di Enzo Di Frenna
Mi sono occupato diverse volte della banca d’affari Goldman Sachs, qui
ed anche qui,
poiché è considerata tra i principali responsabili del crac finanziario
americano nel 2008.
Nell’ultima puntata
di Servizio Pubblico intitolata “fuori dall’euro?” il giornalista Federico Rampini, che
vive negli Stati Uniti, ha ricordato che il Congresso americano ha messo sotto
torchio i principali banchieri e li ha esposti alla gogna televisiva.
Tra questi vi era anche il Ceo di Goldman Sachs, Lloyd Blankfein, e i
suoi collaboratori. Il senatore Carl Levin ha chiesto chiarimenti
in merito ad alcune email in cui i clienti venivano definiti “pupazzi” a cui
vendere “affari di merda”. Di recente Greg Smith, ex dirigente di
Goldman Sachs e capo dell’equity derivatives business, ha denunciato
un ambiente tossico e distruttivo nella banca d’affari americana,
confermando che i clienti sono trattati come “pupazzi”.
In seguito ai miei post sul Fatto Quotidiano – relativi
all’attività di questa banca d’affari – mi ha scritto l’economista Mariarita
Iannone, esperta di investment banking che conosce bene il mondo della City
finanziaria di Londra. Ha lavorato per banche d’affari come Merrill Lynch, Lehman Brothers
(fallita nel 2008), Abn Amro,
Citibank. Ha vissuto,
però, un’esperienza sconvolgente presso la sede londinese di Goldman Sachs
International, in Fleet Street, dove è stata assistente alla compravendita
di azionariato europeo sul trading floor. Appena assunta ha affrontato
turni di lavoro massacranti e una pessima organizzazione interna delle risorse
umane, che le impediva di seguire i clienti con la dovuta attenzione. Lo spiegò
ai suoi capi. Ma per risposta ricevette una lettera di licenziamento, firmata
dal direttore del personale Catherine Harrison.
Il fatto risale a settembre del 2000, cioè il periodo in cui
le banche d’affari costruivano in America il castello di sabbia dei titoli
tossici che avrebbe poi avvelenato il mondo dopo il crac finanziario
del 2008. La ex “Goldman girl” si è poi rivolta a numerosi studi legali
inglesi, ma si è sentita dire che non potevano mettersi contro
Goldman Sachs. Poi finalmente l’avvocato David Michell, con studio a Newbury
Street, ha accettato di occuparsi della vicenda e ha accusato la banca d’affari
di “licenziamento illegittimo”, “gravi violazioni statutarie e contrattuali”,
“discriminazione”.
Successivamente la questione è approdata nei tribunali
inglesi, ma non è stata ancora emessa una sentenza. Una vera anomalia per
l’efficienza della giustizia anglosassone. Così il 27 luglio 2010 è stata
presentata una denuncia alla Commisisone europea (prot. n.
CHAP20102528), per “inadempienza giudiziaria di Stato membro, nei confronti
del Regno Unito”. In questi giorni la vicenda di Mariarita è stata oggetto
di due interrogazioni parlamentari, a firma di Elio Lannutti (Idv) e Franco
Narducci (Pd), indirizzate al Ministero degli Esteri e una terza
interrogazione è stata presentata a Bruxelles dall’europarlamentare Niccolò
Rinaldi (Idv).
Ho incontrato Mariarita nella sua casa romana. Il suo
racconto è davvero interessante: «In questa banca d’affari ho riscontrato
una tale esaltazione che ti induce a crederti un dio in terra solo perché
lavori in Goldman Sachs. Inoltre mi ha colpito la mancanza di considerazione
verso la clientela. Nel mio caso, fin dall’inizio, fui sottoposta a orari di
lavoro massacranti, anche dodici ore al giorno ed oltre, spesso senza pausa
pranzo ne’ remunerazione per gli straordinari. Seguivo anche svariati progetti
contemporaneamente. Le risorse umane e tecniche a disposizione erano
insuffienti e, sebbene avessi ricevuto lodi per il mio impegno, non risultava
possibile seguire i clienti in maniera efficace. Così sottoposi la questione ai
miei superiori auspicando una soluzione.»
Mariarita fu convocata nell’ufficio del direttore del
personale e le fu consegnata una lettera di licenziamento. Il motivo?
«Non fu specificato – spiega – e inoltre mi chiesero di firmare
un documento in cui mi impegnavo a non denunciare Goldman Sachs, offrendomi dei
soldi in cambio del silenzio. Non firmai, poiché pretendevo una spiegazione per
quel comportamento assurdo, che violava tra l’altro lo Statuto dei lavoratori,
vari punti della normativa britannica, ma anche il mio stesso contratto. Nei
giorni seguenti, però, gli agenti della sorveglianza mi impedirono di entrare
in ufficio.» Come si spiega l’anomalia della mancata decisione
giudiziaria nel suo caso? «Sinceramente? Perché si tratta di Goldman Sachs…»,
sostiene Mariarita.
La vicenda investe in pieno la questione dei diritti dei
lavoratori durante la grave crisi economica che stiamo vivendo, scatenata
proprio dalle banche d’affari a livello globale. Mario Monti – consulente di
Goldman Sachs – ha tentato in tutti i modi si smantellare in Italia l’articolo
18, ultimo baluardo contro le prevaricazioni di quei datori di lavoro che
abusano del loro potere, importando il “modello britannico” del dopo Margaret Thatcher.
Su questo argomento Mariarita ha le idee chiare: «Ritengo
che Goldman Sachs abbia interesse che in Italia sia indebolito l’articolo 18 e
ridotti i diritti dei lavoratori, poiché è più facile mettere in atto licenziamenti
illegittimi piuttosto che costruire un percorso di vera produttivita’ e di
concorrenza leale a beneficio soprattutto della clientela nonché rispettando il
mercato. La sua sete di potere è sconfinata e vuole avere le mani libere.
Ovunque e a ogni livello.»
Fonte: srs di di Enzo Di Frenna, da Il Fatto del 28 aprile 2012
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