Università di Bologna
di FEDERICO
COMPAGNONI
Le Università delle regioni padane sono state le migliori
del mondo. Per quanto si cerchi di rigirare i dati storici, questa realtà
emerge da ogni pagina consunta, da ogni documento di storia mondiale delle
Università. Il Meridione ha avuto la prima Università del mondo: quella di
Salerno (nel IX secolo).
Invece di piangersi addosso, dovrebbe avere uno scatto
d’orgoglio ricordandolo: forse d’un colpo capirebbe quali sono state le sue
potenzialità sprecate e quante ne potrebbe avere ancora in futuro, senza lo
Stato unitario centralizzato italiano. In ogni caso, quelle padane sono state
per secoli le migliori Università del mondo. E hanno fondato la grande
tradizione europea, alla base della civiltà occidentale. Non ci piove. Bologna,
Pavia, Padova erano conosciute dappertutto; gli studenti del mondo intero
aspiravano a studiarvi. Le migliori famiglie americane nel Seicento vi
mandavano i loro figli.
Adesso sono ridotte a ministeri elefantiaci, soffocate dalle
carte, popolate da un esercito di “burocrati della scienza” sottopagati, da
mezze figure di conformisti, da una casta corrotta e inamovibile, politicamente
e amministrativamente mafiosa e scientificamente limitata, abituata a
spadroneggiare, a spartirsi le cattedre fra bande di cavallette e a concentrare
nelle proprie mani quanto più potere e servitori fedeli possibile. Assaltate da
bande di predoni estranei alla scienza, sono diventate prede di partiti e
consorterie, bottino di una lotta politica tanto imponente quanto distruttiva,
centri di parassitismo devastati da sanguisughe.
Il fine di queste istituzioni dominate da capi clan che
dettano l’agenda degli studi (emarginando coloro che studiano argomenti
sgraditi) non è la scienza, ma il controllo di posizioni di potere, che fa
emigrare i talenti e distrugge capacità.
Le Università padane, delle quali all’estero non si conosce
neppure più il nome, sono sprofondate così nelle classifiche internazionali (su
questo unanimemente concordi) dietro a quelle di Paesi che ne hanno create
cinquecento o settecento anni dopo. Indiani e cinesi delle nostre Università
non saprebbero cosa farsene. Un vero capolavoro, progredito di pari passo con
la loro statalizzazione, che le ha soffocate e devastate. Eppure nelle nostre
Università, figlie della rivoluzione urbana e dei comuni, è nato il sapere
libero, insofferente ai dogmi. Erano strutture create da studenti e maestri
prestigiosi, di età di poco superiore a quella di discepoli, obbligati a
migliorare continuamente (altrimenti non li avrebbero pagati).
I professori quando erano bravi guadagnavano di più. Le
Facoltà erano in concorrenza fra loro. La figura attuale del professore che
ripete per venti o trent’anni le stesse cose era impossibile: lo avrebbero
licenziato. Erano corporazioni autonome, imprese private, basate su contratti e
sul mercato della conoscenza, gelose dei propri diritti, libere dalla Chiesa e
dal potere politico. Il loro modello è stato salvato nel mondo anglosassone,
che diverrà, soprattutto in America, ben più libera dal potere della corona,
quello delle Università più straordinarie.
Quelle padane, libere dallo Stato, assicuravano, come poi
Oxford e Cambridge, l’istruzione gratuita ai meno abbienti, che a Oxford fra il
1380 e il 1500 erano il 61% (figli di contadini): altro che il mitizzato “Stato
sociale”, in cui i più poveri, con
un’imposta regressiva, pagano le tasse per mantenere i figli di papà agli
studi!… Si chiamava privilegium
paupertatis. Contadini o figli di calzolai diventavano professori o
titolari di professioni altolocate, dai lauti guadagni. La nobiltà di sangue
non aveva peso. L’unica nobiltà che contava era quella del sapere. Le
Università padane erano piene di lasciti di benefattori. Galileo era uno
studente poverissimo a Padova, sotto Venezia, nel 1592. Ma studiò comunque ed
ebbe accesso ai circoli colti e senatoriali della Serenissima.
Prima di essere trasformate in organi di Stato, queste
Università erano basate su un reticolato di relazioni orizzontali. Modena,
Reggio, Padova nacquero spontaneamente, contendendo il primato a Bologna. A
Padova fino al 1644 e a Pavia fino al 1808 il
rettore era uno studente sopra i 22 anni, eletto da studenti! Sarà
Napoleone a imporvi un Professore.
Pur avendo cercato di resistere alla statalizzazione
nazionalizzante e cialtrona (che gli farà perdere il carattere internazionale:
a Padova i rettori tedeschi e di altri paesi sono stati molti), al controllo
incompetente dei parlamenti, le Università padane, che produssero un’esplosione
di studi e di scienza senza precedenti nella storia umana e la cui storia è
stata straordinaria, finiranno spianate da quello schiacciasassi, con tutto il
suo peso di indottrinamento, controllo, nazionalismo, gerarchia burocratica,
atrofizzazione (per mancanza di libertà e di risorse), protezione politica ai
caporioni in cambio di asservimento, dannazione per i più poveri, freno
all’innovazione.
Una devastazione senza fondo.
Fonte: srs di di
FEDERICO COMPAGNONI, da L’indipendenza del 16 marzo 2012
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