1- NELL’ITALIETTA SCASSATA DI RIGOR MONTIS E
DI GIORGIO BANAPOLITANO NON SI SA PIU’ NEMMENO CHI GUIDA LA POLITICA
TRIBUTARIA: IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO O ATTILA BEFERA, IL CAPTAZ DI
EQUITALIA? EPPURE E’ PROPRIO LA SACRA COSTITUZIONE, TANTO CARA AL QUIRINALE,
CHE AFFIDA QUESTA MISSIONE AL GOVERNO E AL PARLAMENTO
- 2- DOPO AVER SALUTATO I BOTTI FISCALI DI
CAPODANNO (SCONTRINI A CORTINA D’AMPEZZO) PER LO SCAMPATO PERICOLO DI UNA
PATRIMONIALE SECCA CHE AVREBBE COLPITO L’EDITORIA DEI POTERI MARCI, I
GIORNALONI SONO STATI COSTRETTI DAI PROPRI LETTORI A PRENDERE ATTO CHE
L’AGENZIA NON E’ GUIDATA DA ROBIN HOOD, MA AGISCE COME L’ANTIERORE DEI FUMETTI
SUPERCIUK: RUBARE AI POVERI PER DARE AI RICCHI
- 3-
COSI’ SIAMO PASSATI “DA CITTADINI DI UNO STATO A TITOLARI DI UN CODICE FISCALE” -
Ricordate i "botti" fiscali di Capodanno per
festeggiare (in anticipo) i primi cento giorni del neo premier Rigor Montis?
Con la perla delle Dolomiti, Cortina d'Ampezzo, presa d'assalto dai cacciatori
di scontrini fiscali. E con i grandi giornali a brindare all'inconsueta
messinscena pirotecnica. Anche se Lor signori della carta(straccia), e i suoi
direttori, più che applaudire al blitz degli esattori facevano festa per una
ragione assai meno nobile: lo scampato pericolo di una patrimoniale secca che
avrebbe colpito le tasche dei loro editori.
Già, i Poteri marci che, rispetto ai lavoratori dipendenti,
non hanno il prelievo alla "fonte" (dalla busta paga) e a volte
godono pure dell'Iva al 4%. Oltre a poter schierare, sul campo fiscale,
agguerriti tributaristi. Nel caso di controversie con l'agenzia delle entrate.
Lusso che non si può permettere un artigiano o un bottegaio di paese.
L'Italia del commercio non è soltanto Cortina o via
Montenapoleone.
Storia vecchia, si dirà, ma finora non si era mai visto un
governo composto di tanti garruli Superciuk. Stiamo parlando dell'antieroe dei
fumetti creato da Max Bunker, l'opposto di Robin Hood, che ruba ai poveri per
dare ai ricchi.
Nel suo pamphlet sui contribuenti-sudditi "La mano che
prende, la mano che dà", edito da Raffaello Cortina, il filoso tedesco
Peter Sloterdijk, osserva che il giornalismo politico dei nostri giorni
"riformula in mille varianti quattro luoghi comuni". E tra questi
"luoghi comuni" c'è, da parte della stampa, quello di sollevare solo
polveroni.
"E il buon uso dello scandalo - osserva Sloterdijk -
diventa uno strumento per tenere in vita il potenziale utopico del modo di
vivere politico chiamato democrazia".
Nell'Italia degli Indignados à la carte (dei padroni) c'era,
addirittura, chi parlava di "rivoluzione delle tasse" dopo aver
assistito ai fuochi fatui accesi dalle fiamme gialle nel ricco presepe
ampezzano. Senza nemmeno aver dato una sbirciatina su come funziona e opera
davvero la burocratica macchina trita-contribuenti avviata dai vari governi
della cosiddetta seconda Repubblica.
Una struttura dai costi di gestione mostruosi: oltre un
miliardo di euro l'anno. Pagati ovviamente, dai poveri tartassati di turno.
I
ricavi di Equitalia? Qualche spicciolo di milione.
Del resto, sosteneva l'ex
presidente americano Ronald Reagan "chi paga le tasse è uno che lavora per
lo Stato senza essere un impiegato statale".
Così, nell'ubriacatura (fiscale) di fine anno qualcuno anche
a sinistra-sinistra (il Fatto) scambiava pure l'amministratore di Equitalia, il
puffo Attila Befera, per un Lenin dell'aggio (altrui).Tant'è, che il Signorotto
delle imposte con "tassi di usura" (9%), attratto dal profumo
d'incenso che lo stava avvolgendo, si è presentato davanti alla folla di
adulatori (i media) per promuovere il marchio Equitalia. Che grazie agli
exploit televisivi di Befera, rovesciando lo slogan di una ditta di cucine, ben
presto è diventato il più odiato dagli italiani.
E il risultato più grave e negativo delle performance di
Attila è stato soltanto uno: nel giro di pochi giorni l'agenzia delle entrate,
e i suoi solerti dirigenti, sono diventati un simbolo del male e l'obiettivo
sconsiderato di violente e ingiustificate contestazioni.
Tutte azioni
condannabili senza se e senza ma.
A tirare sassi contro le vetrine di Equitalia non erano però
i proprietari di auto Suv o i bottegai infedeli, come avevano immaginato i
soloni di carta(straccia).
A gridare la propria protesta erano i milioni di
cittadini a reddito fisso. Lavoratori la cui dichiarazione fiscale è fatta, tra
l'altro, dai propri datori di lavoro.
Secondo alcune stime, mai smentite dai gabellieri di Stato,
l'80% degli incassi di Equitalia proviene dalle tasche dei salariati
dipendenti, pensionati e da piccoli professionisti.
Spesso vessati per qualche
centinaio di euro (il mancato pagamento del canone Rai) con ganasce alla
propria auto o l'iscrizione d'ipoteche sulle abitazioni.
I Grandi Profitti, invece, possono dormire sonni tranquilli
anche sotto il governo di Rigor Montis e del suo scudiero (fiscale) Attila
Befera.
Così nel panorama dell'informazione, che dovrebbe rappresentare
l'opinione pubblica, ancora una volta sono stati i propri lettori a far
cambiare registro ai giornali.
E poi gli editori si lamentano della perdita di
copie in edicola!
Una valanga di lettere spedite alle redazioni ha fatto
giustizia su come funziona davvero (In)Equitalia.
Eppure, facciamo l'esempio
del Corrierore guidato stancamente dal disincantato Flebuccio de Bortoli, aveva
sotto mano la coppia di Gabibbo alle vongole, i mitici Stella&Rizzo, per
andare a dare almeno un'occhiatina su come funziona e opera la burocratica
macchina da guerra pilotata da Attila Befera.
Niente, invece.
Dei due Indignados à la carte (dei padroni) uno era
impegnato a fare le bucce a qualche disgraziato delle comunità montane; l'altro
a difendere l'ing. Giuseppe Orsi, amministratore di Finmeccanica, che è
accusato di "riciclaggio internazionale" dai giudici di Napoli.
Se
fosse stato un parlamentare con un simile fardello (inquisitorio) sulle spalle,
Sergio Rizzo, ne avrebbe chiesta la decapitazione sulla piazza del Parlamento.
E nemmeno una riga si è letta su chi oggi guida la politica
fiscale dell'Italia.
Il premier Rigor Montis o Attila Befera?
Dopo la
sciagurata soppressione del ministero delle Finanze per creare un
superministero dell'Economia - accorpando insieme Tesoro e Bilancio -, la
delega nel campo dei tributi è stata lasciata dal governo dei bocconiani, come
ha ricordato il professor Enrico De Mita sul "Sole 24 Ore",
all'Agenzia delle entrate.
Con i risultati politici, economici e sociali che
sono sotto gli occhi di tutti.
E sorprende che il capo dello Stato, Giorgio Napolitano,
scrupoloso garante della Costituzione non si sia accorto, come osserva ancora
Enrico De Mita, che è proprio la carta repubblicana che "affida
concretamente e non apparentemente la politica tributaria al Governo e al
Parlamento".
Altrimenti, in assenza di un'azione istituzionale, si
finisce sotto la scure del gabelliere-riscossore Attila Befera.
E gli italiani
onesti, per citare nuovamente il filosofo Peter Sloterdijk, sono trasformati
"da cittadini di uno Stato a titolari di un codice fiscale".
Fonte: da Dagospia di venerdì 18 maggio 2012
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