, nel 1959,
Ernesto Guevara assunse un ruolo di assoluto primo piano nel regime e venne
nominato provvisoriamente Procuratore Militare con il compito di reprimere gli
oppositori della rivoluzione.
Nelle maglie dei Tribunali finiscono per sua espressa
volontà molti religiosi, tra cui lo stesso Arcivescovo de L’Avana, e moltissimi
“maricones” cioè omosessuali.
Guevara elabora una sorta di piano di razionalizzazione
delle carceri, decidendo di specializzarne alcune nella rieducazione dei gay,
tra i quali si contano innumerevoli artisti cubani.
Il “Che” realizza campi di lavori forzati ed elabora
personalmente i regolamenti penitenziari, che fissano le punizioni corporali
per i più facinorosi: taglio dell’erba con i denti, immersione nei pozzi di
raccolta dei liquami di fogna, lavori agricoli eseguiti nudi. E’ su questi
regolamenti che nascono le “Unità Militari per l’Aiuto alla produzione”, dei
veri e propri lager, tra cui la “Nueva Carceral de la Habana del Est”, che
ospita gli omosessuali, riconosciuti anche solo tramite delazione. Secondo le
descrizioni che alcuni dissidenti hanno dato di queste prigioni i detenuti
erano stipati in celle di 6 metri per 5 nelle quali venivano montate 22
brandine, ciascuna occupata da due detenuti.
Venne persino realizzato un campo di rieducazione per i
gay tra i 12 ed i 15 anni, allontanati dalle scuole per evitare
contaminazioni della nascente gioventù rivoluzionaria.
Un noto poeta cubano
omosessuale, Reinaldo Arenas, subì l’esperienza del carcere sotto la dittatura
castrista, erede di questo sistema elaborato da Guevara, nel corso degli anni
’70.
Ne racconta l’esperienza un film che ha avuto un certo
successo nel 2000 “Before night falls”.
[...] Perché è così difficile sentir parlare di questo
disumano Ernesto Guevara? Su internet alcuni reduci raccontano dei
“maricones” uccisi personalmente, con colpi di pistola alla tempia, dal
grande “Che”, ma se poi si leggono le sue biografie ufficiali di tutto ciò non
resta traccia.
Persino Wikipedia glissa sul tema e afferma, con
grande distacco, che esistono giornalisti e storici che hanno sostenuto che
egli abbia avuto un ruolo nella creazione del sistema carcerario cubano e nulla
aggiunge invece sulle atrocità di cui quel sistema si è reso protagonista anche
contro i gay.
Soltanto di recente il regime castrista, pur non avendo
abolito l’articolo 303 del codice penale che proibisce le manifestazioni
pubbliche dell’omosessualità, appare ammorbidito nei toni nei confronti del
tema gay, ma molti ritengono si tratti di un maquillage effettuato per intenti
di buona pubblicità.
Di molto altro ci sono soltanto “rumors” (si parla di campi
di raccolta delle persone sieropositive, realizzati negli anni’80 e ’90), che
non potranno trovare conferme o smentite prima della fine della dittatura.
Per il momento direi che è il caso di dimenticarsi il “Che”
Bernal, e di goderselo nei film di Almodovar.
Fonte: visto su SEBASTIAN
del 24 marzo 2009
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