Giuseppe Garibaldi: deluso dalla conquista del Sud
Le celebrazioni per i 150 anni dell’unità d’Italia sono
state, oltre che inutili, persino dannose perché hanno omesso come al solito di
ricordare all’opinione pubblica le accorate disillusioni di alcuni dei
più famosi eroi risorgimentali sull’esito del processo unitario. Ricordiamone
solo alcune.
Nel mio post Il giudizio di Garibaldi sull’Italia unita:
il ritratto dell’Italia di oggi[1]
ho riportato il giudizio dell’”Eroe dei due Mondi” espresso nel 1880, e
riferito da Giordano Bruno Guerri nel suo libro Il sangue del Sud:
«Tutt’altra Italia io sognavo nella
mia vita, non questa miserabile all’interno e umiliata
all’estero e in preda alla parte peggiore della nazione».
Nel 1868, lo stesso Giuseppe
Garibaldi, in una lettera a Adelaide Cairoli, si era già espresso nel modo
seguente:
«Gli oltraggi subiti dalle popolazioni meridionali sono
incommensurabili. Sono convinto di non aver fatto male, nonostante ciò, non
rifarei oggi la via dell’Italia meridionale, temendo di essere preso a sassate,
essendosi colà cagionato solo squallore e suscitato solo odio»[2].
Il paragrafo “I delusi dall’unità” della voce di Wikipedia
relativa alla “Spedizione dei Mille”riporta i giudizi negativi di due altri
famosi esponenti risorgimentali, Luigi Settembrini e Ferdinando
Petruccelli della Gattina[3].
Di grande interesse anche la rivisitazione, o revisione,
dell’usuale identificazione di Giuseppe Verdi con l’oleografia
risorgimentale compiuta dallo storico della musica Aldo Nicastro:
“Del resto, nella misura in cui Verdi, immettendo le
scorbutiche dichiarazioni moralistiche del Quarantotto nell’asessuata struttura
artigianale dell’opera d’oltralpe, s’era fatto portatore di una dialettica
interna capace di salvarne le istanze migliori e di condurle pian piano
all’approdo che si sa; in tal misura, è possibile rendersi conto di come anche
l’equivoco liberal-risorgimentale della nascente e confusa borghesia italiana
non riuscisse a toccarlo intimamente. Le adesioni del ‘liberale’ e ‘romantico’
Verdi a quelle aspirazioni sono state sempre e soltanto verbali e generiche,
ossequienti alla retorica dell’epoca; e non di rado viziate da alcuni
episodici, quanto significativi, scoppi di ‘reazionario’ e nostalgico malumore:
come quello che si mette in evidenza nel commento all’imposta sul macinato
voluta da Quintino Sella nel 1867 per riparare in parte ai disastri economici
delle ultime campagne contro l’Austria.
Giuseppe Verdi: furioso con Quintino Sella
Così scriveva in proposito Giuseppe Verdi il 16 giugno 1867 all’Arrivabene:
“Cosa faranno i nostri uomini di Stato?
Coglionerie sopra coglionerie!
Ci vuol altro che mettere delle imposte sul sale e sul macinato e rendere ancora più misera la condizione dei poveri. Quando i contadini non potranno più lavorare ed i padroni dei fondi non potranno, per troppe imposte, far lavorare, allora moriremo tutti di fame.
Cosa singolare! Quando l’Italia era divisa in piccoli Stati, le finanze di tutti erano fiorenti! Ora che siamo tutti uniti, siamo rovinati” [4].
Coglionerie sopra coglionerie!
Ci vuol altro che mettere delle imposte sul sale e sul macinato e rendere ancora più misera la condizione dei poveri. Quando i contadini non potranno più lavorare ed i padroni dei fondi non potranno, per troppe imposte, far lavorare, allora moriremo tutti di fame.
Cosa singolare! Quando l’Italia era divisa in piccoli Stati, le finanze di tutti erano fiorenti! Ora che siamo tutti uniti, siamo rovinati” [4].
Considerazioni di straordinaria attualità, quelle di Verdi,
alla luce non solo della recente ondata di suicidi dovuti alle politiche
governative ma anche all’analogia, già riscontrata nel 2011 di fronte alla
prime mosse del governo in carica, tra Mario Monti e Quintino Sella[5]!
Tutto ciò, per tacere delle riflessioni critiche sul
Risorgimento riscontrabili nella grande letteratura e nel grande cinema[6]
(e nei grandi sceneggiati RAI degli anni ’60 e ’70![7])
che, naturalmente, i nostri “celebratori” si sono ben guardati dal menzionare …
Sono gli effetti, sull’industria culturale, del nuovo corso patriottardo
inaugurato al Quirinale da Carlo Azeglio Ciampi e proseguito da Giorgio
Napolitano.
Note:
[3]
Ibidem.
[4]
Aldo Nicastro, IL TEATRO FRANCESE NELL’EVOLUZIONE DEL MELODRAMMA VERDIANO,
in “ATTI del III° Congresso nazionale di studi verdiani”, in rete: http://books.google.it/books?id=l1l_oNHv1W0C&pg=PA347&lpg=PA347&dq=giuseppe+verdi+tassa+macinato&source=bl&ots=v4dzyAajpJ&sig=c2MoiD_-k9E30aVVnmqJhMz7dJA&hl=it&sa=X&ei=LsKlT8PrJ4iSOvGO_b0J&ved=0CFsQ6AEwAA#v=onepage&q&f=false
[5]
Vedi al riguardo Quintino Sella & Mario Monti. I risvolti ambientali
della manovra economica: http://blogeko.iljournal.it/2011/quintino-sella-mario-monti-i-risvolti-ambientali-della-manovra-economica/65634
. Sulla tassa sul macinato, vedi l’articolo di Francesco Mario Agnoli Il
fisco protagonista dell’Italia unita: http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=41859
[6]
Indicazioni sommarie in tal senso, oltre che dal paragrafo citato nelle
precedenti note 2 e 3, si possono trovare in Ritratti di celluloide:
Garibaldi e la spedizione dei Mille nella cinematografia italiana: https://pti.regione.sicilia.it/portal/page/portal/PIR_PORTALE/PIR_150ANNI/PIR_150ANNISITO/PIR_Schede/PIR_Millepellicole/PIR_GaribaldieiMillenellacinematografia
[7]
Si possono citare in tal senso gli sceneggiati tratti dai romanzi Il mulino
del Po, di Riccardo Bacchelli (prima e seconda serie), La signora Ava
e Le terre del Sacramento, di Francesco Jovine, I vecchi e i giovani,
di Luigi Pirandello e Adua, di Manlio Cancogni, oltre, naturalmente, a L'alfiere
e a L'eredità della priora di Carlo Alianello..
Fonte: pubblicato da Andrea
Carancini, il 6 maggio 1996
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